L’ordine di Yalta è stato travolto dalla fine della Guerra Fredda e sostituito dal disordine delle nazioni. Conseguenze del crollo del muro di Berlino sono state da una parte il superamento della semplicità strutturale del sistema bipolare e dall’altra la chiusura anticipata del Novecento, definito, infatti, il secolo breve. Venendo meno la forma particolare del sistema di guerra rappresentata dalla contrapposizione mercuriale dei due blocchi, espressione di sistemi di valore inconciliabili e alternativi, si è sancita la vittoria del modello di democrazia occidentale rispetto al modello degli stati socialisti. La sconfitta dell’ideologia comunista non ha significato, però, la fine della storia. L’istituzionalismo liberaldemocratico, dopo essersi imposto nel ciclo della Guerra Civile Europea sul nazifascismo, ha prevalso nel confronto bipolare sul socialismo sovietico, ponendosi come unico superstite delle grandi ideologie del ‘900. Nonostante questo, non è possibile parlare di un linguaggio universale (definito da Popper “il mito della cornice”). L’istituzionalismo funzionalista, e le sue espressioni a livello internazionale, le organizzazioni globali e regionali, dalla comune matrice anglosassone, tendono a sovrapporre la loro filosofia a realtà diversificate ed incompatibili. La fine del conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha lasciato supporre che l’esportazione della democrazia fosse l’unica garanzia di pace e requisito per il rilancio delle Nazioni Unite e dei sistemi inclusivi di sicurezza collettiva. Nella realtà, si è assistito ad un aumento della conflittualità che si è manifestato soprattutto a livello dei conflitti etno-identitari e religiosi dimostrando la debolezza dell’idea di omologazione istituzionalista e l’impotenza dell’ONU nella gestione delle crisi (un esempio sono i risultati modesti ottenuti nelle missioni in Somalia, Cambogia e Bosnia). Scopo delle considerazioni avanzate in relazione all’istituzionalismo è dimostrare l’importanza della geopolitica come strumento di analisi delle relazioni internazionali per recuperare la dimensione spaziale della politica internazionale che è stata de-territorializzata dalla semplificazione del mondo diviso in blocchi. Occorre però porre attenzione a non confondere il termine geopolitica con la geografia politica o la politica internazionale. L’obiettivo infatti è differente ovvero studiare le relazioni tra la geografia fisica, la geografia umana e le scelte in termini politici che, nel passato e nel presente, vengono prese dalle élite che decidono il futuro delle nazioni nella forma di disposizioni politiche ed economiche degli stati all’interno dei complessi meccanismi sociali mondiali. La geopolitica, dunque, oltre ad includere l’ambito politico e quello geografico si appoggia alla sociologia in quanto scienza che studia l’interazione tra l’ambiente fisico in cui vive l’uomo e le forme di vita politica che regolano il suo agire. In Italia è stato Ernesto Massi[1] a porre l’accento sull’importanza della relazione tra i concetti citati e sulla necessità di studi geopolitici volti a esprimere chiaramente la coscienza geografica, politica ed imperiale del popolo italiano.
Ma cosa intendiamo precisamente per prospettiva geopolitica? Il termine in questione è stato impiegato per la prima volta nel 1899 dal politologo e sociologo svedese Johan Rudolf Kjellen e definito come scienza dello stato in quanto organismo geografico, così come si manifesta nello spazio. Lo Stato in quanto paese, in quanto territorio o, in modo più significativo, in quanto impero. La geopolitica, dunque, studia l’influenza della geografia sulla politica e sulla storia, cioè le relazioni tra lo spazio e la potenza. Partendo da questo assunto, il passaggio che consente di far convergere geografia e sociologia è breve. I fondamenti biologici, i comportamenti umani, i rapporti economici e politici sono elementi primari e connessi tra loro, appartenenti ai raggruppamenti logici che corrispondono alla geografia umana, naturale, sociale, politica, culturale ed economica. La conoscenza di ogni singolo aspetto è fondamentale per determinare la forza di una nazione, le potenzialità e le criticità. E stabilire un contatto tra radici geografiche e il potere di uno Stato è stata la premessa da cui è partito Kjellén nel momento in cui ha coniato il termine “geopolitica”.
