Emilio Giornano. La II Guerra d’Israele (29 ottobre -06 Novembre 1956)

  

La II^ Guerra d’ISRAELE

( 29 OTTOBRE-06 NOVEMBRE 1956)   

di Emilio Giornano

(Master in Storia Militare Contemporanea dal 1796 al 1960 – Uninversità N. Cusano)

 

 

 Moshe DAYAN

 

(19) Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: (20) frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro» (Levitico 24, 19-20)

Sommario

 La guerra che ha cambiato Israele.              

  •              
  • L’avvenimento militare.            
  • Il piano di azione di Israele e gli accordi di Sevres.            
  • L’operazione KADESH :
    • Operazione Sinai settentrionale e centrale;
    • Operazione Sinai meridionale: Sharm El Sheik.
  • Avvenimenti politici durante le operazioni militari.
  • Analisi della validità dei piani operativi israeliani:

comportamento delle Forze impiegate; ammaestramenti.

  • Considerazioni conclusive.

La guerra che ha cambiato Israele.

Il presente lavoro si prefigge lo scopo di analizzare e presentare l’operazione militare condotta dalle Forze Armate (d’ora innanzi FFAA) israeliane – in codice operazione KADESH nel più ampio contesto operativo dell’operazione MUSKETEER (a conduzione anglo-francese) sulla zona del canale di Suez, dalla fine del mese di ottobre del 1956.

La ricostruzione è finalizzata all’analisi delle vicende belliche e degli ammaestramenti colti dai belligeranti all’esito delle operazioni militari.

Tale la successione di argomenti: dopo l’introduzione necessaria alla contestualizzazione dell’evento bellico, attraverso la definizione del contesto generale in cui l’avvenimento militare particolare ha trovato svolgimento, il saggio è incentrato sulla dettagliata descrizione della Campagna militare (ambiente operativo; il precedente storico; il processo di formazione dei piani operativi; l’operazione in cui si sostanziò la campagna del Sinai del 1956; gli avvenimenti politici occorsi durante le operazioni).

A chiudere, la parte finale è stata riservata alle considerazioni conclusive incentrate sulla valutazione della validità dei piani operativi israeliani alla luce del loro svolgimento effettivo, associata ad una puntuale disamina degli aspetti tattici delle diverse operazioni.

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

La Campagna militare del 1956, oggetto di questo saggio, viene da me definita come la guerra che ha cambiato Israele perché essa, diversamente dalla guerra d’indipendenza del 1948-49 in cui Israele venne attaccato da nemici confinanti, si caratterizzò come una guerra preventiva pianificata e condotta da quest’ultimo, per ragioni di sicurezza politica ed economica, al fine di anticipare le mosse di un avversario altamente pericoloso. Non è un caso che, proprio in questa vicenda, vennero ad affermarsi alcuni dei cardini essenziali della dottrina bellica israeliana – di cui si parlerà più avanti- riconducibili alla capacità di raccogliere informazioni e ai valori dell’intraprendenza, della rapidità di azione, dell’audacia.

L’evento bellico di cui mi occuperò si classifica come avvenimento delineabile secondo i parametri ricostruttivi propri di una guerra classica.

La II^ guerra di Israele, nota come campagna del Sinai (29 ottobre-06 novembre 1956) fu la conseguenza di una decisione politica presa sulla base del calcolo razionale – tale da potersi classificare come oeconomicus[1]– fondato sulla proficuità attesa individuata, benché solo aleatoriamente, sul risultato dell’analisi tra benefici attesi dalla vittoria/costi preventivabili del conflitto.

La scelta di procedere al ricorso della guerra venne opzionata, pertanto, alla luce di un risultato politico perseguibile a costi ragionevolmente sostenibili, in funzione dell’obiettivo di indurre, con la forza, il nemico egiziano ad accettare i termini sostanziali di una nuova modalità relazionale tra le parti.

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

 Introduzione

 La Campagna del Sinai condotta da Israele contro il principale competitor regionale- ovvero la Repubblica araba di Egitto- si inserisce nel contesto della vicenda storiograficamente nota come “crisi del canale di Suez”, il più importante evento verificatosi nella regione medio-orientale nel decennio ‘50/’60.

Tale vicenda, che vide l’intervento combinato delle FFAA anglo-francesi ed israeliane, trova il suo antefatto determinante nella nazionalizzazione del canale di Suez[2] decisa dal raìs egiziano Gamal Abdel NASSER, il 26 luglio 1956.

La crisi del canale di Suez può essere differentemente declinata, secondo diversi spunti di analisi.

Per brevità, mi limiterò a considerarla nei termini di “principale crisi internazionale del decennio 1951/1960 nella regione del vicino Oriente”, legata, tra i diversi elementi di correlazione, al ruolo destabilizzatore di Israele nell’intera area, e, al tempo medesimo, connessa al crescente ruolo della Repubblica socialista araba di Egitto quale Nazione guida del mondo arabo nel processo di decolonizzazione.

La nascita dello Stato di Israele (Medinat Yisra’el) decretata il 14 maggio 1948 sul territorio che era stato della Palestina mandataria gestita dalla Gran Bretagna, seguiva le disposizioni della risoluzione ONU 181 del 29 novembre 1947. Il documento ONU sanciva la creazione di due stati palestinesi, uno arabo e uno ebraico mentre Gerusalemme sarebbe dovuta restare sotto amministrazione ONU. (vgs cartina in appendice I).

Per quanto riguarda le vicende storiche recenti dell’Egitto (vgs cartina in appendice II), sorvolando quanto relativamente all’epopea alessandrina, ai regni ellenistici e all’impero bizantino, la Gran Bretagna, nel corso del XIX° secolo, divenne la potenza regionale di riferimento (dopo la sconfitta delle truppe napoleoniche del 1800 ad opera degli anglo/turchi), quando lo Stato egiziano era un’amministrazione sostanzialmente autonoma nel più ampio contesto dell’Impero della Sublime Porta.

Successivamente alla fine del Primo conflitto mondiale, nonostante i tentativi patriottici ed indipendentisti posti in essere dal partito WAFD, soltanto nel 1936 (14 settembre) venne proclamata la piena indipendenza dello Stato egiziano, con un trattato concluso con Londra, che convertiva il protettorato della Gran Bretagna in un’alleanza bilaterale tra due paesi sovrani. In ogni caso, perdurava l’occupazione militare britannica per le basi militari nel Paese e il pieno controllo, insieme alla Francia, del Canale di Suez.

Tale situazione si perpetuò fino al 23 luglio 1952, quando gli Ufficiali Liberi posero fine alla monarchia e fondarono la Repubblica araba socialista d’Egitto (in arabo: جمهورية مصر العربية , Ǧumhūriyya Miṣr al-ʿArabiyya)

Gli antefatti che innescarono il conflitto tra questi due Stati nel 1956 sono da individuarsi nella necessità di Israele di fronteggiare tempestivamente (rectius preventivamente) il pericoloso vicino e di garantire la propria sicurezza sociale, politica ed economica. In questa prospettiva di analisi, il ruolo dell’Egitto non può essere scisso dalla figura del suo comandante in capo: Gamal Abdel NASSER.

Questi, nato da una famiglia di classe medio bassa nel 1918, nel 1954 aveva preso il potere dopo aver condotto insieme ad altri Ufficiali Liberi (Dubāt al ahrār) dell’esercito – M. NAQUIB, A. Al SADAT e A.H. AMER– la rivolta che aveva costretto re Faruk all’abdicazione (23 luglio 1952). Ben presto, NASSER, rais d’Egitto, si segnalò all’attenzione internazionale come il principale leader del mondo arabo, attestandosi su posizioni anticolonialiste, terzomondiste e non allineate[3].

La nazionalizzazione della società “Compagnie universelle du canal maritime de Suez” venne da questi decisa, il 26 luglio 1956, in conseguenza della decisione dell’amministrazione Eisenhower di negare il prestito precedentemente promesso per il finanziamento alla costruzione della diga di Aswan[4].

La scelta di NASSER si basò sulla convinzione – tutt’altro che infondata – che i profitti derivanti dall’esercizio in autogestione del canale avrebbero procurato, allo Stato egiziano, i fondi necessari per la realizzazione della diga citata, coerentemente con il suo progetto politico/economico di migliorare le condizioni di vita dei contadini e di provvedere alla modernizzazione del Paese, verso un preciso ed intenso sviluppo industriale[5]. In funzione di tale obiettivo, al rais non rimase che la nazionalizzazione del canale di Suez.

L’azione che ne derivò portò, giocoforza, l’Egitto in rotta di collisione con Parigi e Londra, potenze vetero/colonialiste, ciascuna interessata al mantenimento del controllo della compagnia di gestione del canale sia per ragioni di prestigio internazionale che per ragioni meramente utilitaristiche. Dal punto di vista britannico, benché, nel periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerra mondiale, il canale di Suez avesse perduto la sua tradizionale ragione d’essere, in conseguenza dell’indipendenza dell’India e del ridotto valore strategico per la difesa di un Impero in fase di liquidazione, esso andava guadagnando un nuovo ruolo, non più come autostrada dell’Impero ma del petrolio. Il canale, infatti, rappresentava la via attraverso cui la maggior parte del petrolio greggio del golfo Persico arrivava in Europa, tagliando le 11.000 miglia nautiche (20.000 km) del viaggio attorno al capo di Buona Speranza e verso Southampton a 6.500 miglia nautiche (12.000 km).

È bene precisare come, a metà degli anni Cinquanta, il petrolio greggio costituisse i due terzi del traffico complessivo del canale, e come, parimenti, i due terzi del petrolio, destinato in Europa, passassero attraverso di esso. Affiancato a Nord dagli oleodotti della Tapline e della Iraq Petroleum Company, il canale era divenuto lo snodo critico nella struttura post-guerra mondiale dell’industria petrolifera internazionale.

Viceversa, per comprendere il ruolo di Israele in questa vicenda, che pare delinearsi come riconducibile all’incipiente processo di decolonizzazione, è necessario puntualizzare la vocazione panarabista della politica regionale di NASSER che, inevitabilmente, ne fece, per 16 anni la figura chiave del mondo arabo nello scontro contro Israele. Per conseguenza, la situazione della sicurezza israeliana peggiorò costantemente fino a raggiungere, nel corso del 1956, una gravità quale non si era vista dai giorni della guerra del 1948.

La causa di questa tensione fu triplice: i preparativi egiziani per una guerra generale contro Israele, le azioni terroristiche compiute dai fedayn e il blocco alla navigazione israeliana da e per il golfo di Aqaba. Alla luce degli esiti del I° conflitto arabo-israeliano, NASSER, spinto dalla necessità di adeguare il suo esercito alla superiorità operativa delle FFAA israeliane, stanco della lentezza- strategica– con cui inglesi e americani rispondevano alle sue richieste, si risolse, il 30 settembre 1955, a rivolgersi oltre cortina per l’acquisto di armi[6].

 

L’avvenimento militare.

La presentazione delle operazioni belliche che caratterizzarono l’operazione KADESH non può prescindere dall’inquadramento oro/geografico del teatro delle operazioni che trovarono svolgimento nella penisola del Sinai[7].

L’Egitto (in arabo: مصر , Miṣr), è un paese transcontinentale che attraversa l’angolo Nord-Est dell’Africa e l’angolo sud-Ovest dell’Asia attraverso un ponte di terra formato dalla penisola del Sinai. Tale penisola ha rappresentato lo scenario geografico in cui si sono svolte le azioni tattiche ed operative del piano di attacco israeliano, finalizzato al raggiungimento della zona del canale di Suez e della città di Sharm el Sheik con l’obiettivo della messa in sicurezza dello stretto di Tiran.

L’ambiente naturale di tale penisola è caratterizzato, nella porzione centro-settentrionale da distese desertiche e sabbiose, con conseguenziali difficoltà di spostamento delle truppe corazzate sia gommate che cingolate e da uadi rocciosi difficili da percorrere.

In quella meridionale, invece, esso presenta distinti elementi topografici: sono presenti rilievi montuosi di una certa entità come il monte Caterina (2.629 metri, la montagna più alta dell’Egitto), il monte Serbal e il monte Sinai.

In questo settore, sono pochi i sentieri carrabili (percorribili da mezzi ruotati ovvero cingolati) da considerare, piuttosto che tracciati stradali, vere e proprie mulattiere, talvolta rocciose talvolta sabbiose (tali da renderne assai difficile il transito), cinte tra passi assai pericolosi.

