Massimo Coltrinari (a cura di) Battaglia del ponte di Primo Sole Luglio 1943

  

La Campagna di Sicilia

La Battaglia del ponte di Primosole[1]

(A cura di Massimo Coltrinari)

ABSTRACT

L’Operazione Husky, denominazione alleata della campagna di Sicilia, ebbe inizio il 9 luglio 1943. Essa rappresenta il punto di partenza della Campagna d’Italia e venne concepita ed organizzata dagli alleati in un clima di notevole controversia circa la linea operativa da seguire per il prosieguo del conflitto. A distanza di pochi giorni, precisamente dal 14 luglio e sino al 17 luglio, la Sicilia fu teatro di un’altra operazione, denominata Fustian. Quest’ultima intendeva conquistare il ponte di Primosole, crocevia obbligato per Catania e quindi, da lì, attraverso lo stretto di Messina, per la penisola italiana. La ricostruzione storico-politica degli eventi ha evidenziato l’azione dello statista inglese Churchill, che riuscì a convincere gli alleati statunitensi dell’importanza strategica che l’invasione della Sicilia avrebbe avuto, quale centro di gravità della nazione italiana, epicentro della volontà di combattere e che, qualora conquistata, avrebbe portato alla resa italiana.

Lo svolgimento delle operazioni militari pone in risalto come il Gen. Montgomery propose un piano di sbarco in cui le due armate (la 7a USA e la 8a UK) sviluppassero uno sforzo parallelo, supportandosi reciprocamente e mantenendo saldi i principi della “massa” e della “coordinazione”. Il successo iniziale portò successivamente alla separazione delle linee d’azione dei due corpi d’armata dell’8a armata che, abbandonando l’idea di concentrare le forze sul corridoio costiero, dispersero le proprie forze e limitarono il supporto del fuoco navale alle sole operazioni limitrofe alla costa. In tal modo, rallentata l’avanzata dell’8a Armata, si compromise la conquista del porto di Messina, permettendo il ripiegamento delle forze dell’Asse.

La ricostruzione dell’operazione aviotrasportata Fustian ha consentito di accertare come di ben 1.800 uomini imbarcati su velivoli e alianti, solo 280 raggiunsero la destinazione prefissata. Il quadro generatosi, frutto dell’assenza di cooperazione diretta tra truppe a terra e forza aerea, della mancanza di concentrazione delle forze inglesi nell’area della battaglia e della resistenza opposta dal Gruppo Shmalz durante l’avanzata delle truppe di terra lungo la costa orientale a sud del fiume Simento, sono la chiave di lettura del ritardato ricongiungimento con gli uomini della 1^ Brigata Paracadutisti. Dopo la conquista del ponte di Primosole, infatti, gli stessi soldati inglesi dovettero combattere un’aspra lotta contro le truppe dell’Asse per riuscire ad arrivare a Catania, subendo un ritardo di 20 giorni rispetto alla pianificazione e permettendo un ordinato ripiegamento delle truppe italo-tedesche dall’isola. Storicamente, l’episodio testimonia un clima di notizie frammentarie e confuse provenienti dal fronte. Si delineò un quadro generale non corrispondente alla realtà. Il convincimento della Gerarchia fascista di una resistenza della Sicilia rapidamente crollata, della presenza di viltà, di errori attribuiti all’Esercito nascondono la realtà di una sconfitta non imputabile alle unità schierate nell’isola siciliana. La superiorità di mezzi aerei, navali e terrestri delle truppe alleate, una situazione operativa che aveva permesso al nemico di scegliere il settore d’attacco e quindi di concentrare le forze sono, infatti, emblematiche per la lettura degli eventi.

L’invasione della Sicilia, seppur attesa dalle forze dell’Asse, ebbe un profondo impatto psicologico sul popolo italiano che, ormai deluso dagli insuccessi riportati in Nord Africa e in Russia, si abbandonò alla convinzione che il conflitto fosse ormai militarmente perso.

 

 

 

 

  1. LA SITUAZIONE PARTICOLARE
  2. Operazioni precedenti

L’idea di sbarcare in Sicilia non era del tutto nuova per la parte britannica. Infatti già nel dicembre del 40 e nell’ottobre del 41, le informazioni avute sul morale delle truppe italiane, fortemente scosso dall’andamento sfavorevole della guerra, avevano fatto pensare ad una conquista dell’isola. I due piani, denominati rispettivamente “Influx” e “Whipcord”, furono comunque ben presto messi da parte poiché considerata ancora bassa ed immatura la possibilità di successo di una operazione così complessa come quella dell’invasione dal mare della Sicilia.

Nel 1943, i tempi sembrarono maturi e le condizioni morali del popolo siciliano, ormai allo stremo, suggerirono un ripensamento di quei piani, reputando fattibile l’invasione dell’ Isola. Il vertice di Casablanca svoltosi tra il 14 e il 26 gennaio 1943,  diede infatti luogo ad un piano denominato “Husky”, che rappresentava un po’ la riedizione del piano “Whipcord”, con la suddivisione dell’isola in due settori operativi: gli inglesi ad oriente e gli americani ad occidente. L’idea era quella di impegnare il nemico su più fronti anche se questo comportava una forte dispersione delle forze; situazione che mal si adatta ad uno sbarco anfibio, per il quale, la concentrazione delle forze in un unico settore è un elemento fondamentale.

Proprio a tal proposito, le osservazioni del Maresciallo Montgomery, comandante dell’8^ armata britannica, fecero optare per l’annullamento degli sbarchi previsti dall’originario piano Husky a Sciacca, Palermo e Catania, a favore di una concentrazione su soli due settori: il golfo di Noto per l’8^ armata britannica e quello di Gela per la 7^ armata americana al comando del Gen. Patton. L’obiettivo iniziale era di risalire il versante orientale siculo per raggiungere da subito Siracusa e Catania, dove far affluire successivamente i rincalzi e i rifornimenti per proseguire l’avanzata su Messina, in modo da imbottigliare le forze dell’Asse e costringerle ad arrendersi[1]. Per la missione affidata alla 8^, pertanto, erano fondamentali le tre statali presenti nel settore: la N.115 e la N.114 nel tratto Siracusa-Catania e la N.193, diramazione della N.114 a servizio di Augusta. Tre ponti risultavano dunque indispensabili per il buon esito della risalita: quello sul Mulinello sulla 193, a 4 km. a Nord di Augusta, il Ponte Grande sull’Anapo ubicato a 3 km. ad ovest di Siracusa e quello sul fiume Simeto il Ponte di Primosole a 10 km. a sud di Catania sulla 114. Malgrado la larghezza dei fiumi non fosse eccessiva ed il periodo di magra estivo ne riducesse i corsi, la possibilità di superali senza difficoltà e quindi di mantenerli intatti, evitando quindi di far ricorso a gittaponti, era fondamentale sin dall’inizio, per non essere oggetto del fuoco nemico.

La notte tra il 9-10 luglio, l’8^armata, durante il trasporto sui convogli della Royal Navy della Task Force orientale, subì perdite minime e solo la 1^ divisione canadese perse parte dei proprio veicoli e attrezzature di comunicazione.

Gli sbarchi degli alleati furono per la maggior parte abbastanza semplici in quanto le difese costiere italiane si limitarono a inscenare una superficiale difesa prima di arrendersi o di disperdersi nella notte. D’altra parte il Gen. Guzzoni considerava un’irreparabile perdita di tempo tentare di reagire ai numerosi sbarchi alleati, ma comunque ordinò al Gen. Rossi, comandante del XVI Corpo d’Armata, di rinforzare le basi navali di Augusta e Siracusa. Pur ritenendo Siracusa il punto debole più grave, Guzzoni sperava che unendo le sue forze a quelle del Gruppo Schmalz e della Divisione Napoli, avrebbe potuto impedire che gli Alleati effettuassero un attacco vittorioso nella piana di Catania.

Nella parte centrale della Sicilia, intanto, il quartiere generale della Divisione Hermann Goering, a Caltagirone, aveva ufficialmente ricevuto la notizia degli sbarchi alleati solo attraverso la rete di comunicazioni tedesca dal quartier generale di Kesserling a Roma e tale circostanza metteva in evidenza quanto le comunicazioni tra tedeschi e italiani fossero inefficienti.

In previsione del primo scontro Conrath organizzò la Hermann Goering in due Kampfgruppen, ciascuno dei quali era un reggimento rinforzato: uno di fanteria pesante, l’altro di carri armati. L’intento era di scatenare entrambe le forze contemporaneamente contro la 1^ e la 45^ Divisione. A questo primo stadio della campagna di Sicilia la divisione era mediocre, godeva di una fama immeritata ed esagerata e disponeva di un gruppo di comando nel complesso inetto, cosa che spinse von Senger a lamentarsi del fatto che fosse stato affidato l’intervento nella Sicilia alla Goering invece che alla 15^ Divisione Panzer Grenadier, meglio addestrata e guidata.

Carri armati e fanteria non erano abituati ad agire congiuntamente e i capi della Hermann Goering sembravano non capire quanto fosse necessaria quella cooperazione su un terreno che, per la maggior parte, era del tutto inadatto a una guerra corazzata.

I tedeschi presto scoprirono che la Sicilia era poco adatta agli ingombranti carri armati Tiger  del peso di sessanta tonnellate, che avevano difficoltà a muoversi.

All’insaputa dei comandanti tedeschi, una forza italiana proveniente dal XVI Corpo d’Armata, chiamata Gruppo Mobile E, era già più avanti della Hermann Goering, pronta a lanciare un contrattacco dalla direzione di Niscemi. Anche il comandante italiano aveva diviso le sue forze in due elementi. Uno doveva partire da Niscemi diretto alla volta del campo di aviazione di Ponte Olivo e poi continuare verso sud lungo la strada 117 che conduceva direttamente all’estremità nord-est di Gela. L’altro aveva l’ordine di trasferirsi a sud lungo la stessa via secondaria che portava al raccordo con il Piano Lupo che Conrath aveva scelto per la sua forza di carri armati. Non solo il Gruppo Mobile E e la Hermann Goering non erano l’uno al corrente della presenza dell’altro, ma alcuni degli uomini della 82^ Aerotrasportata erano certi di essere attaccati dai tedeschi. La prima forza nemica a lanciarsi all’assalto sulla strada di Niscemi intorno alle nove fu l’elemento sinistro del contrattacco a tenaglia del Gruppo Mobile E contro Gela.

Il tenente di vascello C.G. Lewis, che stava volando su un aereo leggero da osservazione partito dall’incrociatore Boise , scorse per primo il Gruppo Mobile E intorno alle nove a circa 5 Km dal nodo stradale di Piano Lupo. Alle 9.10 il tenente di vascello Lewis chiamò in aiuto il cannoneggiamento navale del Boise. Questo è confermato dal rapporto compilato nel dopoguerra dall’Ufficio Storico dell’esercito italiano che afferma che il comandante del gruppo Mobile E divise a metà il suo contingente di carri armati leggeri (circa trentadue Renault da dieci tonnellate, sedici carri armati da tre tonnellate e parecchi carri armati più piccoli risalenti alla Prima guerra mondiale). Un altro cannoneggiamento navale fu richiesto per appoggiare il 16° di fanteria che si era lasciato le spiagge alle spalle e stava avanzando nell’interno per congiungersi con i parà sulla strada per Niscemi e alla “Y”.

Quando il Gruppo Mobile E scatenò il suo attacco a ovest, un battaglione della Divisione Livorno incominciò ad avanzare verso Gela. L’attacco italiano contro Gela fu duramente respinto dalla X Force di Darby. La parte destra dalla tenaglia del Gruppo Mobile E penetrò a Gela da Ponte Olivo e, per quanto disgregato dai cannoni navali, il grosso dei suoi carri armati leggeri riuscì ad entrare intatto nella città.

