Gli assi italiani nella Storia dell’Aeronautica. Arturo Ferrarin
di
Decio Zorini
L’impresa atlantica
La figura dell’asso Arturo Ferrarin è troppo nota, per poter riassumere le sue imprese aviatorie. Primo pilota a raggiungere con un volo a tappe Tokio da Roma per 18.000 km, pilota di idrocorsa in due contesti internazionali alle Coppa Schneider del 1926 e 1927. Detentore col cap. Carlo Del Prete nel giugno 1928 dei primati di distanza e di durata in circuito chiuso e con lo stesso volo del primato di velocità sui 5.000 km col cap. Carlo Del Prete, fu ideatore assieme allo stesso Del Prete del volo transatlantico da Montecelio a Touros, Brasile, col quale fu conquistato il primato di distanza in linea retta nel luglio seguente. La coppia di piloti effettuò il primo attraversamento senza scalo del Mediterraneo occidentale e dell’Atlantico e Del Prete fu allora l’unico pilota da avere attraversato tre volte l’Atlantico.
In questo breve studio ci concentriamo su questi due ultimi voli, per la conquista del primato di distanza in circuito chiuso ed in linea retta. Per la conquista di quest’ultimo primato entrambi furono decorati con M.O.V.A., Del Prete alla memoria, in quanto trovò morte in Brasile a seguito ai postumi di un incidente aereo.
La genesi
A seguito del raid di Francesco De Pinedo nel 1925 maturò l’idea di sviluppare qualche notevole impresa aviatoria. Il momento chiave per la genesi dell’impresa atlantica fu l’incontro casuale di Arturo Ferrarin con il cap. Carlo Del Prete, aviatore lucchese, col quale cominciò una amicizia sincera, fraterna, profonda, fino ad esser un sodalizio di pianificazione e collaborazione di imprese. Del Prete inizialmente propose un periplo costiero dell’Africa da svolgere in idrovolante Dornier Wal con motore Isotta Fraschini Asso, impresa attraente ed intentata. Ma il programma non superò alcune doverose obiezioni di vario ordine dello stesso Ferrarin. A detta di questi si sarebbe potuto fare di più di un raid con un idrovolante con un apparecchio terrestre convenientemente studiato. Oltretutto egli era legato professionalmente con la Fiat.
Al ritorno di De Pinedo e Del Prete dal circuito dell’Atlantico[1] nel giugno 1927 e dopo la trasvolata atlantica di Charles Lindbergh nel maggio 1927, l’ing. Marchetti prospettò la capacità di progettare un apparecchio capace di emulare il volo di Lindbergh con un grande raid italiano. Al vertice della SIAI i commendatori Peretti e Capé aderirono al progetto in termini aziendali ed economici e lo illustrarono al Ferrarin, che ne aderì entusiasticamente. La scelta del copilota e compagno nell’impresa andò a Del Prete. Con questi Ferrarin convenne che era preferibile pianificare un’impresa verso il sud America, con l’occasione di acquisire il premio di ben 500.000 lire della Camera di Commercio di San Paolo destinato al primo apparecchio con motore italiano che avesse congiunto Roma al Brasile con un unico volo anche a tappe entro un limite precisato di ore. Da una prima valutazione il programma sarebbe costato circa tre milioni di lire. Esso includeva la realizzazione di un nuovo apparecchio, un nuovo motore Fiat ed un’apposita pista di lanciamento, che sarebbe rimasta allo Stato dopo l’impresa.
Avuto il benestare sia da Mussolini sia del Ministero dell’Aeronautica, iniziarono i tre sottoprogetti. Il Ministero a breve termine stipulò i contratti con larghezza, ma con specifiche stringenti. L’ing. Marchetti procedette a definire un apparecchio di autonomia di almeno 10.000 km, profilatissimo con un’efficienza aerodinamica pari a 15 da realizzare in due esemplari, la Fiat sviluppò dal suo A.22 una variante atta a durare per 100 ore, da realizzare in quattro esemplari, ed in campo civile la pista inclinata venne valutata 900.000 lire sostanzialmente confermando la valutazione complessiva. Quali piloti Balbo confermò Ferrarin e Del Prete.
