Interpretazione e commenti al Regio Viglietto del 26 marzo 1833 in occasione delle commemorazioni in occasione del 1° Centenario della istituzione delle medaglie al Valore Militare

  

Parte I

LO SPIRITO DEL R. VIGLIETTO DEL 26 MARZO

1833

Dott. PIO CARTONI

 Le disposizioni del R. Viglietto del 26 marzo 1833 rimasero formalmente immutate  attraverso gli eventi storici che condussero alla unità e indipendenza della Patria ed alla  formazione dell’esercito nazionale: ed immutate pervennero sino a noi. In nessun tempo e sotto nessun indirizzo politico si osò introdurre modificazioni formali in quel vetusto documento e si giunse a mantenere invariata persino la elencazione dei casi pratici, ad esso allegata a modo di  esempio, e necessariamente superata dalle mutate  condizioni in cui la guerra moderna si svolge.

Ma lo spirito del R. Viglietto non fu sempre ugualmente rispettato: in quanto, con altre disposizioni, o nella pratica applicazione, cedendo a tendenze recate dalle mutate condizioni politiche, si ammisero concetti che con quello spirito non sarebbero stati conciliabili.

Basti qui accennare: al concetto utilitarista di rimunerazione, di prezzo dell’azione valorosa, che si era venuto associando, via via con prevalenza, e sostituendo al concetto fondamenta1e di distintivo di onore, attribuito dal R. Viglietto alle medaglie al valor militare; ed al concetto, di ispirazione  non meno utilitarista, di un vero  e proprio diritto alla ricompensa da parte dell’autore dell’azione valorosa, che si era venuto sostituendo al concetto che le medaglie al valore dovessero essere l’espressione libera e spontanea dell’alta approvazione del Sovrano, quale comandante  supremo delle  armate.

Con le riforme introdotte nell’anno X e all’inizio dell’anno XI, dal Governo Fascista, mediante la legge 24 marzo 1932, n. 453 in materia di perdita e col  R. Decreto 4 novembre 1932, n. 1423 in materia di concessione delle decorazioni al valor militare, si è data, invece, a tutte le disposizioni una organizzazione, razionale e conforme  alle moderne esigenze, la quale non  solo non  contrasta  con lo spirito del R. Viglietto del 1833, ma, anzi, in certa guisa, lo richiama a nuova vita

 

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La materia delle perdite delle medaglie al valor militare « doppiamente delicata sia nei riguardi dei decorati, cui non deve senza gravissimi motivi essere tolto il segno del valore duramente conquistato, sia nei riguardi del prestigio delle stesse decorazioni che sarebbe indubbiamente sminuito se di esse continuassero a fregiarsi anche coloro che la società giudica indegni di essere onorati » [1]aveva formato oggetto di attente cure da parte  dell’Amministrazione della Guerra, la quale aveva avvertito tutto il disagio che derivava dal dover continuare ad applicare nei singoli casi pratici la disposizione  dell’art. 19 del R. Viglietto, sostanzialmente giusta, ma necessariamente coordinata ai concetti ed al sistema penale allora vigente.

In forza di tale articolo doveva infatti « essere irremissibilmente privato della medaglia chi fosse stato condannato ad una pena infamante; poteva, invece, per determinazione del Sovrano, perdere la medaglia chi, avendo riportata una condanna a più di sei mesi di carcere (o, trovandosi in talune altre condizioni), non fosse stato ritenuto degno di conservarla ».

« Perdita  di   diritto quindi,  come  conseguenza  necessaria  di condanne  a  pene  infamanti,  e perdita discrezionale, da  decidersi caso per caso ».

Se non che  – di fatto – applicando, ai tempi nostri, la disposizione del 1833, anche quella  che doveva  essere perdita  di  diritto era divenuta, fatalmente, perdita  discrezionale:  in quanto il concetto di « pena infamante »  non aveva più precisa rispondenza nel  sistema  penale  e non  poteva  perciò  trovare  applicazione  altro che per adeguazioni approssimative, da determinarsi caso per caso [2]».

Ad ovviare a tale situazione l’Amministrazione della Guerra, ben cosciente del riguardo dovuto al sacrosanto diritto acquisito dagli insigniti del nastro azzurro a conservare le loro decorazioni, presi gli ordini del Capo del Governo e d’intesa con le altre Amministrazioni militari, assunse la iniziativa per disciplinare organicamente la materia non già con semplice decreto reale, come forse avrebbe potuto farsi avendo riguardo alla forma della disposizione da modificare, ma con un disegno di legge; perché sembrò  che niuno dei diritti dei  cittadini  fosse  più  meritevole  e  degno  delle più ampie garenzie di legge quanto questo del diritto a non essere privato delle decorazioni  militari regolarmente   ottenute.