Nell’ambiente urbano, il battaglione della Divisione Livorno, che era considerata la migliore unità italiana in Sicilia, fu fatto a pezzi mentre avanzava in una formazione da sfilata secondo i canoni del combattimento del XIX secolo. Le pattuglie più tardi ispezionarono il luogo della carneficina e trovarono i corpi e l’equipaggiamento disseminati per una larga area del campo di battaglia.

Con un ritardo di cinque ore sul momento stabilito, la Divisione Hermann Goering lanciò infine il suo contrattacco verso le spiagge e verso Gela. La task force di carri armati pesanti che si dirigeva verso sud lungo la strada di Niscemi si scontrò con le truppe della 1^ Divisione e della 82^ Aerotrasportata a Piano Lupo, mentre la Task force orientale di fanteria pesante abbandonava il suo punto di raduno a ovest di Biscari con l’ordine di attraversare il fiume Acate e di attaccare Piano Lupo da est. Nonostante le truppe della Hermann Goering fossero in numero superiore, non avevano nulla da contrapporre alla cortina d’acciaio fornita dagli incrociatori e dai cacciatorpediniere statunitensi alla fonda del golfo di Gela.

A est la task force della Hermann Goering ebbe uno scontro frontale con il 1° Battaglione del 180° reggimento di fanteria del tenente colonnello William H. Schaefer, appoggiato da alcuni parà dispersi che si erano uniti al suo battaglione. La task force tedesca aveva da tempo perduto il contatto con Conrath e non sapeva quale fosse la situazione a ovest. Nella battaglia che seguì, una forza americana di gran lunga inferiore arrestò l’avanzata tedesca, in notevole misura grazie al fatto che i Tiger d’appoggio non erano in condizione di manovrare sul terreno a terrazze su cui sorgevano intricati gruppi di ulivi.

Dopo la terribile batosta che le forze tedesche avevano rimediato dagli uomini di Schaefer, Conrath mandò il suo capo di Stato maggiore a indagare sulle truppe della task force tedesca, e l’ufficiale scoprì che non solo uno dei due battaglioni di fanteria era stato tenuto inspiegabilmente di riserva ma che i carri armati e la fanteria non aveva collaborato fra loro. Sotto il suo pungolo, la forza si raggruppò  e incominciò un nuovo attacco che ebbe la meglio sugli americani. Schaefer e la maggior parte dei suoi uomini furono catturati  e quelli che riuscirono a fuggire furono costretti alla ritirata verso le alture costiere.

Se le forze combinate tedesca e italiana fossero state capaci di coordinare i loro attacchi e di colpire la 1^ Divisione intorno alle nove, i risultati sarebbero stati molto diversi.

Sul fronte orientale, la mattina del 12 luglio Guzzoni con costernazione scoprì che le difese dell’area delle fortificazioni di Siracusa erano ignominiosamente crollate e che lo sfacelo si era rapidamente allargato in direzione di Augusta. Rossi non era stato in grado di allestire qualcosa che assomigliasse a un’efficace reazione contro la rapida avanzata inglese. La 5^ Divisione si era scontrata con una parte del Gruppo Schmalz vicino a Priolo sulla provinciale Siracusa-Augusta, ma i tedeschi non erano stati capaci di fare qualcosa di più consistente che ritardare l’avanzata inglese. In tre giorni l’VIII Armata aveva catturato tutta la Sicilia sudorientale , dando credito all’aspettativa che la campagna potesse costituire solo una passeggiata.  Il XXX Corpo d’Armata aveva liberato la penisola di Pachino dalla scarsa resistenza rimasta. La 23^ Brigata corazzata sotto il controllo della 51^ Divisione al crepuscolo del 12 luglio si trovava già alle porte di Vizzini. Montgomery, dopo i successi riportati nelle giornate precedenti, decise di  sviluppare lo sforzo dei due corpi d’armata su due direttrici divergenti; in particolare il XXX corpo, avanzando verso Enna, avrebbe dovuto chiudere l’accerchiamento delle forze dell’Asse impegnate a contrastare l’avanzata della 7^ Armata del Gen. Patton. Il XIII corpo, dal canto suo avrebbe velocemente continuato la propria avanzata verso Catania e Messina per bloccare l’unica via di scampo dall’isola.

Dopo il fallimento del contrattacco sulla città di Gela, il Gen. Guzzoni  ordinò alla Divisione Hermann Goering di prendere contatto con la Divisione Napoli, pesantemente provata dallo scontro con le truppe Alleate. Tuttavia, l’unità tedesca, impegnata intensamente dalle truppe statunitensi, non poté effettuare tale ricongiunzione e nella giornata del 13 luglio, le forze inglesi, che ormai avevano superato l’allineamento Siracusa-Palazzolo Acreide, catturarono il Gen. Gotti-Porcinari, comandante della Div. Napoli, con tutto il suo comando.

Dopo quest’ennesimo successo, tuttavia, la marcia trionfale degli inglesi subì una momentanea battuta di arresto. Infatti, la città di Vizzini, che doveva essere conquistata il 13 luglio dalla 51^ Div., grazie alla resistenza del Battaglione esplorante della Hermann Goering, fu presa solo nella notte fra il 14 e 15 luglio, quando le forze tedesche erano ormai arretrate. Nel frattempo,  Montgomery, decise di dare maggiore spinta alla sua manovra, utilizzando la combinazione dell’attacco  dall’aria, mare e terra e attuando il piano FUSTIAN.

 

  1. L’ambiente operativo

Il ponte di Primosole era senza dubbio il più importante dei tre ponti identificati come “key terrein” dal piano Husky. Era costruito in ferro e la statale 114 lo raggiungeva da sud-ovest; a sud del fiume il canale Benante e il fiume Gornalunga costituivano un ostacolo naturale all’avanzata verso la piana di Catania. Intorno al fiume diversi uliveti e aranceti rappresentavano dei ripari naturali all’interno dei quali le truppe di entrambi gli schieramenti potevano trovare facile riparo. A sud del ponte era situata la collinetta di S. Demetrio che dominava il ponte e sulla sommità della quale, all’interno di due masserie, erano collocate due batterie di cannoni da 149/35. Leggermente a sud-ovest della collina era stato piazzato il campo trincerato di bivio Iazzotto all’incrocio tra le statali 114 e 385 proveniente da Caltagirone; a nord del ponte il torrente Buttaceto era allora poco più di un fossato, ma era profondo e stretto. “Sembrava fatto apposta per fermare l’avanzata dei carri armati”[2].

L’area in cui si svolse la battaglia era una zona collinare scarsamente popolata. I vigneti e gli uliveti che circondano la zona erano al centro di masserie, abitazioni coloniche che erano abitate da contadini, che, una volta evacuate, potevano servire da ricovero o da nascondiglio per le truppe che si fronteggiavano. I centri abitati di rilievo nei dintorni erano costituiti da Lentini, posta a sud-ovest del ponte e da cui proveniva la S.S.114, presa dalle forze inglesi la mattina del 14 luglio, e, ovviamente, da Catania, a nord del ponte, che costituiva il vero obiettivo dell’offensiva delle truppe dell’8^ Armata, nella marcia di avvicinamento a Messina. Il ponte di Primosole avrebbe, infatti, garantito l’accesso alla piana di Catania per gli Alleati che avevano, quindi la necessità di  catturarlo integro per consentire il passaggio delle truppe e soprattutto dei mezzi corazzati verso nord.

 

  1. I piani operativi

Il piano operativo inglese prevedeva degli aviolanci nella notte tra il D-1 (9 luglio ’43) al D+1 per catturare i tre ponti che avrebbero consentito il passaggio al grosso delle truppe verso la piana di Catania. Per il ponte di Primosole, l’incarico fu assegnato alla 1^ divisione aviotrasportata britannica che  comprendeva la 1ª Brigata Paracadutisti, articolata su tre battaglioni, appoggiata da cannoni anticarro trasportati da alianti. Il piano (denominato operation Fustian) prevedeva che quaranta minuti prima dell’attacco, si doveva effettuare un lancio di fantocci su Catania per ingannare il nemico; successivamente, trenta minuti prima dell’attacco due plotoni del terzo battaglione avrebbero dovuto lanciarsi su una batteria antiaerea situata a nordovest del ponte e neutralizzarla e, contemporaneamente una compagnia di pathfinder avrebbe dovuto segnalare agli alianti in arrivo le zone di atterraggio. Dieci minuti dopo, due plotoni del 1° battaglione paracadutisti e la compagnia genio avrebbero dovuto lanciarsi su due zone designate, a nord e sud del ponte, provvedendo a sminarlo. A distanza di venti minuti l’intera Brigata si sarebbe lanciata cercando di raggiungere i seguenti obiettivi: il 1° e il 3° battaglione avrebbero dovuto prendere posizione a nord del ponte e stabilire una testa di ponte; il 2° battaglione, invece, avrebbe dovuto catturare le due batterie sulla sommità della collina e il campo trincerato, denominati rispettivamente Johnny 1, 2 e 3. Dopo due ore sarebbero atterrati gli alianti che avrebbero trasportato i pezzi di artiglieria e le jeep necessarie alla movimentazione dei pezzi e del personale.

Le truppe dell’Asse, invece, imperniate sulle truppe italiane della Divisione di fanteria “Napoli”, erano state rinforzate nella mattina del 13 luglio dalle truppe tedesche della 1a Divisione paracadutisti, i cosiddetti “Diavoli verdi”. In particolare un battaglione mitraglieri era stato disposto in un aranceto a sud del fiume e appena a nord del campo trincerato per coprire il lato sinistro della statale 114 da cui ci si aspettava l’arrivo delle truppe inglesi.

 

  1. Le forze in campo

L’8^ armata britannica era organizzata su due corpi:

  • il XIII, costituito dalle 5^ e 50^ divisione di fanteria;
  • il XXX, costituito dalla 231^ brigata “Malta”, dalla 51^ divisione fanteria “Highland” e dalla 1^ divisione fanteria canadese
  • 1^ divisione aviotrasportata
  • 4^ e 23^ brigata corazzata;
  • Reparti speciali
  • 46^ e 78^ divisione in riserva.

A differenza dell’Esercito italiano dove ogni divisione di fanteria era su tre reggimenti, di cui uno di artiglieria, l’esercito britannico prevedeva per ogni divisione due o tre brigate di fanteria, ognuna di esse formata da tre battaglioni ed un gruppo di artiglieria campale su 25 pezzi ed una compagnia genieri. Completavano la divisione un battaglione esplorante da 78 carri, un battaglione mitraglieri e un gruppo anticarro.

L’organico complessivo di una divisione britannica, su tre brigate di 2.500 uomini, era quindi di circa 13.700 unità mentre quella americana contava anche 15.500 uomini.

In particolare, il XIII corpo comprendeva inizialmente tre brigate della 5^ divisione del Gen. Berney-Ficklin e due della 50^ comandata dal Gen. Kirkman. Nell’ordine le brigate erano la 13^ del Gen. Campbell sui battaglioni 2° Cameron, 2° Royal Inniskilling, 2° Wiltshire; la 15^ brigata del Gen. Rawstorne; la 69° del Gen. Cooke-Collins; la 151^ del Gen. Senior.

I battaglioni delle brigate erano per lo più formati da veterani d’Africa, tra questo spiccavano gli scozzesi che comunque non avevano rinunciato ad indossare i kilts e a lanciare l’attacco al suono delle cornamuse, tanto temibili da intimorire gli avversari.

Il settore da sbarco aveva il nome convenzionale “Acid” ed era suddiviso in 3 sottosettori: “North” comprendente la spiaggia “George”, “Center” comprendente la spiaggia “How” tra la foce del fiume Cassibile e Capo Negro, “South” suddiviso in “Jig North” e “Jig South” a cavallo di marina d’Avola. Le spiagge “George” e “How” erano riservate alla 5^ divisione e le due “Jig” alla 50^.

