La beffa di Buccari fu portata a termine nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 nello specchio acqueo antistante Fiume, allora appartenente all’Austria-Ungheria. Erano passati pochi mesi dalla disastrosa rotta di Caporetto, e un evento come quello che fumesso a punto da un pugno di audaci marinai risollevò il morale di tutti i combattenti. All’impresa presero parte trenta assaltatori su tre Mas (Motoscafi Anti Sommergibile).
Gabriele D’Annunzio era uno dei trenta audaci che alle ore 10 del mattino del 10 febbraio salparono, a Venezia, dal canale della Giudecca. scortati da una squadriglia di cacciatorpediniere. I tre motoscafi erano il Mas 94, al comando di Andrea Ferrarini, il Mas 95, al comando del tenente di vascello De Santis, e il Mas 96, comandato da Costanzo Ciano, che aveva al suo fianco Luigi Rizzo, un ufficiale che si sarebbe coperto di gloria. Sul Mas di Ciano aveva preso posto il grande poeta. Alla testa della squadriglia di caccia che scortava i tre Mas era l’ «Animoso», comandato da Arturo Ciano, fratello di Costanzo.
La squadra navigò per dodici ore. A mezzanotte era giunta alla méta: oltre l’isola di Unie, in vista della costa istriana e della baia di Buccari, antistante Fiume, i caccia non potevano spingersi perché sarebbero stati immediatamente individuati. Così, toccò ai tre Mas, protetti dal buio della notte, avanzare verso lo specchio acqueo ove era alla fonda la flotta austriaca.
Era da poco passata la mezzanotte quando ciascuno dei tre Mas lanciò due siluri verso le navi all’àncora. Soltanto uno colpì il bersaglio, in quanto gli altri cinque erano esplosi contro le reti protettive. Ma la sfida era stata lanciata. Rimessi in moto i motori, i tre Mas intrapresero la via del ritorno. Alle 7 di mattina dell’11 febbraio entrarono nel porto di Ancona. Circa a quell’ora, al comando della Marina austro-ungarica, a Fiume, veniva recapitata una bottiglia, con nastrino tricolore, raccolta nelle prime ore del mattino, e che conteneva un messaggio scritto da Gabriele D’Annunzio (che aveva fatto gettare in mare altre due bottiglie contenenti lo stesso testo). Eccone il contenuto, giustamente diventato famoso:
«In onta alla cautissima flotta austriaca, occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile».
Poco prima della partenza dei tre Mas da Venezia, il timoniere volontario del «96», Angelo Procaccini, aveva scritto a matita, su una tavoletta poi inchiodata sul davanti della ruota del timone, la frase latina «Motum Animat Spes» («La speranza anima il movimento»), con le stesse iniziali del Mas. Dopo breve e amichevole discussione, D’Annunzio lo aveva corretto, dicendogli: «Bisogna pensare a qualcosa di più forte, di più energico». E gli era venuto di getto quello che diventerà il celebre «Memento Audere Semper».
La beffa ebbe l’effetto di una iniezione di entusiasmo non soltanto sulle truppe combattenti sui vari fronti, ma anche su tutta la popolazione. Entusiasmo che andò alle stelle, pochi mesi dopo, grazie all’ennesima impresa dannunziana: il volo su Vienna, con il lancio di migliaia di manifestini tricolori al posto delle bombe omicide con le quali gli aerei austriaci avevano colpito numerose città italiane, tra cui Milano.