PRIMA FASE – Ha inizio già all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre 1943. Il noto e contraddittorio proclama del Maresciallo Badoglio provoca lo sfaldamento e lo sbandamento del Regio Esercito Italiano. Le truppe, circa 200 mila uomini dislocate a difesa dei confini orientali e altre centinaia di migliaia impegnate nei Balcani, sono colte impreparate, prive di ordini e abbandonate nel dilemma del “tutti a casa”, “la guerra continua”. Nel marasma che segue, inevitabile e drammatico, c’è chi imbocca l’incerta via del ritorno a casa; chi finisce per trovarsi prigioniero dei tedeschi, scesi nel frattempo ad occupare l’Italia, e spediti in Germania; chi preferisce rimanere legato all’alleato tedesco; chi, invece, fa la scelta opposta aggregandosi alle unità partigiane come nel caso di alcune migliaia di militari delle Divisioni Venezia e Taurinense che si troveranno a dover combattere per la Jugoslavia contro l’Italia. Un caos indescrivibile che consente ai partigiani di Tito di occupare quasi tutta la penisola istriana. La ferocia dei “liberatori” slavi e dei loro collaboratori non conosce limiti. I saccheggi, le bastonature, gli assassinii, le sparizioni, le deportazioni, gli infoibamenti preceduti da brutali sevizie e la “mattanza” nelle cave di bauxite sono l’epilogo di quel bestiale furore. 35 giorni di autentico terrore per la popolazione italiana fino a quando, il 13 ottobre, i tedeschi completando l’occupazione dell’Istria obbligheranno i partigiani slavi a ritirarsi in zone per loro più sicure e difendibili. Numerosissime le segnalazioni di scomparsi da parte dei parenti e immediate le ricerche e i primi ritrovamenti. Da alcune foibe, i Vigili del Fuoco del Maresciallo Harzarich, con la protezione di nuclei armati, portano in superficie centinaia di cadaveri orribilmente sfigurati dalle sevizie. Sono mesi di passione, di tragedia, di lacrime.
NOTA – Nella lotta senza quartiere, durissima e senza esclusione di colpi, che segue tra tedeschi e partigiani titini si inserisce quella ancor più atroce e fratricida, peraltro già in corso fin dal 194/1942, tra serbi, croati, sloveni, bosniaci, montenegrini e macedoni, spinti da contrapposte ideologie, da culture e religioni diverse e soprattutto da un forte nazionalismo e da vecchi rancori mai sopiti. Così che vengono a fronteggiarsi: da una parte le consistenti formazioni partigiane di Tito, efficacemente appoggiate dai britannici e dall’esercito del Sud che in Puglia offre supporto logistico, alimentare, militare e sanitario; dall’altra i tedeschi cui si affiancano gli ustascia di Ante Pavelic, i cetnici di Draga Mihailovic, i domobranci, i belogardisti (unità cattoliche anticomuniste). Ma nella Venezia Giulia, si schierano anche reparti della RSI quali la MDT, la X^ MAS, il Reggimento Alpini Tagliamento, il Battaglione Mussolini ed altre formazioni nel tentativo di mantenere l’integrità del territorio nazionale e di contrastare il passo ai partigiani di Tito protesi alla conquista del Friuli-Venezia Giulia di cui ne rivendicavano l’annessione. Disegno al quale davano un loro contributo le formazioni Garibaldine e le brigate proletarie di ispirazione comunista. In questa caotica contesa i reparti della R.S.I. si trovarono “soli contro tutti”, dovendo diffidare anche dei cobelligeranti mossi da intenzioni e finalità diverse se non addirittura contrapposte, quali erano appunto per i tedeschi la costituzione dell’Adriatische Kustenland e per gli slavi il Slovenscki Primorje (Il Litorale Adriatico). Ed è proprio per l’indisponibilità ad assecondare quel disegno annessionistico e a sottomettersi alle bandiere con la stella rossa che i capi dei partigiani verdi della Osoppo verranno massacrati a Malga Porzus da quelli rossi di Toffanin e Padoan. E il destino ha voluto che Partigiani della Osoppo e soldati del Rgt. Alpini “Tagliamento” della RSI, molti dei quali reduci dalla Campagna di Russia, si troveranno insieme, ai primi di maggio, nel cividalese a fronteggiare le ultime resistenze dei tedeschi e nel contempo a contrastare i nuovi occupanti slavi. La speranza che con gli Alleati sarebbero giunti anche i soldati dell’Esercito del Sud per impedire ai partigiani di Tito di occupare la Venezia Giulia invece non ebbe seguito. Ormai la guerra volge al termine e tra la fine di aprile e i primi del maggio 1945, i tedeschi abbandonano la Zona d’Operazione del Litorale Adriatico. Inizierà anche per i loro prigionieri “la marcia della espiazione e della morte”.
