Da “Il Nastro Azzurro” n°6-2010
In questa Italia, che è stata culla di civiltà ed è ricolma delle insigni testimonianze delle varie arti che, come in nessun altro Paese, vi sono rappresentate ai massimi livelli, ci si dimentica troppo spesso della scomoda memoria dei tanti italiani che hanno illustrato la Patria con il loro purissimo eroismo anche se dovettero battersi in condizioni di grande inferiorità per equipaggiamento, armamento e, ahimè non raramente, per incapacità e, in taluni casi, vigliaccheria se non addirittura connivenza con il nemico degli Alti Comandi. Mi rivolgo ai giovani – sui quali poggiano le speranze del nostro Paese per un avvenire meno convulso ed arido di quello che stiamo vivendo – perché possano ricordare che esiste un altro patrimonio di inestimabile valore che, giorno dopo giorno, sta sprofondando nell’oblio e, oserei dire, nel quasi disprezzo ufficiale: il patrimonio morale lasciatoci da coloro che, anche nella seconda guerra mondiale, alla Patria fecero olocausto della vita o che, comunque, la Patria stessa servirono eroicamente.
Non si vuole qui assolutamente esaltare il nazionalismo ma il vero patriottismo. ln un suo messaggio, l’ex Presidente Internazionale del Rotary, Luther Hodgeg, diceva pressappoco cosi: “Io ritengo che il miglior cittadino del mondo sia colui che è, anzitutto, orgoglioso della sua propria Nazione e sia leale con essa.” La migliore speranza nello sviluppo delle Nazioni si trova nel patriottismo e nella lealtà che sono stati risvegliati dal raggiungimento dell’indipendenza politica. La lealtà verso la casa e la terra non deve essere precaria. Il ricordo pertanto dei Fratelli caduti nell’adempimento di uno dei nostri principali diritti-doveri di cittadini deve essere, per i sopravvissuti e per i posteri, un dovere assoluto. Invece, il velo di oblio steso su tanti sacrifici e tanti eroismi viene giustificato dal desiderio di non rinfocolare odi, di non celebrare una guerra non voluta ma di ricondurre gli animi sulla strada della comprensione e dell’amore. Nel frattempo non si perde occasione per ricordare atroci fatti di sangue attribuiti ai “nazifascisti ” e le nostre case editrici sembra facciano a gara nel divulgare libri italiani dai quali la figura del combattente italiano esce immiserita e vilipesa. È evidente lo sforzo teso a cancellare dalla nostra memoria ma, più che altro, ad evitare che si formi nella memoria delle nuove generazioni, il ricordo di coloro che, senza calcoli di utilità personale, risposero all’appello della Patria in armi ed alla stessa offrirono anche il sacrificio supremo della loro vita. ln questa situazione, quale concetto ritenete possano farsi dei loro padri e dei loro nonni i nostri figli e nipoti e quale rispetto possano provare per loro dato che, secondo gli storiografi ufficiali (ed i libri di scuola), non hanno fatto che scappare dall’inizio alla fine della guerra? Eppure le cose sono andate ben diversamente se lo storico inglese Gorelli Barnett, commentando la battaglia di El Alamein, cosi ha scritto: “Considerata l’immensa superiorità di forze fra le opposte armate, quello che sorprende di più non è il fatto che vincessimo la battaglia, ma che fossimo stati sul punto di perderla e che le forze dell’Asse siano riuscite, per 12 lunghi giorni, a sbrogliarsela contro una forza talmente superiore.” Questo non è un inno alla guerra. Sarebbe delittuoso instillare nei giovani l’idea che non vi sia altra soluzione per risolvere i problemi internazionali che il ricorso alle armi, ma è altresì altrettanto delittuoso non prepararli ad una tale deprecabile evenienza e non ricordare loro che, malgrado le alterne vicende della storia militare del loro Paese, molti di coloro che li hanno preceduti sono stati capaci di esprimere il meglio di loro stessi al servizio della Patria in armi.