Si trattava di circa 25 km. di costa sabbiosa idonea per l’impiego di truppe da sbarco, che erano stati oggetto di ricognizione da parte degli inglesi nei mesi precedenti.

In sintesi, l’8^ armata, sbarcando con 22 battaglioni su 39 disponibili, avrebbe portato a scontrare 18.000 uomini contro i 4.800 posti a difesa, significando un vantaggio per gli attaccanti di quasi quattro a uno.

L’assetto difensivo dell’isola nel settore sud orientale era affidato al XVI corpo (Gen. Rossi ) della 6^ armata comandata dal Gen. Guzzoni.

Il XVI corpo si articolava in reparti della difesa fissa, scaglionata lungo la costa ed organizzati in divisioni o brigate costiere, ed in forze mobili volte a intervenire in loro supporto ed organizzate in divisioni di fanteria, truppe di corpo d’armata e armate minori. A queste si aggiungevano inoltre i dispositivi delle Piazze Militari Marittime e delle Difese Porto. Tra le forze mobili andavano inclusi i reparti tedeschi dislocati nell’isola.

In particolare, tra Capo Ognina e Vendicari era dislocata sulla costa la 206^ divisione costiera del Gen. d’Havetcon con il 146° reggimento nella zona dove sarebbe dovuto sbarcare il XIII corpo britannico, il cui settore si saldava a nord con il perimetro della Piazza Augusta-Siracusa che contava su 6 batterie navali di grosso e medio calibro, 11 a doppio compito, 6 antiaeree, 2 pontoni armati ed un treno blindato. Detto dispositivo era completato da un battaglione di marinai ed uno di avieri per la difesa ravvicinata delle rispettive istallazioni e poteva contribuire solo in misura irrilevante alla difesa di terra.

Più all’interno e parallelamente alla costa, a circa 3 km., vi erano poi tre gruppi di artiglieria.

La forza mobile, la divisione di fanteria “Napoli” del Gen. Gotti Porcinari, era invece quella destinata a intervenire sia nell’ambito della Piana di Catania sia nell’ambito della Piazza Augusta-Siracusa. La divisione mobile comprendeva il 75°e il 76° reggimento di fanteria, il 54° reggimento artiglieria, la 173^ legione Camicie Nere, il 54° battaglione mortai, due batterie antiaeree da 20 mm., il battaglione genio ed i servizi.

Per intervenire rapidamente la divisione era suddivisa in 6 gruppi tattici e con i suoi 11.000 uomini risultava inferiore di circa 2.700 unità rispetto ad una divisione tipo britannica, con 136 mitragliatrici contro 307, nessun carro a fronte di 78, 48 pezzi da campagna contro 75, nessun pezzo antiaereo contro 72, 24 cannoni anticarro contro 48, 12 autocarri contro 234.

La divisione “Napoli”, come le forze costiere, era costituita con reclutamento prettamente regionale, ed era quindi inevitabile che il morale dei soldati fosse condizionato dalle pessime condizioni in cui versava la popolazione siciliana, vessata da tre anni di guerra e di fame che in Sicilia per la difficoltà dei rifornimenti pesavano più che in altre regioni. Questo costituiva un chiaro vantaggio per il nemico.

Per quanto riguarda le truppe poste a difesa della zona della zona interessata dagli scontri del Ponte di Primosole, a protezione dell’ultima ansa del Simeto erano schierate due compagnie del XII battaglione mitraglieri, la 553a e la 554a. Il battaglione era da poco passato, insieme alle batterie poste a protezione del ponte, sotto le dipendenze della Divisione “Difesa Porto E”, che aveva la responsabilità della difesa del tratto costiero tra Catania e Avignone. Il fatto che per la protezione di circa venti chilometri di costa e di un punto strategico come il Ponte di Primosole, non fossero state impiegate risorse più ingenti da parte della VI armata, è testimonianza del fatto che il Comando Italiano non si aspettava un attacco da quella parte della Sicilia.

L’appoggio tedesco era costituito dal gruppo tattico “Schmalz” dislocato a Paternò. Urgevano rinforzi e il comando tedesco iniziò a rastrellare unità in ogni angolo d’Europa. La prima unità designata fu la 1ª Divisione Fallshirmjaeger agli ordini del General der Fallschirmtruppe Richard Heidrich, di stanza ad Avignone nella Francia meridionale: qui i reparti si stavano riposando dopo un lungo periodo di duri combattimenti sul fronte orientale.
Formata nell’aprile del 1943 dalla 7^ Divisione aviotrasportata (7^ Flieger-Division) in Francia, dalla fine di maggio l’unità era dislocata a Flers (vicino Avignone) in riserva, alle dipendenze dell’XI.Flicgerkorps/Heeresgruppe D. Nella notte tra il 10 e l’11 luglio, i paracadutisti della Divisione furono messi in stato di allerta. Dopo solo poche ore, i primi reparti ricevettero l’ordine di trasferimento in Italia: il 3° Reggimento paracadutisti, il 1° ed il 3° Battaglione del 4° Reggimento, il battaglione mitraglieri paracadutisti insieme ad altri reparti vennero lanciati o fatti atterrare nell’area intorno a Catania.

Il 1° Reggimento paracadutisti raggiunse Napoli via ferrovia, e qui attese il trasferimento in Sicilia. Il 3° Reggimento all’arrivo in Sicilia, dispose i suoi reparti in posizione difensiva: il 2° Battaglione del maggiore Rau si attestò presso Francofonte, mentre il 1° ed il 3° Battaglione agli ordini dei maggiori Boehmler e Kratzert furono dislocati più a nord nella zona di Lentini e Carlentini. Il battaglione attestato a Lentini fu raggiunto il 13 luglio dal Battaglione mitraglieri e da altri reparti. In poco tempo venne completata la disposizione di tutti i reparti, comprese le compagnie anticarro e di artiglieria. Il 4° Reggimento della divisione paracadutisti tedeschi, dal 17 luglio, divenne l’unità protagonista della difesa del ponte di Primosole nella piana di Catania. Proprio intorno a questo ponte si svolsero i combattimenti più cruenti della campagna siciliana. La strada più breve tra la spiaggia di Augusta e Messina correva infatti lungo la costa orientale della Sicilia, ma si snodava tra monti ed era ricca di numerosi corsi d’acqua. Il comando germanico sapeva benissimo che se gli inglesi avessero superato questa barriera naturale e raggiunto la piana di Catania, la strada verso Messina sarebbe stata aperta ai corazzati alleati. Era dunque vitale tenere lontano gli inglesi dalla piana di Catania ed il fulcro della difesa venne stabilito proprio nell’area intorno al ponte sul Simeto, poco più di 10 km a sud di Catania. Sul ponte i paracadutisti tedeschi dovevano fermare gli inglesi con la consapevolezza che alle loro spalle non c’erano più reparti disponibili di rinforzo. I primi fallschirmjaeger tedeschi che scesero nella zona dell’aeroporto di Catania e nei suoi dintorni, nella notte tra il 12 ed il 13 luglio precedettero di qualche ora l’arrivo dei paracadutisti inglesi.

Infine il confronto tra attaccanti e difensori non può non considerare la situazione aeronavale. Sul mare, essendosi deciso di non fare intervenire la squadra italiana da battaglia a difesa della Sicilia, il contrasto consisteva solo in una trentina di sommergibili e in una quarantina di motosiluranti.

Per quanto attiene al potere aereo, invece, l’Asse disponeva nel suo complesso di 1862 velivoli di cui la metà tedeschi, ma più di un terzo (circa 800) erano inefficienti. In Sicilia vi erano esclusivamente reparti di caccia e di assalto per un totale di 389 velivoli di cui solo 207 efficienti. Il confronto con il campo alleato che annovera circa 3.400 velivoli (di cui 2.500 efficienti e impiegabili in ruoli offensivi, si commenta da solo. Di questi, gli alleati ne avevano destinato 670 al supporto diretto delle attività di sbarco.

Tornando alle forze impiegate nelle operazioni legate al ponte di Primosole, la 1a Brigata aviotrasportata era composta da 3 battaglioni paracadutisti, la 1a compagnia pathfinder, il 1° Squadrone di genieri paracadutisti e la 16ª unità di sanità aviotrasportata appartenente al Reale Corpo medico dell’esercito, per un totale di 1.856 uomini. Questi sarebbero stati appoggiati da un distaccamento di artiglieria, 77 uomini con 10 cannoni controcarro, 18 jeep per il trasporto caricati sugli alianti. I para inglesi sarebbero stati trasportati sull’obiettivo da 116 C-47 (DAKOTA) del 51° Stormo trasporto truppe, e dagli alianti americani (WACO) e  inglesi (HORSA).

Da questo punto di vista, tuttavia, c’erano delle sostanziali differenze tra gli alianti statunitensi e quelli britannici: i primi erano più grandi e potevano imbarcare un intero plotone di fucilieri, mentre i secondi ne contenevano solamente metà. Ancora peggiore era la situazione per quel che riguardava l’artiglieria anticarro: gli alianti inglesi erano in grado di trasportare su un unico volo il cannone a sei canne e la jeep per il trasporto, completi delle munizioni, mentre l’aliante americano poteva trasportare solo una delle due parti. Quindi, per fare in modo che il sistema fosse efficiente, era necessario che i due alianti che trasportavano le due parti del sistema d’arma atterrassero vicini, per non vanificare le operazioni di lancio.

Anche per quel che riguarda la capacità e l’esperienza dei piloti, c’è da segnalare che i piloti americani, pur se molto esperti, non avevano particolare dimestichezza con il volo notturno e questo causò molti problemi, considerando che i lanci dei parà avvennero nella completa oscurità e che l’orientamento della maggior parte dei piloti di Dakota era stato compromesso dal fuoco antiaereo e dalla mancanza di riferimenti al suolo.

Durante le fasi di avvicinamento, infatti, molti dei velivoli furono abbattuti o persero l’orientamento e i paracadutisti e gli alianti non arrivarono sulle zone di lancio o di atterraggio previste; su più di 1800 paracadutisti che costituivano la forza d’assalto, solo 295 arrivarono ad assalire il ponte ed i pochi parà che si trovarono a difendere il ponte lo fecero praticamente senza armi pesanti, che erano contenute negli alianti dispersi.

L’esiguo numero di parà, che comunque prese il controllo del ponte nella notte tra il 13 e 14 luglio, sminandolo e rendendolo disponibile per il passaggio successivo delle truppe alleate, non consentì la difesa dell’installazione il giorno seguente, quando le truppe inglesi vennero attaccate con colpi di mortaio e di cannoni da 88 mm da parte dei “Diavoli verdi”.

 

  1. GLI AVVENIMENTI
  1. Le operazioni di guerra
  • Il piano per la conquista del ponte di Primosole

Secondo il piano elaborato per l’Operazione FUSTIAN, la 1^ Brigata paracadutisti della 1^ Divisione aviotrasportata inglese, di stanza a Kairouan (Tunisia), avrebbe dovuto prendere il ponte di Primosole nella notte tra il 13 e il 14 luglio 1943. La Brigata sarebbe stata aviolanciata sulle zone di lancio (ZL) assegnate, seguita tre ore dopo da una piccola flotta su alianti comprendenti due contingenti di artiglieria leggera (dotati di fucili mitragliatori). Nello stesso tempo, il 3° Battaglione Commando[3] sarebbe sbarcato dal mare e avrebbe catturato il ponte di Malati, che attraversava il fiume Lentini (circa a 5 Km a Sud della città di Lentini).

Contemporaneamente, la 50^ Divisione, partendo da Sortino, con il rinforzo della 4^ Brigata corazzata, si sarebbe spinta rapidamente a nord verso Carlentini, per continuare l’avanzata espugnando Lentini, fino ad arrivare al ponte di Primosole. Durante tale offensiva, la 50^ Divisione avrebbe preso sotto il proprio controllo sia il ponte Malati sia il ponte di Primosole, stabilendo così una testa di ponte a nord del fiume Simento entro il crepuscolo del 14 luglio. Il giorno successivo, il restante delle forze in campo avrebbe completato l’operazione prendendo Catania.

