Tarnova della Selva è un paesino posto al centro dell’altipiano omonimo, sulla strada che attraverso la Sella di Dol da Gorizia arriva alla stazione turistica invernale di Loqua (Lokva). L’intero altipiano è disabitato ad eccezione di qualche paesino e di poche fattorie isolate e la sua posizione dominante la piana goriziana lo rese inoltre un’ottima base di partenza per i partigiani jugoslavi dell IX Corpus per operazioni a vasto raggio nella pianura sottostante. Nei primi giorni del gennaio 1945 venne intrapresa dalle forze dell’Asse la creazione di presidi dentro l’altipiano e quello di Tarnova, il più interno ed isolato venne affidato ai marò della X MAS. Dal 9 gennaio nel presidio operò il battaglione “Fulmine”, articolato su 3 compagnie al comando del T.V. Eleo Bini per un totale di 214 uomini.
Il IX Corpus, responsabile di quel settore per l’Esercito Popolare di Liberazione Yugoslavo, decise di intraprendere un’operazione destinata ad annientare il presidio di Tarnova. La 19a brigata slovena di liberazione “Srechko Kosovel” venne incaricata di assalire Tarnova, e per questo fu rinforzata da una compagnia d’assalto, portando il rapporto tra difensori e attaccanti in 1 a 5.
Nel paese i marò avevano allestito, compatibilmente con le risorse disponibili ed il clima rigidissimo, delle opere difensive. Una cerchia esterna di postazioni protette, basata su dodici caposaldi appoggiati da buche e protetti da qualche barriera di filo spinato e da mine antiuomo, si stendeva attorno all’abitato. Alcune case erano state poi trasformate, sempre con mezzi di fortuna, in caposaldi.
La brigata Kosovel nel tardo pomeriggio dell’ 8 gennaio, con una temperatura inferiore ai -10°, lasciò Otlica ed alliaverso Mala Strana a notte fonda giunse attorno a Tarnova. Le armi d’appoggio, grazie allo schermo dato dalla vegetazione e dalla foschia, furono appostate a circa 300 metri dalla linea difensiva italiana ed alle 5.50 del mattino aprirono il fuoco sulle postazioni italiane, mentre i suoi elementi di punta muovevano in avanti.
La reazione italiana, pronta e decisa, fermò il primo assalto. Le forze partigiane si lanciarono in un secondo assalto, che non ebbe miglior sorte del primo. La reazione italiana consentì al Fulmine di riprendere possesso di qualche posizione temporaneamente abbandonata. Alle 7.00 del mattino, quando la prima luce consentì di regolare il tiro con precisione, i cannoni slavi aggiunsero i loro proiettili a quelli delle armi leggere. L’accresciuto fuoco d’appoggio permise agli assalitori di portarsi nuovamente in avanti, conseguendo i primi successi. Gli italiani si ritirarono nelle case vicine, da dove continuarono il combattimento bloccando il progresso degli attaccanti. Alle 11.30, il nucleo di operatori radio del Battaglione Freccia distaccato presso il Fulmine riuscì a collegarsi col comando di divisione a Gorizia ed a informarlo della situazione in atto, chiedendo soccorsi.
Nel frattempo, dalle postazioni partigiane continuò incessante il tiro delle armi individuali, dei lanciarazzi e dei cannoni sugli italiani. Con l’oscurità calò una fitta nebbia; iniziò a nevicare. Il Fulmine nel primo giorno di battaglia contò 12 morti e 25 feriti.
Nel cuore della notte il Fulmine contrattaccò e respinse dal bordo orientale del perimetro le punte avanzate degli assedianti, riprendendo il controllo di 2 bunker ma questo scatenò alle 04.30 un ulteriore attacco del l° battaglione Kosovel che riconquistò i due bunker e due case vicine. Più tardi la perdita di altri due bunker costrinse il Fulmine ad arretrare la linea difensiva settentrionale sino all’abitato. Da parte slava, giudicando prossimo il tracollo dei difensori, si decise di compiere lo sforzo finale mediante l’attacco del battaglione di riserva. Ma un intenso fuoco dalle case ai margini occidentali del paese riuscì ad infrangere lo slancio dei due battaglioni slavi.
