Le celebrazioni del valore. Il centenario del Milite Ignoto

  

di Alessia Biasiolo

Un secolo fa, l’Altare della Patria di Roma, l’imponente monumento eretto in Piazza Venezia in onore di Vittorio Emanuele II, detto anche il Vittoriano, divenne protagonista della prima celebrazione del ricordo del Milite Ignoto. Infatti, il 4 novembre 1920 era prevista la Festa delle Bandiere, il raduno di tutti gli stendardi dei vari reparti militari che avevano combattuto durante la Grande Guerra da poco conclusasi. Era un anno difficile, quel 1920, perché la fatiche della guerra avevano prostrato tutti, ma la conclusione del terribile conflitto non aveva portato un immediato benessere. C’erano stati licenziamenti e fame, malattie e proteste. La “vittoria mutilata” non aveva rasserenato gli animi che, come dopo la non assegnazione del Veneto alla conclusione della Seconda Guerra d’Indipendenza, aveva portato sconforto negli ex combattenti, alcuni suicidi, molta amarezza e il senso di non appartenenza ad un Paese che li viveva come un peso.

La prima bandiera ad arrivare a Roma era stata quella dei Granatieri di Sardegna, arrivo concomitante al rientro nella caserma della capitale del reparto lì dislocato. La partenza dalle varie località delle varie bandiere dirette a Roma, aveva dato spazio ad ulteriori disordini che si era cercato di sedare, ed era stata attuata una campagna apposita per sottolineare la valenza patriottico-militare della Festa prevista in occasione della commemorazione della vittoria militare di soli due anni prima. Le bandiere che raggiunsero il Vittoriano in corteo il 4 novembre 1920 furono ben 335, sfilando davanti ai reali che si inchinarono al loro passaggio. Lo spettacolo era superbo, con molta folla e lancio di fiori. Oltre al Re e al Duca d’Aosta, presenziò anche il generale Armando Diaz che venne portato in trionfo dagli ex-combattenti, mentre la commozione generale raccolse gli animi in un legame nazional-patriottico indimenticabile. Soprattutto la menzione dei reparti assenti, dei caduti, il ricordo della sofferenza di molti per il bene di tutti, raccolse intorno alla manifestazione il consenso che la politica necessitava in quel momento così difficile. L’Italia aveva ancora bisogno di senso di unione, di senso di appartenenza di popolo e la manifestazione era riuscita a calmare per un momento gli animi, specialmente nei confronti della Casa Reale. Intorno a quell’evento, si cominciò a ritenere che anche l’Italia avrebbe dovuto avere il proprio Milite Ignoto, come già avevano organizzato la Francia e la Gran Bretagna proprio in quell’anno. Serviva un soldato che rappresentasse tutti quanti mancavano, quelli senza una tomba e morti senza una preghiera; coloro dei quali si era persa traccia per le bombe, l’avanzata o la rotta, perché il tempo aveva cancellato la pietosa deposizione di una croce di legno o di una pietra da parte dei commilitoni. La questione non era, ancora una volta, soltanto sentimentale, ma politica. Il disegno di legge per la celebrazione del Milite Ignoto era arrivato al governo, e continuò il suo iter malgrado il cambio di nomi nelle cariche pubbliche e malgrado i dibattiti, nelle aule e sui giornali. Alla fine, con discorsi toccanti, vere e proprie brecce nelle appartenenze trasversali, si arrivò al voto unanime e all’approvazione della costituzione dell’Ufficio Onoranze al Soldato Ignoto, presso il Ministero della Guerra. Una circolare del 30 settembre 1921, stabiliva che il giorno 4 novembre 1921 si sarebbe data degna sepoltura a Roma, presso l’Altare della Patria, alla salma di un soldato ignoto, cioè di cui non fosse possibile in alcun modo risalire alle generalità. Egli sarebbe stato il rappresentante di migliaia di uomini che avevano dato la vita per la nazione durante la prima guerra mondiale, combattendo per l’Italia dal 1915 al 1918. Ancora una volta le bandiere sarebbero state tutte presenti.

La scelta della salma, su proposta del generale Diaz, non sarebbe stata fatta da un comandante o da un funzionario, ma da una madre che non avesse potuto sapere dove fosse sepolto il proprio figlio. La componente emotiva era forte già sulla carta e lo divenne sempre più sul piano pratico, perché quello spirito di nazione si stava materializzando ancora, come nei mesi di guerra. E diventava importante il riconoscimento del dolore di migliaia di donne, che non solo dovevano piangere la perdita dei propri cari, mariti figli padri fratelli fidanzati, ma dovevano farsi carico delle conseguenze belliche, così come avevano fatto con immani sacrifici nei mesi, fino a quel 1921 in cui ancora non si vedeva la fine delle sofferenze.

Venne nominata una Commissione deputata ad andare a cercare 11 salme, come richiesto dalla circolare n. 71. I suoi membri avevano giurato che avrebbero taciuto per sempre sui luoghi di ricerca dei caduti, così da garantire l’assoluto anonimato del milite. Il pellegrinaggio iniziò dal Trentino e proseguì per alcuni giorni dell’ottobre 1921, passando per il Monte Ortigara, il Monte Grappa, il Montello, non dimenticando un marinaio, simbolo del sacrificio della Marina Militare. Si arrivò verso Gorizia, sul San Michele, il San Marco e il Carso, nomi che si erano scolpiti nella mente di ogni italiano, soprattutto dal 1917 alla vittoria del 4 novembre 1918. Undici salme che raggiunsero, nelle bare appositamente predisposte, nella Basilica di Aquileia. Lì, nel giardino del simbolo della cultura italica, giacevano i morti delle prime ondate belliche; lì aveva sostato in meditazione D’Annunzio; lì erano entrati, vincitori momentanei, gli austriaci; lì era subito stato sistemato il camposanto una volta riconquistato agli italici colori. Aquileia era il simbolo della sofferenza e di ciò che resta, dopo tutto, malgrado tutto.

L’imponenza della Basilica, dai meravigliosi affreschi romani, dal silenzio che cala dalle vette che la circondano, vegliava sul riposo dei resti della battaglia. Lì una madre avrebbe scelto il Milite Ignoto da inviare a Roma e lì sarebbero stati seppelliti gli altri, monumento eterno di tutti gli Italiani. Il giorno scelto per il riconoscimento era il 28 ottobre, in modo da poter fare arrivare, in treno, nella capitale, la salma del Milite Ignoto per il 4 novembre. La donna che riconobbe idealmente suo figlio tra le bare fu Maria Maddalena Bergamas, madre di Antonio, figlio unico, e la colonna sonora che accompagnò quel momento carico di commozione per tutti i presenti, centinaia di persone, fu un testo scritto da Giovanni Gaeta e noto come “La leggenda del Piave”, eseguito dalla fanfara della Brigata Sassari. Il Milite Ignoto e “La leggenda del Piave” diventarono emblema nazionale e sono vessillo ancora oggi non delle gesta di guerra, ma dell’amore materno, dell’amore filiale, dell’unità delle persone intorno alla vita vera e alla necessità di tutelarla e difenderla, bene prezioso e fragile allo stesso tempo. Una lezione che si rinnova ancora oggi, sotto varie forme, e un simbolo attorno al quale unirci per sentirci parte di un tutto al quale stiamo a cuore. Cent’anni dopo, nessuno si vergogna più delle bandiere esposte sui balconi e di essere italiano. Ignoto, nel sacrificio e nel dovere, nella dedizione e nella solidarietà. Combattente, anche se con altre divise, e forse nessuna.

 

Alessia Biasiolo