Mario Montebello, un marinaio d’altri tempi.
Mario Montebello classe 1918, mio suocero, nasce a Giulianova città di mare di quel tratto di costa abruzzese tanto caro a D’Annunzio. Come tanti giovani di allora vive i turbolenti anni tra le due Guerre Mondiali e animato da spirito patriottico si arruola nella Regia Marina, all’età di vent’anni.
I suoi primi anni in uniforme con il grado di 2° Capo MN (nda: Motorista Navale) sono trascorsi in Pola dove, dopo un periodo di tirocinio, viene poi imbarcato sulla motonave “Lete”(1), un trasporto nafta lento e bersaglio immobile come soleva dirmi in quelle rare occasioni di quando mi parlava di quegli anni vissuti in Marina tra comune esaltazione e tribolazioni.
Il “Lete”
L’inizio della Seconda Guerra Mondiale lo trova a Pola e li “tra il desiderio di menare le mani”, come la propaganda di allora suggeriva, e serate passate in balera a tentare, spesso invano, di ballare con qualche avvenente signorina al ritmo musicale delle orecchiabili melodie del Trio Lescano o di Natalino Otto, trascorreva i primi mesi del conflitto con il suo amico “Paco” (ndr: non se ne conosce, purtroppo, il nome e cognome ma solo il suo amichevole nomignolo), un marinaio del “Lete”, un gigante triestino sempre pronto alle “scazzottate” quando qualche geloso fidanzato rappresentava inutilmente i sensi della sua disistima.
(1) Nota: Nave trasporto nafta. Costruita presso la Soc. Esercizio Bacini di Riva Trigoso, entrò in servizio nel 1916. Dislocamento: 1.182 tons, dim. (mt): 51,3 X 9,32 X 3,35, App. motore: Diesel “Tosi” da 750 hp; 1 elica; 7kn. Unità gemella alla RN “Cocito” (fonte: A. Fraccaroli “Marina Militare Italiana 1946″ p.178).
Raccontava di quel breve periodo a Pola sul finire dell’Estate del 1940 quando le sorti del conflitto sembravano oramai segnate a favore dell’Asse e dove ad un Tabarin organizzato per i militari italiani li acquartierati vede Renato Rascel mentre viene arrestato dall’OVRA(2) insieme a tutta la
sua compagnia teatrale che sulle note di “… è arrivata la bufera è arrivato il temporale, c’è chi sta bene e chi sta male…” esprimeva, con “l’operetta”, il suo dissenso verso il Fascismo. Come Sottufficiale di Marina si perfeziona nella meccanica dei motori navali e riceve la specializzazione per la conduzione dei potenti motori navali Isotta Fraschini (nda: Asso 1000 da 2000 CV) dei nuovi MAS classe 500(3), allora appena entrati in servizio nella Regia Marina.
Soleva ricordare che in più di un’occasione, durante le adunate oceaniche in occasione di visite di Gerarchi e Gerarchetti veniva diffuso in modo marziale e stentoreo, tramite dei potenti altoparlanti, l’andante “…marinai d’Italia ricordate, il vostro petto è più forte del ferro che cinge le nostre navi…” e su questo, tra i coscritti di allora, venivano inscenate delle variopinte perplessità.
Il desiderio di avere un ruolo attivo nei combattimenti in corso, comune tra i giovani di allora, complice anche una propaganda assillante e omnipresente, indusse mio suocero e l’amico Paco a chiedere il trasferimento, da volontario, in Unità navali da combattimento.
Mario Montebello in posa davanti al MAS
E così, anche per “l’expertise” acquisita sui motori dei MAS, Il Secondo Capo MN Mario Montebello, nonostante i paterni rimbrotti del Sottufficiale più anziano della vecchia petroliera militare, viene assegnato alla IX Squadriglia della II Flottiglia(4) MAS di stanza nel Mar Ionio mentre l’amico Paco finisce sull’Incrociatore “Pantera” (nda: in effetti si trattava del Cacciatorpe-
(2) Nota: Polizia segreta dell’Italia fascista dal 1927 al 1943. Termine comunemente utilizzato per riferirsi alla polizia
politica fascista attiva durante il ventennio.