E venne, così, la legge del 24 marzo 1932, n.  1423, che fu oggetto di accurato studio da parte del Parlamento, ove la schiera gloriosa dei combattenti e dei decorati è tanto largamente rappresentata .

Se non  che la legge del  1932 e lo stesso istituto  della « perdita » non  avrebbero logicamente potuto sussistere se non  si fosse data ogni prevalenza al concetto fondamentale affermato nel 1° articolo del R. Viglietto del 1833, per la quale la medaglia al valor militare è, anzitutto e soprattutto, un distintivo d’onore. Fermo questo caposaldo, è lecito e, si direbbe, doveroso privare delle medaglie colui che per sua colpa si e reso indegno di essere onorato; mentre, nell’altra meno nobile concezione, per la quale le medaglie si riducono ad essere un compenso, la perdita non avrebbe trovato buon  fondamento: giacché non è mai lecito pretendere, per la successiva, anche pessima condotta  del soggetto, la restituzionedel prezzo  pagatogli in  corrispettivo dell’opera  da  lui prestata.

Ma allo spirito del R. Vigletto del 1833, la legge del marzo1932, si attenne anche nell’evitare ogni  eccessivo rigore. Anche essa riaffermò i due criteri della perdita di diritto e della perdita discrezionale, ricollegando il primo alle condanne a pena infamante (coerentemente sempre alla concezione de11a decorazione-distintivo d’onore); ma restrinse la portata de11a « pena infamante», al concetto dominante nel sistema penale  militare che considera tale la condanna solo quando rende l’individuo  indegno dell’onore di appartenere all’esercito.

Quanto alla perdita discrezionale, implicante, cioè, una determinazione Sovrana, da  promuoversi caso  per  caso, dal Ministero sulla cui iniziativa ebbe luogo la concessione,  la legge del 1932, non potendola regolare con norme tassative, adottò   – per ciò che concerne i casi di  condanna penale – il doppio criterio   della  natura del reato e della gravità  della pena, sempre pro avendo di mira di privare delle decorazioni solo coloro che, nell’uno e nell’altro caso, fossero da ritenersi non più degni di essere onorati con un distintivo, da indossare pubblicamente.

La legge del marzo 1932 contemplò anche, tra i casi di perdita discrezionale delle decorazioni, quello della perdita della cittadinanza italiana. Questo caso non era contemplato nel R. Viglietto; ma apparisce in perfetta armonia con lo spirito di esso, quando si pensi  che la perdita per siffatto motivo verrà inflitta solo a coloro che l’opinione pubblica bolla con l’epiteto infame  di « rinnegati ».

Ma – quel che più importa – tra i casi di perdita discrezionale, la legge del 1932 comprese quello della perdita del grado militare per fatti disonorevoli. Il R. Viglietto  del  1833 non aveva esplicitamente preveduto questo caso; ma ognun vede come esso si inquadri a perfezione nello spirito del  centenario  documento. E’ infatti – può dirsi- una indeclinabile necessità logica che i segni onorifici del valore non continuino a fregiare il petto  di colui che, appunto per aver mancato all’onore, si è reso indegno di conservare il suo grado militare.

Questa necessità fu bene avvertita in occasione della istituzione della medaglia di bronzo al valor militare, in quanto nel relativo R. Decreto del1’8 dicembre 1887, n. 5100 – riportandosi agli statuti dell’Ordine   militare di Savoia – fu sancita  la  perdita  di tale nuova decorazione per gli Ufficiali che avessero perduto il grado.Ma la  legge del 1932 ha invece,  logicamente,  considerato il caso di questa estrema sanzione disciplinare per tutti i gradi militari e per tutte le decorazioni al valor militare; purché, però, essa derivi, come si è visto, da fatti disonorevoli.A coronamento di questo insieme di disposizioni, ed a legittima garanzia  dei  diritti  dei decorati – che non contrasta certamente con il R. Viglietto – la legge  del 1932 subordinò poi ogni proposta  di   perdita  discrezionale di decorazioni al valore,  alla consultazione di una commissione, unica per tutti i Ministeri interessati. Quest’organo consultivo dovrà esprimere il suo preventivo e motivato parere su ciascuna proposta, rimanendo eliminata così la incongruenza per la quale, mentre dovevano essere precedute dal parere di una commissione le concessioni delle medaglie al valor militare, nessun obbligo vi era di consultazioni di sorta per decretarne la perdita.

Un’altra   importantissima innovazione  ha pure introdotto la legge del 1932, allo scopo di attenuare il rigore della inflizione della  perdita  delle decorazioni  al valor militare, ammettendo la possibilità del ripristino delle decorazioni  perdute.  Anche il R. Viglietto del 1833 ammetteva  una  possibilità  di ripristino, laddove  stabiliva che per  i casi  di minor  gravità,  cessata  la causa  della  perdita  o espiata la pena, potesse dal Sovrano determinarsi se l’individuo meritasse di essere riammesso « al godimento del perduto favore ».

