LO SBARCO DI SALERNO
9 settembre 1943
Luigi Marsibilio
Lo scenario politico – militare.
All’inizio del 1944 la situazione bellica vedeva gli alleati avanzare progressivamente, mentre le forze dell’Asse erano in affanno: si stavano preparando le condizioni favorevoli alla definitiva sconfitta del Terzo Reich. Infatti, negli ambienti politico-militari degli Alleati, prendeva sempre più consistenza la percezione che ormai Hitler non possedeva più le risorse di uomini e mezzi necessari per ottenere la mobilità strategica su larga scala.
Nel corso dell’anno precedente, si era verificata la svolta a favore degli Alleati. Infatti, tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943 le truppe anglo-americane avevano preso il controllo del nord Africa, mentre sul fronte orientale, a seguito della vittoria di Stalingrado, le truppe sovietiche avevano iniziato la controffensiva, culminata nel gennaio del ’44 nella liberazione di Ucraina e Crimea.
Sulla scia dei successi conseguiti nel Maghreb, nel gennaio del 1943 a Casablanca, in occasione di una conferenza a cui presero parte il Presidente americano F. D. Roosevelt ed il Primo Ministro inglese sir Winston Churchill, venne concordata l’opportunità di aprire un ulteriore fronte in Italia. Tale decisione, da un punto di vista strettamente militare, era sostenuta dalla considerazione della relativa semplicità che lo sbarco in Sicilia avrebbe presentato, partendo dalla ormai conquistata Tunisia. Inoltre, Roosevelt e Churchill avevano ben chiaro lo stato di crisi del regime fascista che era ormai delegittimato dalla perdita di consenso. Pertanto, l’intervento avrebbe causato la resa del regno d’Italia e la sua conseguente uscita dall’Asse. Vi erano poi altre ragioni di natura strategica: le rotte del Mediterraneo sarebbero state finalmente transitabili, e ciò avrebbe comportato il risparmio di un enorme quantità di naviglio mercantile; l’invasione del territorio italiano avrebbe impegnato diverse divisioni tedesche sul fronte meridionale, alleggerendo così la presenza dei nazisti in Francia, il che avrebbe agevolato il decisivo e futuro sbarco sulle coste normanne che venne approvato durante la conferenza di Teheran nel dicembre del 1943.
L’apertura del fronte italiano ebbe inizio il 10 luglio 1943 con l’operazione “Husky”, l’approdo in Sicilia delle truppe anglo-americane comandate rispettivamente dal generale Montgomery e dal generale Patton. Come era stato previsto, la scarsa resistenza opposta dalle forze tedesche permise una rapida occupazione dell’intera isola. Tale situazione consentì agli alleati di mettere in atto le operazioni per il successivo sbarco, quello di Salerno, che avvenne il giorno dopo la divulgazione della firma dell’armistizio di Cassibile.
Operazione “Avalanche”.
Nel luminoso e multicolore crepuscolo dell’8 settembre 1943 circa 700 natanti, tra navi e mezzi da sbarco, solcavano le acque del mar Tirreno e di lì a qualche ora sarebbero state inghiottite dall’oscurità notturna. Tali mezzi trasportavano 55 mila soldati per lo sbarco iniziale e altri 115 mila per gli sviluppi successivi dell’operazione. Lo sbarco doveva essere effettuato dalla 36ª divisione di fanteria americana sulla destra (zona di Paestum) e dalle divisioni inglesi 46ª e 56ª sulla sinistra, mentre parte della 45ª divisione di fanteria americana sarebbe rimasta in riserva. Queste divisioni furono raggruppate rispettivamente nel VI corpo d’armata americano (generale Dawley) e nel X corpo d’armata inglese (generale R.L. McCreery).