(3) Nota: i MAS 500 furono dei motoscafi armati siluranti concepiti verso la fine degli anni trenta del ventesimo secolo; vennero dotati di motori Isotta Fraschini Asso 1000. Ne furono prodotte 75 unità tra il 1937 e il 1941 e ne erano in servizio 48, nel 1940. Efficienti in acque assai calme, la loro carena a spigolo con gradino non le rendeva adatte per mari più agitati. Avevano un motore principale di 2000 CV e le prime due serie erano dotate di un motore ausiliario da 80 CV. La velocità era per la prima e seconda serie di 48 nodi (col motore principale) e di 6 nodi (motore ausiliario), mentre per la terza e quarte serie, più pesanti di oltre 4 tonnellate, scendeva a 43 nodi. Il loro armamento era di una mitragliera contraerea da 13,2mm, che venne sostituita da una da 20 mm nella III e IV serie; le armi principali erano due siluri da 450 mm, ed una tramoggia per le bombe di profondità. L’equipaggio era formato da nove uomini.
(4) Nota: la IX Squadriglia, inquadrata nella II Flottiglia MAS posta alle dipendenze del Comando militare marittimo “Sicilia” (base: Messina), era composta dai MAS 512, 513, 514 e 515 dislocati a partire dal mese di maggio (circa) del 1941 nella base militare della Regia Marina di Argostoli (Cefalonia). Fonte: “La Marina italiana nella Seconda Guerra Mondiale: L’organizzazione della Marina durante il conflitto”, Ufficio storico della Marina, 1972.
diniere “Pantera”)(5) in Africa Orientale dove troverà la morte, nel 1941, durante un eroico combattimento.
Erano tempi difficili, MAS della IX Squadriglia erano impegnati ogni giorno nella lotta antisommergibile e quali scorta dei numerosi convogli da e per l’Albania, e poi Grecia, che trasportavano ingenti quantità di uomini e mezzi e con questi le speranze, del governo di allora, di emulare le gesta delle Aquile romane nei paesi che circondavano il “mare nostrum”.
Mi raccontava in particolare di quel giorno di Natale del 1941 passato a bordo del MAS in un mare perennemente agitato, sotto la pioggia battente, quando si dividevano in gavetta, per festeggiare l’arrivo del Salvatore, un brodo di verza, qualche galletta ed una scatoletta di carne da dividere, con parsimonia, una ogni tre marinai.
Lui era il responsabile del funzionamento del potente motore navale del veloce motoscafo armato ed insieme a due marinai, in coperta, doveva lubrificare costantemente, con dell’olio minerale, l’asse di trasmissione che tendeva a surriscaldarsi.
Comandava la II Flottiglia un Capitano (nda: di Fregata) di Ancona che prima della guerra aveva prestato servizio in un transatlantico. Che dire? Probabilmente l’incarico a questi (nda: di cui non si conosce purtroppo il cognome) affidato in guerra era dovuto più forse ad una libera scelta dell’Ufficiale di Marina, animato da fuoco patrio, che ad una lungimirante politica di impiego del personale basata sulle esperienze professionali e sul pregresso lavorativo.
E così, nei primi giorni del gennaio 1942 (nda: la data non è nota), alla Flottiglia viene dato l’ordine di dar la caccia ad un sommergibile inglese autore di diverse azioni condotte ai danni del naviglio italiano ad ovest di Cefalonia (nda: isola greca) (6).
Da quanto raccontatomi, dei quattro MAS della Flottiglia ne partono, all’albeggiare del Sole, solo tre, probabilmente il quarto era fermo nel porto di Argostoli per una riparazione.