SECONDA FASE – Il 29 aprile 1945 Trieste insorge contro i tedeschi e assieme ai Volontari della Libertà ci sono Finanzieri, Carabinieri e componenti della Guardia Civica, forza creata a suo tempo per la difesa di Trieste italiana, condivisa dal CLN ma avversata dai comunisti sloveni e italiani della città. Il giorno 30 i partigiani di Tito entrano nei sobborghi della città e tra l’1 e il 2 maggio la IV Armata jugoslava, composta da Dalmati che parlavano bene l’italiano, occupava l’intera città. L’ostilità fu subito palese. Ammainarono la bandiera tricolore italiana e cominciarono gli arresti su delazione delle “Guardie Rosse” triestine, che al braccio portavano la fascia tricolore con la stella rossa. Agli arresti seguono sparizioni e deportazioni. Il CLN è costretto a ritornare nella clandestinità nonostante l’arrivo, già il giorno 2, della 2^ Divisione neozelandese e di Unità dell’8^ Armata Britannica. Trieste e le zone occupate diventano la Settima Repubblica Jugoslava. Il 3 maggio viene occupata Fiume e il 4 è la volta di Pola. I partigiani di Tito sono ormai padroni dell’intero territorio fino a Monfalcone. Questa Fase durerà 40 giorni, fino a quando il 12 giugno Tito sarà costretto dagli Alleati a ritirare le proprie forze dalla zona di occupazione anglo-americana che comprendeva Trieste e Pola. 40 giorni di Via Crucis per gli italiani durante i quali l’OZNA, la polizia segreta jugoslava e comitati del popolo danno sfogo a violenze inaudite. Per la seconda volta si ripete la tragedia: prelevamenti, annegamenti, fucilazioni, deportazioni, infoibamenti: 16.000 arrestati, 3000 infoibati. La Risiera di San Sabba trasformata in luogo di tortura e di prigionia per gli Italiani. Scrive Padre Flaminio Rocchi: “hanno scatenato vendette politiche, sociali e private contro chi non parla la stessa lingua, l’uomo che non cede né la moglie né la figlia, il prete, il frate, la monaca e il loro Dio, l’impiegato vestito a festa, il commerciante vicino e il concorrente, il capitano di barche che comanda, il proprietario di viti e di ulivi, ma anche le loro madri che li hanno generati e i loro figli che provengono dal loro seme cattivo. Il tutto viene giustificato da un solo timbro stampigliato dappertutto “SMART FASSISMU SVOBODA NARODNA” – morte al fascismo libertà al popolo”.
Gli Alleati assistono al macello senza interferire per non incrinare ancor di più i rapporti sempre più tesi con Stalin, grande protettore di Tito. Dopo la scoperta dell’ennesima foiba, il quotidiani sloveno comunista sloveno Primoski Dnevnik scrive “Sulla terra che ha sofferto per 25 anni il terrore nazionalizzatore italo-fascista questa non é la prima né l’ultima grotta dove si polverizzano le ossa dei criminali italo-fascisti”
A Gorizia le forze tedesche e quelle della RSI si erano ritirate dopo il 25 aprile ’45’. La città prima dell’ingresso dei partigiani di Tito, era stata esposta alla violenza di circa 20.000 serbi collaborazionisti in ritirata verso occidente. Le bande di Cetnici collaborazionisti, animate da propositi di rappresaglia verso gli italiani, avevano crudelmente infierito su cittadini inermi. Allora gli uomini del CLN erano insorti forti dell’appoggio di 250 carabinieri del Ten. Tonnarelli, di agenti di P.S. della Guardia Civile e di operai e in 3 giorni di duri scontri dal 29 aprile al 1° maggio erano riusciti ad impedire che i nazionalisti serbi dilagassero in città. Il giorno 2 la città sarà occupata dai partigiani di Tito e si ripeterà il copione di Trieste. Ma non finisce con il 12 giugno 1945. In tutto il territorio occupato dagli slavi, escluse le città di Trieste, Gorizia, Pola e Monfalcone, le persecuzioni e le discriminazioni continueranno fino al 15 settembre 1947, allorché viene data esecuzione al rattato di Pace, scorporando dal suolo italiano buona parte della Venezia Giulia e creando il Territorio Libero di Trieste diviso in Zona A e Zona B. ln quest’ultima’ già abitata per il 75% da italiani e affidata alla Amministrazione Jugoslava per essere poi ceduta definitivamente alla stessa con il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975. Il peso dei nuovi padroni continuerà a farsi sentire.
Ma non doveva essere una “Liberazione”?