La penisola ha una lunghezza da Nord a Sud di circa 380 km ed una larghezza da Ovest a Est di circa 210 km, per una superficie complessiva di circa 61.000 km², mentre le coste hanno una lunghezza totale di circa 600 km.

Posto che il confine tra Africa ed Asia è stato fissato nel Canale di Suez, la penisola del Sinai, pur in territorio egiziano, si trova in Asia, ed è l’unico territorio asiatico dell’Egitto.[8] In quanto territorio prevalentemente desertico, il Sinai è abitato lungo la costa di Sabah e di Taba (vicino alla città israeliana di Eilat), e sulla costa a Nord, vicino alla Striscia di Gaza e a El-Arish. Muovendosi verso Sud lungo la costa, si trovano Nuweiba, Dahab e Sharm el-Sheikh.

La zona orientale della penisola è conosciuta come la Great Rift Valley, una fossa geologica che si estende dalla valle del fiume Giordano verso sud, attraverso il mar Rosso, fin dentro il territorio nazionale del Kenya.

 

Il piano di azione di Israele e gli accordi di Sevres

La Guerra rapida è quella la cui vittoria è dovuta all’effetto della sorpresa o a un’astuzia (cfr Ezechiele I, 14)”

 

A fronte dell’imponente crescita delle dimensioni dell’arsenale militare egiziano, Israele trovò nella Francia di Guy MOLLET, il partner occidentale di cui necessitasse per rifornirsi di armi occidentali efficienti e di una moderna flotta aerea, in modo da poter rispondere con efficacia alla potenziale minaccia egiziana.

Così, nel corso dell’anno 1956 vennero consegnati 84 caccia Mystére IV[9], 120 carri armati leggeri Amx [10] e 40 carri armati super Sherman[11].

 

Il piano militare venne elaborato da Moshe DAYAN[12] funzionalmente alle immediate necessità dello Stato israeliano:

  1. a) la sicurezza (con riferimento particolare a Gaza) al fine di provvedere, in via definitiva, agli attacchi terroristici lanciati dalla striscia da parte di unità di fedayn contro il personale civile;
  2. b) la sopravvivenza economica minacciata dal blocco dello Stretto di Tiran che, di fatto, impediva la movimentazione delle materie prime esportate verso l’estremo Oriente dal porto meridionale di Eilat, attraverso il golfo di Aqaba.

Secondo lo schema di massima definito nell’incontro segreto di Sèvres[13] (22-24 ottobre 1956), l’impegno israeliano avrebbe visto, dal punto di vista tattico, lo sfruttamento massimo del fattore sorpresa e della velocità di penetrazione delle unità meccanizzate/corazzate, attraverso l’impiego delle avanguardie paracadutiste (CCII^ Brigata aviotrasportata), supportate da Brigate di fanteria meccanizzate secondo le direttrici verso il Sinai Settentrionale e Centrale, la striscia di Gaza e Sharm El Sheik.

L’intera operazione, definita in codice KADESH[14], era stata predisposta per la sua conclusione, dai vertici militari israeliani, in un limitato spazio temporale in conseguenza delle necessità operative e di ulteriori ragioni riconducibili alle note dinamiche di politica internazionale.

Il piano tattico-strategico si fondava sulla sorpresa del dispositivo difensivo nemico con inserimenti profondi oltre agli avamposti organizzati su terreno (unità aviolanciate) ed aggiramento, sulle terga, da parte delle unità meccanizzate e blindate.

L’elemento determinante del piano tattico sarebbe stata la rapidità di azione: l’intera operazione avrebbe dovuto essere conclusa nell’arco di una settimana, in coordinamento con le unità anglo-francesi che sarebbero dovute intervenire come unità di interposizione fra le parti belligeranti. In tal modo, la velocità nell’esecuzione dell’operazione avrebbe permesso ad Israele di mettere gli organi politici internazionali (Usa e Urss in primo luogo), di fronte al fatto compiuto.

Nella zona del Sinai, il piano prevedeva, sulla base di una puntuale analisi delle condizioni topografiche dell’operazione[15], lo sviluppo delle dinamiche dell’attacco secondo tre direttrici di azione: nella parte centrale (promontorio di Mitla verso la costa orientale del canale); nella parte settentrionale (saliente di El Arish, funzionale alla presa di Gaza) e nella parte meridionale con obiettivo Sharm el Sheik (da attaccare lungo il versante orientale della penisola da Naqb attraverso Ras Nasrani e contemporaneamente da Nord Ovest con la penetrazione delle unità paracadutiste da Tor).

^^^^^^^^^^^^^

L’operazione KADESH rappresentò un mirabile esempio di guerra lampo, svolta su principi tattico-strategici, definiti dal Capo di stato maggiore, in “mobilitazione automatica”; “ricerca autonoma e immediata del successo”; “azione repentina di avanguardie paracadutate e di colonne corazzate in aggiramento delle linee difensive nemiche”. (Vgs Dayan M., La Campagna del Sinai 1956, ed Mondadori Milano 1965).

Nelle fasi iniziali, il piano di DAYAN prevedeva l’aggiramento delle piazzeforti nemiche del Sinai settentrionale assumendo il controllo dei maggiori incroci stradali e delle posizioni chiave[16].

Egli prevedeva che le Brigate di fanteria facessero breccia con i semicingolati e altri veicoli. I carri armati sarebbero giunti in seguito su mezzi di trasporto per risparmiare ai cingoli chilometri di strada, e dopo aver combattuto in appoggio alla fanteria dove necessario, avrebbero di nuovo permesso alla fanteria mobile di riprendere la testa dell’avanzata.

Il piano venne predisposto in funzione, come già detto, delle necessità politiche che pendevano come una spada di Damocle: prolungare di pochi giorni la campagna ovvero rivelare in anticipo il piano operativo, avrebbe comportato il rischio di pressioni da parte degli Usa e dell’Urss che avrebbe, giocoforza, messo Israele nelle condizioni di violare una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu. Pertanto, si preferì procedere, sul piano strategico, per l’azione immediata condotta da unità separate e indipendenti le une dalle altre con un proprio obiettivo da perseguire.

In tal senso, il comando di ciascuna unità minore – di combattimento ovvero di supporto – venne predisposto direttamente sul campo alla testa dei propri uomini, in modo da abbreviare lo schema di trasmissione degli ordini, aumentando l’efficacia ed efficienza della linea di comando e ridurre la burocrazia militare.

In linea con le necessità tattiche legate a questa impostazione, fondamentali furono i ruoli giuocati sia dalla Brigata paracadutista (che sarebbe stata lanciata nelle adiacenze degli obiettivi finali, con il compito principale di interdire l’eventuale intervento di rinforzi egiziani), sia dalla aviazione la quale operò, nella prima fase, secondo le seguenti priorità:

  • protezione e appoggio aereo per le forze di terra nel Sinai sia dalle forze corazzate nemiche che aeree;
  • protezione dei cieli di Israele laddove l’aviazione nemica estenda il suo raggio di azione oltre alla zona di battaglia;
  • attacco all’aviazione e ai campi di aviazione egiziani nel caso di attacchi su Israele;

Nella seconda fase, (dal giorno x+2 in avanti) furono quattro i compiti individuati per essa:

  1. appoggio alle forze di terra;
  2. intercettazione;
  3. protezione dei cieli di Israele;
  4. preparazione ad agire contro altri Stati arabi, nel caso di intervento di questi ultimi nella campagna delle operazioni.

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

 

Le forze armate combattenti che si fronteggiarono furono così organizzate:

Israele.

All’alba dell’operazione KADESH, tale la composizione delle forze israeliane (TSAHAL) per complessive 175.000 unità:

– CCII^ Brigata aviotrasportata (C.te A. SHARON) di cui un Battaglione (Eitan) sarebbe stato lanciato sul Passo di Mitla;

Task Force Nord:

  • I^ Brigata fanteria Golani
  • XII^ Brigata fanteria Elazar;
  • XXVII^ Brigata meccanizzata (Lar-Lev);
    • un Battaglione di fanteria motorizzata; tre squadroni Sherman;
    • uno squadrone Amx 13;

Task Force Sud:

  • IV^ Brigata fanteria;
  • X^ Brigata fanteria;
  • XXXVII^ Brigata meccanizzata;
    • due Battaglioni di fanteria motorizzata; un btg Sherman;
    • uno Squadrone Amx 13

Riserva del Comando

VII^ Brigata corazzata (Ben-Ari) – LXXXII^ Battaglione Carri (Sherman); LXXIX^ Battaglione carri (Amx 13), due Battaglioni di fanteria motorizzata; IX^ Brigata fanteria (Yoffe)

Egitto.

La dottrina difensiva egiziana era quella relativa al combattimento tra carri insegnata dagli istruttori europei. Essa, tanto quella lasciata in eredità dagli inglesi quanto quella, più recente, di matrice sovietica, si rivelò insufficiente e inadeguata al contesto ambientale di riferimento.

L’ordine di battaglia egiziano, alla viglia della campagna del Sinai, fu il seguente[17]: il Comandante in capo delle Forze armate egiziane (su 70.000 uomini) era il Generale Ali Abdel AMER.

L’esercito egiziano aveva assegnato compiti di difesa della zona del Sinai e della Striscia di Gaza contro un eventuale attacco israeliano e della zona del canale di Suez contro un’azione aggressiva anglo-francese.

Tali le suddivisioni dei compiti alle diverse Forze impiegate:

  • Alla II ^Divisione di fanteria era assegnata la difesa della zona del canale;
  • alla III^ Divisione di fanteria la difesa del Sinai settentrionale e centrale;
  • alla VIII^ Divisione palestinese la difesa della striscia di Gaza;
  • al II° Battaglione motorizzato la difesa del settore del Sinai meridionale;
  • al I° gruppo di Brigate corazzate il ruolo di riserva tattica del Comando generale.

 

L’operazione KADESH

 

I successi militari israeliani nel 1948 e negli anni seguenti (come nel corso di questa Campagna militare), sono da ricondurre al fatto che gli Ebrei erano privi di tradizioni militari: ciò lasciò spazio all’elaborazione innovativa di idee e di metodi mai praticati in precedenza. I principali valori della dottrina bellica di Israele vennero elaborati induttivamente sul campo di battaglia e possono essere riassunti nei termini di autonomia, rapidità di esecuzione, esempio.

Il valore dell’autonomia è da intendere nei termini di capacità di agire con professionalità e spirito di iniziativa e di prendere, laddove richiesto dalle circostanze obiettive del combattimento, decisioni in via autonoma dalla linea di comando[18]. Nel corso dell’operazione KADESH, tale elemento valoriale venne confermato in toto nel piano elaborato dal capo di Stato maggiore M. DAYAN. Ciascuna unità, indottrinata sugli aspetti tattici e strategici delle operazioni da portare in esecuzione, avrebbe dato corso al piano generale prestabilito, agendo quale unità indipendente con i comandanti sul campo alla testa dei propri uomini. Essi furono pienamente responsabilizzati ed autorizzati alla definizione delle mosse operative senza necessità di ricorrere ad avalli ovvero autorizzazioni di distanti Centri di comando.

L’esempio, altro elemento centrale della dottrina operativa israeliana, fu sperimentato sul campo dove venne esemplificato dal motto “il Comandante sempre alla testa dei suoi uomini”[19].

 

Operazione Sinai Settentrionale e Sinai Centrale [20]

 

Sulla base di queste direttive di azione, il 29 ottobre si diede inizio all’operazione KADESH.

L’operazione relativa al saliente centrale del Sinai si fondava su quattro obiettivi fondamentali da conquistare entro la conclusione della prima notte della campagna: Kusseima (verso Ovest e il saliente di Um Katef e Abu Ageila; in direzione Nord verso El Arish, Rafa e la striscia di Gaza); Kuntilla (verso Ovest attraverso Thamad, Naql e Mitla in direzione di Suez); Ras el Naqb (verso Ras Nasrani e Sharm e la battaglia per lo stretto del Tiran).

Era noto, ai vertici militari israeliani, come il sistema difensivo egiziano fosse basato su armi fisse, con campo di tiro prestabilito, associate a unità operative di carri e fanteria mobile. Inoltre, erano note le principali forze egiziane di difesa della zona centro settentrionale della penisola del Sinai e della zona del canale di Suez del livello ordinativo di divisioni di fanteria rinforzate: la III^ Divisione, l’VIII^ Divisione palestinese e la II^, di riserva per il settore orientale.