Il Gen. Montgomery, estremamente ottimistico dopo la presa di Siracusa a 48 ore dall’inizio dell’Operazione Husky, decise di serrare i tempi e tentare l’accerchiamento delle forze dell’Asse. Non valutando in maniera oggettiva le caratteristiche del terreno siciliano, molto differenti da quelle del deserto nordafricano, affidò alla 50^ Divisione il compito, in realtà oltremodo ambizioso, di percorrere circa 45 km. in meno di 24 ore fino al ponte di Primosole, sbaragliardo tutte le forze presenti lungo l’itinerario.

Il compito specifico di catturare il ponte (Operazione “FUSTIAN”) fu dato alla 1^ Brigata paracadutisti del Gen. Lathbury (di stanza a Kairouan – Tunisia). Il piano prevedeva l’impiego di tre battaglioni paracadutisti. Il 1°btg., agli ordini del Ten. Col. Pearson, avrebbe dovuto prendere il ponte, mentre il 3°btg., agli ordini del Ten.Col. Yeldham, sarebbe atterrato a circa 1 km a nord per stabilire una testa di ponte, che avrebbe permesso di fronteggiare ogni eventuale attacco proveniente dalla direzione di Catania. Il 2°btg. invece, agli ordini del Ten.Col. Frost, si sarebbe impadronito delle alture a sud del fiume Simeto, chiamate in codice JOHNNY 1, 2 e 3, al fine di controllare gli itinerari di accesso al ponte Primosole dalla parte sud[4].

 

  • La battaglia per il ponte di Primosole – cronologia degli eventi
    • 11 e 12 luglio
  • Operazioni aviotrasportate

Il feldmaresciallo Kesserling[5], ricevuti i rapporti inerenti la difficile situazione della Divisione “Goering” dopo lo sbarco degli Alleati, ordinò al Comandante (Cte) della 1^ Divisione paracadutisti, Gen. Heidrich, di inviare con urgenza rinforzi alla stessa. Intorno alla mezzanotte dell’11 luglio fu messo in allerta il Col. Heilmann (Cte del 3°reggimento paracadutisti tedeschi – Fallschirmjager FJR – della 1^ Divisione paracadutisti di stanza ad Avignone, Francia) che con il suo reggimento avrebbe dovuto costituire la punta avanzata di uno specifico rinforzo[6] da fornire alla Divisione “Goering”. Il Col. Heilman, unitamente ad un ristretto numero di collaboratori (il Cap. Stangenberg e il Cap. Specht) partì alle 5 di mattina del 12 luglio da Avignone alla volta di Catania. Atterrato all’aeroporto di Catania, il nucleo riuscì a individuare con immediatezza una zona di atterraggio per le truppe in arrivo (a est della strada 114, tra i fiumi Gornalunga e Simeto). Gli uomini di Heilmann, circa 1400 paracadutisti, atterrarono in Sicilia alle ore 18.15 circa del 12 luglio (senza peraltro incontrare alcun tipo di resistenza da parte della aviazione e/o unità contraerei nemiche) e si avviarono verso Lentini, dove avrebbero dovuto porsi sotto il comando del Col. Shmalz[7]. Una volta raggiunta Lentini (circa alle 20.00), il 2° battaglione del reggimento fu inviato a Francofonte per colmare la breccia che era stata creata tra le unità della Divisione “Goering” che difendevano Vizzini e il gruppo di Shmalz che era a Lentini;

  • Operazioni terrestri

Sulla collina di S. Demetrio, che domina la parte sud del fiume Simeto, si trovavano la 162a e la 163a batteria del XXX gruppo da 149/35 nei pressi delle masserie San Paolo e Codadivolpe, cui si affiancava il campo trincerato di bivio Jazzotto, alla confluenza della s.s.144 da Lentini con la s.p.385 da Caltagirone.

Il ponte era munito alle due estremità di posti di blocco, ognuno dotato di due fortini ed altrettanti pezzi anticarro 47/32.

A nord del fiume, dopo 4 km, il Fosso Buttaceto intersecava il rettifilo con funzione d’ostacolo anticarro. Lo precedevano, sulla destra, la 276a batteria del CXLIV gruppo da 305/17 ed a sinistra, ma un paio di km all’interno, la più meridionale delle molte batterie contraerei italo-tedesco, poste a protezione delle piste ove era schierata l’aviazione da caccia dell’asse.

In quanto alle unità di fanteria, la loro presenza era scarsa nell’area, basandosi esclusivamente su due compagnie del XII btg. Mitraglieri, la 553a e la 554a schierate tra l’ultima ansa del Simento ed il retrostante boschetto, insieme ad un paio di compagnie del 372° btg. Costiero che presidiavano il fronte verso mare.

  • Operazioni anfibie/di forze speciali

Nihil;

  • Operazioni aeree

Nihil;

  • 13 luglio
  • Operazioni aviotrasportate

Ulteriori rinforzi giunsero alla Divisione “Goering” dal 1° battaglione paracadutisti mitraglieri, che fu sbarcato all’aeroporto di Catania. L’unità, agli ordini del Cap. Laun (vicecomandante di battaglione[8]), si schierò a 2 km a Sud del ponte di Primosole, con l’ordine di tenere il ponte sul Simeto.

Nel dettaglio l’Operazione FUSTIAN (presa del Ponte da parte delle truppe inglesi) cominciò nella notte del 13 luglio con 145 aerei: 126 trasportavano paracadutisti e 19 trainavano i grossi alianti Horsa che trasportavano le armi anticarro dell’artiglieria paracadutata[9].

L’operazione aviotrasportata non ebbe un grande successo, in quanto fu fatta oggetto sia del fuoco amico (navi inglesi al largo di Malta e della Sicilia) sia del fuoco antiaereo delle batterie dell’Asse schierate sulle coste della Sicilia. Solo 30 aerei riuscirono a lanciare le truppe nella zona prescelta, 9 lanciarono nelle vicinanze e 48 si ritrovarono in zone lontane circa 30 km dalla zona prescelta. Dei 1856 tra Ufficiali e soldati partiti da Kairouan, solo 12 Ufficiali e 283 soldati atterrarono al ponte di Primosole o nelle sue vicinanze[10].

  • Operazioni terrestri

Intanto procedevano i combattimenti presso Lentini, dove si trovava il gruppo di Shmalz che, grazie ai rinforzi ricevuti, riuscì a ritardare l’avanzata della 50^ e 5^ Divisione della VIII Armata. Lentini, contrariamente a quanto previsto dal piano del Gen. Montgomery (presa della città per il giorno 13 luglio), fu persa dalle truppe dell’Asse solamente nel pomeriggio del 14 luglio grazie alla strenua resistenza opposta dal gruppo del Col. Shmalz.

  • Operazioni anfibie/di forze speciali

Nel frattempo si preparava la presa del ponte Malati da parte del 3° Battaglione Commando (agli ordini del Ten. Col Slater). Il piano prevedeva lo sbarco nella baia di Agnone (dalla nave “Prince Albert”) nella notte del 13 luglio. Appena a terra, il commando avrebbe marciato per circa 8 km fino al ponte Malati, che attraversava il fiume Lentini e che costituiva la via principale lungo la strada 114 che univa Lentini a Catania, l’unica via diretta da sud verso il ponte di Primosole.

I primi commando toccarono terra alle ore 22:00 circa ma, invece di incontrare la scarsa resistenza offerta dalle truppe italiane, si imbatterono nei paracadutisti del 3° FJR (gli inglesi non erano a conoscenza dell’arrivo delle truppe paracadutiste del Col.Heilmann e al Ten.Col.Slater era stato riferito sul molo di Siracusa, direttamente dal Gen. Dempsey – Cte del XIII Corpo, che si sarebbe dovuto aspettare sulle spiagge solo un’opposizione da parte di truppe italiane), e quindi accumularono un ritardo di alcune ore. Il ponte Malati fu raggiunto solo alle ore 03.00 del 14 luglio.

Il 3° Commando doveva tenere il ponte fino all’arrivo della 50^ Divisione, in quanto la strada 114 era essenziale per lo sviluppo del piano del Gen. Montgomery (la Divisione, che sarebbe dovuta arrivare alle prime luci dell’alba del 14 luglio, si trovava ancora a parecchi chilometri di distanza ingaggiata dal gruppo di Shmalz). Infatti, la prima unità della 50^ Divisione (il 5° battaglione del reggimento “East Yorkdella 69^ Brigata) arrivò sul ponte Malati solo alle 17.00 del 14 luglio quando gli appartenenti al 3°Commando avevano già pagato un elevato tributo in termini di vite umane[11].

  • Operazioni aeree

Nihil;

  • 14 luglio
  • Operazioni terrestri

Il 2° battaglione del Ten.Col. Frost, alle ore 05.30 circa, arrivò nelle posizioni a lui assegnate (i punti JOHNNY 1, 2 e 3, a sud-est del ponte di Primosole) con una forza di soli 140 uomini e privo degli appoggi che potevano offrire loro le armi di reparto e mezzi di comunicazione[12].

L’offensiva tedesca non si fece attendere infatti, alle prime luci dell’alba, il 2° battaglione fu attaccato dalle truppe del 1° battaglione paracadutisti mitraglieri che si era schierato a 2 km a sud del ponte.

Il 2° battaglione del Ten.Col. Frost riuscì comunque a sostenere l’urto dei contrattacchi tedeschi durante le prime ore della giornata del 14 luglio. Ad ogni modo le perdite furono ingenti[13] e le munizioni cominciarono a scarseggiare e si andò via via delineando la certezza di una imminente sconfitta, anche perché non vi era alcuna traccia dell’arrivo della VIII Armata (il Comandante della Brigata paracadutisti – Gen. Lathbury- apprese in mattinata che la 50^ Divisione non sarebbe arrivata nei tempi previsti in quanto stava incontrando una forte resistenza nei pressi di Lentini).

Il 3° battaglione arrivò sul luogo prescelto e occupato l’obiettivo, immediatamente dovette iniziare a gestire molti soldati italiani che, alla loro vista, si erano arresi.

Il 1° battaglione paracadutisti, che aveva l’ordine di effettuare il colpo di mano per la presa del ponte, atterrò nella zona giusta solo con un piccola parte dei suoi uomini e privo di quasi tutte le mitragliatrici Vicker, dei mortai e delle armi anticarro, che andarono perdute nel lancio. Il ponte, che era in mano a forze difensive italiane[14] e che, alla vista del nemico, erano fuggite evitando il combattimento, fu preso all’incirca alle ore 03.00 da parte di un gruppo di circa 50 uomini comandati dal Cap. Rann. La difesa del ponte venne organizzata con i pochi uomini (circa 120) a disposizione del 1° battaglione, oltre a due plotoni avuti in rinforzo dal 3° battaglione e tre cannoni anticarro.