La lunga preparazione
Del Prete avrebbe preferito il motore Isotta Fraschini, ma Ferrarin, che allora era addetto alla Fiat, credeva opportuno favorire questa fabbrica, che aveva il pari classe motore A.22.
Per decollare con un apparecchio carico in partenza della enorme quantità di benzina sufficiente alla transvolata, occorreva che la grande pista in pendenza fosse costruita nella località più adatta. Era preferibile scegliere una località sul mare, perfettamente libera di ostacoli. Tuttavia venne scelto Montecelio presso Roma, per varie considerazioni, particolarmente perché a Montecelio si sviluppava il centro sperimentale di aviazione. In pratica si è poi visto la scelta presentò notevoli inconvenienti: lontana come è circa 40 km dal mare, presentava lungo il percorso anche dei tratti collinosi, l’ostacolo di abitati, e quello di linee di alta tensione.
Ferrarin e Del Prete nella fase iniziale della lunga preparazione all’impresa si suddivisero i compiti come segue: Ferrarin continuava la preparazione per la Coppa Schneider tenendosi in stretto contatto con la Fiat per lo sviluppo del motore; Del Prete seguiva alla SIAI di Sesto Calende la costruzione della cellula del nuovo apparecchio, denominato S.64, previsto in due esemplari.
Un imprenditore civile s’impegnò nella costruzione della pista di lanciamento inclinata a pendenza decrescente, fondo solido e larghezza progressivamente aumentata, sotto i controllo del maggiore Luigi Biondi del Centro di Montecelio, al quale era affidata la parte tecnica dei primati di distanza / durata, della squadra a terra e per la preparazione della base misurata per il primato in circuito chiuso e dei campi di fortuna disposti lungo di esso.
Contemporaneamente a Torino fu stabilito un programma con i tecnici Fiat, allo scopo di preparare un banco prova da mettere il motore in condizione come se fosse in volo, con tutti gli strumenti di bordo. Si provvide un impianto di prova dedicato fuori della città, all’Aeronautica d’Italia, per non disturbare l’abitato per le prove che dovevano durare ininterrottamente oltre quattro giorni.[2]
Il motore A.22, dopo le modifiche apportatevi e la prova felicemente superata per renderlo idoneo alla trasvolata, venne battezzato A.22 T. Il motore doveva subire prove rigorosissime in rapporto alle due differenti funzioni che doveva compiere nel raid di durata e in quello di distanza.
Nella prova di massima durata quello che è essenziale è il rimanere in aria col minor consumo di combustibile a scapito della distanza percorsa; l’apparecchio quindi vola con grande incidenza e col decrescere della potenza necessaria al volo diminuiscono anche i giri del motore.
Nella trasvolata invece quello che importa è di coprire la massima distanza col minor consumo possibile di benzina: l’apparecchio quindi vola con minima incidenza e col diminuire della potenza i giri rimangono presso che costanti.
Date queste condizioni tipiche di funzionamento, furono stabiliti in precedenza due grafici che prescrivevano la potenza necessaria di ciascuna ora di volo nelle due condizioni tipiche di potenza decrescente, giri crescenti, e potenza decrescente, giri costanti (1.900). Queste due prove di 52 ore ciascuna duravano ininterrottamente.
Ferrarin e Del Prete, scelto un apparecchio terrestre da ricognizione Fiat A 120, che aveva il motore analogo a quello in costruzione per la trasvolata, volarono da tre a sei ore ogni giorno, intercalando i voli diurni con quelli notturni e volando più a lungo quando il tempo era pessimo, per meglio abituarsi a ogni situazione atmosferica.
Il 3 aprile 1928 alle 12.30 fu effettuato il primo volo di prova a Cameri da Ferrarin, Del Prete e il motorista Cappannini, che si disponeva nella cuccetta, in quanto, normalmente, non più di due persone possono trovarvi posto. Ferrarin dopo un volo di familiarizzazione ebbe a dichiarare: “[…] ha la dote di mettersi subito in linea di volo; qualità bellissima che gli consente di prendere immediata velocità e abbreviare lo spazio per il decollo […] la sensibilità del comando in volo è paragonabile a quella di un buon apparecchio da caccia”. Dopo una serie di voli di prova l’apparecchio fu trasferito a Montecelio il 19 aprile 1928 per completare l’iter di prove.