4 le basi difensive principali: El Arish, Rafa, Abu Ageila[21] e Sharm el Sheik. Se Sharm costituiva una posizione autonoma in grado di difendersi da sé, le altre tre, invece, rappresentavano una difesa unica ed integrata, fornita dalla III^ Divisione.

La fascia di Gaza era difesa dall’VIII^ Divisione palestinese legata al sistema difensivo militare di El Arish. Cadute quest’ultima e Rafa, era atteso che la striscia di Gaza non avrebbe potuto organizzare alcuna valida contromossa.

L’operazione ebbe inizio con il movimento sul passo di Mitla della colonna mobile del I° Battaglione del CCII^ Brigata Paracadutisti in proiezione profonda alle spalle del dispositivo nemico, in attesa del ricongiungimento con le unità della VII^ Brigata corazzata in marcia lungo la direttrice Est- Ovest, KuntillaThamadNaql. [22]

L’operazione riuscì nell’intento di sorprendere gli egiziani: solo dopo che il quartier generale egiziano ebbe notizia dello sbarco dei paracadutisti su Mitla, degli attacchi su Kusseima e a Ras El Naqb e dell’avanzata verso Suez sull’asse KuntillaNaql della colonna mobile, i vertici militari compresero la reale portata delle intenzioni dell’esercito israeliano

A Thamad[23] – le cui caratteristiche topografiche (un saliente roccioso dominante la regione sottostante) rendevano un adatto avamposto di difesa– vi era di stanza il secondo reparto motorizzato di frontiera (una guarnigione più due compagnie), che diede l’allarme solo dopo l’avvistamento delle unità israeliane. A tale forza, si era aggiunto il plotone, originariamente schierato a difesa di Kuntilla (sulla frontiera israeliana), che aveva abbandonato la posizione per concentrare la difesa su questo settore.

Qui si ebbe il contatto tra i contendenti. Sotto il fuoco diretto di protezione di due carri armati, i paracadutisti israeliani irruppero sulla posizione nemica a bordo di mezzi blindati e, dopo quaranta minuti di lotta, la posizione venne conquistata.

Anche a Naql, i soldati egiziani fuggirono dopo i primi colpi sparati dagli israeliani. Si combatté invece a Kusseima, villaggio sulla direttrice per Naqb poco oltre il confine israeliano. Essa fu presa dalla IV^ Brigata di fanteria rinforzata che aveva combattuto contro 2 battaglioni della Guardia nazionale sistemati a difesa sulle colline intorno al villaggio.

La presa di Kusseima completò la prima fase del piano. Alla verifica empirica delle operazioni, i principali problemi incontrati dagli israeliani furono posti dalla difficoltà del terreno (90 km di deserto attraverso il Negev) e dalla carenza di mezzi di trasporto adeguati: molti mezzi si guastarono, alcuni si insabbiarono e quelli privi di trazione anteriore dovettero essere abbandonati. Dei 13 carri armati partiti da Ein-Hussub solo sette raggiunsero Kuntilla.

Invece, la battaglia combattuta per la presa del passo di Mitla richiese un pesante tributo di sangue agli israeliani. L’operazione di attacco iniziò alle ore 12.30 a.m. del 31 ottobre e prevedeva la conquista del passo da parte delle unità della Brigata paracadutisti. Tuttavia, il Comandante della Brigata commise un errore tattico[24] pagato a caro prezzo.

Ricevuto l’assenso ad inviare una pattuglia di ricognizione, questi distaccò un gruppo da combattimento articolato su due compagnie di fanteria motorizzata su mezzi blindati, un distaccamento di tre carri armati, il gruppo di ricognizione della Brigata su autocarri e un reparto di mortai pesanti.

La colonna fu vincolata dalla conformazione del terreno all’attraversamento di una gola (il passo di Heitan) dove essa rimase oggetto di un’imboscata da parte di unità nemiche asserragliate nelle caverne naturali e artificiali sui fianchi delle colline da una posizione superiore, da dove dominare la strada con armi automatiche e cannoni anticarro. Altrettanto particolarmente efficaci furono, in questo frangente, le incursioni da parte dell’aviazione egiziana che causarono 10 morti 20 feriti e la distruzione di alcuni mortai pesanti e tre automezzi.[25]

Le 5 compagnie egiziane di fanteria, a presidio del passo, erano armate di 14 mitragliatrici medie, 12 cannoni anticarro da 57 mm, e di circa 40 cannoni cecoslovacchi senza raffreddamento. Esse ricevettero, inoltre, il supporto aereo di 4 Meteor, protetti da 6 Mig provenienti dal campo di aviazione di Kabrit, poco oltre il confine con l’Egitto.

Il passo fu preso dagli israeliani con un combattimento che si sostanziò in una lotta corpo a corpo per l’espugnazione di una posizione dopo l’altra.

Lungo la direttrice settentrionale verso El Arish[26] e la costa Nord, le operazioni terrestri vennero condotte prioritariamente dalla VII^ Brigata corazzata, la quale era strutturata nel modo seguente: un Battaglione corazzato Sherman, un Battaglione corazzato leggero Amx, un Battaglione di mezzi blindati, un Battaglione di fanteria motorizzata, una Batteria di artiglieria da campagna. Essa si batté e conquistò le posizioni a difesa del crocevia di Abu Ageila, il saliente di Gebel Livni sulla direttrice per Ismaila, la diga di Ruafa, Bir Hassna e Bir Hama.[27]

L’attacco su Abu Ageila del gruppo corazzato israeliano fu duramente ostacolato da reparti di difensori egiziani organizzati su postazioni armate di cannoni anticarro e mitragliatrici. La battaglia si risolse nell’arco di un’ora quando carri armati e mezzi blindati raggiunsero le difese nonostante la resistenza dei militari egiziani.

Subito dopo la caduta di Abu Ageila, una formazione mista egiziana (che comprendeva fanteria motorizzata, cannoni anticarro “arcieri” e numerosi carri armati proveniente da Nord, ovvero da El Arish) tentò di rientrare nelle posizioni perdute ma venne respinta anche per l’intervento decisivo dell’aviazione israeliana.

Il più aspro dei combattimenti dell’unità corazzata venne affrontato sulla diga di Ruafa. Ivi, ciascuna Compagnia israeliana aveva assegnato un settore. L’assalto mosse da Sud Ovest contro posizioni difensive ben trincerate formate da 20 nidi anticarro, sette cannoni da 57 mm, due pezzi da 30 mm, 6 pezzi da 25 mm per il tiro diretto.

L’attacco condotto sul calar della sera ebbe esito positivo. Anche il successivo tentativo di controffensiva da parte di unità egiziane venne respinto. In questa fase, incominciò ad essere notevole il numero delle armi, delle munizioni e del materiale sottratti alla Brigata egiziana.

Alla conclusione della fase iniziale dell’attacco, l’esercito israeliano ottenne il controllo delle tre strade meridionali: Naql-Mitla, Gebel Livni e Bir Hassna.

L’obiettivo successivo sulla strada per El Arish era rappresentato dalle località presidiate di Um Katef e Um Shihan.

Nella zona del Sinai settentrionale, la forza corazzata di difesa egiziana era articolata su due unità: il III° Battaglione corazzato dipendente dal comando della III^ Divisione, (con quartier generale a El Arish) e il I° gruppo di Brigata corazzata, nella zona del canale di Suez, più a Ovest. Tale forza si articolava su due battaglioni di carri sovietici T34, una batteria di cannoni semoventi sovietici SU100 e un Battaglione di fanteria motorizzata su mezzi corazzati.

Tuttavia, non si registrò, in questa fase, alcun contatto tra unità corazzate, e, per lo più, le forze attaccanti israeliane incontrarono fuoco da armi fisse anticarro, molto efficaci (cannoni da 57 mm “arcieri”, bazooka e pezzi da 25 mm in postazione per il tiro diretto), senza mai venire ingaggiate da rinforzi motorizzati e corazzati inviati, di rinforzo nel Sinai, dal Comando supremo egiziano.

In questa fase, il bombardamento anglo-francese dei campi di aviazione egiziani, iniziato nella notte tra il 30 e il 31 ottobre 1956, ebbe il merito di neutralizzare l’aviazione egiziana che si ritrovò impossibilitata ad agire contro le forze terrestri israeliane.

Se da parte egiziana, il contributo fornito dalle forze aeree fu sostanzialmente nullo, quello dato dall’aviazione israeliana alla prima fase della Campagna fu di assoluto prestigio giacché ad essa si poté attribuire la metà delle perdite egiziane in termini di materiali e risorse umane. Inoltre, essa contribuì, in maniera decisiva, alla positiva realizzazione del piano con la protezione offerta alle unità corazzate bloccando sia la I^ Brigata corazzata egiziana (che non riuscì a trasferirsi a oriente di Bir Gafgafa) sia il III° Battaglione corazzato (che non riuscì a prender parte alla battaglia di Abu Ageila e di Ruafa), attraverso incursioni continue di caccia.

Il superamento del presidio di Um Katef aggirato, in prima battuta, per procedere su Abu Ageila e Gebel Livni (secondo l’impostazione del piano di M DAYAN) impose, successivamente, un rapido ripiegamento e rientro sul presidio nemico al fine di garantirne la neutralizzazione per proseguire verso El Arish (in direzione Nord verso la costa) con adeguata copertura alle spalle[28].

La necessità principale seguitò ad essere quella di accelerare le operazioni poiché andavano crescendo lo stupore e le reazioni di dissenso della Comunità internazionale, in particolar modo dopo l’intervento di Inghilterra e Francia con il bombardamento delle basi aree egiziane.

L’importanza strategica di Um Katef era determinata dal fatto che essa si poneva in controllo dell’unica strada asfaltata[29] necessaria alle forze corazzate israeliane penetrate fino a Gebel Livni -sulla direttrice Est-Ovest verso Ismaila, passando per Bir Hama Bir Gafgafa Bir Hassna, sulla direttrice Nord Est-Sud Ovest verso Mitla.

La difesa egiziana nella zona era condotta dalla VI^ Brigata di fanteria, articolata su tre battaglioni di fanteria più due battaglioni di Guardia nazionale. A Um Katef, centro del sistema difensivo, erano dislocati due battaglioni di fanteria, un reparto anticarro (su 6“arcieri”), un gruppo da campagna di pezzi da 25 mm con l’appoggio fornito dal reggimento di artiglieria divisionale.

Alla vigilia dell’attacco, dopo la caduta dei presidi di Abu Ageila e Ruafa, il fianco Ovest del dispositivo di difesa era esposto alle incursioni delle forze attaccanti. La pressione israeliana si poneva quale scopo quello di costringere, come effettivamente accadde, la VI^ Brigata a ripiegare su El Arish ove concentrare la difesa.

I primi due tentativi condotti dall’unità di ricognizione della X^ Brigata di fanteria rinforzata (attacco diurno durante la mattina del 31 ottobre) e dal reparto di assalto della XXXVII^ Brigata corazzata (notturno alle ore 04.00 di giorno 01 novembre) furono infruttuosi.

Nonostante la strenua difesa egiziana, Um Katef venne espugnata da un plotone di mezzi blindati che riuscì a sfondare le posizioni nemiche e a tenere la posizione raggiunta nonostante le pesanti perdite.[30]

Caduta Um Katef, il piano prevedeva l’attacco a Rafa da cui procedere verso Ovest con obiettivo El Arish (fondamentale per il controllo della direttrice verso Ismaila e del Sinai settentrionale) e verso Oriente alla volta della striscia di Gaza (Khan Yunis).

Le posizioni di Um Katef e Um Shihan furono gli unici settori dove gli egiziani si impegnarono in maniera efficace. Qui, essi si batterono con buoni risultati nella fase statica del combattimento, impiegando le armi interrate per il fuoco da postazioni fisse contro aerei, contro/carro e contro fanteria appiedata.

Ma, alla resa dei conti, i difensori condussero pochi contrattacchi senza ottenere risultati rilevanti. Secondo l’orientamento dottrinale dello Stato Maggiore egiziano, il sistema difensivo nella zona poggiava su sei posizioni principali: Kusseima, Um Katef, Um Shihan, Abu Ageila, la diga di Ruafa e Ras Matmor, tenuti da una Brigata di fanteria rinforzata e da diverse unità di appoggio.