Cartina
Quest’ultimo sarebbe sbarcato su un tratto di circa 11 Km. delle spiagge situate appena a sud di Salerno, con il compito di raggiungere l’aeroporto di Montecorvino e Battipaglia, nei pressi della principale strada per Napoli, strada che attraversa l’attaccatura della montagnosa penisola sorrentina passando per il varco di Cava, un valico non molto alto ma disagevole. Era quindi di importanza vitale che tale grande unità riportasse un rapido successo, sia per aprire la via d’accesso più diretta al grande porto di Napoli sia per impedire l’arrivo di rinforzi tedeschi da nord. Proprio per facilitarne il compito, 2 unità commandos inglesi e 3 battaglioni di Rangers americani avrebbero dovuto impadronirsi con la massima tempestività di questa strettoia e del valico di Chiunzi, su una strada vicina. Fra X e VI corpo esisteva un “vuoto” di 13 chilometri in corrispondenza del corso del fiume Sele. Il principale convoglio inglese salpò da Tripoli il 6 settembre e quello americano da Orano la sera precedente. Altri convogli minori salparono da Algeri, Biserta e dai porti di Palermo e Termini Imerese. In tutto 30 mila britannici e 24 mila americani stavano per sbarcare su una fronte, da Maiori a Paestum, di circa 40 Km. dove erano già schierati 20 mila tedeschi e dove potevano giungerne in un paio di giorni altri 50 mila. Imponente era lo schieramento delle forze navali ed aeree: due “Forze d’attacco”, una settentrionale (appoggio al X corpo) e l’altro meridionale (appoggio al VI corpo); le navi di appoggio a rangers e commandos; cinque portaerei inglesi di scorta per la protezione aerea del convoglio e delle spiagge, due incrociatori e dieci cacciatorpediniere al comando dell’ammiraglio Vian. Vi era poi la “Forza H”, al comando dell’ammiraglio Willis, costituita da 4 corazzate, 2 portaerei (“Illustrious” e “Formidable”), 4 incrociatori e 20 cacciatorpediniere, che aveva il compito di “protezione” del complesso. L’imponente schieramento delle forze aeree era costituito da oltre 2.700 aerei da combattimento (di cui una metà erano bombardieri pesanti e l’altra metà caccia e caccia-bombardieri) e circa 400 da trasporto.
In Sicilia sette divisioni di fanteria erano sbarcate su 210 chilometri di fronte mentre a Salerno 4 divisioni dovevano sbarcare su una fronte di circa 40 chilometri. Sembrerebbe che il comando anglo-americano, con la concentrazione dello sforzo su una fronte ristretta, si fosse assicurato un elemento di successo, favorì invece il nemico perché gli consentì di fronteggiare le forze anfibie su una fronte continua, costringendole ad effettuare attacchi frontali in un terreno dominato dal difensore. Il comando alleato non aveva apprezzato abbastanza il vantaggio che si era assicurato in Sicilia sbarcando su una fronte amplissima, che aveva impedito ai difensori di costituire una linea di difesa continua, se non ripiegando nell’interno dell’isola, tanto più che le forze mobili disponibili nei primi tre giorni in Sicilia erano inferiori di numero e di consistenza a quelle che il maresciallo Kesselring poté raccogliere nei primi tre giorni sul campo di battaglia di Salerno. Inoltre, mentre le forze aeree anglo-americane non avevano trovato in Sicilia un efficace contrasto, per l’impossibilità di far agire sull’isola l’aviazione da caccia italo – tedesca, causa l’impraticabilità dei campi, gli aerei tedeschi ebbero a Salerno possibilità di intervento e anche con una certa efficacia. E ancora: mentre lo stretto di Messina impedì di inviare in Sicilia i rinforzi che sarebbero stati necessari per fronteggiare l’imponente schieramento avversario, divisioni tedesche poterono agevolmente raggiungere la zona di Salerno, fino a determinare un soddisfacente equilibrio fra gli avversari. E’ quindi evidente che il maresciallo Kesselring impegnò e condusse la battaglia per Salerno in condizioni alquanto più vantaggiose di quelle nelle quali si era trovato il Comando delle Forze Armate della Sicilia, il quale aveva dovuto sostenere la lotta in condizioni di schiacciante inferiorità. Ciò malgrado, in meno giorni di quanti furono necessari agli anglo-americani per giungere a Messina, la 5ª armata del generale Clark giunse al Volturno. Nel primo pomeriggio del stesso giorno il passaggio dei convogli al largo delle coste occidentali e settentrionali della Sicilia fu avvistato e segnalato al quartier generale tedesco che entro le 15.30 mise in stato di allarme le proprie truppe, dando istruzioni affinché si tenessero pronte a fronteggiare il previsto sbarco.