L’apparecchio, data la sua eccezionale finezza aerodinamica aveva bisogno di un campo assai lungo per atterrare avendo le ruote su sfere, prive di freni e solo due pattini all’estremità dei travi della coda che non facevano sufficientemente presa sul terreno agendo debolmente da freno. Inoltre, la cabina completamente chiusa dava una visibilità solo in avanti. Queste caratteristiche, dannose all’atterraggio, furono però deliberatamente volute dall’ing. Marchetti, perché facilitano la partenza con carichi elevati, sacrificando tuttavia la sicurezza dei piloti.
Dopo aver consegnato al magg. Biondi l’apparecchio, venne stabilito dal Genio Aeronautico un piano di prove di volo per verificarne le caratteristiche, particolarmente di velocità e salita con masse diverse. Ferrarin e Del Prete si sobbarcarono l’impegno di una lunga preparazione con una serie di prove parametriche dell’apparecchio e di tutte le sue sistemazioni.
Dopo le prove preliminari, che riguardavano oltre la messa a punto e il campionamento dei vari strumenti di bordo, seguirono la determinazione della lunghezza del rullaggio in partenza in funzione del carico, la determinazione del plafond (altezza massima) pratico dell’apparecchio in funzione del carico e quella dei consumi a varie quote ed andature.
Premessa alle prove di volo fu la verifica della massa a vuoto dell’apparecchio, considerando come facente parte di esso, oltre l’acqua di raffreddamento e tutte le installazioni fisse, anche l’equipaggiamento completo per l’esecuzione del raid di distanza, e precisamente la stazione radio trasmittente (rinunciando alla ricevente), i paracadute, i vari strumenti. Queste installazioni furono mantenute anche nel periodo delle prove preliminari e per il record di durata; il quale, non voleva essere un vero e proprio record di durata, ma piuttosto un prova di controllo lunga e severa dei vari strumenti di volo.
Le prime prove preliminari riguardarono il campionamento di alcuni strumenti incluso l’anemometro, il loch aereo (totalizzatore della distanza percorsa) e i contagiri.
La seconda serie di prove sistematiche era mirata per determinare la lunghezza di rullaggio necessaria per la partenza, con carico progressivo variabile di 500 in 500 kg, a incominciare da una massa totale dell’apparecchio in ordine di volo di 3.500 kg, giungendo fino a 6.300 kg.
Terza prova fu la determinazione del plafond pratico dell’apparecchio col variare della massa totale in ordine di volo, con quattro prove di salita.
Quarta serie di prove fu volta a determinare i consumi di carburante, costituito da benzina miscelata al 20% di benzolo, per il record di durata.
Nelle svariate prove, la velocità massima al suolo dell’apparecchio risultò 233,5 km/ora con 2.110 giri/min ed il consumo orario medio di benzina di 58 kg.
Queste prove avevano lo scopo di sfruttare tutta la capacità del pilota e le doti dell’apparecchio per giungere a realizzare il volo con minimo consumo di combustibile; in quanto l’apparecchio doveva in massima essere mantenuto ad una velocità corrispondente al minimo impegno di potenza per sostenerlo senza perder quota. Con l’apparecchio a tale velocità economica ne risultava una proporzione fra ore di volo e percorso effettuato, a vantaggio della durata ed a scapito della distanza.
Il magg. Biondi discusse in merito al carico ammissibile, sostenendo al pari di Del Prete che la massa totale fosse contenuta nei limiti di 6.500 kg circa, mentre l’ing. Marchetti e Ferrarin propendevano ad aumentarla. La massa totale dell’apparecchio in ordine di partenza fu 6.540 kg di cui 3.486 kg di carburante, pari al 53,3 % della stessa.