Lo scopo sarebbe stato quello di neutralizzare le forze israeliane provenienti da Est e di eliminare le avanguardie aviolanciate sulla regione.

Viceversa, dal punto di vista degli attaccanti, il sistema difensivo egiziano presentava tre errori fondamentali[31].

In primo luogo, gli egiziani avevano creato un sistema difensivo contro/carro sulla base di difese con funzioni simili a quelle predisposte sul continente europeo nell’ultima guerra mondiale. Tali postazioni erano protette da una cintura di campi minati e da fortificazioni in cemento attrezzate con grandi quantità di armi contro/carro, cannoni pesanti e contraerei. Tuttavia, secondo le valutazioni israeliane, i paesi arabi del Vicino Oriente non erano in grado di mantenere ad un livello adeguato simili difese poiché privi della quantità necessaria di denaro, armi e uomini. L’analisi si dimostrò corretta: Abu Ageila e Ruafa non resistettero che un’ora agli attacchi coordinati e massicci delle unità corazzate israeliane. Il secondo errore scaturiva dall’errata considerazione che vi fosse analogia “topografica” con l’Europa. Il mantenimento dei salienti chiave non avrebbe assicurato, in un contesto ambientale quale quello del Negev e del Sinai, la possibilità di fermare e prevenire il movimento di imponenti forze militari[32]. Il terreno nel Negev e della parte settentrionale del Sinai era tale che le basi difensive come Abu Ageila avrebbero potuto essere facilmente aggirate o scavalcate[33].

Il terzo errore risiedeva nella concezione egiziana della condotta delle operazioni belliche inadatta all’ambiente in cui le forze di difesa si sarebbero trovate a combattere. Gli egiziani ritennero, erroneamente, di poter far fronte alle unità attaccanti con un sistema difensivo fisso di fortificazioni (Abu Ageila, El Arish e Rafa): tali postazioni avrebbero potuto svolgere efficacemente il proprio compito difensivo, piuttosto, se avessero costituito la base di lancio per forze mobili in grado di ingaggiare le unità del nemico penetrate sul territorio.

L’attacco su Rafa[34] (in direzione Nord Est lungo la costa, verso la Striscia di Gaza) venne diretto contro postazioni difensive articolate, come detto, su fortificazioni campali fisse, secondo la dottrina strategica egiziana, che sfruttavano le leggere ondulazioni del terreno per appoggiare, con il fuoco diretto, le postazioni vicine.

Queste erano tenute dalla V^ Brigata di fanteria appartenente alla III^ Divisione egiziana. La Brigata prevedeva in organico quattro battaglioni di fanteria, e successivamente all’inizio delle operazioni israeliane nel Sinai, venne rinforzata da altri due battaglioni, il XLV^ e il XLVI^ Battaglione della LXXXVII^ Brigata della Guardia nazionale palestinese.

Le forze egiziane di difesa erano formate da sei battaglioni di fanteria, due compagnie del Battaglione di fanteria motorizzato, un reggimento di artiglieria, una batteria contro carro (su dodici “arcieri”), e una batteria contraerea.

Lo squadrone carri, destinato ad appoggiare Rafa, si trovava a El Arish presso il comando divisionale, pronto all’impiego quale unità di riserva in comune alle diverse Brigate di fanteria.

Le forze attaccanti israeliane erano la prima Brigata di fanteria rinforzata e la XXVII^ Brigata corazzata. La prima Brigata di fanteria comprendeva quattro battaglioni con l’ausilio di uno squadrone di super Sherman della XXVII^. Quest’ultima era formata di quattro squadroni carri: uno di carri leggeri Amx; uno di Sherman 50 e due di super Sherman.

L’attacco fu condotto lungo tre direttrici di marcia: a Sud e al centro dalla I^ Brigata con due battaglioni in ognuna delle due direzioni; a Nord dal Battaglione motorizzato della XXVII^ Brigata.

Il proposito venne individuato nella conquista dei principali capisaldi di quelle difese e nell’apertura del passaggio delle forze corazzate dirette su El Arish, attraverso i campi minati.

Le difese di Rafa si presentarono alle forze attaccanti come un labirinto di posizioni trincerate scavate nella sabbia: tale struttura, nella sostanza, determinò le modalità operative dell’azione israeliana. Le unità dello TSAHAL, articolate su tremila uomini, si riorganizzarono in reparti e sotto reparti ognuno dei quali, incaricato di un proprio obiettivo, provvide ad aprirsi un varco attraverso campi minati e reticolati.

In questo modo, il gruppo nord, quello centro e quello sud riuscì a garantire la presa di Rafa con contenute perdite in uomini e mezzi

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

La seconda fase delle operazioni israeliane ebbe inizio il primo novembre quando la XXVII^ Brigata corazzata iniziò ad avanzare su El Arish[35].

Alla testa vi era un gruppo di Battaglione corazzato formato da sette jeep del reparto ricognizione, una Compagnia di fanteria su cingolati, due gruppi di carri leggeri (di sei carri ciascuno) e un Reparto di artiglieria di quattro pezzi semoventi da 105 mm.

La direttrice verso El Arish era dominata dal saliente di El Jeradi che, per le sue caratteristiche topografiche, si presentava come un passaggio assai delicato. In questa posizione, la difesa egiziana era organizzata su una Compagnia di fanteria, su un Distaccamento di tre pezzi contro carro arcieri e su un Gruppo di sei mortai da 120 mm.

Come già a Rafa, quando i carri israeliani si avvicinarono alle postazioni dei difensori, gli occupanti abbandonarono le armi e fuggirono.

Il superamento di El Jeradi, di fatto, consegnò El Arish, dove le truppe israeliane entrarono senza combattere all’alba del 02 novembre. Le truppe a difesa di El Arish erano state richiamate per ripiegare in rapidità sulla sponda occidentale del Canale di Suez e lasciarono la città senza sabotare o distruggere alcunché. Con l’ingresso in città della colonna corazzata della XXVII^ Brigata corazzata si concludeva la battaglia per l’asse settentrionale RafaEl Arish.

Contestualmente, la VII^ Brigata corazzata completava la conquista dell’asse centrale KusseimaGebel Livni-Ismaila. Tale azione fu particolarmente importante perché impedì agli egiziani di mobilitare, contro le forze israeliane, la forza mobile più potente che questi avessero nel Sinai: il I° Gruppo di Brigata corazzato.

Il Gruppo era organizzato come formazione autonoma ed aveva provviste materiali e servizi in quantità sufficienti da poter operare indipendentemente dalle basi egiziane. Strategicamente parlando, tale forza avrebbe dovuto intervenire sia a Um Katef sia attaccare i paracadutisti israeliani a Mitla: non vi riuscì per i ripetuti attacchi dell’aviazione israeliana.

L’unico contatto tra le forze contrapposte si ebbe soltanto dopo l’inizio della ritirata del gruppo di Brigata egiziano (organizzato su carri armati T34 sovietici) che riuscì ad attraversare il canale lasciando sul terreno poche unità, limitando le perdite.

Il 2 novembre, secondo gli ordini di M. DAYAN, la IX^ e la XI^ Brigata di fanteria rinforzata iniziarono la marcia, rispettivamente, su Sharm el Sheik e su Gaza.

 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

 

Ebbe così inizio la fase finale dell’Operazione KADESH.

La mattina del 3 novembre gli israeliani completavano l’occupazione della striscia di Gaza.

La stretta fascia, lunga quaranta chilometri e larga dieci, non avrebbe potuto resistere isolata dopo la caduta di El Arish e Rafa. L’VIII^ Brigata palestinese, posta a difesa del territorio, contava più di 10.000 effettivi, tuttavia, non inquadrati in formazioni operative in grado di essere impiegate come unità combattenti.

La difesa egiziana era divisa in due settori: Nord e Sud. Il settore settentrionale comprendeva la città di Gaza, la cui protezione era affidata alla Brigata della Guardia Nazionale egiziana. Essa era formata da quattordici battaglioni su 3.500 uomini che presidiavano numerose posizioni difensive del livello di Compagnia, concentrati lungo la frontiera israeliana. In aggiunta ai battaglioni, erano stati assegnati alla Brigata otto mortai pesanti da 120 mm e due plotoni del reparto motorizzato di frontiera, quale riserva mobile.

A sud, il centro cardinale era rappresentato dal villaggio di Khan Yunis[36], dove la difesa era assegnata alla LXXXVI^ Brigata palestinese (con ufficiali di carriera egiziani e sottufficiali e militari di truppa palestinesi) che aveva le sue basi su tre capisaldi, ciascuno con gli effettivi di un Battaglione più l’artiglieria di appoggio.

La conquista della striscia fu affidata alla XI^ Brigata di fanteria rinforzata israeliana, la quale comprendeva due battaglioni di fanteria con un gruppo da combattimento della XXXVII^ Brigata corazzata articolato sui carri medi Sherman. Lo squadrone di carri e la Compagnia di blindati forzarono l’accesso sulla striscia attraversando l’avamposto 122 a tre chilometri dal saliente di Tell Ali Muntar[37], raggiungendo speditamente il centro della città di Gaza.

Così si concluse la conquista della parte settentrionale del Sinai. Le FFAA israeliane avevano raggiunto Suez: i paracadutisti dalla direttrice meridionale passando per il passo di Mitla, la VII^ Brigata corazzata da quella centrale per Gebel Livni, la XXVII^ Brigata corazzata da quella settentrionale passando per El Arish.

La conclusione dell’operazione nel Sinai centrale e settentrionale aveva reso percorribile il percorso Tel Aviv- Suez seguendo tre strade: la rotabile GazaKantara (a Nord lungo la costa); la Beersheba-Ismaila (più centrale passando per Gebel Livni e Bir Hama); e la pista che da Kuntilla conduce a Port Tewfik (a sud passando per Thamad, Naql e Mitla).

 

Operazione Sinai meridionale: Sharm El Sheik[38].

La IX^ Brigata di fanteria rinforzata partì all’alba di giorno 2 novembre, trasferendosi a Sud lungo la costa occidentale del golfo di Aqaba.

Il piano per l’azione su Sharm El Sheik prevedeva un’azione sulla città da Nord (IX^ Brigata da Dahab, 150 km a sud di Eilat, 70 Km a Nord di Sharm El Sheik) e da Sud (unità paracadutate della CCII^ Brigata su Tor sul golfo di Suez, più altre unità attraverso la strada Ras Sudar-Abu ZenimaTor).

È bene puntualizzare che il Sinai meridionale presenta delle caratteristiche topografiche assai differenti da quelle del settore settentrionale. In questa porzione della penisola, vi sono montagne che si elevano oltre ai 2000 metri con pochi sentieri carrabili (percorribili da mezzi ruotati ovvero cingolati) da considerare, piuttosto che tracciati stradali, vere e proprie mulattiere, talvolta rocciose talvolta sabbiose (tali da renderne assai difficile il transito), cinte da passi assai pericolosi. In ogni caso, lo Stato Maggiore israeliano aveva presente l’importanza dello stretto di Tiran e le difficoltà militari connesse con l’operazione, legate alle peculiarità del terreno e alle sue intrinseche difficoltà e alla complessità delle operazioni logistiche dei rifornimenti e degli spostamenti.

Sulla direttrice dell’attacco da Nord, Dahab venne conquistata la mattina del 02 novembre dalla Compagnia di ricognizione della IX^ Brigata dopo un breve conflitto a fuoco con il reparto beduino del Battaglione di frontiera egiziano motorizzato. Tor e il suo campo di aviazione vennero occupati da due compagnie di paracadutisti con appoggio decisivo dell’aviazione.[39]

Il Battaglione di paracadutisti [40]si trovava a Tor, a meno di 100 chilometri a Nord Ovest di Sharm, mentre la IX^ Brigata aveva superato Ras Nasrani e aveva già ingaggiato le postazioni difensive egiziane più settentrionali. Nel percorso di avvicinamento alla città, le truppe israeliane provenienti da Tor incontrarono soldati egiziani che, isolatamente o a gruppi, provenivano da Sharm dopo aver abbandonato le posizioni. Ciò non di meno, nessun soldato egiziano fece fuoco contro le unità israeliane.