Altri scienziati si sono cimentati in una sua definizione, da Karl Haushofer a Saul Cohen, da Michel Foucher ad Alain de Benois. In particolare, il generale Haushofer, ordinario di geografia all’università di Monaco, considera la geopolitica come “base per ogni politica scientifica e per ogni riassetto dello spazio sulla superficie della terra, in particolare per un popolo di grande cultura, duramente colpito e prostrato, situato nel cuore di un continente sovrappopolato e in declino per quanto riguarda la sua importanza nel mondo”. Inoltre la ritiene “uno dei rari mezzi per portare a punti di vista comuni e in uno stesso spazio vitale migliaia di uomini, quanto meno sulle questioni fondamentali di importanza vitale per tutti”. Delle definizioni è stata condivisa la prospettiva per cui la geopolitica indaga sull’influenza del fattore spaziale sull’agire politico mentre è stata rifiutare la connotazione scientifica data alla disciplina. La geopolitica è un processo intellettuale, una metafisica della competizione per il dominio dello spazio che reinterpreta la storia passata e anticipa previsioni per quella futura con lo scopo di determinare in anticipo le direttrici dell’espansione e le minacce alla sicurezza. La geopolitica unisce “una schematizzazione geografica delle relazioni diplomatiche – strategiche con un’interpretazione degli atteggiamenti diplomatici in funzione del modo di vivere e dell’ambiente (popoli sedentari, nomadi, terrestri, marini). In generale, dunque, la disciplina consente di riappropriarsi dell’elemento materiale della politica internazionale insistendo su un preciso fondamento che non si può modificare lo spazio geografico, arricchito nel tempo da nuove dimensioni tramite la nuclearizzazione e la verticalizzazione che ne definiscono un carattere globale”.
Come riesce la geopolitica a concorrere all’analisi delle relazioni internazionali?
L’approccio istituzionalista si basa su un duplice ordine di idee. Da un lato troviamo lo sviluppo tendenziale dell’originaria struttura anarchica del sistema in una gerarchia, dall’altro lato si assiste alla convinzione comune secondo la quale la diffusione del modello democratico determini un abbassamento dei livelli di competizione e di conflitto visto che si assume il principio per cui uno stato democratico non fa la guerra ad un altro stato democratico. Questa prospettiva segue uno sviluppo lineare e progressivo delle relazioni internazionali e adotta l’idea di un passaggio dal disordine all’ordine che in realtà non è avvenuto, come dimostrano gli eventi successivi al 1990. Inoltre, la sovrastruttura ordinamentale delle organizzazioni internazionali tende ad omologare delle situazioni in cui agiscono attori che presentano caratteristiche etniche, culturali, politiche assolutamente peculiari, che operano in aree geografiche e geopolitiche diverse tra loro, non tenendo conto, dunque, delle alterità economiche, sociali e tecnologiche. Questo è da considerarsi un errore dell’istituzionalismo. Diverso è l’approccio che avanza una teoria ciclica delle relazioni internazionali, per cui l’analisi tiene conto dei pesi di potenza e, in particolare, il grado di concentrazione/diffusione di potenza sia nelle singole regioni che globalmente. Tale approccio confronta diverse aree geografiche del mondo rilevando le discrasie temporali, a livello regionale, rispetto ai principali trend di diffusione/concentrazione di potenza.
Ecco che la geopolitica diventa rilevante dopo l’esplosione dei confini dell’Eurasia proprio per la sua importanza interpretativa della dimensione spazio-temporale e perché supera il determinismo e il propagandismo caratteristici del periodo tra le due guerre mondiali riconoscendo, invece, i vincoli oggettivi e le potenzialità dell’azione politica degli stati rispetto allo spazio in cui operano nella cosiddetta forma primigenia dell’Orso (la terra) e della Balena (il mare).
Il concetto di geopolitica si è evoluto nel tempo anche per le trasformazioni continue dei fattori umani, economici, politici e tecnologici degli stati e durante questa evoluzione si sono formate delle specifiche teorie.
