Cresciuto in una famiglia nella quale si fondevano i valori della Patria e di Dio esaltati dal padre, ufficiale di cavalleria, e dalla madre, pia e devota fino al misticismo, tali valori accoglieva nell’animo come alimento e forza inestinguibile della sua vita. Ciò che spiccava nella personalità di Umberto Visetti era una generosità senza limiti, un senso del dovere dimentico di-ogni calcolo, un’offerta di sé in risposta ad un profondo, incontenibile impulso interiore, con uno slancio dimentico di accorgimenti e di prudenza, trascinato dall’entusiasmo ed esaltato dall’ideale. Così si spiegano le diciannove ferite al Montello, in Libia, in Africa Orientale. Qui, episodio fra i tanti, fu visto lanciarsi impavido all’assalto di un’amba dell’altipiano etiopico dove si nascondeva insidioso, implacabile, il nemico: Umberto Visetti nominato, per il suo ardimento, Comandante del IV Battaglione Eritrei, che era stato di Toselli e del quale portava il nome glorioso e la “fascia” nera, doveva aprire la strada agli altri reparti. L’impresa da lui compiuta, che gli valse la Medaglia d’Oro, è degna di un canto epico ed appare quasi irreale; mostra Umberto nello sprezzo del pericolo, nell’offerta di sé come esempio, sublimata dai pensieri che lo sostenevano e che a tanto lo spingevano. Dimostrazione straordinaria dl valore, di un valore si direbbe sofferto perché era in lui un’innata avversione alla violenza e alla guerra, che contrastavano con un sentimento incontenibile del dovere fino alla lotta e al sacrificio, contro ogni viltà. Tale sentimento si spiega come naturale, generosa, cavalleresca disponibilità all’olocausto, al comando della coscienza. Le sue azioni che potevano apparire talvolta impulsive, furono sempre grandi e magnanime. Ad esse non seguiva il glorioso compiacimento ma la riflessione di un doveroso adempimento. Così è ricordato da chi lo vide, nel lontano ottobre 1937, dopo la tremenda mischia affrontata col battaglione Toselli sull’Amba Denghezi. Disteso sul suolo sconnesso e sassoso, in una misera capanna, col petto crivellato e rigonfio di cotone insanguinato, il braccio frantumato, fra la vita e la morte, ma con una strana serenità, una forza nel corpo di morituro che vinceva l’emozione dei presenti. Di quell’eroica impresa resta la motivazione della Medaglia d’Oro che ricorda lo stupore dello stesso avversario ammutolito di fronte al capitano italiano caduto con quasi tutti i suoi uomini nel nome della Patria lontana, nell’orrida vastità di una terra ostile. Sopravvisse Umberto Visetti, esempio e fermezza in ogni atto. Una conoscenza esauriente di Umberto Visetti richiederebbe la narrazione accurata di molti aspetti, talvolta sconcertanti, della sua dinamica vita, impostata e diretta da indole generosa, per imprese e situazioni delle quali sembrava si sentisse estraneo, ma che ne misuravano la grandezza d’animo. Se talvolta errò, e lo riconosceva, fu per sovrabbondanza di entusiasmo, di perenne donazione di sé, di un’ansia per l’azione nella quale si esprimevano esternamente un coraggio indomito, ma nell’animo una presenza continua di Dio. Così visse per diciassette anni di servizio e di guerra, così fu onorato e forse contestato dai mediocri come ufficiale ma sempre onorato da chi, come lui, degnamente serviva la Patria. Fu presente in Africa Settentrionale e nell’inferno della Marmarica cadeva ferito accanto al suo generale Maletti che prima di morire ripeteva: “C’è gente che non sa vivere ma noi sappiamo morire”.