Contemporaneamente, la IX^ Brigata procedeva da Nord Est sul versante del golfo di Aqaba ed era formata da circa 200 veicoli e 1.800 uomini: due battaglioni di fanteria, una batteria di cannoni, un Battaglione mortai pesanti, un reparto di ricognizione, un gruppo contraereo e distaccamenti del genio, riparazioni e servizi, per operare in assoluta autonomia per almeno 5 giorni, non essendo stato preventivato alcun tipo di supporto.[41] La marcia di avvicinamento a Sharm procedette per tappe. La prima, compresa tra Naqb e l’oasi di Ain El Furtaga, fu priva di sorprese e non incontrò alcuna resistenza. La seconda tappa su Dahab vide il contatto con il primo distaccamento difensivo nemico: qui era di stanza un reparto cammellato di dieci soldati e una radio trasmittente. Lo scontro costò agli israeliani un caduto e un ferito. La terza ed ultima tappa (dal tardo pomeriggio di giorno 03 novembre) si rivelò la più dura poiché impegnò la colonna su un sentiero roccioso sulle pendici della montagna che, di fatto, rallentò l’avanzata delle truppe. In questo settore, gli egiziani organizzarono un agguato notturno ai danni del reparto di ricognizione, fermato da un campo minato e fatto centro, con tiro diretto, da mitragliatrici, armi controcarro e bombe a mano.

Alle prime luci dell’alba di giorno quattro novembre, aperto un sentiero di sicurezza attraverso il campo minato, in assenza dei difensori che avevano lasciato la posizione (come confermato dai Piper in ricognizione aerea), la colonna giunse in vista delle postazioni difensive egiziane di Ras Nasrani e Sharm El Sheik.

Nel frattempo, alla vigilia della battaglia per lo stretto di Tiran, il 5 novembre, un Battaglione di paracadutisti francesi atterrava e conquistava i ponti di collegamento tra Porto Said e il continente, mentre un altro Battaglione paracadutisti inglese occupava l’aeroporto di Gamil nei pressi di porto Said.

L’arrivo della Brigata dalla direzione di Eilat fu una grande sorpresa per il Comando egiziano. Nel tracciare i piani per le difese dello stretto, lo Stato Maggiore egiziano si era regolato sull’ipotesi che le postazioni difensive non potessero essere raggiunte, da quel versante, da nessuna forza israeliana di una certa consistenza. Le posizioni difensive di Ras Nasrani e di Sharm el Sheik erano state organizzate per assicurare una difesa circolare, in grado di fronteggiare un attacco da ogni direzione e, in special modo, dalla distesa pianeggiante a Nord, adatta all’atterraggio dei paracadutisti.

La Brigata trovò il fianco settentrionale di Sharm organizzato a difesa ma con il decisivo vantaggio di possedere automezzi blindati.

Alla luce delle dinamiche di attacco delle forze israeliane, le FFAA egiziane, da un punto di vista tattico, avrebbero avuto a disposizione due soluzioni per contrastare la lunga e complessa colonna della IX^ Brigata. L’una avrebbe previsto, ragionevolmente, il ricorso all’aviazione, che, tuttavia, gli egiziani non avevano più a disposizione dopo l’inizio dell’attacco anglo-francese; ovvero, l’altra, riconducibile alla soluzione della guerriglia per cui, altrettanto, il comando egiziano di Sharm el Sheik non disponeva i reparti adatti.

Posto ciò, il Comandante egiziano decise di evacuare Ras Nasrani al fine di concentrare le forze di difesa su Sharm, il cui porto e campo di aviazione rappresentavano obiettivi importanti sia dal punto di vista militare che politico-economico. Da questi siti, inoltre, era preventivata l’evacuazione verso le basi in Egitto. L’ordine di ripiegamento venne diramato giorno primo novembre, ma la solerte avanzata delle forze israeliane impedì tutto ciò.

Il piano di difesa della città era stato approntato dai militari egiziani per rendere la posizione, in prima battuta, capace di resistere ad un assedio prolungato, ma non altrettanto organizzata e fortificata per respingere un eventuale assalto. In questa prospettiva, all’interno del perimetro di Sharm erano stati predisposti depositi sotterranei (con acqua, viveri, carburante e munizionamenti) per garantire l’autonomia e la sussistenza per diverse settimane; venne allestito un porto profondo, tracciata una pista di atterraggio, costruita una centrale elettrica e tutto il sito era stato attrezzato delle facilities necessarie ad una fortezza isolata. Si badò poco, per converso, alle opere di difesa che avrebbero potuto interessare il combattimento. Le trincee, i campi minati, le recinzioni e tutti gli avamposti difensivi, che dominavano gli accessi alla zona, non sarebbero stati abbastanza forti da sostenere un assalto proveniente da Ovest (cioè da Tor) o da Nord Est (ovvero dalla direttrice di Eilat).

La IX^ Brigata, pertanto, passò senza fermarsi Ras Nasrani[42] e si spinse, senza incontrare opposizione, sino alla catena di colline, Tzafrat el -At, circa 5 chilometri a Nord di Sharm El Sheik.

Prima di abbandonare Ras Nasrani, gli egiziani resero inservibili i pezzi di artiglieria da costa – due cannoni da 152,4 mm e quattro da 76,2 mm- che controllavano lo stretto fra la costa e l’isola di Tiran e avevano sbarrato il passaggio alle navi israeliane dirette a Eilat.

La prima posizione egiziana a Tzafrat el At venne presa dagli israeliani senza difficoltà. Anche in questa operazione, fu decisivo il ruolo dell’aviazione di Israele. Aerei Mustang[43], diretti da personale di terra, attaccarono la postazione difensiva egiziana con razzi e fuoco di mitragliatrice e quando il distaccamento di testa della Compagnia di ricognizione irruppe, per prenderla d’assalto, la trovò abbandonata.

Il successivo tentativo di ingresso in città, da parte delle avanguardie della Compagnia di ricognizione, fu caratterizzato, per converso, da combattimenti assai intensi. Il fuoco di sbarramento delle postazioni egiziane fu preciso e diretto tale che costrinse gli israeliani, privi dell’appoggio e della copertura dell’aviazione (impossibilitata ad alzarsi in volo per l’incipiente oscurità), a rompere il contatto con il nemico e a ripiegare in attesa di ulteriori valutazioni. A questo punto, il Comando di Brigata si trovò a dover scegliere tra due possibilità: sferrare sulla città un attacco notturno, ovvero attendere le prime luci del giorno successivo. A sostegno della prima tesi, vi era l’idea che si sarebbe impedito al nemico egiziano di riorganizzare la difesa; a sostegno della seconda, invece, il ruolo decisivo che l’aviazione avrebbe sostenuto soltanto qualche ora più tardi.

Il Comando israeliano decise di sfruttare l’abbrivio dell’avanzata in forza dei dati e delle informazioni recenti circa il nemico, assunte dalla Compagnia di ricognizione, persuadendosi della maggiore potenziale proficuità di un attacco immediato, ancorché privo del supporto e della copertura dell’aviazione.

L’assalto venne predisposto, subito dopo le 00.00 a.m., con la forza di un Battaglione con l’obiettivo di neutralizzare la posizione difensiva sul fianco occidentale di Sharm el Sheik tenuta da

due compagnie. Il tentativo fu, però infruttuoso: le compagnie D e A, impegnate in un avanzamento su direttrici parallele, provarono due volte l’assalto, raggiungendo la cintura attorno alle posizioni difensive egiziane, ma non riuscirono ad aprirsi un varco attraverso i campi minati. Numerose furono le perdite sofferte dalle unità attaccanti.

L’attacco venne ripetuto di primo mattino, appoggiato dal tiro preciso di mortai pesanti da 120 mm e con il supporto dell’aeronautica. L’attacco fu guidato dalla Compagnia di mezzi blindati e dal reparto di ricognizione, seguiti immediatamente dai reparti di fanteria. La lotta fu asperrima, della durata di cinquanta minuti, con l’assalto e l’irruzione sulle posizioni egiziane dei reparti attaccanti motorizzati su jeep. Iniziò, in questo momento, la ritirata precipitosa delle unità egiziane.

Questa operazione, definita in gergo tecnico “a rullo compressore”, ovvero basata sulla combinazione di incursioni di aerei che attaccavano in picchiata e di assalti a postazioni difensive da parte di autoblinde e jeep, spianò alle truppe di Israele l’intero tratto stradale che correva tra le diverse postazioni dei difensori con susseguente conquista dell’intero fianco occidentale.

Contemporaneamente, un secondo Battaglione, che dirigeva verso l’obiettivo secondo la direttrice parallela, avanzò lungo il fianco orientale, procedendo al rastrellamento delle posizioni difensive egiziane residue.

Alle ore 09.30 a.m. di giorno 6 novembre cadeva l’ultimo avamposto egiziano del Sinai.

A conclusione delle operazioni, secondo il Capo di stato maggiore, il merito principale dell’esito positivo dell’operazione Sharm fu ascrivibile all’aviazione, benché gli assalti principali e le azioni della battaglia (fra le 00.00 a.m. e le 09.30 a.m.) furono combattute, sul terreno, dal reparto ricognizione e dalla Compagnia mezzi blindati.

Dal punto di vista militare la conclusione delle operazioni si sostanziò nella realizzazione dei tre principali scopi della campagna: la garanzia della libera circolazione marittima del naviglio israeliano attraverso il golfo di Aqaba; il termine delle azioni terroristiche dei fedayn; la neutralizzazione della minaccia di un attacco a Israele da parte del comando militare comune egiziano-siro-giordano.

 

 

 

 

Avvenimenti politici durante le operazioni militari

 

Dal punto di vista politico, l’attacco combinato di Francia, Inghilterra e Israele fu seguito da una reazione di dissenso molto forte. Di ciò Israele ne fu sempre consapevole: nel corso della fase di elaborazione dei piani operativi di attacco, il tempo venne sempre coerentemente considerato come il fattore decisivo onde porre i critici (ed in particolar modo Mosca e Washington) di fronte al fatto compiuto. Di tal guisa, Ben GURION, nell’incontro con Moshe DAYAN dei primi giorni del mese di novembre 1956, si raccomandò di preparare i piani operativi prevedendo la separazione delle operazioni tattiche su terreno dalle decisioni dell’alleato franco-inglese, giacché quest’ultimo si dimostrò assai sensibile alle pressioni dell’opinione pubblica internazionale.

Rispetto agli avvenimenti militari, furono diverse le manifestazioni contrarie a quanto andasse accadendo nella penisola del Sinai: in tutto il mondo arabo e in gran parte di quello musulmano. L’Arabia Saudita, e.g., dichiarò l’embargo sulle esportazioni di petrolio a Francia e Regno Unito, mentre il governo siriano tagliò l’oleodotto che trasportava il petrolio iracheno verso il Mediterraneo. Anche sul continente europeo, alcuni governi criticarono le operazioni anglo-francesi e nel Regno Unito non mancarono manifestazioni contro la guerra.

Inoltre, l’accordo segreto di Sèvres non venne accolto positivamente negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Eisenhower, in corsa per la rielezione, era impegnata a criticare l’invasione sovietica dell’Ungheria. La circostanza che i loro alleati (in particolar modo i britannici) fossero coinvolti in un’operazione dal sapore neocoloniale rendeva la posizione del presidente assai meno convincente.

Altrettanto decisiva la minaccia sovietica, formalizzata dal primo ministro sovietico BULGANIN, di ricorrere all’uso dell’arma nucleare su Parigi e Londra: fu questo il primo esempio di minaccia nucleare del secondo dopoguerra.

Ma, soprattutto, l’azione anglo-francese si trovò contro una vasta coalizione di dissenso come reso evidente dall’approvazione quasi unanime della risoluzione di condanna dell’intervento da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu[44], che contestualmente predisponeva l’UNEF(United Nations Emergency Force) quale forza di interposizione tra Egitto ed Israele.

 

Analisi della validità dei piani operativi israeliani: comportamento delle Forze impiegate; ammaestramenti.

 

La dottrina bellica dello TSAHAL articolata sull’impiego congiunto ma non ancora combinato[45] di armi (fanteria, commandos aviotrasportati, truppe corazzate, artiglieria e supporto aereo) si rivelò decisiva nella realizzazione di piani di azione che garantirono la vittoria in ogni confronto armato sostenuto dagli israeliani fino ai primi eventi legati alla guerra dello Yom Kippur (6-25 ottobre 1973). Sistematicamente, nella guerra d’indipendenza, in quella del 1956 e in quella del 1967, lo TSAHAL aveva impiegato una strategia o “di soli carri” o di “sola fanteria” o di “solo attacco aereo” che si era dimostrata eccezionalmente efficace.