Le teorie del potere continentale del XX secolo sostengono la superiorità della terra sul mare. Secondo quest’ottica, gli stati che riescono a dominare la massa continentale euro-asiatica raggiungono una superiorità di potere rispetto alle potenze marittime periferiche, Europa e Giappone, ed esterne, gli Stati Uniti. Le teorie del potere continentale hanno avuto origine da una specifica situazione storica comune, il controllo dei mari da parte dell’Inghilterra, e rappresentano una razionalizzazione della questione euro-asiatica, ovvero della possibilità di una alleanza russo-tedesca estesa poi al Giappone. Eventi che permettono di prospettare come possibile tale eventualità sono stati il sostegno del Reich guglielmino alla Russia nella guerra contro il Giappone del 1905, la Pace separata di Brest-Litovsk nel 1918, il Trattato di Rapallo del 1922 e il Patto Molotov-Ribbentrop nel 1939. Il problema in questione è stato preso in considerazione, secondo punti di vista opposti, dal geografo inglese Sir Halford Mackinder e dal generale tedesco Karl Haushofer al fine di ricavare parametri di condotta per rendere impraticabile l’avvicinamento russo-tedesco (posizione del geografo) o per realizzarlo (posizione del generale tedesco).
H.J. Mackinder (1861-1947)
Il pensiero originale di Mackinder[2] prende vita dalla considerazione che la storia umana si integra nella vita dell’organismo mondiale, idealizzando un connubio necessario tra storia e geografia. Il geografo inglese sostiene che le ambizioni umane utilizzano e subiscono la geografia e che la storia ripensa continuamente la geografia tramite le capacità della tecnologia. Il pianeta è una totalità, un intero fatto per nove dodicesimi di spazi marittimi e per la parte restante di terre emerse. Da qui la metafora elaborata da Mackinder della coppia diadica terra-mare per indicare la contrapposizione tra World Ocean (Artide, Antartide, Atlantico, Pacifico e Oceano Indiano) e la World Island, Europa-Asia e Africa. Rimangono fuori le outing Islands, gli Stati Uniti e l’Australia che si sono affacciate nelle vicende della politica mondiale nel XVI e nel XVIII secolo.
Secondo la teoria di Mackinder esiste uno spazio chiamato pivot area prima e heartland poi, il cui dominio garantisce il controllo della massa continentale euro-asiatica e di conseguenza del mondo. Intorno a questo spazio di primaria importanza è possibile trovare spazi che si irradiano a semicerchi concentrici. C’è la mezzaluna interna (innercrescent) che protegge heartland, e che include la Siberia, l’Himalaya e i deserti del Gobi, del Tibet e dell’Iran. All’esterno si trovano le regioni costiere (costlands), Europa, Arabia, India, Indocina e Cina marittima, in cui c’è la maggior concentrazione della popolazione mondiale. Sul bordo di questa fascia ci sono le isole della mezzaluna esterna (outercrescent), Gran Bretagna e Giappone per poi passare all’ultimo semicerchio, la mezzaluna insulare, che include Australia e le Americhe. Su questo ampio palcoscenico si giocano gli equilibri di potenza degli Stati europei del primo 900. E questo è lo scenario che la Gran Bretagna deve considerare per evitare che si realizzi uno degli incubi peggiori, l’esclusione dall’isola del mondo con la privazione dei propri mercati. Una frase racchiude l’esigenza della Gran Bretagna : “Chi controlla il cuore del mondo comanda l’isola del mondo, chi controlla l’isola del mondo comanda il mondo”.
La posizione geografica di heartland cambia a seconda delle contingenze storiche. Nel 1904, per esempio, in un momento in cui gli stati dell’innercrescent hanno occupato stabilmente l’outercrescent rovesciando i rapporti di forza e stabilendo la superiorità delle potenze marittime, la pivot area era tra l’Asia Centrale e l’oceano Artico. Il panorama è cambiato ben presto. La Russia ha iniziato ad organizzare velocemente l’area perno costruendo un vasto sistema ferroviario per favorire le manovre interne mentre la Germania, agevolata dalla crescita economica e demografica, ha portato la sfida al cuore della potenza inglese avviando la costruzione di una flotta d’altura in grado di contendere alla Gran Bretagna il controllo dei mari e facendone simbolo della Weltpolitik tedesca.