Per quanto concerne le difese dell’Asse sulla riva settentrionale del fiume Simeto, queste consistevano di pochi battaglioni italiani, mentre a sud era schierato il battaglione paracadutisti mitraglieri, giunto in rinforzo alla Divisione “Goering” in data 13 luglio. Il battaglione creò non poche perdite alle truppe inglesi già nella fase di aviolancio. Le truppe inglesi, infatti, furono fatte oggetto di fuoco da parte delle mitragliatrici tedesche appostate nella zona a sud del ponte. All’inizio del pomeriggio, subirono anche un cannoneggiamento da parte dell’artiglieria pesante tedesca con pezzi da 88 mm. Nella tarda mattinata del 14 i Tedeschi cominciarono una serie di contrattacchi, ad opera del Cap. Stangenberg, per riprendersi il ponte[15]. Stangeberg riuscì a radunare in breve tempo una forza di circa 350 uomini (200 della sua task force e 150 radiotelegrafisti), che consisteva anche di una batteria contraerea equipaggiata con soli due cannoni (uno da 88 mm e un vecchio cannone italiano da 5 cm fatto funzionare da serventi tedeschi). La batteria contraerea fu schierata ai lati della strada 114, mentre i radiotelegrafisti agli ordini del Cap. Fassl furono schierati a est con il compito di attraversare il fiume Simeto e di attaccare il fianco destro inglese. Poco dopo le 13 iniziò il primo attacco da parte tedesca, che fu respinto senza troppe difficoltà. Ne seguì un secondo dal fianco destro che costrinse le forze inglesi a restringere il perimetro della linea difensiva attorno al ponte. Gli attacchi proseguirono per tutta la mattinata e il Ten. Col. Pearson accortosi che la 50^ Divisione tardava ad arrivare e che oramai scarseggiavano anche le munizioni, alle ore 17.30 diede ordine di abbandonare la riva settentrionale del fiume Simeto[16].

Al crepuscolo, dopo l’aviolancio del battaglione paracadutisti del genio tedeschi sulla piana a nord del fiume Simento, l’unità di Stangeberg fu rischierata a difesa del porto di Catania, mentre i primi ricevettero l’ordine della riconquista del ponte. Sin dalle 21:30, nell’area v’erano in perlustrazione u paio di camionette del II btg. Arditi al comando del S.ten. Donìa; la fama del reparto era giunta da tempo all’orecchio dei tedeschi. Un ufficiale dei genieri fermò Donìa e , dopo avergli illustrato il proposito di agire per riprendere il ponte, chiese che gli arditi vi dessero una mano alla loro maniera. Donìa chiamò il magg. Marcianò, che lasciò subito il comando di battaglione dirigendo su Primosole alla testa di tre pattuglie della 113a cp.. Raggiunto il Simento, Marcianò impartì le ultime istruzioni ai suoi uomini, che avrebbero agito al comando del Cap.Paradisi, vicecomandante di battaglione. Alle 01:45 del 15, dopo l’azione preparatoria dei tedeschi, le sei camionette imboccarono il ponte a tutta velocità mettendo in fuga l’avanguardia avversaria che si diresse verso bivio Jazzotto, ove era il grosso della brigata. Conclusosi l’assalto degli arditi, la 1acp. Genieri prese posizione sulla sponda sud del fiume, presso il ponte; le altre due si sistemarono su quella nord, a cavallo del rettifilo, avendo sulla sinistra la 553a cp. Mitraglieri e sulla destra i mitraglieri del Cap. Shmidt che, nella notte erano indietreggiati, appostandosi tra il Gornalunga ed il Simento.

Nel frattempo. a Sud di JOHNNY 1, alla vista del Gen. Lathbury apparve il primo carro Sherman della 4^ Brigata Corazzata, seguito due ore dopo da una compagnia appiedata del 6° reggimento di fanteria leggera “Durham”.

L’arrivo dei carri Sherman costrinse i Tedeschi a ritirarsi sulla riva settentrionale del Simeto, dove si preparano a fronteggiare un eventuale attacco delle forze inglesi intenzionate a spingersi sino a Catania, anche se l’attacco inglese fu rimandato alla notte successiva[17].

Nel frattempo a sud gli uomini del 3° FJR stavano respingendo l’avanzata della 5^ Divisione verso Carlentini, ma una volta persa Lentini il Col. Shmalz ordinò agli uomini del 3° FJR di far ritirare i suoi paracadutisti ad ovest del ponte. Inizialmente Heilmann si rifiutò di abbandonare la posizione e la ritirata iniziò con ritardo, solo quando era oramai impossibile continuare a mantenere la posizione. Heilmann aveva nutrito la speranza di riuscire a fuggire verso Catania, ma si rese conto che la via di fuga scelta era resa impraticabile dal costante cannoneggiamento della Royal Navy. Costretti ad abbandonare armi e mezzi pesanti, i paracadutisti tedeschi si diressero a nord-est nella notte tra il 14 e il 15 luglio e all’alba del 15 luglio si ritrovarono a sud-est del ponte Malati, in quanto la via di fuga inizialmente prescelta era bloccata da truppe e carri inglesi (riuscirono a raggiungere l’aeroporto di Catania dove vi rimasero per tutto il 16 luglio, mentre colonne inglesi procedevano verso Primosole).

  • Operazioni aeree

Una volta giunti sull’obiettivo, gli uomini del 1° battaglione inglese furono lasciati indisturbati per buona parte della mattinata del 14, ad eccezione di un bombardamento aereo a circa metà mattinata che mitragliò sul ponte senza però causare gravi danni[18];

  • Operazioni aviotrasportate

Alle prime ore del crepuscolo furono paracadutate sopra l’aeroporto di Catania tre compagnie del 1° battaglione Fallschirm-Pionier (battaglione del genio della 1^ Divisione paracadutisti tedesca). I circa 450 uomini aviolanciati, agli ordini del Cap. Adolff, durante la notte raggiunsero il ponte di Primosole per dare il cambio agli uomini del Cap. Stangenberg. Adolff sistemò due delle sue compagnie attraverso la strada 114 all’estremità meridionale del ponte, mentre la terza compagnia formata da 150 uomini ne difendeva l’estremità settentrionale;

  • Operazioni anfibie/di forze speciali

Nihil;

  • 15 luglio
  • Operazioni terrestri

Alle 7.30 cominciò nuovamente la battaglia per la conquista del ponte con l’appoggio del 24° e 98° reggimento di artiglieria da campagna inglese che cominciarono a sparare sulle posizioni tedesche.

Trenta minuti dopo ebbe inizio l’attacco inglese, con l’avanzata lungo la strada 114 delle prime truppe del 9° reggimento di fanteria leggera “Durham” appoggiate dai carri Sherman del 44° reggimento carri.

Gli uomini del 9° reggimento di fanteria vennero falciati dal fuoco delle mitragliatrici tedesche e insieme alle unità carri del 44° reggimento tornarono indietro[19]. Nonostante il successo iniziale i Tedeschi abbandonarono l’ottima posizione difensiva detenuta (la 1^ compagnia aveva occupato una sporgenza a sud e a est della strada 114). Il Tenente Cords (Comandante della compagnia), ritenendo erroneamente di essere stato abbandonato, decise di salvare i suoi uomini facendo arretrare la prima compagnia attraverso il Simeto.

  • Operazioni aviotrasportate

Nihil;

  • Operazioni anfibie/di forze speciali

Nihil;

  • Operazioni aeree

Nihil;

  • 16 luglio
  • Operazioni terrestri

Dopo la sconfitta riportata nel primo attacco, le forze inglesi decisero di lanciare il successivo attacco nella corso della notte. All’una del 16 fu lanciato il secondo attacco dalla fanteria leggera “Durham” per la conquista del ponte. Inizialmente, gli artiglieri inglesi impegnarono le forze tedesche in un fuoco intenso di circa un’ora e,  successivamente, due compagnie dell’8° reggimento di fanteria “Durham” riuscirono a guadare il fiume e a raggiungere una posizione sicura sulla riva settentrionale del fiume, cogliendo i Tedeschi di sorpresa. Ben presto la fanteria leggera ebbe anche il controllo dell’estremità nord del ponte. Secondo il piano, una volta conquistato il ponte il resto del battaglione assieme a una squadra del 44° reggimento carri avrebbe dovuto attraversarlo immediatamente e costruire una testa di ponte per circa un chilometro verso nord. Ma, ancora una volta, gli apparati ricetrasmittenti inglesi non funzionarono e venne perso il momento decisivo per portare un attacco in profondità alla linea difensiva tedesca. I Tedeschi avevano così avuto il tempo di reagire e ricacciarono indietro l’assalto portato dai carri Sherman del 44° reggimento. Nel frattempo, la fanteria inglese si servì della copertura di un fossato che correva ai lati della strada 114 e dopo aver percorso parecchie centinaia di metri, uscì allo scoperto ingaggiando un duro scontro con le forze tedesche presenti. In mezzo ai vigneti la fanteria leggera “Durham” e i paracadutisti tedeschi ingaggiarono un combattimento furioso, con scontri corpo a corpo;

  • Operazioni aviotrasportate

Nihil;

  • Operazioni anfibie/di forze speciali

Nihil;

  • Operazioni aeree

Nihil;

  • 17 luglio
  • Operazioni terrestri

Nella notte tra il 16 e il 17 luglio arrivarono altri rinforzi ai Tedeschi dal 4° reggimento paracadutisti (4°FJR), che si trasferì nelle posizioni lungo il Fosso Bottaceto, per aiutare i genieri oramai decimati (furono raggiunti più a ovest anche da altri elementi provenienti dal Gruppo Shmalz).

Il terzo attacco degli inglesi incominciò all’una di notte del 17 luglio, dopo che il 6° e il 9° battaglione di fanteria leggera “Durham” avevano attraversato il fiume con facilità. Ma quando la fanteria tentò di avanzare verso Nord, i Tedeschi le contesero ogni metro di terreno. Seguì un combattimento ancora più aspro e un intero plotone del 6° battaglione andò perduto, così come anche la compagnia “A” del 9° battaglione, che perse un plotone.

Poco dopo l’alba, i Tedeschi lanciarono un contrattacco appoggiato con carri armati che fu arrestato dal fuoco dell’artiglieria. Gli inglesi avevano il supporto di 9 carri Sherman e la battaglia infuriò per tutta la giornata. Gli scontri più cruenti si svolsero in mezzo ai vigneti dove gli uomini del Cap. Fassl centrarono altri 3 Sherman. Alle prime luci del giorno, il campo di battaglia era ricoperto dei corpi dilaniati dei morti e dei morenti. La scena era così atroce che il Cap. Fassl[20] riuscì a concordare un temporaneo cessate il fuoco con gli inglesi per far dare assistenza ai feriti di entrambe le parti.

Per i Tedeschi il 17 luglio rappresenta un punto di svolta, in quanto si resero conto che ormai la tenuta del ponte era impossibile. Decisero pertanto di farlo saltare con camion carichi di esplosivo ma, fortunatamente per gli Inglesi, i tentativi fallirono.

I carri armati inglesi ben presto arrivarono su buona parte delle posizione dei Tedeschi, che si stavano ritirando a nord, per cercare scampo nel Fosso Bottaceto. Le perdite da entrambe le parti furono notevoli, gli Inglesi ritenevano che i Tedeschi avessero lasciato sul campo di battaglia circa 300 morti e che altri 155 uomini fossero stati presi prigionieri, tutti appartenenti alla 1^ Divisione paracadutisti[21]. Anche le perdite tra gli uomini della fanteria leggera “Durham” furono ingenti: 120 per il 6° battaglione e 100 per il 9° battaglione.

Il 17 luglio, dopo tre giorni di accaniti combattimenti, la testa di ponte della 50^ Divisione si estendeva per un chilometro a Nord del ponte di Primosole. Ebbe così fine la battaglia del Ponte;

  • Operazioni aviotrasportate

Nihil;

  • Operazioni anfibie/di forze speciali

Nihil;

  • Operazioni aeree

Nihil.

  • Epilogo

La 50^ Divisione non riuscì a superare al primo attacco l’ostacolo costituito dal Fosso Bottaceto, dove si erano ritirate le truppe tedesche. In sostanza l’VIII Armata, per tutto il mese di luglio, non riuscì a superare i 5 km che la dividevano dalla città di Catania, che cadde in mano agli inglesi solo il 5 agosto (ovvero 22 giorni dopo che il ponte di Primosole era stato catturato dalla 1^ Divisione aviotrasportata).