In tal senso, appare decisivo il fattore legato alla circostanza che la distinzione tra società israeliana ed esercito era (e continua ad essere) pressoché inesistente. In Israele, la parola coscrizione non ha quella valenza coercitiva quale potremmo ritrovare in altri Paesi: la partecipazione della cittadinanza alle vicende delle forze armate è parte integrante dell’essere membro dello Stato di Israele, che, per la sua stessa sopravvivenza necessita della partecipazione di tutti i cittadini (donne e uomini).

L’elemento professionale/professionista rappresenta una quota marginale del numero complessivo degli effettivi mobilitati in caso di necessità. All’alba della campagna del Sinai, la partecipazione della popolazione alla guerra di là da venire fu consapevolmente favorevole: numerosi furono i casi di giovani presentatisi alle rispettive unità senza essere stati richiamati, animati dagli stessi motivi che “ispirarono i principali sforzi compiuti dalle ultime tre generazioni per la rinascita della nazione israeliana. L’opinione pubblica sente che questa operazione KADESH […] si ricollega direttamente ad episodi quali immigrazione illegale […] e all’impulso ad impiantare kibbutzim nel Negev sfidando le restrizioni del libro bianco, durante il periodo di mandato (M. DAYAN).[46]

Di fatto, i piani elaborati dai vertici strategico-militari israeliani ebbero un ottimo esito. La sorpresa orchestrata agli inizi delle attività (ovvero nella notte tra il 29 e il 30 ottobre 1956), ai danni dello Stato maggiore egiziano riuscì perfettamente. Il lancio dei 395 paracadutisti nella zona del passo di Mitla per il controllo dei crocevia Naql-Suez e Ismailia-Tor riuscì come da previsioni sulla tabella di marcia, nonostante il lancio effettuato a 5 km dal punto di atterraggio previsto, con copertura della distanza effettuata dalle truppe paracadutiste in marcia forzata.

Alla fine della prima giornata delle operazioni, furono realizzati gli obiettivi fissati (ovvero la conquista del passo di Mitla da parte della CCII ^ Brigata paracadutisti e delle posizioni su Kusseima – Kuntilla e Ras El Naqb da parte della IV^ Brigata di fanteria e della IX^ Brigata corazzata).

Progressivamente, nella realizzazione del piano di conquista della parte centrale che avrebbe dovuto concludersi (come effettivamente fu) il giorno 2 novembre 1956, per le operazioni terrestri, le reazioni dell’esercito egiziano furono come nelle attese dei vertici dello TSAHAL.

La maggior parte delle posizioni avanzate (a Ras el Naqb e Kuntilla) era stata abbandonata senza combattere e nelle posizioni difensive destinate a contenere un attacco israeliano (Kusseima Thamad e Naql) vi fu solo una difesa iniziale, a cui non fece seguito una lotta ad oltranza stante l’avanzata delle truppe israeliane.

In questa fase, si rivelò decisivo – e tale fu per tutta la campagna – il contributo dell’aviazione che se, inizialmente, si limitò all’appoggio ravvicinato alla CCII^ Brigata paracadutisti, successivamente divenne determinante in funzione di protezione e supporto alle truppe terrestri di fanteria e corazzate (come il 31 ottobre a respingere un tentativo di contrattacco egiziano da El Arish su Abu Ageila articolato su formazioni miste a livello reggimentale di fanteria motorizzata anticarro e carri).

Complessivamente, rispetto ai piani israeliani, la maggior sorpresa fu la mancata reazione delle forze corazzate egiziane articolate sul III° Battaglione corazzato di El Arish nella zona del Sinai centrale e il I° gruppo di Brigata corazzata nella zona del canale. Tali unità, della forza sostanziale di una Brigata (articolata su due battaglioni di carri sovietici T34, una batteria di cannoni semoventi sovietici SU-100 e un Battaglione motorizzato di fanteria su mezzi corazzati) non entrarono in contatto con la VII^ Brigata corazzata israeliana che dovette, piuttosto, fronteggiare fuoco controcarro da postazioni fisse.

Lo sfondamento di Um Katef per l’apertura dell’asse Um Katef – Abu Ageila per raggiungere la fascia costiera mediterranea e garantirsi la direttrice per Ismailia verso Ovest e Rafa – sulla strada per Gaza– verso Nord Est venne completata il 3 novembre.

L’analisi dello Stato maggiore israeliano si basava su precise informazioni: era noto, cioè, che il sistema difensivo egiziano nel settore centrale del Sinai fosse basato su sei posizioni principali: Kusseima, Um Katef, Um Shihan, Abu Ageila, la diga di Ruafa e Ras Matmor, tenuti da una Brigata di fanteria rinforzata e da diverse unità di appoggio. Lo scopo, come precisato dall’Alto Comando egiziano, era di neutralizzare forze israeliane che attaccassero da Est e di eliminare unità nemiche penetrate nella regione lanciate con paracadute.

Nel sistema difensivo egiziano, i vertici strategici israeliani evidenziarono tre errori fondamentali:

  • sopravalutazione dell’efficacia difensiva di tali posizioni. Secondo gli israeliani, sarebbe stata decisiva l’eccessiva fiducia riposta in posizioni difensive contro carro simili a quelle erette in Europa durante la II^ guerra mondiale: cinture di campi minati; fortificazioni in cemento; cannoni pensanti sia c/c che c/a. Una simile organizzazione avrebbe richiesto, per essere realmente efficace, delle risorse (sia finanziarie che umane; in termini di competenza e di materiali) di cui i paesi del Medio Oriente, nell’analisi di M.DAYAN, non disponevano. In effetti, alla prova dei fatti, sia Abu Ageila che Ruafa non resistettero che poche decine di minuti all’attacco del Gruppo corazzato israeliano.
  • In un contesto ambientale come quello del Sinai, è impossibile fermare e prevenire il movimento di notevoli forze militari: se ciò può risultare fattibile in regioni europee ricche di montagne, foreste, fiumi, laghi e paludi, tali particolari geografici sono assenti in un contesto desertico, come ad Abu Ageila, dove, per le forze israeliane, fu abbastanza semplice scavalcare le linee difensive controcarro così organizzate, posto che le dune di sabbia non possono costituire potenti linee difensive. In tal maniera, le unità della VII^ Brigata corazzata furono in grado di avanzare verso Nord e verso Ovest e proseguire verso il tracciato del canale di Suez.
  • La concezione strategica della condotta di guerra degli egiziani comportò il terzo decisivo errore. Le forze difensive, per essere efficaci, avrebbero dovuto essere capaci di far fronte alle unità attaccanti con corrispondenti unità mobili. L’errore egiziano fu quello di ritenere che le difese fortificate di Abu Ageila, El Arish e Rafa avrebbero impedito la penetrazione israeliana nel Sinai e protetto il canale senza che mezzi corazzati e aerei intervenissero per arrestare lo sfondamento di carri

Proseguendo oltre, la battaglia intorno Abu Ageila, che si caratterizzò per il cattivo impiego della X^ Brigata di fanteria, si concluse con l’avvicendamento del Comandante di Brigata deciso dal capo del C.do meridionale israeliano. Nella logica efficientista e di azione secondo priorità immediate dei vertici del TSAHAL – in ogni contesto storico- “il compito supremo di un Comandante di unità è di guidarla in battaglia, e se egli non supera quella prova, non deve essere punito, ma deve essere sostituito da qualcuno che sia in grado di farlo” (cfr DAYAN M., op cit. pg 175).

La conquista di Rafa, la cui organizzazione difensiva si basava su un intricato reticolo di posizioni trincerate scavate nella sabbia e occultate con ortaglie e siepi di fichi d’india, fu resa possibile dal particolare carattere dell’operazione di attacco. La forza israeliana composta di circa tremila uomini, si spezzettò in tanti piccoli reparti e sotto reparti, ognuno dei quali dovette aprirsi da sé un varco attraverso campi minati e reticolati combattendo autonomamente la propria battaglia diretto verso il proprio obiettivo.

La striscia di Gaza venne occupata tra il 2 e il 3 novembre. La difesa egiziana era organizzata in due distinti settori: Nord e Sud.

Il settore settentrionale comprendente la città di Gaza, era affidato alla Guardia Nazionale egiziana, integrata da plotoni mortai pesanti (con armamento da 120 mm) e da unità di fanteria motorizzata (quale riserva tattica mobile); la zona sud, invece, comprendente Khan Yunis, era affidata alle cure della LXXXVI^ Brigata palestinese articolata su tre capisaldi ciascuno con gli effettivi di un Battaglione più artiglieria di appoggio.

La conquista fu assegnata alla XI^ Brigata di fanteria con l’appoggio di un gruppo da combattimento della XXXVII^ Brigata corazzata. Lo sfondamento avvenne seguendo la stessa strada seguita da secoli da tutti gli eserciti che cercavano di conquistare Gaza: ovvero attraverso il saliente di Tell Ali Muntar, dove nel corso della Prima guerra mondiale l’esercito inglese perse 10.000 uomini contro l’esercito ottomano.

Lo Squadrone carri (Sherman) e la Compagnia di blindati sfondarono l’avamposto assegnato, benché fatti segno di intenso fuoco c/c, e si spinsero fino alla città di Gaza.

La conquista di Sharm el Sheik chiuse la campagna. L’operazione si aprì all’alba del 2 novembre e venne affidata da una parte, quella orientale lungo la costa occidentale del golfo

di Aqaba alla IX^ Brigata di fanteria, e quella occidentale seguendo la strada di Ras Sudar -Abu Zenima da parte di un Battaglione paracadutisti su mezzi lungo la strada che costeggia la riva orientale del golfo di Suez.

Contemporaneamente, un altro Battaglione paracadutisti si sarebbe lanciato sul campo di aviazione di Tor, in modo da garantire un movimento a tenaglia su Sharm.

La marcia di avvicinamento della IX^ Brigata di fanteria procedette per tappe: essa era stata approntata, in termini di approvvigionamenti, per essere autosufficiente. Posto che né durante la marcia, né durante l’eventuale battaglia sarebbe stato possibile provvedere ai rifornimenti, la Brigata dovette fare affidamento soltanto su di sé.

Essa aveva, nel suo obiettivo, lo scopo principale della Campagna: se avesse sconfitto il nemico avrebbe avuto a sua disposizione il porto, il campo di aviazione e il collegamento via terra con la madrepatria.

L’operazione venne conclusa il 5 novembre con un’operazione di sfondamento a rullo compressore di aerei che attaccavano in picchiata seguiti da autoblindo e jeep che procedevano all’assalto.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

  1. DAYAN ha lasciato scritto, nei suoi diari redatti in memoria della campagna del Sinai del 1956, che “seppur con il dovuto rispetto alla regina delle battaglie- la fanteria-, la maggior parte delle nostre conquiste è stata ottenuta da unità corazzate e dall’aviazione”[47].

Tale consapevolezza, venne brillantemente impiegata dagli israeliani anche nella guerra dei sei giorni del 1967, quando, ancora una volta, la rapidità di azione delle forze corazzate e aree seppe garantire ad Israele una vittoria preparata nei minimi dettagli.

Si può dire che, sostanzialmente, l’esercito israeliano raggiunse i suoi obiettivi nel Sinai non a dispetto delle disavventure occorse ma grazie ad esse. Gli inconvenienti e gli ostacoli incontrati erano stati resi inevitabili dalla necessità di operare alla massima celerità, condizione necessaria al fine di garantire allo TSAHAL l’esecuzione di un piano efficace per la risoluzione dei collegati problemi militari e politici.

L’ordine di battaglia della campagna del Sinai assegnava ad ogni Grande Unità la propria linea direttrice, in modo che l’avanzata di una non fosse legata a quella di un’altra. Lo scopo di tale piano era di autonomizzare ciascuna unità e di renderne, al tempo medesimo, l’avanzata più rapida possibile.