Dopo questa premessa, occorre definire che cosa esattamente significa il termine “Patria”: questa parola così grande e dolce il cui solo suono commuove tanto profondamente? Ritengo che possa definirsi come la terra abitata da un popolo e che ciascuno dei suoi componenti sente come la propria, non tanto per il fatto di abitarvi, quanto perché in essa è nato, in essa sono vissuti i suoi genitori, in essa spera vivranno i suoi figli e, in genere, perché essa costituisce l’ambiente, il limite spaziale entro cui si realizza quella comunanza di origini, di lingua, di storia e di tradizioni che caratterizzano appunto il popolo stesso. Si tratta quindi di un concetto non limitato al solo territorio, ma comprendente anche gli uomini che della Nazione fanno parte e tutto quel complesso di istituzioni, di tradizioni e di ideali che nella coscienza dei singoli acquista, più che una concretezza ben definita, il valore di un mito. La Patria è, perciò, l’assoluto di fronte al quale individui e gruppi sono il relativo ed individui e gruppi sono pensabili solo in quanto siano nella Patria. E allora perché non avere il coraggio civile e l’orgoglio di ricordare Coloro che, spinti unicamente da cristallino amor di Patria, per la Patria combatterono e si immolarono? Sessantotto anni fa correva quel 1942 così ricco di gloriosi e drammatici avvenimenti sui vari fronti di guerra: iniziato con la riconquista della Cirenaica, vide poi la battaglia del Don, le azioni nel Mar Nero dei nostri Mas, la battaglia aereonavale di mezz’agosto nel Canale di Sicilia, l’indomito coraggio dei nostri aerosiluranti, la 2^ battaglia del Don con la famosa carica del Savoia Cavalleria a Jsbuchenskij, la battaglia di Serafimovic, nella quale furono particolarmente impegnati i Bersaglieri del 3° Reggimento, le gloriose azioni della X^ Mas e del Gruppo dell’Orsa Maggiore a Gibilterra e Cadice, le battaglie di El Alamein, la terza battaglia del Don con la disperata difesa dell’ARIMIR e, in particolare, del Corpo d’Armata Alpino – le divisioni Julia, Tridentina e Cuneense furono le ultime ad iniziare il ripiegamento – le terribili e gloriose tappe della ritirata-martirio in Russia: Arbusow, Mlillerowo, Cercovo, Nikitowka e Nikolajewka. Ma, in particolare, nel marzo di quell’anno moriva in un lettino di ferro della stanza n.25 della Clinica “Maya Canberry Nursing Home” di Nairobi (ove era stato ricoverato il precedente 5 febbraio, trasportatovi dal campo di Donyo Sabouk, vicino a Nairobi) S.A.R. Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi, “la sola figura di spicco degli ultimi cinquant’anni che gli Italiani accettino senza dissensi ne amarezze” (così scriveva nel 1952 Virginio Lilli). Egli, che avrebbe senz’altro ben figurato nell’Italia risorgimentale di Garibaldi e di Cavour; oggi riposa nel cimitero di Nyeri, nel Kenia, fra 675 soldati italiani morti in prigionia e sulla sua tomba si erge una stele che ne sorregge il volto e sulla quale è inciso il suo estremo saluto: “Ai miei soldati di terra, del mare e del cielo, compagni d’arme in tante campagne d’Italia e di Libia, ai miei camerati di prigionia e a tutti quelli che con indomito valore mi hanno seguito in questa epopea africana, con il mio addio riconoscente, lascio il retaggio.”
Senza pretendere, anche perché risulterebbe troppo lungo e si rischierebbe senz’altro di ometterne molti, di voler rievocare ad uno ad uno tutti i valorosi che lasciarono il loro nome legato ad eroici fatti d’arme, limitiamoci a ricordare con grande rispetto i valorosi combattenti della seconda guerra mondiale, senza alcuna graduazione ma accomunandoli tutti, indistintamente, in un unico reverente e commosso pensiero poiché la gloria ed il rispetto della Patria spettano soprattutto ai vinti quando si sono battuti con onore e coraggio fino al limite delle umane possibilità ed oltre. Un episodio valga per tutti: “La vigilia di Natale del 1942, mentre i 10.000 superstiti delle Divisioni Torino, Pasubio, Ravenna e di alcuni reparti corazzati tedeschi erano inchiodati da un imponente accerchiamento russo ad Arbusow e sempre più fievoli, malgrado i furiosi contrattacchi, si facevano le speranze di uscire da quella che ormai era nota come la <<Valle della Morte>>, fu visto un giovane Carabiniere a cavallo galoppare risoluto verso le linee nemiche agitando un vessillo tricolore ed incitando i compagni ad un estremo sforzo di vita o di morte.
Fu come l’apparizione di un essere sovrannaturale che invocato dalle preghiere delle mamme lontane, fosse venuto per guidarli alla salvezza. Lo videro passare fra loro come una di quelle figure allegoriche, di quegli eroi leggendari che avevano eccitato la loro fantasia di fanciulli: ed ecco sul suo cavallo avanzava con slancio crescente fra gli scoppi delle granate e le raffiche delle mitragliatrici, avanzava come spinto da una forza incoercibile, come se nulla potesse fermarlo e scomparve verso le linee nemiche. Tutti allora si levarono in piedi come attratti da una suggestione irresistibile e si lanciarono sull’erta senza rispettare alcuna forma prudenziale di combattimento: di fronte a tanta subitanea furia il nemico non poté fare a meno di allargare il cerchio di assedio consentendo il passaggio dei superstiti. Alla fine del combattimento fu visto tornare il cavallo del Carabiniere: unica traccia del leggendario cavaliere erano alcune chiazze di sangue sulla gualdrappa del quadrupede, anch’esso mortalmente colpito.”