 

  1. Gli avvenimenti politici ed economici durante le operazioni
  • Iniziative politiche ed economiche dei belligeranti
  • Italia

Verso la metà del luglio 1943 il Governo italiano era sull’orlo del collasso interno. Le operazioni militari alleate in Sicilia, unite ai bombardamenti incessanti su tutta la penisola e, in particolare quello su Roma del 19 luglio, determinavano non solo un crescente panico e scoramento tra la popolazione, ma anche acceleravano gli il corso degli eventi che avrebbero portato, il 24 luglio, alla convocazione del Gran Consiglio, all’arresto di Mussolini ed alla nomina a primo Ministro del Maresciallo Pietro Badoglio e, a seguire, all’armistizio dell’8 settembre.

Per quanto più direttamente afferisce alla Sicilia, come rilevato fin dal febbraio 1943 dal nuovo comandante della Sesta Armata, Generale M. Roatta, e dal suo Capo di Stato Maggiore, Generale G. Zanussi[22], «lo stato della popolazione era tremendamente basso». Effettivamente, già da tempo il morale della gente era stato minato dalla disistima verso il regime, incapace, tra l’altro, di opporre difese efficaci all’offensiva nemica. In particolare, i quotidiani bombardamenti aerei degli Alleati avevano anche l’effetto di incidere gravemente sui trasporti ferroviari e marittimi, rendendo oltremodo difficile far affluire sull’isola non solo i materiali necessari per le fortificazioni (carbone, cemento, ferro, attrezzi e macchinari), ma anche viveri e medicinali[23]. Una volta esaurite le esigue riserve alimentari, i siciliani potevano contare solo sui 200 grammi giornalieri di pane e pochi altri generi passati dalla distribuzione annonaria, per poi ridursi, infine, alle sole arance. La burocrazia civile e militare del settore trasporti (affidata a due enti distinti: la Direzione Superiore Trasporti ed il Commissariato generale per il coordinamento dei rifornimenti per la Sicilia) reagiva con scarsa coordinazione e schematica rigidità, finendo per rendere tragica una situazione già disperata. Per cercare di reagire al caos crescente, il Governo aveva nominato nel mese di marzo[24] il Prefetto Temistocle Testa Commissario straordinario civile per la Sicilia, allo scopo di coordinare l’amministrazione civile con quella militare. Ma lo sfacelo e la disorganizzazione erano già tali, che lo stesso Testa riferiva a Roma di non poter garantire, con la sua azione, i benefici attesi. Le ultime armi a disposizione del regime, la propaganda e la retorica dei mezzi di comunicazione, non sortivano effetti migliori né potevano ostacolare il rinvigorirsi del mai sopito spirito separatista nonché la riemersione dei partiti politici restati nell’ombra fino a quel momento. Le istanze avanzate da tali movimenti, evidentemente ostili al regime e rinvigoriti dalla sua materiale assenza dalla scena isolana, contribuivano a creare una «diffusa volontà di resa in tutti gli strati sociali della popolazione, nei confronti di quello che, a tutti gli effetti, era ancora un nemico[25].

 

 

  • Germania

Nel luglio del ’43 – dopo che la campagna in Nord Africa si era già conclusa il 13 maggio con la formale resa agli Alleati – i nazisti subivano uno stop decisivo nell’epica battaglia di Kursk. In seguito alla sconfitta, i Tedeschi assumevano una posizione difensiva, a premessa dell’ormai inevitabile ritirata dinnanzi ad un’Armata Rossa ora più che mai aggressiva sotto il comando di Georgi Zhukov e Vasily Chuikov. Contestualmente, nel Nord Atlantico, i miglioramenti della sorveglianza elettronica e la decifrazione dei messaggi radio della Marina tedesca avevano notevolmente ridotto il ritmo degli attacchi degli U-boat. Nel diario del 9 maggio il ministro della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, aveva descritto l’ira del Führer: «È assolutamente furioso con i generali… Sono tutti bugiardi, dice. Sono tutti traditori. Tutti i generali sono nemici del nazionalsocialismo[26]». Eppure l’Armata Rossa era ancora a 500 km dalla frontiera est della Germania, Hitler aveva ancora 300 divisioni proprie e 90 dei suoi alleati e, ad eccezione dei Paesi neutrali, tutta l’Europa continentale, dalla Baia di Biscaglia al Donetz, da capo Nord alla Sicilia erano sotto il tallone nazista: «1 milione e 300 mila schiavi lavoravano nelle fabbriche tedesche e altri 250 mila erano impegnati a costruire le fortificazioni del Vallo atlantico lungo la vulnerabile costa occidentale della Francia e dei Paesi Bassi; moltissimi altri, ritenuti inutili o pericolosi, erano stati rinchiusi nei campi di concentramento e di sterminio[27]».

Ma proprio l’immensa estensione delle terre conquistate da Hitler costituiva, come brillantemente evidenziato dallo storico Liddell Hart, il suo più grande svantaggio nel prevedere il luogo che gli Alleati avrebbero scelto per far rientro in Europa: «Hitler, mentre doveva sempre guardarsi da un attacco dall’Inghilterra attraverso la Manica, aveva ragione di temere che forze anglo-americane di stanza in Nord Africa potessero sbarcare ovunque sul suo fronte meridionale tra Spagna e Grecia. Hitler pensava che gli Alleati sarebbero più verosimilmente sbarcati in Sardegna che in Sicilia. La Sardegna, infatti, avrebbe costituito una più facile pietra da cui spiccare un salto in Corsica nonché un trampolino ben posizionato sia verso la Francia sia verso la penisola italiana[28]». Tale convinzione, unita al rifiuto da parte di Mussolini di vedere un gran numero di formazioni tedesche sul suolo patrio, determinarono un afflusso in Sicilia di forze tedesche inferiore a quanto sarebbe stato necessario per assicurarne una efficace difesa.

  • Stati Uniti d’America

Gli USA nel 1943, dopo aver completato il transito verso il modello produttivo di guerra, avevano ormai portato la capacità produttiva dell’industria a quello che sarebbe stato il massimo livello nel conflitto. «L’ultima automobile era uscita dalle linee di montaggio il 10 febbraio 1942: nel 1943 al suo posto ci sarebbero stati 30 mila carri armati, più di tre all’ora per ventiquattr’ore al giorno e più di quanti la Germania ne costruì dal 1939 al 1945. La Rudolph Wurlitzer Company adesso fabbricava bussole e dispositivi antighiaccio anziché pianoforti e fisarmoniche; l’International Silver sfornava fucili automatici invece delle posate e diversi stabilimenti di cosmetici, macchine da scrivere e coppe per ruote costruivano, rispettivamente, rivestimenti per cartucce, mitragliatrici ed elmetti[29]». Il sistema economico, nel medesimo anno, avrebbe fornito anche 6 milioni di fucili, 98 mila bazooka, 648 mila autocarri, 33 milioni di pantaloni militari in cotone, 61 milioni di paia di calze di lana e cosi via. Le Forze Armate, parallelamente, avevano moltiplicato il numero di mezzi ed effettivi, con un Esercito di più di 6 milioni di uomini, un’Aeronautica aumentata del 3.500% dalla metà del 1941 e con un numero di aerei di 86 mila nel solo ’43 e, infine, una Marina con un numero di portaerei salito da 8 a 50[30]. Ma quello che più incideva era, probabilmente, la tetragona unità del popolo americano nello sforzo bellico, sia in termini di contributo di uomini in uniforme sia di solidarietà nazionale in Madrepatria, ove ben pochi sembravano sottrarsi alle campagne governative di austerity (che spaziavano dal razionamento delle fibre naturali a quello dei carburanti) così come a quelle di raccolta di secchi metallici, stufe tagliaerba e tubetti di dentifricio riciclati[31].

Dal punto di vista politico-militare, il 1943 segnò, con il Trident (nome in codice di una conferenza anglo-americana, sulla strategia bellica tenutasi nel mese di maggio tra il Primo Ministro britannico Winston Churchill e il Presidente degli USA Franklin Delano Roosevelt), la data del 01 maggio 1944 per l’attacco alla “fortezza” nazista in Europa settentrionale attraverso la Manica e, contestualmente, il conferimento del mandato al Comandante Supremo Alleato in Nord Africa, il Generale Dwight D. Eisenhower, di allestire, una volta conquistata a Sicilia, qualsiasi operazione ritenuta «utile a far uscire l’Italia dalla guerra[32]».

  • Gran Bretagna

Tre anni e mezzo di guerra avevano stremato il Regno Unito. La mobilitazione nazionale (più del 12% della popolazione era già sotto le armi) era quasi completa e – ove la guerra si fosse ulteriormente protratta e, soprattutto, se si fosse deciso di invadere l’Europa attraverso la Manica – si sarebbe profilata una grave carenza di uomini. «Il Paese aveva già avuto più di 100 mila caduti al fronte e migliaia di dispersi; la marina mercantile aveva perduto 20 mila marinai e i bombardamenti tedeschi avevano fatto 45 mila vittime[33]». Premuto da queste evidenze, Winston Churchill si era recato nel maggio del 1943 da Roosevelt a Washington per il Trident. In esito all’incontro, il Primo Ministro britannico tornò in Patria con la raggiunta unanimità sull’intenzione britannica di «mantenere il Mediterraneo al centro della guerra, almeno per un anno, e a porre come obiettivo immediato l’uscita dell’Italia dall’Asse[34]», avendo fatto prevalere la scelta di aprire il fronte italiano con l’invasione della Sicilia e, conseguentemente, vanificando il tentativo americano di concentrare le forze nel Pacifico anziché nell’Atlantico. Dal punto di vista economico, dei 48 miliardi di dollari di forniture belliche concesse dagli USA agli alleati, due terzi sarebbero andati alla Gran Bretagna.

  • Interferenze di Paesi o “movimenti” simpatizzanti o neutrali

La struttura geografica ed il “provincialismo” della Sicilia rendevano l’impiego di agenti dei servizi informativi alleati praticamente impossibile. Inoltre, come successivamente evidenziato anche dal Comandante delle Forze Alleate in Italia, Maresciallo Harold Rupert Leofric George Alexander, «la polizia e il sistema di controspionaggio erano talmente validi in Sicilia che non fummo in grado di ottenere informazioni dirette dall’isola[35]». In particolare, né il Secret Intelligence Service (SIS) britannico né l’Office of Strategic Service (OSS) americano erano riusciti a penetrarvi[36], anche a ragione del fatto che gli Italiani non utilizzavano il sistema Enigma (le cui chiavi erano state scoperte dagli Alleati fin dal luglio 1941), bensì altre metodologie, nei confronti dei quali le uniche possibilità di intercettazione era ottenibile tramite la Signal Intelligence (SIGINT) oppure la lettura della posta inviata ai prigionieri di guerra in Nord Africa (intercettata e letta dal controspionaggio inglese al Cairo).

Proprio al fine di ottenere gli elementi informativi mancanti sulle potenzialità di combattimento delle forze dell’Asse in Sicilia, gli statunitensi stabilirono, secondo una teoria, peraltro non formalmente confermata, una scellerata alleanza con la mafia[37]. Nel merito, il trait d’union sarebbe stato il boss italo-americano Charles “Lucky” Luciano che, dopo essere stato arrestato nel 1936 dal procuratore Thomas E. Dewey, era ristretto in carcere nella città della “Grande Mela”. Nello specifico, i mafiosi italo-americani – ostili al fascismo, in forza della lotta contro di loro condotta da Mussolini – sarebbero stati, in un primo momento nel 1942, avvicinati dal servizi segreti del terzo Distretto della Marina militare USA, per far fronte alla minaccia degli U-boat nazisti che si erano spinti fino al baia dell’Hudson e, in un secondo tempo, nel 1943, a premessa dell’invasione della Sicilia[38]. Benché il Dipartimento della Marina abbia sempre negato ogni diretto coinvolgimento, esistono indizi secondo cui “Lucky” Luciano effettivamente avrebbe aiutato alcuni agenti siculo-americani a contattare importanti membri della mafia siciliana, per ottenere informazioni e appoggio a sbarco effettuato[39]. Lo stesso OSS sarebbe stato coinvolto nella creazione di questa rete di contatti nonché nella liberazione di mafiosi dalle carceri di Mussolini[40]. Comunque siano andati i fatti, è peraltro indubitabile che l’occupazione alleata offrì alla mafia, che negli anni del fascismo era stata apparentemente inattiva, l’occasione per fare un ritorno in grande stile. A partire, infatti, dalle “infiltrazioni” nella Allied Military Government of Occupied Territories (AMGOT), la riappropriazione mafiosa dell’isola continuò inarrestabile, senza che alcuno vi si potesse efficacemente opporre.