L’espansione del Reich Guglielmino è stata interrotta dalla prima guerra mondiale ma, nonostante la sconfitta della Germania e il ridimensionamento territoriale, militare ed economico, Mackinder ha continuato a vedere la Germania come un pericolo potenziale ed ha spostato l’heartland ad ovest, includendo L’Europa centro-orientale fino alla linea Elba-Adriatico e i Bacini del Mar Baltico e del Mar Nero. Secondo il geografo inglese era necessario svincolare la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, la Polonia e la Romania dall’influenza tedesca e dare concretezza all’assetto territoriale ed etnico imposto con la pace punitiva di Versailles.
Il ragionamento di Mackinder si amplia con lo scoppio della seconda guerra mondiale per prendere in considerazione un terzo attore periferico intervenuto sulla scena mondiale, gli Stati Uniti. Una terza dimensione, dunque, allarga la teoria del pivot-hearthland arretrando la localizzazione dell’heartland verso oriente, lungo la linea Leningrado-Mosca-Stalingrado e attribuendo una importanza fondamentale all’Oceano Atlantico, mare di mezzo tra Europa, America e Africa. Secondo il geografo inglese, come le ferrovie, aumentando le capacità di manovra interne della potenza continentale, hanno raggiunto una superiorità rispetto alla manovra di linee esterne delle flotte delle potenze marittime, l’aviazione poteva offrire superiorità alla potenza continentale colpendo le periferie senza che le basi aeree potessero venire distrutte dalle potenze marittime.
La preoccupazione di Mackinder rimane quella di creare una cooperazione efficacie e durevole tra America, Gran Bretagna e Francia assegnando un compito ad ognuna. L’America doveva garantire una difesa in profondità, la Gran Bretagna doveva costituire un’isola avanzata fortificata e la Francia doveva fornire al continente una testa di ponte che potesse essere difesa.
La rottura tra Stati Uniti e Unione Sovietica dopo la Seconda Guerra Mondiale e la costituzione di un blocco di Stati comunisti allargato all’Europa orientale, non ha fatto altro che connotare l’heartland come un’area impenetrabile ed ostile, una minaccia per le liberal democrazie dell’innercrescent. Da qui, l’elaborazione della dottrina del containment di Mackinder e la propaganda occidentale relativa all’immanente minaccia sovietica contro la fascia peninsulare e insulare che circonda la massa continentale euro-asiatica.
- Haushofer (1869-1946)
Scopo della geopolitica tedesca è stato quello di immaginare la posizione ed il ruolo della Germania nel mondo. Un’influenza particolare è stata avanzata dal pensiero di Fredrich Ratzel, il più insigne esponente della geografia politica del Reich tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Ratzel ha tradotto le aspirazioni di una nazione da poco diventata stato facendole diventare un insieme teorico coerente e funzionale alla politica di resistenza guglielmina. Il geografo sosteneva un rapporto fondamentale tra stato e suolo affermando che lo stato subisce le stesse influenze di ogni vita umana e che l’uomo non è concepibile senza il suolo terrestre così come la sua più grande creazione sulla terra, lo Stato. Solamente attraverso il controllo del suolo, lo Stato può garantirsi il controllo delle risorse necessarie per la propria indipendenza. Ecco che da questa affermazione si comprende la competizione che si viene a creare tra stati vicini e che spesso verte proprio sul possesso dei territori. Ratzel, poi, avanza anche il problema del poliformismo della Germania, nazione vista come un impero di mezzo, chiuso al centro dell’Europa e minacciato sia ad est che ad ovest, la cui sopravvivenza è legata alla colonizzazione delle terre di confine.