Il primato di durata e di distanza in circuito
Lungo il tracciato Torre Flavia – faro di Anzio, da percorrere circa 50 volte, vennero istituiti ben nove campi di fortuna in previsione di forzato atterraggio. Tutti i campi lungo la costa erano pronti, e già sorvegliati da militi mandati dal Ministero dell’Aeronautica: ora i piloti erano nelle mani del prof. Filippo Eredia, direttore dell’Ufficio Centrale di Meteorologia, allora Ufficio Presagi: bastava indicasse loro due giorni di bel tempo, ed era necessario che specie il primo giorno di volo fosse clemente, perché l’eccessivo carico lo rendeva specialmente pericoloso.
Anche le perplessità meteorologiche rimandavano di giorno in giorno la partenza, e ciò metteva a dura prova la loro resistenza nervosa, mantenendoli in stato di agitazione e di insonnia.
L’S.64 ai comandi di Ferrarin e Del Prete decollò dalla pista di lancio il 31 maggio alle ore 05.16 dopo 48 secondi sfruttando in pieno la lunghezza della pista, cento metri prima del termine della stessa. Quindi superò abbastanza bene gli ostacoli che si paravano innanzi, quale quello terrificante delle linee elettriche ad alta tensione, che non poterono togliere per l’eccessiva spesa occorrente. Da quel momento e per due giorni l’equipaggio era affidato al suo generoso motore, come lo definiva Ferrarin, per atterrare il 2 giugno 1928 alle 15.30 avendo percorso 51 giri completi sul circuito Torre Flavia – faro di Anzio e conseguito il primato di durata in circuito chiuso in 58 h 34’ (Ferrarin riporta 43’ per un probabile errore tipografico) e quello di distanza in circuito omologabile con 7.666,617 km. La velocità media sui primi 5.000 km fu di 139,177 km/h, primato conseguito sulla distanza maggiore allora considerata dalla F.A.I. che non contemplava primati velocistici su percorsi superiori.
Il volo transatlantico
I due piloti avrebbero voluto ripartire subito per la trasvolata atlantica, dopo aver revisionato l’apparecchio e cambiato il motore, avendo deciso di utilizzare lo stesso apparecchio per il nuovo tentativo di primato. In preparazione della trasvolata, in base all’esperienza acquisita elevarono la massa a 6.800 kg per portare la benzina a quasi 4.000 kg se le condizioni meteorologiche fossero state favorevoli, quanti cioè occorrevano per percorrere circa 9.000 km, con la speranza di giungere anche all’aeroporto di Caravellas, presso a Rio de Janeiro se avessero potuto sfruttare l’aliseo di N. E. che spira lungo le coste dell’Africa. Conseguentemente anche le infrastrutture a Montecelio furono interessate, col necessario allungamento della pista di 400 metri, l’interramento di due linee di alta tensione e l’abbattimento di alcuni alberi e un più perfetto livellamento del terreno. Tuttavia, alcune residue linee elettriche costituivano una barriera minacciosa.
In quel periodo venne studiata e discussa la scelta della rotta, affidandone la pianificazione e lo studio a Del Prete per la sua indiscussa esperienza. La linea ortodromica (linea retta) da Roma a Natal, Brasile, per una lunghezza di circa 7.200 km, attraversa la Sardegna, dal Golfo di Orosei a quello di Oristano, l’Africa settentrionale, da Algeri a Capo Mirik, e prosegue nell’Atlantico per le isole di Capo Verde e San Fernando di Noronha. Ma bisognava superare nelle prime ore di volo, e quindi in condizioni di apparecchio molto carico, i monti della Sardegna, la catena dell’Atlante e i deserti dell’Africa settentrionale; le difficoltà erano molto gravi, se non insormontabili. A costo di allungare il percorso di 400 km, egli decise di giungere a Gibilterra passando a sud della Sardegna, per costeggiare quindi l’Africa settentrionale fino a Capo Blanco, da cui proseguire, in linea retta, fino a Port Natal.
La conclusione delle attività manutentive e dei lavori protrassero la partenza ai primi di luglio. D’altronde la luna era in fase crescente, e, per profittare della luna favorevole della nuova fase, si stabilì di partire nella prima quindicina di luglio.