A chiusura di queste mie annotazioni vorrei dedicare a tutti indistintamente i nostri caduti, noti ed ignoti, le parole dettate dalla Medaglia d’Oro Tenente Colonnello Giovanni Alberto Bechi Luserna per il cimitero del Km 42 ad El Alamein:
” Fra le sabbie non più deserte, son qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore, fior fiore di un popolo e di un esercito in armi. Caduti per un’idea senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico. Essi additano agli Italiani, nella buona e nella avversa fortuna, il cammino dell’Onore e della gloria. Viandante arrestati e riverisci. Dio degli eserciti accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo del cielo che riserbi ai martiri ed agli eroi.”
I sacrifici, gli errori, gli orrori, i morti dell’ultima guerra stanno maturando negli europei il sentimento della loro unità al di sopra delle divisioni e dei contrasti più estremi. Questa è stata la vera vittoria perché la guerra, dal punto di vista economico e militare, tutta l’Europa l’ha perduta assieme, vinti e vincitori. Senza quei morti e quelle distruzioni non ci sarebbe oggi in Europa il sentimento dell’unione che deve essere la nostra persuasione e la nostra bandiera, così come senza i morti ed i sacrifici della guerra ’15/’18 non vi sarebbe stato per l’Italia, specie dopo il disastro di Caporetto, il senso dell’unità nazionale. Il messaggio dei Caduti in guerra al servizio della Patria è, pertanto, un messaggio di amore, di fede e di pace che vi è da augurarsi possa venir ascoltato e capito da tutti, ma specialmente dai giovani se veramente vorranno essere i fedeli servitori del loro Paese adoperandosi nei rispettivi campi di lavoro per l’affermazione ed il mantenimento di un ordine basato sulla comprensione, sulla pace e sulla fratellanza.
Ce lo confermano anche le parole dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che così concluse il suo intervento alla cerimonia inaugurale del Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari (nel quale erano state composte 42.747 salme, 21.500 delle quali appartenenti ad ignoti, recuperate amorevolmente sui vari campi di battaglia): ” A Loro chiederemo di ispirarci sentimenti di amore di Patria, il dono che Essi possono ancora farci, al di là della morte. Inchiniamoci reverenti alla Loro memoria. Qui verranno le madri e le spose, verranno i padri, i fratelli, i figli a portar Loro il tributo del proprio affetto. Ma a tutti noi incombe di onorarne il ricordo. Quale che sia la vicenda in cui Essi perirono, il Loro sacrificio non sarà stato vano se, da questo luogo che oggi Li accoglie in pace, noi trarremo ispirazione e propositi di civili virtù. Giacché le onoranze sarebbero sterili ed i monumenti muti se questo non avvenisse in noi.”
Oggi sembra che tutto ciò sia considerato come una sciocca e vana retorica che può solo far sorridere; il valore, l’onoremilitare e lo spirito di sacrificio non contano quasi più nulla e non sono né apprezzati né graditi. È di moda invece denigrare quasi i combattenti, mettere in ridicolo i sentimenti migliori dell’animo umano, gettare fango sulla maggior parte degli ufficiali. E non c’è da meravigliarsi se anche nella scuola, che dovrebbe curare l’educazione morale e spirituale della gioventù, non si pensa più a coltivare questi sentimenti. Quando si sogna la libertà dalla morale, dai costumi e dall’onore, a cosa possono servire i sentimenti migliori e più elevati dell’animo umano? Può valere la pena di tirar fuori episodi che ricordino quella bieca, odiata guerra della quale più nessuno vuol sentir parlare? La seconda guerra mondiale è stata messa al bando perché fascista; la prima guerra mondiale serve solo per rispolverare nei discorsi delle grandi occasioni vecchie frasi ad effetto. Chi vuol sentire oggi parlare di Patria, di onore, di virtù militari? Eppure ci sarebbe tanto da raccontare ai giovani su queste guerre! Episodi importanti, ma anche episodi semplici, modesti, senza nulla di eroico e di grande, ma che potrebbero tuttavia servire di educazione spirituale e morale ai giovani e per ricordare loro che ci sono stati nel passato degli uomini che hanno avuto un concetto ben più elevato del dovere, della dignità umana, dell’onore militare e dell’amor di Patria. E infine, perché non ricordare la lapide di un soldato inglese caduto nell’inferno di El Alamein:
“Per il mondo eri un soldato, per me eri il mondo”.
Giuseppe Cesare Maria Cigliana (Socio della Federazione di Roma)