III Congresso 1928 Atti Le Nobili parole del Duca di Aosta

  

LE NOBILI PAROLE DEL DUCA D’AOSTA

Ora l’assemblea si fa più religiosamente silenziosa e attenta. Parla il Duca d’Aosta, che nella figura marziale aduna il fascino del Principe e quello del Condottiero Invincibile. Tutti ne ascoltano commossi la voce vibrante che ha un tono paterno e di comando. Le sue parole non sono quelle che si odono nei discorsi ufficiali. E’ un’orazione mirabile in cui la forma nobile e il sentimento inspirato la fanno degna di rimanere incisa nella memoria e nei cuori.

Ecco le parole:

Prodi fra i prodi, a Voi il mio saluto.

Saluto di Principe che vede in Voi i Cavalieri senza macchia e senza paura della millenaria tradizione guerriera della Sua Casa.

Saluto di Condottiero che riconosce in Voi i leggendari Eroi delle epiche battaglie.

Saluto di camerata che ricorda la sublime fraternità d’armi che ebbe le sue pagine d’oro nella vostra raggiante fedeltà.

Ma al di sopra di Voi il mio pensiero si eleva ai fratelli caduti che meritarono nella morte il bacio azzurro della gloria. Tutti Vi sento vicini al mio cuore che Vi ama di indistruttibile amore.

Siete il fiore della nostra stirpe, il miracolo della nostra gente. Con soldati come Voi era impossibile non vincere.

E la Vittoria ha cinto di azzurro le bandiere di tutti i reggimenti. Dieci anni sono passati e i segni del valore splendono immacolati. In questo decennale di gloria, consacrateli, o Prodi, alla memoria del mio grande Avo, che divinò gli Eroi dell’Italia trionfante. Consacrateli, o Prodi, alla immortalità della Patria, che Vi benedice e Vi esalta. Consacrateli, o Prodi, col grido della Vostra immutabile fede alla Maestà del Re.

Scroscianti acclamazioni salutano il discorso del Duca.

La banda dei carabinieri suona gli inni della Patria, e incomincia la gloriosa sfilata delle Insegne davanti al Principe. Al primo posto l’Orifiamma del Direttorio del Nastro Azzurro, affidato all’Alfiere e vice Alfiere colonnello Barni e Comm. Achille Benedetti, l’Insegna della Sezione di Roma col capitano Galvano, alla quale seguono le Insegne di tutte le altre Sezioni; fra esse molto notate quelle di Alessandria d’Egitto, del Cairo, di Nizza, di New York. Il Duca stringe la mano ad ogni alfiere e si trattiene a parlare, domandando di ciascuno il nome e il fatto d’armi per il quale è stato decorato. Il Principe appare ora a tutti il più affabile dei camerati. Appena gli vien detto il luogo di combattimento, Egli sa ricordare particolari dell’azione e dei comandanti che vi presero parte. Molti decorati sono da Lui stesso riconosciuti, sieno ufficiali anziani o giovani. — Come va, mio caro bersagliere? — dice con sorriso cordiale alla medaglia d’oro ingegnere Pergolesi, presidente della Sezione di Napoli.

Al comm. Vallauri, Generale a riposo e rappresentante della Sezione di Tripoli, stringe la mano dicendogli: — Noi siamo stati compagni all’ Accademia, e ricordo che lei ha un anno più di me…

A un altro decorato dice, riconoscendolo subito: — Lei è il tenente Renzli, ch’è stato istruttore di mio figlio…

Gli azzurri sono incantati della prodigiosa memoria del Principe e delle sue premure affettuose. Anche verso i più umili dimostra la stessa espansività. Molti sono gli episodi commoventi. Il grande mutilato Rebazzana, privo delle gambe, è portato sollevato a braccia da due guardie municipali. Il Principe gli va incontro, lo abbraccia e lo interroga con dolcezza paterna. Tutto il pubblico è commosso e applaude.

Il Comandante dell’Invitta si trattiene a lungo a parlare con Mons. Cravosio, cappellano capo della Marina e presidente della Sezione di Pola, col colonnello Anfossi, col generale Fara, col colonnello Poggi, col generale Bettoia, che rappresenta le medaglie d’oro d’Italia.

L’affettuosa benevolenza del Principe contribuisce a rendere più evidente l’unione spirituale dei convenuti. Si respira non un’atmosfera da cerimonie, ma di intima familiarità. E quando, dopo più di un’ora, la sfilata ha termine, e gli Azzurri si avviano all’uscita per formare il corteo, una voce poderosa risuona nell’aula. E’ un grido che racchiude la devozione, la riconoscenza, l’ammirazione al glorioso Principe: «Per il più valoroso dei nostri camerati, eja, eja alalà!»

( a cura di Chiara Mastrantonio)