In quei giorni piloti furono completamente dipendenti dalle informazioni meteorologiche. Quindici giorni avanti la partenza l’ufficio meteorologico cominciò a redigere per loro un bollettino giornaliero con le notizie necessarie sulle probabili condizioni lungo la rotta, sulla base di quanto ricevuto dalle stazioni della Spagna e dell’Algeria ed anche dai bastimenti in servizio sulla rotta del sud America; tra essi si distingueva grazie all’interessamento del suo comandante il p.fo Conte Rosso. Grandi discussioni s’intavolavano col prof. Eredia, che veniva a trovarli di sera.
Infine, superate alcune perplessità tecniche si decise di partire la sera del 3 luglio, per consentire il regolare svolgimento delle operazioni di rifornimento del carburante, previo pesatura e filtraggio dello stesso. Alcuni ufficiali del Genio Aeronautico erano intenti a calcolare la quantità di benzina che doveva essere immessa/levata in rapporto alle condizioni atmosferiche. Date le condizioni meteo non ottimali, quali pressione atmosferica 759 mm e temperatura di 27 °C questi decisero di scaricare 262 kg di benzina, limitando il carico di carburante a 3.600 kg circa, che avrebbe limitato il probabile percorso a 8400 km, rassegnandosi di raggiungere al massimo Bahia, optando per un atterraggio a Natal.
Con le parole di Ferrarin: “Noi sapevamo di esporci ad una prova assai difficile, specie per certe peculiari difficoltà inerenti all’apparecchio, che era bensì stato ideato con tutte le doti tecniche occorrenti alla bisogna, ma a questo il costruttore aveva necessariamente sacrificata la sicurezza dei piloti: non gliene facciamo torto: certo non ha potuto agire diversamente: ma giova tener presente che nessun pilota poteva trovarsi in condizioni perigliose come quello dell’S.64”.
Finalmente l’S.64 I-SAAV decollò da Montecelio alle 18.51 la sera del 3 luglio con il carico di benzina ridotto, dopo 1.500 metri di corsa d’involo. Iniziò allora un lentissima salita con un rateo ascensionale di 0,25 m/sec, necessitando quindi di tre chilometri per raggiugere una quota di sicurezza di 15 metri. Continuarono così fino a raggiungere 300 m, quota necessaria per tentare un eventuale atterraggio di fortuna.
Ferrarin scrisse che non potrà mai immaginare quello che era passato per la propria mente e quella di Del Prete mentre superavano a pieno carico l’ “ostacolo terrificante” delle linee elettriche ad alta tensione subito dopo il decollo (ben sette linee parallele, tre delle quali pericolosissime perché alte circa 12 metri) che avevano costituito la loro grande apprensione. Questa esperienza fu provata svariate volte sia da Ferrarin e Del Prete che da Umberto Maddalena e Fausto Cecconi durante il periodo delle prove, esperienza confermata da Maddalena che ripeté il volo da primato di distanza in circuito due anni dopo. Era evidente che nei primi segmenti della salita i piloti erano forzati con l’apparecchio a pieno carico costretto a voli iniziali bassissimi a sfruttarne l’effetto suolo, che veniva ad esser interrotto variando l’assetto o strapponando.
Superata la linea di costa nei pressi di Ostia, la navigazione procedette regolarmente sul mare Tirreno, ma avvicinandosi alla costa africana, presso Algeri, furono investiti da un vento caldissimo: la temperatura dell’aria nella cabina salì improvvisamente a 35°; quella dell’acqua del radiatore a 92° e quella dell’olio a 86°. Salire non era possibile, perché il motore era quasi al massimo regime: né potevano ridurre i giri e discendere, perché erano ancora a quota assai bassa. In quel critico momento Del Prete stava con le mani su rubinetti del carburante, pronto a scaricarne se l’acqua accennasse a superare una temperatura di 95 °C. Una nebbia provvidenziale, tanto odiata dagli aviatori in altro frangente, fu un rimedio insperato contro le alte temperature all’altezza di Capo de Gata. Quando questa sparì verso l’alba, il tempo si fece minaccioso ed agitato.