Alle 18.30 Radio Algeri mise in onda il messaggio di Eisenhower che annunciava la firma dell’armistizio con l’Italia, il messaggio venne ripetuto poi alle 19.20 dalla BBC in un suo notiziario. L’una o l’altra di queste trasmissioni fu ascoltata dalle truppe alleate a bordo dei convogli e purtroppo, nonostante che alcuni degli ufficiali si dessero da fare per spiegare che ad aspettarli avrebbero trovato i tedeschi, tra i soldati si diffuse la convinzione che lo sbarco sarebbe stato una semplice passeggiata. Le loro speranze furono ben presto smentite e la stessa sorte toccò d’altronde alle ottimistiche previsioni degli strateghi alleati, secondo i quali Napoli sarebbe caduta entro tre giorni dallo sbarco: le forze di invasione vi sarebbero arrivate solo dopo tre settimane di lotta e dopo essere scampate per poco a un completo disastro. La stessa illusione fece gioire in quella sera gran parte del popolo italiano: tutti convinti che la guerra in Italia fosse finita. Era invece il prologo di una tragedia. Nel tardo pomeriggio, i convogli in navigazione verso il Golfo di Salerno furono oggetto di numerosi attacchi aerei, attacchi che i bombardieri ritentarono dopo il tramonto; per fortuna la grande flotta subì solo danni di poco conto. Poco dopo mezzanotte i primi mezzi trasporto truppe raggiunsero le zone previste per l’inizio delle operazioni di sbarco, a una distanza dalla costa di 13/ 16 chilometri e cominciarono a calare in mare i mezzi da sbarco. Verso le ore 3.30, l’ora H stabilita dal piano d’invasione, la prima ondata della forza da sbarco giunse a terra. Furono queste le prime imbarcazioni che i tedeschi avvistarono e contro le quali una batteria aprì il fuoco. Un mezzo che trasportava un reparto di rangers fu centrato in pieno, poi il cacciatorpediniere “Blakmore” con salve ben assestate fece tacere i cannoni insolenti. Altre artiglierie tuonavano più a sud contro il convoglio che trasportava il IV corpo americano. L’incanto della calma notte era spezzata ed era anche crollata l’illusione di poter sbarcare di sorpresa. Nemmeno più il dubbio sulla località prescelta per lo sbarco poteva a quell’ora sussistere nei comandi tedeschi, poiché era da escludersi che il convoglio potesse raggiungere prima del giorno fatto il golfo di Napoli e tanto meno la costa più a nord. D’altra parte la spiaggia di Salerno era già da parecchi giorni considerata l’obiettivo dell’operazione anfibia che i tedeschi sapevano in preparazione, tanto che avevano tentato di ritardarla bombardando le navi raccolte a Biserta, e dal 5 settembre avevano schierato a sud del fiume Sele la 16ª divisione corazzata. Eppure il generale Clark si era ostinato a non volere che le spiagge fossero bombardate prima dell’assalto. A tale riguardo egli ebbe una discussione sul ponte di comando dell’incrociatore “Ancon”, nave ammiraglia del comandante in capo della Western Naval Task Force, con l’ammiraglio Hewitt, quando le batterie tedesche incominciarono a sparare. Hewitt voleva ordinare l’apertura del fuoco e Clark si opponeva e continuò ad opporsi mentre le ondate di mezzi da sbarco già sciamavano verso le spiagge. Ormai i tedeschi erano pronti alla reazione. Benché fossero in stato di allarme e si attendessero l’attacco, le vedette sulla spiaggia non si erano accorte dei battelli segnalatori e della presenza al largo della flotta d’invasione, per cui i dragamine avevano assolto al loro compito senza essere avvistati e le ondate di mezzi da sbarco avevano iniziato la loro lunga