(5) Nota: Alla data dell’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale apparteneva alla V Squadriglia. Cacciatorpediniere con base a Massaua insieme ai gemelli Leone e Tigre. Comandante della nave era il Capitano di Fregata Paolo Aloisi. All’imminenza della caduta dell’Africa Orientale Italiana, in vista della resa di Massaua, fu organizzato un piano di evacuazione delle unità dotate di grande autonomia (mandate in Francia od in Giappone) e di distruzione delle restanti navi. I cacciatorpediniere li stanziati non avevano autonomia sufficiente a raggiungere un porto amico, quindi si decise il loro impiego in una missione suicida: un attacco con obiettivi Suez e Porto Said. Appena una trentina di miglia da Porto Said, dopo una navigazione di 270 miglia, le navi furono massicciamente attaccate da circa 70 bombardieri Bristol Blenheim ed aerosiluranti Fairey Swordfish che arrivarono ad ondate. Rotta la formazione, i cacciatorpediniere gravemente daneggiati e colpiti a morte quando attaccati anche da un gruppo di cacciatorpediniere inviato contro di loro, diressero verso est, per raggiungere le coste coste arabe saudite, ove si autoaffondarono..
(6) Nota: il 2 gennaio 1942 viene attaccato e gravemente danneggiato il piroscafo “Anna Capano” a cannonate al largo di Cefalonia ad opera di un sommergibile (il giorno dopo il piroscafo, alla deriva senza equipaggio, viene portato ad incagliasi per evitare l’affondamento); il 4 gennaio 1942, al largo della stessa isola, il Dragamine R-195 “Nuovo S. Pietro” della Regia Marina viene affondato anch’esso a cannonate da un sommergibile. Il sommergibile è ritenuto essere l’HMS “Thunderbolt” N25 della Royal Navy, attivo in quelle acque proprio in quei giorni durante la sua decima “war patrol” nel Mediterraneo. Il sommergibile “Thunderbolt” sarà poi affondato al largo di Capo S. Vito in Sicilia, il 14 marzo 1943, dalla Corvetta “Cicogna” della Regia Marina. Fonte: British National Archives at Kew, London ADM 199/1152.
La navigazione, a tutta manetta, con i MAS che scivolavano a pelo d’acqua a 45 kn (nda: nodi, oltre 80 km/h), complice un mare stranamente calmo per quel periodo dell’anno, procedeva su ordine del Comandante la Flottiglia tra banchi di nebbia e proprio in uno di questi, forse per un errore di rotta legato al concitato momento, i MAS vanno ad incappare su un banco di scogli appena affioranti.
Il primo MAS si sfracella ed affonda immediatamente, il secondo termina la sua corsa incastrandosi, fortemente inclinato su di uno scoglio ed il terzo MAS, dove era imbarcato il Secondo Capo Mario Montebello, vista la sorte degli altri due cerca di “frenare” dando “l’indietro tutta” agli organi di moto del potente motore Isotta Fraschini.
In questa “frenata”, mio suocero, in coperta, fa un volo di circa tre metri e sbatte la testa sul motore riportando, per fortuna, un “lieve” trauma cranico (nda: forse proteggendosi con le mani poco prima dell’impatto…). Il MAS impatta, comunque, sui sommersi banchi di roccia e riporta il danneggiamento del timone, sì da poter girare solo in circolo.
Per beffa del destino, al diradarsi della nebbia, emerge il sommergibile inglese(7) che armato il cannone, vista la “ghiotta” occasione, comincia a tirare ad alzo zero sui due sfortunati MAS superstiti.
A nulla vale il tentativo di controbattere al fuoco del cannone con la “breda” da 13 millimetri (nda: questo parrebbe suggerire che i MAS della Flottiglia fossero della prima o seconda versione, quella più veloce, ma meno armata), visto che il cannone del sommergibile era posto sulla falsa torre blindata a protezione dei serventi.
HMS « Thunderbolt » N25, sommergibile inglese della Classe T (Triton).
Quando gli artiglieri dell’HMS “Thunderbolt” cominciano ad aggiustare il tiro e la fine dei due MAS sembra vicina, a salvare la situazione accorre uno JU87 “Stuka” che ululando in picchiata costrinse il sommergibile ad immergersi velocemente e a scivolare via dal luogo dello scontro.