Alle 05.25 del 4 luglio uscirono dalla stretto di Gibilterra, dirigendo su Villa Cisneros. Cominciò una navigazione notturna sull’oceano che pareva interminabile dopo le tante ore di tensione nel pilotaggio Le condizioni meteorologiche non furono favorevoli in quel tratto. Ferrarin ebbe a commentare: “ma non ci poteva toccare una stagione più inadatta, conseguenza dell’aver dovuto protrarre a luglio una partenza da noi insistentemente voluta per gennaio o febbraio”. I comandante del p.fo Conte Rosso interpellato per dare il suo parere, aveva dichiarato pericoloso un viaggio aereo in quella stagione invernale al di là dell’Equatore, perché avrebbero trovato “procellose” anche le zone fra Capo Verde e San Fernando di Noronha. Questo abbassò la media oraria della traversata. Superata l’area temporalesca la quota salì a 4.000 m sopra il mare sopra un oceano di nubi ininterrotto da Villa Cisneros.
Finalmente alle ore 15 del 5 luglio, sempre volando a 4000 metri avvistarono finalmente la costa americana, raggiunta presso Capo San Rocco dopo 24 ore di volo da Villa Cisneros, con un ritardo di appena mezz’ora sull’orario stabilito. Avevano percorso 7.450 km in 44 ore e 9 minuti (alla velocità media di 168 km/h, 146 km/h sull’Atlantico). I due protagonisti si abbracciarono.
Da questo momento il tempo contrastò il volo, con un vento forte dal sud che si opponeva. Distinguendo Capo San Rocco decisero di spingersi fino a Bahia, avendo Del Prete verificato benzina per ancora quattro ore di volo. Intervenne una nebbia improvvisa e fitta, e non valse scegliere di volare a bassa quota dai 4.000 m, perché la nebbia era così prossima al suolo che la visibilità del terreno era assolutamente impedita. Decisero quindi di riportarsi sopra la stessa, navigando con la sola bussola verso sud, ma dopo due ore di volo la nebbia non accennava a diradare. I due piloti decisero di tornare indietro verso nord, prima del sopraggiungere della notte avendo scorto qualche terreno adatta per l’atterraggio.
Ma all’altezza di Touros la nebbia diradò e decisero di raggiungere Port Natal mantenendosi al disotto di essa e seguendo la costa. Furono momenti di spasimo, sia perché la benzina stava realmente per esaurirsi, sia perché l’S.64 non era un apparecchio che potesse posarsi ovunque.
Il vento da sud soffiava talmente violento che l’apparecchio, alleggerito com’era dal peso della benzina, volava quasi indomabile farfalla: ma questa volta il vento soffiava favorevole, e Ferrarin calcolò su questo beneficio per poter arrivare in salvo, giacché Del Prete ammoniva che la benzina stava par mancare. Quando Ferrarin scorse il campo sul quale aveva deciso di atterrare e mentre vi volava sopra, sentii gli ultimi scoppi irregolari del motore, indice sicuro della mancanza di benzina. Erano in vista e della spiaggia e del campo sul quale aveva deciso di atterrare, quasi equidistante, ma con scarsa speranza di potere raggiungere l’una o l’altro.
Alto 150 metri dal suolo, e con l’elica ferma, decise piuttosto di atterrare sulla spiaggia, con vento in prua; ma la violenza del vento gli impediva di raggiungerla e andarono a finire in un terreno a dune, sconvolto, sabbioso e molle, che era l’antitesi di quello duro e pianeggiante a noi occorrente. Fortunatamente, il fortissimo vento contrario faceva funzione di freno e l’apparecchio scendeva quasi verticalmente. Da quel momento l’apparecchio cominciò a picchiare in modo impressionante e Ferrarin dovette fare sforzi enormi, dando violente strapponate di richiamo al timone di profondità, per effettuare un atterraggio con la minore velocità possibile le ruote affondarono nella sabbia e la cabina strisciò progressivamente sulla sabbia fino ad arrestarsi bruscamente. L’apparecchio era rimasto conficcato come una freccia sulla sommità di una duna, evitando, se non fosse stato arrestato nella corsa, una sicura capottata sul declivio opposto, ritenuta senza scampo dai due piloti.
