SOCIO D’ONORE DELL’ISTITUTO DAL 1953 – TESSERA N° 44
Emblema della Resistenza cattolica, le Fiamme Verdi sono state delle formazioni partigiane nate a Brescia nel 1943; il nome si riferisce alle mostrine verdi degli Alpini, dai cui reparti proveniva la gran parte degli ex-militari che costituirono le primissime compagini. Fu soprattutto nella Lombardia orientale – nelle Valli, in particolare – e a Reggio Emilia che operarono, affondando le radici nel cattolicesimo sociale, nella Chiesa e in tutte le organizzazioni ecclesiastiche del luogo. Da queste parti, le altre formazioni ebbero un peso molto minore; comprese quelle organiche al Partito Comunista. Sorte grazie all’iniziativa di Gastone Franchetti, tenente degli Alpini, e di Rino Dusatti, le Fiamme Verdi furono fin da subito operative nelle valli bresciane e costituite da tre battaglioni facenti capo al generale Luigi Masini: il “Valcamonica”, il “Valsabbia” e il “Valtrompia”. L’intera organizzazione prese le mosse da una riunione tenuta a casa dell’ing. Mario Piotti il 30 novembre del 1943. Durante questa seduta furono anche nominati i comandanti dei tre battaglioni e steso il regolamento.
Si trattava, più che altro, di un manifesto ideologico volto a evidenziare gli obiettivi profondamente militari delle Fiamme Verdi e a definirne un’azione orientata alla liberazione dagli occupanti nazi-fascisti piuttosto che a perpetuare finalità politiche o partitiche. Queste ultime, anzi, erano marginalizzate e rifiutate per dare risalto al solo e unico motto dell’organizzazione: «Morte al fascismo; libertà all’Italia».
Il proselitismo dei diversi partiti era fortemente respinto e considerato negativo in quanto suscitatore di divisioni rispetto al compito primario della lotta di liberazione, che richiedeva, piuttosto, coesione e unità di intenti. Le formazioni partigiane cattoliche erano, dunque, ben lontane dal perseguire una strutturazione finalizzata all’intruppamento in movimenti politici su base ideologica; per questo all’interno delle organizzazioni cattoliche militavano popolari, comunisti, socialisti, azionisti, liberali di Giustizia e libertà, badogliani e semplici cittadini. Vi era, quindi, una straordinaria varietà di posizioni. Ma se ci fu un collante ideologico, assieme all’idea che solo la propaganda contro il fascismo e gli occupanti poteva essere tollerata, era la concezione di fondo per la quale la battaglia andava svolta contro il fascismo e non contro i fascisti. La dignità della persona, dunque, assieme ai suoi diritti pre-politici erano prevalenti rispetto ad ogni categorizzazione di tipo politico o partitico. Il pentimento, la conversione, la redenzione – principi appartenenti alla tradizione della cultura cattolica – non cessarono mai di essere riconosciuti e predicati. La storiografia locale successiva – soprattutto quella d’impronta marxista – dipinse, poi, l’attività delle Fiamme Verdi come dominata da un perenne attendismo, descrivendo la resistenza cattolica come sostanzialmente immobile nell’attesa degli Alleati e strategicamente orientata a non alienarsi, dopo la guerra, l’appoggio politico dei gruppi moderati e conservatori.
Fu dopo un colloquio tenuto a Milano tra Enzo Petrini e Ferruccio Parri che le Fiamme Verdi furono riconosciute dal CLNAI come organizzazioni apolitiche autonome e iniziarono le operazioni militari sul suolo di loro competenza: la Lombardia orientale. Gli esordi furono piuttosto confusi e titubanti, dominati da una sostanziale assenza di strategia e guidati dall’intuito quando non dall’improvvisazione. L’influenza di Teresio Olivelli e l’organizzazione militare di Romolo Ragnoli, comandante prima delle brigate e poi delle divisioni in Valle Camonica, si fecero, però, sentire presto – sulle Fiamme Verdi e sulla Resistenza bresciana in genere. L’attività di Olivelli è legata principalmente al giornale clandestino Il Ribelle, da lui fondato e diretto insieme a Claudio Sartori, attraverso il quale divulgò i principi ideali dei partigiani cattolici nella lotta al nazi-fascismo. Fu, inoltre, il tramite per i contatti con il centro di Milano e tra gli organizzatori più attivi delle Fiamme Verdi.
Queste, almeno fino alla primavera del 1944, restarono costituite in gruppi molto mobili al loro interno e sempre pronte a riaggregarsi e organizzarsi in forme differenti. I vari gruppi erano identificati con una lettera che li assimilava al battaglione (C per Valle Camonica, S per Valle Sabbia, T per Valle Trompia) seguita da un numero che, invece, individuava il singolo gruppo. Nell’estate del 1944 gruppi e battaglioni furono interamente riorganizzati e raggruppati nella divisione “Tito Speri”. Al suo interno si muovevano quattro brigate: la “Schivardi”, la “Lorenzini”, la “Dieci Giornate” e la “Perlasca”. Nell’aprile del 1945, però, venne tutto nuovamente riorganizzato in due divisioni così strutturate: la “Tito Speri” che contava le brigate “Schivardi”, “Tosetti”, “Lorenzini”, “Cappellini”, “Lorenzetti”; e la “Astolfo Lunardi” formata da “Perlasca”, “Margheriti”, “Dieci Giornate” e “Secchi”.
Anche se fare un conto dei partigiani non è operazione sicura né semplice, Rolando Anni, fondandosi sui documenti conservati nell’Archivio storico della Resistenza Bresciana e sulle stime di storici studiosi ha mostrato che il numero dei ribelli aderenti alle Fiamme Verdi era maggiore di tutte le altre formazioni messe insieme.
Dal sito “LE FIAMME VERDI”
La Città di Brescia è stata decorata di Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
“Nella lotta di liberazione la città di Brescia, prodigava con generosa larghezza il sangue dei suoi figli migliori e, con il fiero e tenace contegno degli abitanti della città e provincia, sosteneva validamente la resistenza contro l’invasore. Memorabili e duri scontri combattuti nelle valli e, mirabili fra tutti quelli del Passo del Mortirolo e quelli delle valli Trompia e Sabbia. Nei giorni dell’insurrezione generale, liberatasi con fulminea azione dalla occupazione nemica, la popolazione bresciana osava chiudere le sue strade alle colonne tedesche in ritirata e, con sanguinosi combattimenti, causava gravi danni al nemico e provocava la cattura di migliaia di prigionieri” – Brescia e sua Provincia, settembre 1943-aprile 1945