(7) Nota: Diversi battelli di questa classe (T class o Triton, battello capostipite della classe) erano attivi nel Mediterraneo durante il secondo conflitto mondiale. In particolare i sommergibili di questa classe erano armati con un cannone da 101mm disposto in torretta (a vantaggio della protezione del personale servente il pezzo).
I mesi seguenti del ‘42 trascorrono tra alterne vicende facendo spola con i due MAS superstiti (il 514 ed il 515) tra l’Italia (Brindisi) e la Grecia (Cefalonia) scortando convogli e fornendo protezione anti-sommergibile.
Mi raccontava che quando procedevano sulle rotte stabilite da Supermarina c’era sempre qualcuno ad aspettarli… vuoi un aereo, oppure dei cacciatorpediniere dai quali, appena se ne scorgeva all’orizzonte il fumo, ce ne si disimpegnava grazie all’alta velocità del motoscafo armato.
In buona sostanza sulla rotta per i “rendez vous” con i convogli e scorta durante, il nemico sembrava sapere le mosse in anticipo (nda: probabilmente per attività di Intelligence legata alla decrittazione della cifrante tedesca “Enigma” ad opera dell”Ultra” del servizio di spionaggio britannico).
Per questo motivo, da un certo punto in poi le rotte per raggiungere le zone marittime punto d’incontro delle scorte con i convogli venivano decise al momento, seguendo itinerari “a zig-zag”.
– nel 1942 (TBD) operazione ernia
- Primi di set. 43 a Cefalonia
- (6 settembre 43) rientro in Italia a suon di cannonate
- ottobre 43 – luglio 1945
- Brindisi ed il Re
- San Marco e Parà
- il congedo 5 luglio 1945
- onorificenze postume
MAS 512 – classe “500”, prima serie – Dislocamento: 24 tonnellate – Velocità: 42 nodi – Equipaggio: 9 – Armamento: 1 pezzo da 13,2, 2 lanciasiluri da 450, 1 scaricabombe antisommergibili – Nota: unità con carena a due gradini; non molto robusto, ma veloce e manovriero – Storia: in servizio nel 1937; affondato nel gennaio 1942 sulla costa dell’isola di Cefalonia (Grecia) per incaglio
MAS 513 – classe “500”, prima serie – Dislocamento: 24 tonnellate – Velocità: 42 nodi – Equipaggio: 9 – Armamento: 1 pezzo da 13,2, 2 lanciasiluri da 450, 1 scaricabombe antisommergibili – Nota: unità con carena a due gradini; non molto robusto, ma veloce e manovriero – Storia: in servizio nel 1937; affondato nel gennaio 1942 sulla costa dell’isola di Cefalonia (Grecia) per incaglio
MAS 514 – classe “500”, prima serie – Dislocamento: 24 tonnellate – Velocità: 42 nodi – Equipaggio: 9 – Armamento: 1 pezzo da 13,2, 2 lanciasiluri da 450, 1 scaricabombe antisommergibili – Nota: unità con carena a due gradini; non molto robusto, ma veloce e manovriero – Storia: in servizio nel 1937; fatto demolire dagli Alleati nel 1949 in base al Trattato di Pace
MAS 515 – classe “500”, prima serie – Dislocamento: 24 tonnellate – Velocità: 42 nodi – Equipaggio: 9 – Armamento: 1 pezzo da 13,2, 2 lanciasiluri da 450, 1 scaricabombe antisommergibili – Nota: unità con carena a due gradini; non molto robusto, ma veloce e manovriero – Storia: in servizio nel 1937; fatto demolire dagli Alleati nel 1949 in base al Trattato di Pace
Argostoli
Cefalonia, Settembre 1943. Alcuni militari tedeschi osservano Argostoli da un’altura sul lato opposto della baia(Y).
(Y) Nota: Immagine tratta dal volume di Hermann Frank Meyer, “Il massacro di Cefalonia e gli altri crimini di guerra della Prima divisione da montagna tedesca”, Prefazione di Giorgio Rochat (traduzione di Enzo Morandi, a cura di Manfred H. Teupen), Gaspari, Udine.
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