Nei giorni seguenti i commissari della F.A.I. recuperarono ed aprirono il barografo sigillato alla partenza, accertando che il percorso compiuto era di 8.100 km effettivi, coperti in 48 h 14 min. La F.A.I. omologò la distanza ortodromica di 7.188 km tra Montecelio e Touros. I due piloti avevano conquistato il primato di distanza in linea retta con 7.188 km riconosciuti dalla F.A.I., invero coprendone circa 8.000, in 49 h 15′ di volo. Fu la prima transvolata del Mediterraneo e dell’Atlantico. Naturalmente fu anche riconosciuto il premio della Camera di Commercio di San Paolo.
Dopo lungo lavoro di riparazione inclusa l’elica, l’apparecchio venne rimesso in condizioni di volo, ma dopo un volo di prova. per gettare manifestini su Port Natal, il terreno del campo inadatto cedette durante un tentato decollo e ogni ulteriore tentativo di raggiungere in volo Rio de Janeiro o anche Bahia venne abbandonato, soprattutto con fermezza da Del Prete. L’apparecchio recuperato venne regalato al Brasile a ricordo dell’impresa.
Il volo promozionale in Brasile proseguì inizialmente con apparecchi messi a disposizione dalla ditta Latécoère e quindi con un volo su un SIAI S.62, che giaceva smontato in casse su una nave per essere rispedito in Italia. L’apparecchio pilotato da Del Prete ebbe un improvviso cedimento in volo ai comandi di Ferrarin e precipitò da 40 m, provocando una grave ferita alle gambe a Del Prete che dopo alcuni giorni gli fu fatale.
Sintesi dei raid
L’attività per il conseguimento dei due primati di distanza era un’attività sociale, cioè un modo organizzato di condurla. Coinvolgeva oltre ai progettisti e ai costruttori anche i pianificatori del Genio Aeronautico, gli avieri, i motoristi e le varie maestranze della squadra a terra, il personale che elaborava e trasmetteva le indispensabili informazioni meteorologiche, gli ufficiali che inviavano i rapporti dalle navi mercantili lungo la rotta. In sintesi, fu un’attività corale.
Promosso dal premio messo in palio dalla Camera di commercio di San Paolo, il raid Montecelio-Brasile aprì la strada alle successive imprese dapprima pionieristiche, cui seguì la Crociera di massa del sud Atlantico condotta da Italo Balbo nel 1930-31, ai raid del 1937-38 e quindi ai collegamenti regolari di linea aerea civile nel sud Atlantico svolti nel 1939-41 dalla L.A.T.I. con Brasile e Argentina. Erano questi due paesi fortemente interessati negli anni venti-trenta dall’emigrazione dei nostri connazionali, ma anche strategici per la fornitura di particolari materie prime alla fine degli anni trenta.
Particolarmente importante fu l’attività meteorologica promossa dell’Ufficio Presagi della R. Aeronautica, diretto dal prof Eredia. Di tutta l’attività meteorologica svolta per le due traversate del 1927 e 1928, per la preparazione di quella non effettuata di Maddalena / Cecconi del 1930, per la Crociera del sud Atlantico condotta da Balbo nel 1930-31 e per quella del nord Atlantico il prof Eredia riferì accuratamente in varie pubblicazioni, in particolare sulla Rivista Marittima.
Arturo Ferrarin pilota
Ammesso il 10 luglio alla scuola civile di volo di Cameri, ottenne il brevetto di pilotaggio il 1° ottobre 1916 ed il brevetto militare il 1° marzo 1917.
Il 27 marzo 1917 assegnato al campo scuola di Cascina Costa come istruttore di volo.
Il 26 marzo 1917 effettuò l’abilitazione su biposto da ricognizione SAML, ottenendo la nomina di istruttore di volo.
Il 14 gennaio 1918 assegnato all’82a Sq. Caccia, X° Gruppo Aeroplani, di base a Istrana montata su Hanriot Hd.1, registrando due abbattimenti.
Il 22 gennaio 1919 assegnato alla 91a Sq., poi trasferito alla 1a Compagnia Deposito per partecipare alla Missione Aeronautica in Francia.
