Il 15 agosto 1942, alle ore 08,00, salpava da Napoli un convoglio diretto a Tripoli, costituito dalla Motonave Rosolino Pilo (8.325 Tsl) e dai Cacciatorpediniere Maestrale (capo scorta) e Vincenzo Gioberti. Alle prime ore del giorno 16 il convoglio era dirottato a Trapani, da dove ripartiva alle 05,30 del giorno 17. All’uscita dal porto, il Maestrale aveva segnalato che, a causa di un’avaria alle colonnine di punteria di dritta, esso, contrariamente alle norme vigenti, avrebbe occupato il posto a sinistra del Pilo; il Gioberti, pertanto, procedeva stando sulla dritta, dalla parte del sole. La navigazione procedeva tranquilla: i due Caccia navigavano in posizione di scorta avanzata, seguiti dal Pilo e nel cielo vigilava un certo numero di aerei tedeschi, i quali, tuttavia, verso le ore 15,00, giunti al limite dell’autonomia, abbandonarono il convoglio.
Nonostante il sole infuocato e l’intensa luce solare che si rifletteva nell’acqua, le vedette vigilavano attente; alle ore 15,50 veniva segnalato: “aerei ore 6”. Dall’ala di plancia di sinistra l’Ufficiale di guardia (ero io) si volse a guardarli e mentre gridava “Sono troppi e troppo bassi!”, precipitandosi a dare l’allarme col clakson, gli aerei, che stavano arrivando velocissimi, si allargavano verso l’esterno e attaccavano il convoglio con rotta perpendicolare ad esso, sul suo lato dritto, avendo il sole alle spalle e sparando con tutte le loro armi (quattro mitragliere da 20 mm e quattro da 7,7 mm). Il nostro fuoco contraereo era violentissimo, ma, ciò nonostante, uno degli aerei, puntando direttamente su noi, all’altezza della plancia, falciò tutto il personale che si trovava dalla sua parte, dal FAPC a sottocastello. A un certo punto l’aereo lanciava contro di noi anche un siluro. Una rapidissima accostata a dritta, con tutta la barra, evitava che la nave fosse colpita: il personale che si trovava a poppa riferì, poi, che il siluro era passato a pochi metri.
L’ordine di accostare era stato dato dal Comandante (C.F. Cianroberto Burgos di Pomaretto) che, pur colpito alla prima raffica, si era rialzato in tempo per ordinare: “Tutta la barra a dritta!” E il timoniere, ucciso dalla seconda raffica, era riuscito ad eseguire l’ordine prima di cadere.
L’aereo cabrò nettamente sulla nostra verticale, così basso che il puntatore del complesso binato da 20 mm, anch’egli ferito, vide arrivare a segno i suoi colpi, ma senza alcun risultato, a causa della corazzatura dell’aereo. Contemporaneamente a noi gli aerei attaccarono anche il Pilo che non solo fu mitragliato, ma fu anche colpito da un siluro che lo immobilizzò. Il Maestrale, che era rimasto miracolosamente illeso, ne tentò inutilmente il rimorchio. Nella notte il Pilo fu nuovamente silurato e affondato dal sommergibile P 44 (United).
L’attacco dell’aereo, anche se non aveva provocato danni tali da compromettere l’efficienza della nave, aveva avuto, tuttavia, risultati devastanti: a prescindere da alcuni piccoli focolai d’incendio, peraltro prontamente domati, ben 83 uomini erano stati colpiti. Tra i feriti c’erano il Comandante, il Comandante in Seconda, il Direttore del Tiro e il suo sottordine, l’Ufficiale Tiratore e l’Ufficiale Medico: in pratica tutto lo Stato Maggiore della nave, esclusi l’Ufficiale di Rotta e il suo sottordine. Ad eccezione del personale di macchina, ufficiali compresi, che non aveva avuto perdite, la maggior parte dei feriti era costituita da cannonieri, da mitraglieri e dal personale addetto alla plancia. Benché ferito alla mano destra, senza l’aiuto del sergente infermiere, ferito piuttosto gravemente, cominciai subito a soccorrere i numerosi feriti, aiutato dai due ecogoniometristi che, a viva forza, ero riuscito ad addestrare come infermieri ausiliari, senza, tuttavia pensare che, un giorno, essi avrebbero potuto veramente essermi di aiuto. Nonostante tutto al momento dello sbarco tutti i feriti non solo erano stati medicati, ma avevano anche il loro bravo cartellino, che, come prescritto, indicava le loro ferite. ln plancia, gravemente ferito all’addome, giaceva un marinaio che con la plancia non aveva nulla da vedere.