  1. Considerazioni riepilogative
  • Sull’impostazione, lo sviluppo ed i risultati delle operazioni di guerra

Le lesson learned dell’operazione aviotrasportata Fustian evidenziano una certa approssimazione nella preparazione del piano operativo in quanto la flotta navale inglese al largo dell’isola di Malta e della Sicilia non era a conoscenza dello stesso. Testimonianza di ciò è data dall’intenso fuoco fratricida cui furono sottoposti i velivoli prima di procedere all’aviolancio dei paracadutisti della 1^ Brigata sulle zone prescelte. Inoltre, le attività che prevedevano l’impiego dalla terza dimensione risultavano ancora poco efficaci, tant’è che a partire dal 15 luglio fu sospesa ogni ulteriore operazione aerotrasportata della 1^ Divisione allo scopo di meglio approfondire l’addestramento delle varie componenti. A tal proposito, occorre ricordare, che nel corso del lancio andarono persi, a causa della scarsa preparazione dei piloti, numerosi alianti (trainati dai velivoli che trasportavano il personale della 1^ Brigata) con l’armamento pesante e il munizionamento, lasciando successivamente il personale atterrato senza adeguati mezzi per respingere i contrattacchi delle forze tedesche.

Un ulteriore “errore” commesso nel corso delle operazioni per la conquista del ponte fu quello di non avvalersi delle truppe anfibie per aggirare le posizioni difensive a Nord del fiume Simento e quindi far cadere la resistenza avversaria per manovra. Infatti, già in data 15 luglio, quando le truppe inglesi decisero di rimandare l’attacco decisivo al giorno successivo (in virtù della sconfitta riportata in mattinata dagli uomini del 9° Reggimento di fanteria e del 44° Rgt. carri), Catania risultava oramai indifesa. Le truppe dell’Asse avevano già abbandonato la città trasferendo il grosso delle truppe verso il ponte di Primosole, allo scopo di mantenerne il possesso. Inoltre, le poche unità italiane rimaste sul posto non erano più in grado di mantenere le posizioni. In tale contesto, un eventuale operazione dal mare (sia a mezzo cannoneggiamenti sia attraverso l’impiego di una forza da sbarco) avrebbe potuto permettere alle forze Alleate di impadronirsi di Catania e stringere i tedeschi sul ponte tra loro e le forze della 50^ Divisione, ormai prossima all’obiettivo.

In realtà, il Gen. Dempsey propose una simile operazione ma la stessa fu prima rimandata e poi annullata in quanto c’era la convinzione di poter riportare una “facile” vittoria sul Ponte attraverso il solo impiego delle forze di terra.

Analogamente per le forze aeree, non vi è alcuna prova che le forze inglesi nel corso dell’avanzata per la conquista di Lentini e del ponte di Primosole abbiano usufruito dell’appoggio del fuoco proveniente dalla terza dimensione. Risulta, infatti, che il principale sforzo dell’aviazione era stato concentrato sull’eliminazione delle forze aeree nemiche, anche se erano ancora disponibili un elevato numero di velivoli che avrebbero potuto sostenere l’azione delle forze appiedate. In merito, il 14 luglio la RAF (Royal Air Force) registrò il fatto che 34 cacciabombardieri Kittyhawk operarono contro obiettivi occasionali nei pressi di Caltagirone e Lentini[41].

Altro fattore che ritardò la vittoria della battaglia del ponte è da attribuirsi, in parte, all’impiego della 50^ Divisione. Il Gen. Montgomery aveva fortemente voluto tale unità, costituita dai veterani che avevano combattuto con successo nel nord dell’Africa ma che erano, proprio per i loro trascorsi, oltremodo provati. Infatti, nonostante diversi tentativi di spronare la 50^ Divisione ad avanzare più velocemente, questa si mosse con estrema lentezza nell’entroterra siciliano, ritardando il cambio delle forze aviotrasporate già in possesso del ponte di Primosole. Tutto questo, anche a causa della scarsa disponibilità di adeguati mezzi di trasporto. Il terreno montuoso all’interno della Sicilia, infatti, riduceva fortemente le possibilità di movimento delle forze appiedate. Senza mezzi e animali per il trasporto degli equipaggiamenti e munizionamento, l’aggiramento del nemico divenne praticamente impossibile. Nella fattispecie, l’area delle operazioni del XXX Corpo d’Armata era una zona poco adatta per le truppe meccanizzate ma idonea per l’uso di animali da soma. In verità, uno dei primi ordini della battaglia prevedeva l’impiego di compagnie di muli, decisione che successivamente fu annullata riducendo le possibilità di un adeguato supporto logistico[42].

Ulteriore lacuna presente nelle unità inglesi consisté nella scarsa coordinazione dimostrata tra le forze di fanteria e le unità carri, che ritardò notevolmente la presa del ponte (nel corso degli attacchi portati dai reparti della fanteria leggera della Brigata Durham non era stata prevista la copertura delle truppe corazzate del 44° Rgt. carri), e la poca affidabilità degli apparati radio inglesi che lasciarono le truppe del 1° Battaglione paracadutisti, una volta preso il ponte, completamente isolati, privi di qualsiasi mezzo di collegamento per la richiesta di rinforzi e/o per aggiornare le truppe alleate in merito alla situazione in atto.

 

  • Sui riflessi esercitati su di esse dagli avvenimenti politici ed economici verificatisi durante il loro svolgimento

Le valutazioni politiche e strategiche operate dai leader di Germania e Italia sulle possibili evoluzioni del conflitto in Europa e, in particolare, la sottovalutazione dell’ipotesi di un ingresso degli Alleati dalla Sicilia, finirono per lasciare, come precedentemente meglio evidenziato, l’isola sguarnita da forze, sia italiane sia tedesche, che per quantità e qualità ne potessero garantire un’adeguata difesa. Contestualmente, la popolazione isolana – prostrata dagli incessanti bombardamenti, dalla penuria di genere essenziali e dalla percezione di assenza di effettività del governo centrale fascista – sviluppò gradualmente un’attitudine di sconforto, disillusione e rassegnazione, che si sarebbe concretizzata, all’atto dell’invasione, nella festosa accoglienza dei “liberatori” d’oltremare.

Gli anglo-americani, dal canto loro, avevano finito per fare propria l’idea di Churchill che, per arrivare a colpire il cuore del nemico, sarebbe stato, innanzi tutto, necessario incunearsi nel “ventre molle” dell’Asse, così determinando l’uscita dal conflitto l’Italia. Tale linea d’azione, supportata da efficaci diversivi, disinformazione e, presumibilmente, anche da contatti con la mafia siciliana, furono i prodromi di quello che sarebbe stato il primo e decisivo passo sul suolo patrio dell’avversario.

 

  1. CONSIDERAZIONI AMMAESTRAMENTI
  2. Considerazioni finali inerenti le truppe italo-tedesco

L’invasione della Sicilia, seppur attesa dalle forze dell’Asse, ebbe un profondo impatto psicologico sul popolo italiano che, deluso dalle sconfitte subite su tutti i teatri di guerra, si abbandonò alla convinzione che il conflitto fosse ormai militarmente perso. Le notizie frammentarie e confuse provenienti dal fronte,  riguardanti difese costiere inefficienti, batterie autodistrutte, truppe fuggiasche delinearono, inoltre, un quadro della situazione generale che non corrispondeva alla realtà e diedero la possibilità alle gerarchie fasciste deluse dalla situazione bellica di sfogare il proprio risentimento verso l’Esercito[43].

In realtà, Mussolini era pesantemente influenzato sia dalle fonti di stampa nemica, che in verità dipingevano una situazione tesa all’esaltazione della vittoria, sia dagli ispettori politici fascisti, che basandosi su notizie approssimative e spesso non verificate, tentavano di mettersi in mostra riferendo fatti eccezionalmente gravi. Da tali premesse nacquero quelle “fantasie” di una resistenza troppo rapidamente crollata, di viltà, di insufficienze, di errori.

A ragion del vero, la sconfitta per quanto dolorosa, aveva cause precise che prescindevano dall’operato delle unità schierate nell’isola siciliana:

  • la schiacciante superiorità di mezzi aerei, navali e terrestri degli Alleanti, nonché l’adozione di nuove tecniche da sbarco che rivoluzionarono l’ambito delle operazioni anfibie;
  • la situazione operativa della difesa di posizioni costiere che permetteva al nemico di scegliere il settore d’attacco e quindi concentrare in esso tutte le forze disponibili, conseguendo una schiacciante superiorità locale;
  • le deteriorate relazioni tra le unità tedesche chiamate a difendere il territorio siciliano e le unità italiane scarsamente equipaggiate e demoralizzate.

 

  1. Considerazioni finali inerenti le truppe anglo-americane

L’Operazione HUSKY fu concepita dagli alleati in un clima di totale controversia. Durante la Seconda Conferenza di Washington nell’estate del 1942, si sviluppò un acceso dibattito tra gli inglesi e gli americani in merito a quale dovesse essere la linea strategica da adottare nella guerra contro le potenze dell’Asse. Il piano inglese prevedeva l’applicazione di una pressione continua sull’Asse con tutti i mezzi disponibili. In riferimento al Nord Africa e al Mediterraneo, si intendeva spingere l’Italia fuori dal conflitto e costringere la Wermacht ad allungare il proprio dispositivo sino al limite massimo. Al contrario del concetto americano, che sosteneva una strategia di consolidamento nel Nord Africa e l’utilizzo delle basi per effettuare attacchi aerei contro l’Italia e la Germania, lo schema inglese richiedeva la conquista della Sicilia o della Sardegna per aumentare la pressione sull’Italia. Alla fine Churchill riuscì a convincere gli alleati statunitensi della bontà delle sue tesi e l’invasione della Sicilia, colpendo il centro di gravità della nazione italiana, cioè la volontà di combattere, raggiunse l’obiettivo strategico della resa italiana.

Al livello operativo, l’imponente figura del Gen. Montgomery influenzò notevolmente lo schema della manovra dell’operazione Husky. Inizialmente egli impose l’applicazione di un piano di sbarco in cui le due armate svilupparono il proprio sforzo parallelamente dandosi supporto reciproco e mantenendo saldi i principi della massa e della coordinazione, ma successivamente, galvanizzato dalla relativo successo iniziale, sviluppò la campagna di Sicilia contemporaneamente lungo due direttrici. Una principale, sulla quale il XIII corpo d’armata avrebbe attraversato la piana di Catania e conquistato la città, una secondaria, ove il XXX corpo d’armata avrebbe preso Vizzini, Caltagirone, Enna e Loeonforte, chiudendo l’accerchiamento alle spalle la Divisione Hermann Goering in collaborazione con le truppe del Gen. Patton.

In realtà il generale inglese aveva apparentemente perso di vista il fatto che non si stava più operando nel deserto, con un terreno ampio e libero da ostacoli. In Sicilia, si combatteva su un territorio montuoso e compartimentato che offriva limitate e canalizzate linee di  avanzata, molte posizioni difensive, poco spazio di manovra. Inoltre la velocità non era mai stata una delle peculiarità delle formazioni sotto il comando di Montgomery. Infine lo sviluppo dell’operazione Husky, sbilanciato a favore dell’8^ Armata di Montgomery aveva sicuramente trascurato il vantaggio in uomini e mezzi posseduto dalla 7^ armata del Gen. Patton e quindi aveva relegato parte delle forze a disposizione ad un ruolo prettamente secondario.