La geopolitica di Haushofer[3] si appoggia alle convinzioni di Ratzel e, in più, rappresenta il portato dell’imposizione delle clausole di Versailles ad una nazione uscita sconfitta da una guerra pur avendo il proprio esercito saldamente presente in territorio straniero, nazione che considera la sconfitta e il ridimensionamento un tradimento della classe politica. Il generale tedesco, rielaborando le tesi di Mackinder, sofferma la sua riflessione su tre argomenti principali dando vita ad una visione del mondo decisamente realistica. Il primo argomento riguarda il concetto di spazio vitale, fonte di risorse che consentono l’accumulo di potenza e pre-requisito per l’autarchia, il cui controllo è favorito dalla presenza di minoranze etno-culturali tedesche al di fuori della Germania.
Il secondo argomento, vede le pan regioni (macro aggregati territoriali basati sulle pan idee quali pan germanesimo, pan slavismo, pan asiatismo e pan americanesimo) alla base della riorganizzazione del mondo.
Secondo questa visione, la conflittualità tra stati nasce a causa degli scontri tra le potenzialità demografiche di una popolazione e le capacità produttive degli Stati. Tradotto in termini storici, Haushofer ha attribuito le difficoltà delle relazioni internazionali alle resistenze della Gran Bretagna al dispiegamento di forze unificanti di ciascun polo geopolitico raccolte attorno ai principali attori, la Germania per la Pan Europa, l’Unione Sovietica per la Pan Russia, il Giappone per la Pan Pacifica e gli Stati Uniti per la Pan America. L’ultimo argomento preso in considerazione da Haushofer è la contrapposizione tra potere continentale e potere marittimo. Il generale è d’accordo con Mackinder nell’affermare che chi domina nella World Island domina sul mondo ed aggiunge, inoltre, che il Patto Tripartito tra Italia, Germania e Giappone del 1936, il Patto Molotov-Ribbentrop e il Trattato di neutralità Nippo-sovietico siano alla base della realizzazione dell’unificazione dell’heartland con conseguente interdizione definitiva delle potenze marittime dal cuore dell’Eurasia. L’attacco della Germania all’Unione Sovietica avrebbe smentito di lì a poco l’idea di Haushofer. È rimasta comunque l’idea che il nemico della Germania non doveva essere ricercato ad est bensì tra le potenze marittime dato che i conflitti risultano legati, da sempre, alla dialettica tra la “libertà” del mare e “l’ordine”, il Nomos, della terra.
Mentre le teorie del potere continentale sono il frutto di studi geografici, le teorie sul potere marittimo nascono dal pensiero strategico navale. È possibile identificare due differenti concezioni relative alla supremazia del mare rispetto alla terra. La prima si riferisce all’analisi dell’ammiraglio americano Alfred ThayerMahan, la seconda riporta le conclusioni dell’ammiraglio inglese Julian Corbett. Entrambi sono noti storici e studiosi di strategia marittima.
A.T. Mahan
La riflessione di Mahan[4] inizia dall’assunto per cui il mare è una grande via di comunicazione, un ampio spazio attraverso il quale gli uomini possono muoversi in qualunque direzione pur privilegiando determinati movimenti rispetto ad altri. Il trasporto marittimo è per Mahan più vantaggioso del trasporto terrestre sia in termini di capacità che in termini di costi. Gli Stati Uniti per poter soddisfare la necessità di dominio dei mari, per via della posizione geografica, dovevano avvalersi di specifici strumenti che vanno dalla potenza navale alla capacità di proiezione anfibia della potenza stessa, dal possesso di basi strategiche all’ampiezza dei traffici commerciali. Lo scopo doveva essere il controllo delle Hawaii, delle Filippine nell’Oceano Pacifico e di Cuba nell’Oceano Atlantico indispensabile per la sicurezza dello snodo strategico del Canale di Panama. Proprio tra il Canale di Panama e di Suez si trova, secondo Mahan il centro del potere mondiale. Viene così a ritenere ininfluente la massa continentale Eurasia per l’egemonia mondiale. Di contro, la fascia compresa tra il 30° e il 40° parallelo è un’area di instabilità che segna la separazione di interessi russi ed inglesi. Di conseguenza, l’obiettivo doveva essere un’alleanza con Gran Bretagna da estendere a Germania e Giappone in funzione antirussa.