Dal 14 febbraio al 31 maggio 1920 volo di 18.000 km a tappe da Roma a Tokio su Ansaldo SVA 9 con il motorista Gino Cappannini.
Il 13 novembre 1926 partecipò alla Coppa Schneider a Hampton Roads, Norfolk, Virginia, con idrocorsa Macchi M.39 mentendo saldamente il secondo posto per i primi tre giri, prima del ritiro.
Il 25 settembre 1927 partecipò alla Coppa Schneider a Venezia con Macchi M.52, interrompendo la gara al primo giro.
31 maggio ÷ 2 giugno 1928 primato di durata in circuito chiuso in 58 h 43′ e quello di distanza in circuito di 7.666,617 km.
3 ÷ 5 luglio 1928 primato di distanza in linea retta di 7.188 km da Montecelio a Touros, Brasile.
1934 organizzatore di un corso di volo strumentale per i piloti delle compagnie aeree civili italiane.
1936 nominato amministratore e collaudatore della CANSA, gruppo FIAT.
18 luglio 1941 muore durante un collaudo del prototipo SAI 107 a Guidonia.
Medagliere
A seguito del volo atlantico, sia Ferrarin sia Del Prete alla memoria furono premiati con l’attribuzione della Medaglia d’Oro al Valore Aeronautico, M.O.V.A. nello stesso 1928. Le motivazioni delle due Medaglie furono approvate di pugno di Mussolini nel settembre 1928.
Tenente di complemento del 10 gruppo aeroplani, 82a Sq. M.A.V.M. motivazione: Pilota da caccia abile e animoso, in numerosi voli dava bella prova di ardimento e di calma. Il 28 gennaio e il 2 maggio 1918 dopo aspro combattimento, abbatteva due apparecchi nemici – Cielo di Gallo, di Spresiano e del Piave, 28 gennaio – 2 luglio 1918. (B.U. 65 del 16 agosto 1919, pag. 4514. R.D.14/08/1919.)
Decorato M.O.V.A., motivazione: Pilota insuperabile conquistava all’aeronautica italiana ambitissimi allori col volo Roma Brasile – R.D. 19/09/1928 (B.U. 1928 disp. 41, pag. 617).
Bibliografia
Ferrarin Arturo – Voli per il Mondo – A. Mondadori, Milano, 1929.
Caliaro Luigino – In volo verso oriente – Aviation Collectables Company, Santena (TO), 2020.
Ferrante Ovidio – Il primato italiano di distanza in volo rettilineo – Rivista Aeronautica, Roma, 4/2008; pag. 106-113
Didascalie illustrazioni
Carlo Del Prete, Gino Cappannini e Arturo Ferrarin posano a prua del SIAI S.64 sotto la carenatura motore. (Archivio L. Caliaro)
Carta dimostrativa del volo Roma – Brasile di A. Ferrarin e C. Del Prete, dis. Furio Matteotti. (foto da Ferrarin A.- cit.; tavola fuori testo)
Le motivazioni delle medaglie d’oro a Del Prete e a Ferrarin stese da S. E. Balbo e approvate dal Capo del Governo (che di suo pugno cancellò il riferimento “R.a”, Regia). (foto da Ferrarin A.- cit.; illustrazione N. 133)
Monumento ad Arturo Ferrarin “Gloria dell’Aviazione Italiana” presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, Roma. (USSMA, Roma)
[1]) Il ten. col. Francesco De Pinedo ed il m.llo motorista Ernesto Campanelli nel 1925 effettuarono una crociera di 55.000 km con un SIAI S.16 ter da Sesto Calende a Tokio e ritorno. Dal 27 febbraio 1927 al 16 giugno 1927 il col. Francesco De Pinedo, il cap. Carlo Del Prete quale secondo pilota ed il motorista Vitale Zacchetti volarono da Elmas con un SIAI S.55 attraverso l’Atlantico tra Bolama e Natal e quindi attraverso le due Americhe, rientrando a Ostia.
[2]) Questo impianto di prova fu un’anticipazione di quello che venne predisposto nel 1931-32 in un’aviorimessa a Torino per il motore Fiat AS.6 del primato mondiale di velocità dell’M.C.72.