L’attacco su Catania avrebbe dovuto prevedere una forte concentrazione di forze, con l’impiego di tutte le risorse dei Corpi d’Armata disponibili, anziché dissipare la potenza delle truppe inglesi su due fronti. Inoltre, non era stata predisposta una consistente riserva tale da poter fronteggiare, all’occorrenza, situazioni che avrebbero potuto portare alla sconfitta delle forze dell’Asse che contrastavano l’avanzata inglese attraverso il ponte di Primosole.

Tali errori rallentando notevolmente l’avanzata dell’8^, compromisero la conquista del porto della città di Messina nei tempi previsti e consentì l’ordinato ripiegamento delle forze dell’Asse e quindi, il mancanto conseguimento dell’obiettivo operativo della distruzione delle forze avversarie sull’isola.

 

  1. Ammaestramenti di valore attuale

Sicuramente gli ammaestramenti tratti dall’ operazione Husky costituirono un base essenziale per la pianificazione dell’operazione Overlord che avrebbe costituito l’azione militare più importante della II Guerra Mondiale nel teatro europeo. Tali indicazioni rappresentano tutt’ora dei corner stone sui quali sviluppare qualsiasi intervento militare joint e combined. In particolare si possono elencare:

  • importanza di una solida base informativa; la difficoltà degli Alleati di sviluppare attività di human intelligence sul territorio siciliano, chiuso, patriarcale e di connotazione contadina causò l’approssimativa definizione del quadro operativo inerente le forze tedesche nell’area orientale dell’isola e di conseguenza una limitata concentrazione di combat power nella seconda fase dell’operazione;
  • sincronizzazione e coordinamento delle operazioni joint e combined; la mancanza di coordinazione e controllo delle attività interforze causò delle gravi perdite alla componente aviotrasportata sin dall’immissione sul terreno di operazioni a causa di fuoco amico; inoltre capacità di comunicazione inadeguata impedì spesso il coordinato intervento delle diverse capacità e quindi un attrito maggiore delle operazioni offensive;
  • dettagliata pianificazione e preparazione di operazioni aviotrasportate; tali azioni belliche, a causa della loro dinamicità, sfruttamento dell’effetto sorpresa, utilizzo della terza dimensione e sviluppo in un ambiente altamente variabile e incerto, richiedono un’attenta e maniacale cura dei dettagli di ogni fase dell’operazione;
  • pianificazione di contingenza; le operazioni interforze, a causa della loro intrinseca complessità, comportano una elevata possibilità di evoluzioni impreviste e improvvise; tali situazioni richiedono la disponibilità di piani redatti in precedenza e di pronta attuazione per perseguire il principiO                   della guerra del mantenimento dell’iniziativa e del “tempo delle operazioni”.

 

BIBLIOGRAFIA

 

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SITI WEB

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Il testo qui presentato è il risultato di una ricerca di gruppo per la ricostruzione di un avvenimento militare secondo il metodo storico condotta da ;

MARCOTULLIO Luca,.MINENNA Michele, SANAPO DanieleMAZZOCCA AntoninoVITALI  Luca SHAG Abdul Zaher, WANG Yong Bo. ALESSIO Massimo, D’AMBROSIO Ferdinando. MATARRESE Francesco, DUBOLINO Enrico, BENIGNI Fabrizio, ORSOLINI Simone

[1]Col senno di poi alcuni rimproverarono a Montgomery di non aver sbarcato da subito a Messina, evitando che vi si arrivasse faticosamente solo dopo 38 giorni e consentendo all’Asse di ripiegare in forze sulla costa calabra. Tuttavia Montgomery si aspettava una resistenza accanita delle forze dell’Asse, come aveva già sperimentato in Tunisia, favorita per di più in questo caso dalla situazione orografica.  Un’altra remora per lo sbarco in Sicilia era il ricordo dell’insuccesso subito a Gallipoli nel 1915, ed il conseguente timore che o stretto di Messina replicasse quello dei Dardanelli.

[2]Marcon T., su “La Sicilia” del 21 luglio 2003

[3]Unità speciali create nel 1940 dall’esercito inglese, equipaggiate ed addestrate per operare utilizzando metodologie di combattimento non convenzionale come assalti di disturbo, ricognizioni in profondità, eliminazione di obiettivi di elevato valore nei combattimenti in Europa e Scandinavia

[4]Lo schema del piano è tratto dal The Public Record Office, Kew, Londra, Diario di guerra della 1^ Divisione Aviotrasportata, “Draft Outline Plano of Ist (Br) Aiborne Division”, 12 maggio 1943 PRO (WO 169/8666), pag. 176.

[5]Comandante in capo delle forze tedesche nello scacchiere Sud.

[6]Il piano di rinforzi prevedeva anche un battaglione mitraglieri e una compagnia radiotelegrafisti. Successivamente si sarebbero unite anche dei genieri, il 4° e 5°reggimento. paracadutisti e unità anticarro.

[7]Comandante del gruppo tattico basato su due battaglioni del 115° Reggimento Panzargranadier della 15^ Divisione Sizilien, un battaglione carri Tigre e varie unità di supporto provenienti dalla Divisione Hermann Goering.

[8]Il Comandante- Magg. Schmidt – si diresse, inizialmente, presso il posto comando del 3°FJR vicino a Carlentini per ricevere ulteriori ordini e aggiornamenti della situazione.

[9]La 1^ Brigata, oltre ai tre battaglioni paracadutisti, era costituita anche da 1° reggimento batterie anticarro da sbarco aereo (della Royal Artillery) , della 1^ squadra paracadutisti, genieri reali, dei reparti della 21^ compagnia paracadutisti indipendenti e di due reparti di bombardamento navale.

[10]Fu calcolato che 26 aerei ritornarono alla base senza aver lanciato i paracadutisti; 14 aerei andarono perduti e undici colpiti dalla contraerea, alcuni riuscirono a lanciare e successivamente si schiantarono in mare e sulla terra ferma (The Mediterranean and Middle East – London, 1973, Vol.V, pagine 95 e 96, e diario di Guerra della 1^ Divisione Aviotrasportata).

[11]In totale 28 morti, 66 feriti e 34 dispersi. The Green Beret, pagine 164 e 165.

[12]Frost J., A drop too many, , London 1982  pag. 180.

[13]Secondo quanto riportato nel Diario di Guerra del 2° battaglione paracadutisti, le perdite in mattinata  furono di 22 morti ed altrettanti feriti.

[14] Wilhelsmaeyer H., The battle for Primosole Bridge, Parte I.

[15]Stangerberg – che aveva fatto parte della aliquota di ricognizione del 3° FJR con il Col. Heilmann – ebbe la notizia da una staffetta tedesca che truppe inglesi avevano bloccato la strada 114. Ritornò a Catania e riuscì a radunare sola una unità di radiotelegrafisti – 1^ compagnia del 1° battaglione paracadutisti delle comunicazioni, giunta sul posto pochi giorni prima con lo scopo di installare le comunicazioni per la Divisione “Goering” – e ottenne il permesso di impegnarli in un contrattacco sul ponte di Primosole.

[16]Nel frangente il 1° battaglione contava circa 160 effettivi, in quanto si erano uniti allo stesso parecchi soldati “sbandati” dopo l’aviolancio iniziale (Diario di guerra del 1° Battaglione paracadutisti).

[17]Il Comandante della Brigata – Gen. B. Senior– decise di aspettare il giorno seguente per lanciare l’attacco decisivo, in quanto i suoi uomini avevano camminato ininterrottamente fin dal giorno dello sbarco. Il battaglione più avanzato – il 9° reggimento di fanteria leggera – non riuscì ad avvicinarsi al ponte prima delle 21.30 e le restanti unità della Brigata di fanteria si trovavano molto indietro, verso Lentini. L’ultimo contingente giunse solo poco prima della mezzanotte del 14 luglio (Senior R.H., The Durham light infantry at the Primosole, The Brithis Army Quarterly, ottobre 1944).

[18]Diari di guerra della 1^Brigata e di Wilhelmsmeyer, parte I.

[19]A drop too many, cit. pag. 184.

[20]Il Cap. Fassl fu intervistato successivamente da Helmut per The battle for the Primosole bridge, cit. parte II.  

[21]Kirkman D., Sharpshooters at War, Pan Books Ltd, 1965,pag.234.

[22]G. Zanussi, Guerra e catastrofe d’Italia, Corso, 1945, volume I, pag. 291.

[23]Come riportato dal Generale F. Rossi (Come arrivammo all’armistizio, Garzanti, 1946), nei primi mesi del 1943, contro un fabbisogno mensile di 250.000 tonnellate di materiali necessari elle esigenze militari e civili, poterono essere trasportate solo 100.000 tonnellate, che nei mesi successivi sarebbero scese a 70.000.

[24]Regio Decreto n. 149 del 23 marzo 1943.

[25]Maltese P., Lo sbarco in Sicilia, Arnoldo Mondadori Editore, 1981, pag. 54.

[26]Atkinson R., Il giorno della battaglia, gli Alleati in Italia 1943-1944, Le Scie, Mondadori, 2008, pag. 11.

[27]Atkinson R., op.cit., pag. 11.

[28]Hart L., History of the Second World War, Pan Books Ltd., 1970, pag. 437.

[29]Gropman A., The big L: American Logistics in World war II, Washington, National Defense University Press, 1997, pagine 35, 54-55, 89-93 e 367, e citati da Atkinson R., op.cit., pag. 14.

[30]Atkinson R., op.cit., pag. 13-14.

[31]Per inciso, la campagna governativa precisava che 60 tubetti di dentifricio contenevano stagno sufficiente per saldare tutti i collegamenti elettrici di un bombardiere B-17.

[32]Messaggio, Dipartimento della Guerra a Dwight Eisenhower, #278, 26 maggio 1943, cablogrammi CCS, OCHM, NARA RG 319, 270/19/6/3, box 243 (citato da Atkinson R., op.cit., pag. 28).

[33]Atkinson R., op.cit., pag. 13.

[34]Atkinson R., op.cit., pag. 31.

[35]Bollettino di Alexander, PO (CAB 106/594).

[36]OSS War Report, 1946.

[37]Uno dei principali sostenitori di questa ipotesi è Rodney Campbell che, nell’opera The Luciano Project (New York, 1977), si basa largamente su un’indagine segreta ad alto livello, in precedenza soppressa, condotta nel 1954 dal Commissario investigativo di New York, William B. Herlands.

[38] D’Este C., 1943, Lo sbarco in Sicilia, Arnoldo Mondadori Editore, 1990, pag. 483-484.

[39]Dunlop R., Donovan: America’s Master Spy, Chicago 1982 e Campbell R., op. cit. (fonti citate da Carlo D’Este, op.cit., pag. 485-486).

[40]Il coinvolgimento è sempre stato, peraltro, smentito dal Direttore dell’OSS, “Wild Bill” Donovan, che riteneva la mafia «un movimento cospirativo sopranazionale del tutto privo di ogni devozione verso gli Stati Uniti» (Dunlop R., op.cit., pag. 398).

[41]RAF Meditterranean Review, n.4 luglio-settembre 1943. Le 34 missioni avrebbero potute essere, invece, inviate per l’appoggio dell’offensiva della VIII Armata sulla piana di Catania.

[42]La decisione di non impiegare animali da soma fu uno dei meno noti ma più significativi errori della campagna di Sicilia. The Mediterranean and the Middle East, Vol. V, pag. 114, London 1973.

[43]Farinacci R., Edizione del giornale “Regime Fascista” del 15 luglio 1943.