Giunse così il pomeriggio del 20 gennaio. Il comando partigiano decise di investire massicciamente tutto il perimetro, e fece avanzare anche il 2° battaglione. L’intera linea difensiva fu quindi investita da assalti tesi ad aggirare le postazioni, ad infiltrarsi fra abitazione ed abitazione, ad isolare i nuclei di resistenza, a sopraffarli con l’uso di esplosivo. Al crepuscolo il comandante Bini si trovò costretto ad una decisione. Il mancato arrivo dei rinforzi, l’esaurirsi delle munizioni, il progressivo avanzare degli slavi, la disgregazione delle linee difensive, ed infine l’autorizzazione a ritirarsi preventivamente trasmessa via radio dal Comando di Divisione, lo convinsero ad ordinare l’abbandono del paese per salvare i superstiti del battaglione. La manovra comportò un alto prezzo: l’abbandono dei feriti gravi. Quanti erano ancora incolumi, ed i feriti in grado di camminare, abbandonando le postazioni, si sarebbero concentrati presso il Comando di Battaglione; la colonna così formata avrebbe cercato di sfondare l’accerchiamento, dirigendosi verso Gorizia. Così alle ore 20.00 cominciò a venire diramato l’ordine di rendere inutilizzabili le armi pesanti e di concentrarsi entro le 24.00 al comando di battaglione. La comunicazione di questa disposizione avvenne comunque in modo fortunoso, poichè l’unico mezzo a disposizione era costituito dalle staffette, che raggiungevano i caposaldi sgusciando fra gli attaccanti. Alcune postazioni ricevettero la disposizione solo attorno alle 23.30. Ad altre non riuscì a pervenire. il combattimento si concentrò nella parte meridionale dell’abitato, dove ancora resistevano due bunker ed alcune case. Gli italiani, asserragliati nelle abitazioni, esaurite munizioni e bombe a mano usavano dell’esplosivo per improvvisare ordigni con cui resistere alla pressione nemica. Verso mezzanotte cadde l’ultima postazione protetta, resistevano quattro caposaldi. Alle 2.30 del 21 gennaio la colonna del Fulmine mosse verso ovest. Un gruppo in ritirata venne individuato e posto sotto tiro da parte dei nemici. Costretti a ripiegare, i marò tornarono verso il paese e si trincerarono in una casa Vicino a loro, chiusi in un’altra abitazione, resistevano alcuni superstiti. Già circondati ed isolati quando venne impartito l’ordine di ripiegamento, non lo ricevettero e continuarono quindi a resistere ad oltranza. I reparti partigiani si resero conto di essere padroni di quanto rimaneva di Tarnova. Posti dei reparti attorno agli ultimi nuclei di resistenza, gli uomini della Kossovel saccheggiarono il paese e si ritirarono senza tentare di inseguire la colonna in ritirata. Entrarono nell’infermeria, improvvisata all’interno d’una abitazione e presero ad ammazzare i feriti. Qualcuno fra di loro si salvò perchè riuscì a nascondersi, o venne creduto morto.I partigiani uccisero anche alcuni abitanti del paese, ed incendiarono delle case. Fra gli italiani, qualcuno al precipitare della situazione s’era suicidato per non cadere in mano nemica; fu il caso del G.M. Roberto Valbusa della III Compagnia.
La colonna del Fulmine in ritirata il mattino successivo giunse a contatto con reparti tedeschi. Poco dopo, un autocarro del Comando Divisione raccolse i superstiti del battaglione, riportandoli a Gorizia. Quasi contemporaneamente, una colonna germanica proveniente da Sanbasso raggiunse Tarnova. Il paese era stato abbandonato in fretta dai partigiani I caposaldi dei G.M. Minervini e Balassa avevano combattuto tutta la notte senza arrendersi, e stavano ancora resistendo. La battaglia di Tarnova finì così. Il Fulmine ebbe 50 morti e 42 feriti.