Le teorie di Mahan hanno influenzato le strategie statunitensi. Basti pensare alla strategia di coalizione volta a sconfiggere la Germania Nazista attraverso un intervento sul continente europeo e il controllo delle linee di comunicazione euro-asiatiche (condotta seguita anche durante la Guerra Fredda).
Il pensiero di Mahan sulla necessità del controllo del mare e dei commerci conserva una sorta di circolarità. Il commercio estero viene visto come indispensabile per assicurare la vitalità economica americana, le basi d’oltremare si pongono come necessarie per supportare il commercio, una flotta da combattimento è fondamentale per difendere le basi e il flusso del commercio. Quest’ultimo, infine, è chiamato a fornire complessivamente il guadagno necessario per finanziare la Marina.
- Corbett
Mentre Mahan afferma l’autonomia della strategia navale, Corbett[5] sostiene la subordinazione delle dottrine navali alla strategia generale. Nonostante la potenza navale non possa da sola determinare l’esito di un conflitto, risulta comunque essere un fattore determinante della vittoria perché obbliga il nemico continentale, abituato ad operare sulle linee interne, a disperdere le forze lungo lo sviluppo costiero. Lo strumento navale, secondo Corbett, è indispensabile per proiettare a terra la propria potenza intervenendo sull’avversario e indebolendo la capacità di resistenza delle popolazioni. In un contesto in cui il forward from the sea ha più rilevanza rispetto al sea control, il pensiero di Corbett assume maggiore importanza ed attenzione.
In conclusione è possibile affermare che i comportamenti, le attitudini e le vocazioni dell’Orso e della Balena hanno consentito di immaginare modelli geopolitici di riallineamento a livello regionale o globale in un momento in cui le relazioni internazionali sono state caratterizzate da un trend di frammentazione di potenza. I processi di macro-aggregazione hanno il compito di consentire la rielaborazione e il rinnovamento dei valori culturali, dei motivi etnici, delle aspirazioni religiose, dei legami e dei vincoli spaziali tenendo conto delle trasformazioni economiche, politiche e tecnologiche a cui gli stati sono soggetti. Ecco perché la geopolitica assume oggi una nuova importanza in termini di relazioni internazionali. Pur essendo di molto cambiato il contesto storico rispetto agli anni in cui la geopolitica ha affondato le sue radici, fenomeni quali la globalizzazione o il terrorismo transnazionale hanno reso necessaria la rielaborazione di teorie legate alla sicurezza nazionale. Di conseguenza è stata nuovamente chiamata in causa la geopolitica per studiare le influenza reciproche della geografia fisica, della sociologia, della politica, dell’economia e della tecnologia sul potere degli stati.
[1] geo-economista già docente di Geografia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presso la Regia Università di Pavia
[2]H.J. Mackinder è un geografo politico esperto in svariate discipline tra cui storia, legge e biologia. È stato un diplomatico, presidente della London School of Economics and Political Science ed esploratore. La sua teoria più nota è quella dell’Heartland.
[3]K. Haushofer è un generale politologo tedesco che nonostante l’attività diplomatica e di studioso presentava una formazione di base militare essendo entrato a diciotto anni nell’esercito bavarese e avendo frequentato la scuola di guerra, l’Accademia di artiglieria e quella militare. Nel 1913 si iscrisse ai corsi di geografia a Monaco così la Grande Guerra lo trovò sul fronte occidentale come geopolitico oltre che ufficiale di artiglieria.
[4]A.T. Mahan è uno storico statunitense, ammiraglio e presidente della Scuola navale a Newport. Ha combattuto nella guerra di secessione, ha scritto numerosi libri e pubblicazioni che influenzarono l’evoluzione della Marina Militare di tutto il mondo. Nello specifico, affermò l’importanza del potere marittimo nello sviluppo economico e militare degli Stati.
[5]J. Corbett è uno storico e geostrategico britannico. Ha scritto varie opere che hanno contribuito a modellare le riforme della Royal Navy tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.
Valentina Trogu.
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