Era il marò Battiloro, ripostiere del Quadrato Ufficiali, che poco prima dell’attacco era salito in plancia per portare un caffè al Comandante. Stante le sue condizioni egli fu adagiato sul divano del Comandante, in Sala Nautica, mentre questi, anch’egli gravemente ferito, veniva sistemato su una sedia a sdraio accanto al divano. Battiloro era un umile pescatore di Torre del Greco, grassoccio, con i capelli rosso fuoco e il volto e le mani ricoperti di lentiggini: era imbarcato, recluta, poco prima che il Gioberti lasciasse l’Arsenale di La Spezia, al termine dei grandi lavori. All’atto dell’arruolamento, Battiloro era stato classificato “Marinaio servizi vari” (in gergo Marò) e, giunto a bordo del Gioberti, era stato destinato, quale ripostiere, al Quadrato Ufficiali: il suo posto di combattimento era al complesso di poppa, quale rifornitore. Battiloro era un bravo ragazzo, disciplinato, gentile, servizievole, voglioso di imparare, ma aveva un grosso difetto, quello di non curare in alcun modo la divisa, tanto da essere considerato “sporco”. Era stato così che un giorno il Comandante, avendolo visto in quelle condizioni, lo aveva duramente rimproverato, minacciando addirittura di sbarcarlo e aveva ordinato di allontanarlo dal Quadrato Ufficiali. Battiloro era stato destinato, allora, al Quadrato sottufficiali, ma allontanato anche di qui, era sceso ancora più in basso, adibito alla pulizia sottocastello: questo aveva, tuttavia, fatto sì che egli cominciasse a curare maggiormente la persona, tanto da riuscire a compiere il cammino inverso e tornare a fare il ripostiere in Quadrato Ufficiali. E nella sua qualità di ripostiere, Battiloro era venuto a portare un caffè al Comandante: si era, cosi, trovato in plancia al momento dell’attacco ed era stato colpito.
Ora egli era in Sala Nautica, sdraiato sul divano del Comandante, anch’egli ferito, che era lì, su una sdraio, vicino a lui. Battiloro, per quanto gravi fossero le sue ferite, era pienamente cosciente della situazione e, anche se le forze lo andavano abbandonando, aveva chiesto che non lo lasciassero sul divano del Comandante, perché non stava bene che lì ci fosse proprio lui. A un certo punto egli si rivolse al Comandante e con voce flebile gli disse: “Vedete, Comandante, ora sono pulito e Voi non mi sbarcherete più. Vero?”. E aggiunse: “Ora sono ferito, ma quando sarò guarito tornerò a bordo e allora Voi mi terrete ancora?” II Comandante incominciò, allora, a parlargli: gli disse che, sì, aveva già notato come egli fosse in ordine con la divisa, poi, continuò dicendo che tutti e due sarebbero andati insieme all’ospedale e che poi tutti e due sarebbero andati in licenza (perché i feriti, per tornare a bordo debbono aver recuperato tutte le loro forze) e che poi, sempre tutti e due, sarebbero tornati a bordo del Gioberti.
Le condizioni di Battiloro andavano aggravandosi, ma egli faceva cenno di assentire con la sua testa rossa. Poi, a un certo punto, si rivolse al Comandante e gli chiese che gli prendesse la mano e così, mentre il Comandante, tenendogli la mano, continuava a parlagli, Battiloro, a poco a poco, si spense: solo allora, lentamente, il Conte Gianroberto Burgos di Pomaretto sciolse la sua mano da quella dell’umile pescatore di Torre del Greco. A notte il Gioberti entrò nel porto di Trapani. La manovra fu diretta dal Comandante che si teneva in piedi sorretto da due uomini. AI posto di manovra, a poppa, giacché quasi tutti i cannonieri erano morti in combattimento, c’era il personale di macchina, ai miei ordini: quello era, infatti il mio posto di manovra abituale, agli ordini del Direttore del Tiro.
Nonostante l’inesperienza degli uomini, la difficoltà di ormeggiare la nave col fianco alla banchina, a causa della presenza di altre unità ormeggiate di poppa, la manovra riuscì più che bene. Le perdite del Gioberti erano state forti: 67 feriti e 16 Caduti. Tra questi c’era il Marò Battiloro che si era presentato al suo incontro col Destino stando nel posto sbagliato, a bordo di una nave che si era trovata, anch’essa, nel posto sbagliato.
Carlo Sabatini (Presidente della Federazione di Modena)