Cessata la bufera della guerra, ci fu il raccoglimento dell’animo ardente di conoscenza, dopo trent’anni migliori della vita, dedicati alla Patria, si volgeva ad un altro fronte, a quello di Dio, che aveva sempre intensamente pregato quasi a chiedere perdono ai cedimenti sofferti, alla violenza cui era stato chiamato. Diventava soldato di Cristo, combattente focoso con la parola, appassionato fratello alle sventure del prossimo, consolatore degli uomini; reduce dagli orrori della guerra si lanciava nelle battaglie incruente dello spirito, alle vittorie non effimere dell’anima. Il capitano, deposte le spalline e indossato il rude abito del cappuccino. non comandava più i reparti, ma diveniva subalterno di tutti, servo degli umili e dei buoni. Il forte comandante del battaglione Toselli, l’ardito temerario del Montello, l’impavido combattente nelle sabbie della Marmarica avrebbe ubbidito a tutti, al servizio degli uomini nel nome di Dio.
Dio l’aveva chiamato, e alla chiamata aveva risposto, per una nuova vita, con un altro nome: Frate Agostino di Cristo Re. La storia della sua esistenza che comprende gli animosi anni giovanili, le imprese di guerra, i riconoscimenti e le Decorazioni, la vocazione e l’impegno religioso, è la storia di un uomo che visse intensamente le vicende di mezzo secolo, profondamente e totalmente partecipe, rispondendo sempre ad un comando imperioso, quello del dovere. Umberto Visetti si colloca nella nobile schiera degli uomini che hanno onorato la nostra terra; la sua figura merita di essere ricordata con un segno concreto, con una iniziativa che lo additi all’ammirazione ed alla gratitudine, che lo preservi dalla negligente indifferenza e lo proponga come alto e morale esempio di vita. G. Gazzoli
(da “Il Reduce d’Africa – 1989)
NOTE BIOGRAFICHE
Umberto Visetti nacque nel 1897 a Saluzzo (Cuneo). Interrotti gli studi liceali, si arruolava volontario il 29 ottobre 1915, appena diciassettenne, nel 4° Reggimento Bersaglieri. Nominato sottotenente nel 94° fanteria nel settembre 1916, partecipò alle operazioni di guerra col 68° Reggimento. Gravemente ferito, fu promosso tenente nel giugno 1917. Tornato in linea sul Montello nel gennaio 1918 col V Battaglione d’assalto, si distingueva ancora una volta a Pieve di Soligo durante l’offensiva di Vittorio Veneto. Congedato nel marzo 1919, riprendeva gli studi interrotti, ma verso la fine dell’anno partecipava all’impresa di Fiume. Ancora congedato nel maggio 1920 e conseguita la laurea in giurisprudenza all’Università di Torino, si dedicava alla professione e al giornalismo. All’inizio della campagna etiopica si trovava a Parigi addetto all’ufficio stampa dell’Ambasciata italiana e rientrato in Italia si arruolava volontario nella Divisione “Peloritana” mobilitata, con la quale prendeva parte alle operazioni di guerra in Somalia. Nell’aprile 1937, assegnato all’11° Reggimento Granatieri e destinato alla 2° Brigata Coloniale, gli veniva affidato il Comando della 3^ Compagnia del Battaglione “Toselli”. Promosso capitano con anzianità 1935 e rimpatriato per le gravi mutilazioni riportate nel combattimento di Derngheziè, dopo degenza in ospedale veniva collocato in congedo. Richiamato a domanda nell’agosto 1940, era destinato nuovamente in Africa al Battaglione Fanteria libica “Zuara”, mobilitato. Ferito nel combattimento di Alan el Nibewa e raccolto sul campo dal nemico, veniva rimpatriato su nave ospedale per scambio di malati nel maggio 1943. Partecipava alla lotta di liberazione dall’8 settembre 1943 all’aprile 1945, poi, a guerra conclusa, entrava nell’Ordine degli Agostiniani e tre anni dopo veniva ordinato sacerdote. Stabiliva la residenza a Firenze, trasferendosi presso la Casa del Clero S. Pio X, dove si è spento il 27 dicembre del 1973.