Questo piano mise in luce e seppe sfruttare la principale caratteristica delle Forze israeliane: il coraggio e il carattere dei combattenti[48]. Il particolare ardimento evidenziato in ogni singolo contesto operativo, tanto dai Soldati quanto dagli alti Ufficiali, plasmò il carattere dello TSAHAL nella campagna del Sinai: se le fila dell’esercito israeliano non fossero state pervase da tale spirito, “probabilmente si sarebbero commessi meno errori ma il Sinai non sarebbe stato conquistato” (DAYAN M., op. cit).

Benché gli esiti furono apprezzabili solo nella fase iniziale della guerra dello Yom Kippur, chi trasse un decisivo insegnamento dalle vicende belliche descritte furono i vertici militari arabi. Essi si trovarono di fronte alla necessità di modificare il proprio comparto dottrinale e di adeguarsi all’evoluzioni strategiche in atto nell’arte della guerra. Perfezionata l’abilità e le competenze nell’uso delle armi c/c, sfruttando l’inerzia israeliana seguente la guerra lampo del 1967, seppero organizzare ed ottenere risultati tattici di rilievo nelle prime fasi della guerra del 1973.

Ad essa fece seguito, da parte israeliana, la revisione totale della propria strategia militare, coerentemente con le conclusioni della commissione AGRANAT.

Ma questa vicenda rappresenta un altro capitolo della recente storia militare dello Stato Israele.

 

Considerazioni conclusive

 

A fronte delle forti pressioni internazionali che si generarono contro l’azione combinata anglo-franco-israeliana, il fronte alleato si sciolse: la prima a cedere fu la Gran Bretagna, che il 6 novembre proclamò un “cessate il fuoco” unilaterale. Viceversa, Israele fu l’ultimo paese a rinunciare alle sue conquiste (vgs ultra), abbandonando la penisola del Sinai soltanto nel marzo dell’anno successivo (1957), non prima di aver distrutto sistematicamente tutte le infrastrutture della regione. Se, dunque, Israele fu costretto a ritirarsi da tutti i territori occupati, riuscì nell’obiettivo di danneggiare gravemente l’esercito egiziano, distruggendo molto del materiale che l’avversario aveva accumulato nei precedenti anni di riarmo.

Dall’altra parte della barricata, invece, NASSER guadagnò dalla situazione un prestigio senza eguali: egli confermò la nazionalizzazione del canale così come ne risultò rafforzato il suo ruolo di guida del mondo arabo contro l’oppressione colonialista europea.

I governi di Francia e Regno Unito, invece, furono umiliati e costretti a ritirarsi sotto la pressione internazionale. Quando a dicembre le operazioni di sgombero dei militari furono completate, divenne chiaro a tutti che gli antichi imperi coloniali europei erano stati ormai soppiantati dalle nuove superpotenze protagoniste della Guerra Fredda. Alla luce delle vicende seguenti, inoltre, si può affermare come la conclusione della vicenda di Suez favorì la crescita dell’influenza sovietica nel mondo arabo.

La campagna militare, tuttavia, non si concluse con il vincitore e il vinto seduti insieme al tavolo dei negoziati. Si ebbe, piuttosto, una soluzione a tre con il ruolo decisivo dell’ONU – per la prima volta nella storia- in virtù, soprattutto, della forza delle due superpotenze – Usa e Urss- che lo sostenevano: il segretario generale Onu divenne, in conseguenza, un terzo contraente nel trattare le condizioni per porre fine alla guerra.

Come detto, l’assemblea Generale Onu decise, il 4 novembre, la creazione di una forza internazionale di emergenza che garantisse la cessazione delle ostilità e il controllo dello status quo.[49].All’uopo, venne creata l’UNEF (United Nations Emergency Force) che, di fatto, rappresentò il compromesso tra Onu e Israele: i vertici politici israeliani, infatti, subordinarono lo sgombero delle posizioni conquistate su terreno, alla garanzia, da parte della comunità internazionale, della libertà di navigazione attraverso i due golfi (Suez ed Aqaba) e della cessazione di atti di ostilità e di guerriglia da parte dell’Egitto.

Il 16 marzo 1957 ebbe inizio il ritiro delle truppe israeliane, avvicendate proprio da quelle dell’UNEF[50].

Ad oggi, le relazioni bilaterali tra Israele ed Egitto sono disciplinati sulla base del contenuto dei celebri accordi di Camp David firmati il 17 settembre 1978 da Menachem BEGIN e Anwar al-SADAT[51] sotto la mediazione diretta della presidenza di Jimmy CARTER.

Fu solo da questo momento che l’Egitto, primo tra i Paesi arabi, riconobbe lo Stato di Israele.

Nella sostanza, i negoziati cominciarono sulla base degli accordi armistiziali di Rodi del 24 febbraio 1949 e sancirono, quali elementi principali di novità, il riconoscimento reciproco dei due Paesi; la fine dello stato di guerra che esisteva fin dal 1948; il ritiro militare israeliano e la conseguente restituzione degli impianti civili (specialmente Yamit e Taba) della penisola del Sinai, occupata da Israele fin dal 1967

Il trattato assicurò, inoltre, la libera circolazione del naviglio israeliano attraverso il canale di Suez e il riconoscimento degli stretti di Tiran e del golfo di Aqaba come vie marittime internazionali. Si provvide, così facendo, a risolvere alcune problematiche di assoluto rilievo che avevano costituito, fin dal 1956, motivo di attrito tra Egitto e Israele e formale casus belli in occasione della guerra dei sei giorni del 1967. I rapporti diplomatici completi vennero, successivamente, stabiliti a partire dal 26 gennaio del 1980.

Oggi, l’Egitto possiede un’ambasciata a Tel Aviv e un consolato a Eilat; mentre Israele mantiene un’ambasciata a Giza (Greater Cairo) e un consolato ad Alessandria d’Egitto.

La linea di confine condivisa è costituita da due punti di attraversamento ufficiali, situati rispettivamente a Taba e a Ntzana. Quest’ultimo rimane aperto solamente per il traffico commerciale e turistico. I confini tra le due nazioni s’incontrano, inoltre, sulla costa del Golfo di Aqaba.

 

Emilio GIORDANO

 

Bibliografia

Bagley FRC Egypt under Nasser in International Journal, vol 11 n.3 estate 1956, pp 193-204 su ww. Jstor.org.

Bonci G. La guerra russo-afghana (1979-1989) Gorizia, Leg edizioni srl 2017.

Dayan M., La Campagna del Sinai 1956, Milano ed Mondadori 1965.

Donini P.G., Sviluppo industriale e ricerca scientifica in Israele in Oriente moderno anno 53, nr 1, Gennaio 1973.

Donno A., Ombre di Guerra Fredda: gli USA nel Medio Oriente durante gli anni di Eisenhower, a cura di, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1998.

Frazier T. Il conflitto arabo-israeliano – Bologna, ed. Il Mulino, Universale paperbacks, 2005;

Jones M.A., Storia degli Usa, Milano tascabili Bompiani 2001.

Katz S., Gelbart M., Catignani S., TSAHAL, L’esercito di Israele- I conflitti arabo israeliani- Milano Osprey Publishing, 2012.

Labanca N., Storia illustrata armi da fuoco, Firenze, Giunti Ed. 2009.

Laffin J., L’esercito israeliano nelle guerre in Medio Oriente 1948-1973. Gli eserciti arabi delle guerre in Medio Oriente 1948-1973.  Madrid, Edizioni Del Prado, Uomini in Uniforme, 1999.

Luraghi R., La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, Milano ed. Rizzoli BUR, 2013.

Mansfield P. Nasser and Nasserism, in International Journal vol 28 n.4 autunno 1973 pp 670-688 su www.Jstor.org.

Melcangi A. Gamal Abd Al-Nasser tra mito pubblico e identità privata relazione presentata al VII° convegno della Società per gli studi sul Medio Oriente, Spazio privato, spazio pubblico e società civile in Medio Oriente e in Africa del Nord, Catania 23-25 febbraio 2006, su www.Jstor.org.

Midant-Reynes B., The Prehistory of Egypt: From the First Egyptians to the First Kings. Oxford, Blackwell Publishers 2000.

Pizzuti M. Biografia non autorizzata della Seconda guerra mondiale, Milano ed Mondadori 2018.

Shtrasler N., Cool Law for wrong population in HAARETZ 16 Maggio 2007.

**************

Nova, L’enciclopedia UTET, ed Utet Torino, 2001

The Encyclopedia of the Arab-Israeli Conflict, vol. 3, Santa Barbara (California), ABCCLIO, 2008

Israel CIA World Factbook, CIA, 31 ott 2013.

[1] Storicamente parlando, la modalità organizzativa di un evento bellico secondo la matrice di una ”conduzione aziendalistica dello sforzo militare” incentrata sull’analisi razionale del fenomeno del “combattimento” assimilato ad un prodottooutcome- da realizzare secondo modalità efficienti, economiche ed efficaci, nacque negli Stati uniti d’America dove venne implementata nel corso della guerra civile americana (1861-1865) considerata, per l’appunto, il primo conflitto industriale della storia dell’umanità.(LURAGHI R., La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale Milano, ed. Rizzoli BUR 2013)

 

[2] Il canale di Suez venne completato nel 1869 ed inaugurato il 17 novembre di quell’anno. E’ un canale artificiale navigabile che si estende da Porto Said a Suez per 200 km, collegando mar Mediterraneo e mar Rosso. Inizialmente i proprietari del canale erano Egitto e Francia che aveva dato il contributo maggiore alla costruzione del canale. La proprietà britannica di una parte delle quote nella società di gestione del Canale risale al 1875, quando il debito estero dell’Egitto costrinse il Khedivé, Ismail Pashà, a cedere la propria quota (44%) alla Gran Bretagna, per la cifra di 4 mln di sterline. All’entrata in vigore del decreto di nazionalizzazione del canale di Suez, Nasser offrì compensi agli azionisti stranieri, sulla base del valore delle azioni contrattate alla borsa di Parigi il giorno prima della nazionalizzazione, garantendo, comunque, il rispetto degli accordi internazionali che statuivano il diritto di passaggio.

[3]DONNO A., Ombre di Guerra Fredda, Gli USA nel Medio Oriente durante gli anni di Eisenhower, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1998

[4]L’amministrazione Eisenhower, (in carica dal gennaio 1953) impegnata nella stabilizzazione dell’area in funzione antisovietica si rivolse necessariamente a Nasser, che era valutato, tuttavia, come inaffidabile. Per tal ragione, a partire dal 1956, si ebbe un sostanziale cambiamento nel rapporto con i leaders locali, con la cancellazione di tutti i prestiti e gli aiuti ai partners arabi dell’area. Cfr  Maldwyn A.J., Storia degli Usa, Milano, tascabili Bompiani, 2001.

[5]In quest’ottica è da intendersi il progetto della costruzione della diga di Aswan: essa sarebbe divenuta la più grande diga sul corso del Nilo e avrebbe reso coltivabili, inondandoli, 10.000 kmq di deserto (aumentando di un terzo il terreno coltivabile del paese) consentendo, inoltre, un surplus energetico considerevole in funzione dell’energia idroelettrica prodotta.

[6] L’accordo con la Cecoslovacchia assicurò la fornitura – che si perfezionò nel successivo mese di novembre- di armi automatiche leggere, 100 pezzi di artiglieria semovente, 200 mezzi corazzati per trasporto truppe, 300 carri armati. In più, la consegna di 200 Mig-15 e 50 bombardieri Iljusin 28 esponeva le città israeliane ad un pericolo sostanziale proveniente dalle basi aeree egiziane nel Sinai (e.g. Fayid, Kasparit e Kabrit). Tutto questo aveva capovolto il rapporto di forze tra i due contendenti rispetto agli esiti della guerra arabo-israeliana del 1948). Vgs Frazier T. Il conflitto arabo-israeliano, Bologna ed. Il Mulino, Universale paperbacks, 2005

[7]Vgs cartine in appendice III

[8] Agli esiti della guerra dei sei giorni, dal 1967 al 1979, essa rimase sotto il controllo di Israele.

[9] Il dassault Mystère IV fu un aereo francese da caccia monomotore a getto, ad ala a freccia. Nova, l’enciclopedia UTET Torino 2001

[10] L’Amx 13 fu un carro armato francese su cingoli, alimentato a benzina, capace di una velocità massima 60 km/h con un’autonomia di 400 km. Montava una torretta basculante con un cannone da 75 mm e una mitragliatrice MAC 31 calibro 7,5 mm, con equipaggio su tre unità. Cfr LABANCA N., Storia illustrata armi da fuoco, Firenze Giunti Ed. 2009.