La legge del  1932 ha  contemplato  la  possibilità  del  ripristino, non solo per i casi in cui sia venuta a cessare. la causa della perdita – tipico  il caso  del  riacquisto  della  cittadinanza  e quello  della reintegrazione del grado – ma anche quando venga a mancare il disdoro della riportata condanna per effetto della riabilitazione giudiziaIe e quando – il che più ancora interessa per il suo caratteristico significato – il soggetto si riabiliti moralmente con atti successivi di valore o cospicui, o reiterati e si renda cosi meritevole di nuove decorazioni.

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Regolata per legge la  materia delle perdite, che in certo senso più urgeva sistemare, in quanto di fronte al grande numero di decorati, essa era e sarebbe  rimasta di permanente attualità, l’Amministrazione della Guerra, su ordine e direttive precise del Capo del Governo, imprese lo studio di tutta la materia delle concessioni delle decorazioni al valor militare  con l’intento di meglio coordinarla ai fini istituzionali, opera perfettamente  inquadrata  nella direttiva del Regime  di rafforzare in ogni campo  i valori morali e singolarmente favorita dalla nuova atmosfera spirituale in cui, per opera Sua, si svolge oggi la vita della Nazione.

Peraltro sin dagli inizi apparve chiaro che una riforma organica di tutta la materia delle concessioni e delle decorazioni al valor militare non avrebbe potuto sostanzialmente discostarsi  dallo spirito del R. Viglietto del 1833; mentre, più che altro, trattavasi di eliminare quanto, anche in questo campo così delicato, erasi venuto via via introducendo per indulgere a tendenze demoliberali, e di meglio organizzare o integrare opportunamente quelle delle successive disposizioni che corrispondessero ad indeclinabili e giuste esigenze.

Un ritorno puro e semplice alle disposizioni del R. Viglietto sarebbe stato evidentemente assurdo; non si possono impunemente chiudere gli occhi dinnanzi ad un secolo di storia così ricco di avvenimenti, anche militari; né si può immobilizzarsi nella venerazione feticista di un documento sia pure sotto molteplici aspetti degno della sua eccezionale longevità. Ma, del pari, non era possibile pensare a rappezzi parziali ed aggiornamenti mediante modificazioni del testo, da niuno osati in passato. Ne sarebbe venuto fuori, oltre tutto, un organismo repellente come quello di un rugoso vegliardo imbellettato.

Su tali presupposti, l’Amministrazione della Guerra si accinse alla  delicata  impresa  della  rinnovazione  di  tutte  le  disposizioni  in materia di concessioni di decorazioni al valor militare, in guisa da dare ad esse un contenuto ed un assetto veramente organico. E, d’intesa con le altre Amministrazioni militari, si addivenne alla redazione del decreto  che ottenne la sanzione della Maestà del Re nella  ben  significativa  data  del  4  novembre  dello  scorso  anno.

Non  stupisca la forma del  decreto reale,  adottata  a  preferenza di quella della legge nella riorganizzazione della materia  delle concessioni, sebbene questa possa, in certa guisa, considerarsi ancora più ponderosa della materia della perdita, già regolata per legge. Essa fu preferita non già per una banale, quanto  anacronistica  imitazione della forma esteriore del R. Viglietto; ma bensì per un doveroso ossequio alla Corona tra le cui prerogative statutarie v’è quella del comando  di  tutte  le  forze  militari;  mentre  manifestazione  peculiare  e nobilissima  dell’esercizio  del  comando  militare è precisamente  il rendere  onore e gloria  ai valorosi  che lo hanno  meritato.

Quanto al concetto fondamentale, il decreto del 4 novembre adottò – e non poteva essere altrimenti – quello stesso che domina in modo così evidente nella legge del 24 marzo 1932: il concetto, cioè, della decorazione-distintivo  d’onore, anziché rimunerazione, e questo concetto, direttamente discendente  dal R. Viglietto del 1833, solennemente riaffermò nel precisare con l’art. 1 gli scopi della istituzione delle decorazioni al valor militare.

Conviene, anzi, riconoscere che il decreto del 4 novembre 1932 quel concetto fondamentale accentuò e perfezionò: poiché dalla definizione dello scopo della istituzione delle medaglie eliminò persino l’idea di « premio »  pure accolta nello storico documento, e lo fece consistere essenzialmente nella esaltazione degli  atti  di  eroismo  militare.

(A cura di Roberta Bottoni)

( Fine Parte I . Segue  in data 20 luglio 2020)