DECORAZIONI AL VALOR MILITARE
Medaglia d’Oro al Valor Militare
«Rinnovellava in terra d’Africa le leggendarie tradizioni del volontarismo e dell’arditismo della grande guerra. In combattimento aspro e cruento, durato più di undici ore, comandante di compagnia, estrema avanguardia di tutta la colonna, si lanciava audacemente all’assalto di fortissime posizioni che l’impervia natura del terreno e la rabbia abissina rendevano pressoché imprendibili. Ferito una prima volta al capo, una seconda volta alla testa dell’omero e spalla sinistra, proseguiva imperturbato ad avanzare, trascinando col valore e con l’esempio i suoi ascari già duramente provati. Ferito ancora al polso destro da pallottola esplosiva, magnifico di calma e di cosciente spirito di sacrificio, infliggeva forti perdite al nemico, occupando la posizione al grido di «Savoia», disperatamente contendendola ai reiterati contrattacchi nemici. Travolto, infine, da una raffica di mitragliatrice al petto, che gli trapassava i polmoni, cadeva fra le urla dei ribelli; ma con mirabile forza di volontà si rialzava per gridare: « Viva il Re! » e, fatti ancora pochi passi, ricadeva svenuto. Ad un ufficiale sopraggiunto con rinforzi, per ricuperare il suo corpo, non appena ripresa conoscenza, ordinava di non occuparsi di lui, ma di difendere la posizione così duramente conquistata, e, con sereno stoicismo, esortava l’ufficiale medico accorso, a rendere prima le sue cure agli ascari che d’ogni intorno coprivano il terreno. Lo stesso feroce avversario percosso da tanto fulgido valore in uno dei frammischiamenti della pugna, lungi dall’infierire sull’eroico combattente gli tributava la fantasia che già i suoi avi avevano cantata sul caduto Leone di quel medesimo battaglione nero.» Dengheziè, 9 ottobre 1937.
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«Durante un attacco notturno austriaco, accortosi che il nemico apriva un varco tagliando il reticolato con le pinze, da solo si spingeva fuori dalla trincea per accertarsi dell’entità dell’attacco. Muoveva quindi al contrattacco, alla testa del reparto, al canto dell’inno e respingeva il nemico catturando quindici prigionieri.» Bosco Montello, 18 giugno 1918.
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«Comandante di compagnia, puntava decisamente sull’obiettivo assegnatogli attraverso una zona intensamente battuta; attaccava con perizia e ardire Pieve di Soligo e Soligo, volgeva in fuga l’avversario molto più forte di numero e occupava di slancio, sempre alla testa dei suoi arditi, la cima di Col S. Gallo, catturando numerosi prigionieri e mitragliatrici. Nella vittoriosa marcia per la conquista della conca bellunese, dava ancora prova di coraggio e virtù guerriere.» Pieve di Soligo, 29 ottobre – 1º novembre 1918.
Medaglia di Bronzo al Valor Militare
«Alla testa del proprio plotone, lo trascinò con bello slancio all’attacco di una forte posizione spingendosi con sprezzo del pericolo, fin sotto i reticolati. Mentre poi tentava di oltrepassarli, venne gravemente ferito.» Monte Santo, 18 maggio 1917.
Medaglia di Bronzo al Valor Militare
«Partecipava volontario con una squadra di mitraglieri a sostegno di una banda incaricata di un colpo di mano, dando prova di slancio e ardimento. Notato che un ascari ferito stava per essere raggiunto da un nucleo di ribelli, interveniva prontamente con fuoco della sua arma riuscendo a fugare l’avversario ed a salvare il ferito trasportandolo a spalla in luogo sicuro. Successivamente alla testa di pochi ascari affrontava ed inseguiva elementi avversari.» Giabassirè, 16 agosto 1936-XIV.