[11] Frazier T. Il conflitto arabo-israeliano, Bologna, ed. Il Mulino Universale paperbacks, 2005.

[12] Moshe DAYAN (1915-1981) capo di Stato Maggiore dell’esercito di Israele, fu non solo un Generale, ma un vero “signore della guerra” di tipo assolutamente avveniristico, privo, per istinto e per civiltà, di una rigida” ideologia della guerra”. Senza insegne vistose, senza lustrini e nappine, egli seppe impostare la campagna del Sinai come una “blitzkrieg”, conclusasi con la sconfitta del nemico in un “lampo”.

[13]Poste tali premesse, tra il 22 e il 24 ottobre 1956 si raggiunse il protocollo d’intesa segreto di Sèvres tra i plenipotenziari inglesi francesi e israeliani (Ben GURION, Pineau e Lloyd).

Il piano israeliano fu molto dettagliato con l’obiettivo di stabilizzare l’intera regione in funzione dei propri bisogni di sicurezza: esso  avrebbe previsto la sconfitta totale dell’Egitto con la cacciata di Nasser, la sconfitta e la trasformazione del Libano in uno stato centrale cristiano maronita intorno a Beirut, con la cessione della regione di N/E alla Siria; e il confine meridionale fissato al fiume Litani/Leonte (dove si sarebbe fissata la nuova frontiera settentrionale di Israele, ricomprendendovi pertanto la città di Tiro); la cancellazione dalla cartina geografica della Giordania con l’annessione israeliana della cis-Giordania e l’attribuzione della trans-Giordania alla sovranità territoriale iraqena.

[14] L’Antico Testamento, nel libro dei Numeri, menziona Kades al tempo di Mosé (XIII °-XII°secolo) come teatro di una delle poche sconfitte subite dal popolo di Israele durante l’esodo dalla schiavitù di Egitto.

[15]Il terreno detta legge”. L’indefettibile conoscenza ottimale del contesto oro-geografico di definizione del teatro operativo (suolo, clima, cartografia) rappresenta una delle principali eredità dell’insegnamento napoleonico a innovazione dei principi propri dell’arte della guerra.

[16] I tipi di manovra effettuati dalle unità israeliane seguivano le tattiche tradizionali dell’avvolgimento e dell’aggiramento. L’avvolgimento consiste in una manovra offensiva nella quale le forze attaccanti aggirano orizzontalmente e/o verticalmente le difese principali nemiche al fine di raggiungere obiettivi disposti alle terga del dispositivo avversario. Lo sforzo è sempre, in questo caso, diretto sul fianco o alle spalle del nemico.

L’aggiramento sui fianchi, si pone quali obiettivi siti/posizioni disposte in profondità alle spalle del dispositivo difensivo nemico che è articolato su posizioni fortemente organizzate (Le operazioni militari terrestri, ed.1998 in BONCI G. La guerra russo-afghana (1979-1989) Gorizia, Leg edizioni srl  2017).

[17] DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956 appendice III pg 289, Milano ed Mondadori 1965.

[18] Le battaglie della guerra di indipendenza si ridussero ad azioni autonome di unità minori del livello di plotone/compagnia, con la finalità di acquisire vantaggi tattici locali, il cui successo dipendeva, in massima parte, dalle capacità personali dei comandanti.  Tale capacità operativa venne stabilita da Yigal ALLON, comandante in capo del Palmach, in occasione della conquista città di Safed nel Nord del Paese, nel corso dell’operazione Yiftah nella Galilea settentrionale tra il 06 e il 10 maggio 1948. Il Palmach (Plugot Machatz= Compagnie di attacco) rappresentava la componente regolare dell’HAGANA. (l’esercito clandestino creato, nel 1948, per garantire, nella Palestina mandataria, la difesa degli insediamenti ebraici).

Le compagnie Palmach furono costituite nel 1941. Esse si componevano di 3.100 effettivi articolati su 3 Brigate: IX^ Brigata Yiftah; X^ Brigata Harel; XII^ Brigata Hanegev.. J Laffin, “L’esercito israeliano nelle guerre in Medio Oriente 1948-1973”, Uomini in uniforme-eserciti e battaglie, Madrid Osprey publishing, edizioni del Prado 1999.

[19] Tale motto venne istituito nell’ambito dell’”Operazione Nachshon” durante la guerra del 1948/’49 condotta sul villaggio di Kastel, situato in cima a una collina nei pressi di Gerusalemme.

[20] Vgs cartina in appendice IV

[21] Vgs cartina in appendice V

[22] Si appalesa in maniera evidente, per la prima volta nella storia dei combattimenti terrestri, la progressiva importanza dell’impiego dei carri e della meccanizzazione del campo di battaglia terrestre, secondo la direttrice funzionale della mobilità ed autonomia operativa delle unità minori di combattimento. Cfr LABANCA N., Storia illustrata armi da fuoco, Firenze Giunti Ed., 2009.

Per il dettaglio geografico della direttrice di spostamento vgs cartina in appendice VI

[23] Vgs cartina in appendice VI

[24] Il comando valutò che non ci sarebbe stato a Mitla un forte reparto egiziano e pensò, quindi, di procedere lungo una strada priva di difficoltà topografiche, con gli uomini concentrati sugli automezzi in formazione di colonna.  In queste condizioni, ovvero in una posizione di avanguardia penetrata profondamente in territorio nemico, isolata dalle forze amiche e distante solo pochi chilometri dalle basi di carri e di aerei nemici, ritenendo ad ogni modo di poter far fronte ad un eventuale attacco, il pensiero prioritario fu quello di migliorare rapidamente le posizioni. (Vgs DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956, Milano ed Mondadori 1965).

[25] L’aviazione egiziana poteva contare su velivoli di fabbricazione sovietica (Iljusin II 28- bombardiere leggero bimotore, Mig 15- aereo da caccia) e britannica (Vampire, aereo da caccia monomotore e Meteor, bimotore a getto da caccia).  Nova, L’enciclopedia UTET Torino 2001

[26] Vgs cartina in appendice VII

[27] Vgs cartina in appendice VI

[28] Vgs cartina in appendice VII

[29] La pista in terra battuta che collega Kusseima a Naql (che corre parallelamente più a sud rispetto alla direttrice Um Katef-Ras Matmor- Bir Hassna- Mitla) era impraticabile dopo il passaggio degli autocarri israeliani. DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956 (pg 159) Milano ed Mondadori 1965.

[30] Secondo il piano, il reparto corazzato doveva partecipare all’attacco insieme con i due battaglioni della X^ Brigata e mentre questi impegnavano Um Katef sui fianchi, la forza avrebbe dovuto sfondare al centro. Questa unità doveva essere formata da uno squadrone di carri- due sezioni di carri medi (Sherman) e una di carri leggeri (Amx)-; due compagnie di fanteria su automezzi blindati e di un Battaglione di fanteria motorizzata.

[31] Venne verificato come il bagaglio di competenze tattiche lasciato in eredità ai militari egiziani dagli istruttori inglesi, tedeschi e russi, fosse inadatto alle situazioni operative che essi si trovarono ad affrontare. Cfr DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956. Milano Ed Mondadori 1965

[32] Ciò avrebbe potuto essere correttamente ipotizzato, in molte regioni europee dove vi sono fiumi, paludi, foreste e montagne. Le dune di sabbia non possono sostituire potenti linee difensive e la gola di Deika (vgs cartina in appendice VII) non poteva essere paragonata al bacino renano. DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956 Milano Ed. Mondadori 1965

[33] I reparti corazzati della VII^ Brigata così operando, riuscirono ad avanzare in direzione Ovest e Nord superando Abu Ageila e a proseguire verso Suez, servendosi delle piste del deserto.

[34] Vgs cartina in appendice VII

[35]Vgs cartina in appendice VII

[36] Vgs cartina in Appendice VIII

[37] Tell Ali Muntar è la lunga catena montuosa che domina l’intera pianura a oriente di Gaza. Essa è la collina per la quale passa la strada seguita da secoli dai diversi eserciti diretti a Gaza. Celebri gli scontri tra britannici e turchi durante la Prima guerra mondiale a seguito di alcuni infruttuosi tentativi inglesi di prendere Gaza.(vgs cartina in appendice VIII)

[38] Vgs cartina in appendice IX

[39] Dopo che i paracadutisti si furono impadroniti del campo di aviazione, questo venne riparato e reso utilizzabile dagli avieri, lanciatisi insieme al reparto. Con ben ventitré voli, l’aviazione israeliana riuscì a garantire i rifornimenti necessari (armi e munizionamenti) e trasportò un Battaglione di fanteria

[40] Il Battaglione comprendeva quattro compagnie, una su mezzi blindati e tre su autocarri.

[41] La colonna aveva viveri per un’autonomia di 5 giorni, carburante per 6.600 chilometri e acqua trasportata da 18 cisterne, sufficiente a garantire 5 litri per uomo e 4 litri per veicolo, per 5 giorni.

[42] L’avamposto di Ras Nasrani– 15 km a Nord di Sharm- era stato abbandonato dalle truppe egiziane dopo aver appreso dello sbarco delle avanguardie paracadutiste su Tor. In quel momento si ritenne necessario rinforzare la difesa della città di Sharm, valutando irrealizzabile la difesa simultanea di Ras Nasrani e di Sharm sotto attacco contemporaneo dalle direttrici settentrionale e meridionale.

[43] Il Mustang P-51 fu un aereo da caccia statunitense armato di sei mitragliatori calibro 12,7 mm; di due bombe da 227 kg ciascuna e da otto razzi aria-terra.

[44] La deliberazione della Risoluzione ad opera dell’Assemblea Generale Onu per l’intervento di una forza di Peace enforcement, seguì la prassi originatasi il 03 novembre 1950 con la risoluzione 377/V “Uniting for peace” quando, durante la crisi coreana, venne stabilito esplicitamente che, a fronte dell’inerzia del Consiglio di sicurezza dell’Onu, sarebbe spettato all’Assemblea Generale provvedere alla predisposizione di un’ ”efficace misura collettiva per prevenire  e rimuovere le minacce alla pace[…]”. cfr art 1 Carta ONU

[45] All’indomani della guerra del Kippur del 1973, gli israeliani trassero grandi insegnamenti ancorché ad un elevato costo sia in termini tattici che tecnici. Laffin J., L’esercito israeliano nelle guerre in Medio Oriente 1948-1973. Gli eserciti arabi delle guerre in Medio Oriente 1948-1973.  Uomini in Uniforme Madrid, Edizioni Del Prado, 1999

[46] DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956 (pgg 106 e ss), Milano ed Mondadori 1965

[47] Dayan M., La Campagna del Sinai 1956, Milano ed Mondadori 1965

[48] “[…] e non è il caso di isolare, dal quadro d’assieme della campagna, episodi quali quello di un generale Comandante che sferrava un attacco prima dell’ora fissata, oppure quello di un Comandante di Brigata che rifiutava di rinviare un assalto (nel quale rimase ucciso) fino all’arrivo dei rinforzi.

La vera forza dell’esercito stava nello stimolo e nella disposizione di tutti i partecipanti a spingersi in avanti nonostante ogni ostacolo, poiché riconoscevano che a ciò erano legate le sorti della campagna. DAYAN M., La Campagna del Sinai 1956 pg 281, Milano ed Mondadori 1965

[49]La deliberazione della Risoluzione ad opera dell’Assemblea Generale Onu per l’intervento di una forza di Peace enforcement, rappresenta un caso assai particolare: tale modalità operativa  seguì la prassi originatasi il 03 novembre 1950 con la risoluzione 377/V “Uniting for peace” quando, durante la crisi coreana, venne stabilito esplicitamente che, a fronte dell’inerzia del Consiglio di sicurezza dell’Onu, sarebbe spettato all’Assemblea Generale provvedere alla predisposizione di un ”efficace misura collettiva per prevenire  e rimuovere le minacce alla pace[…] cfr art 1 Carta ONU.

[50] La forza venne posta al comando del generale E.L.M Burns (Canada) articolata su sette unità di fanteria (ognuna formata da un Battaglione), provenienti da India, Svezia, Danimarca, Norvegia, Colombia, Finlandia, Indonesia e Brasile.

[51] Premi Nobel per la pace: 10 Dicembre 1978.

(info: quaderni. cesvam@istitutonasatroazzurro.org)