corsa di quasi 20 chilometri su un mare calmissimo. Come è stato descritto all’inizio di questo paragrafo, una rapida avanzata su Napoli dipendeva dalla conquista della strada che da Salerno si spingeva a nord attraversando una fascia montuosa. Tale compito era stato affidato ai rangers americani i quali dopo essere sbarcati senza incontrare resistenza sulla piccola spiaggia di Maiori, in sole tre ore si impadronirono del valico di Chiunzi e si attestarono saldamente sulle alture che dominavano la strada principale per Napoli. Anche lo sbarco dei commandos inglesi a Vietri, dove la strada si allontana dalla costa e comincia a salire, avvenne senza difficoltà. Ma i tedeschi reagirono con prontezza, ritardando l’occupazione della cittadina e bloccando poi del tutto l’avanzata dei commandos appena a nord della stessa, in corrispondenza del basso valico di La Molina, all’imboccatura del varco di Cava. Anche a Marina di Vietri la situazione si fece difficile perché mortai e cannoni tedeschi sparavano sulle imbarcazioni che sopraggiungevano e mitragliatrici colpivano uomini sulla spiaggia. I loro progressi risentirono inoltre del fatto che, per errore, parte della 46ª divisione era finita sulle spiagge della sua vicina di destra, la 56ª, provocando confusione e congestione.
Pur spingendosi nell’entroterra per circa 3 chilometri con la loro avanguardia, gli inglesi subirono molte perdite e non riuscirono ad assicurarsi gli importanti obiettivi fissati per il D-Day: il porto di Salerno, il campo di aviazione di Montecorvino e i nodi stradali di Battipaglia ed Eboli. Inoltre, alla fine della giornata, c’era ancora un varco di oltre 11 chilometri tra il fianco destro inglese a nord del fiume Sele ed il fianco sinistro americano a sud del fiume. Gli sbarchi americani ebbero luogo su quattro spiagge vicino ai famosi templi greci di Paestum. Fu una prova durissima per le truppe della 36ª divisione, per le quali si trattava del battesimo del fuoco: già sottoposte, mentre si avvicinavano alla costa, al massiccio fuoco dei difensori senza avere alcun appoggio dalle proprie unità, dopo lo sbarco dovettero attraversare un’altra fitta cortina di fuoco e subire infine il martellamento di tutta una serie di attacchi aerei tedeschi. Per fortuna, quando ormai la situazione stava facendosi critica, in appoggio alla forza da sbarco intervennero i cannoni delle unità navali. Prezioso si dimostrò, in particolare, l’appoggio fornito, sia qui sia nel settore inglese, dai cacciatorpediniere che avventurandosi attraverso i campi minati per portarsi sottocosta, contribuirono in maniera rilevante a neutralizzare i contrattacchi di piccoli gruppi di carri armati tedeschi che, per gli invasori, rappresentavano la minaccia più grave. Le truppe furono costrette a scavare in tutta fretta buche nella sabbia, nelle quali ripararsi per cercare di sottrarsi al fuoco intenso, carri armati tedeschi si avvicinarono in alcuni punti fino a 200 metri dalla spiaggia, sparando sui mezzi da sbarco che stavano accostandosi. Nel settore inglese i combattimenti furono fin dall’inizio anche più duri che in quello americano; i battaglioni Hampshire, che erano sbarcati sulla spiaggia sbagliata, dovettero spostarsi di quasi due chilometri verso nord, in un terreno in cui si rivelavano mitragliatrici, cannoni, carri armati, contro i quali non disponevano ancora di armi adeguate. Sulla spiaggia la confusione era al colmo: genieri stendevano reti metalliche per agevolare il transito degli automezzi sulla sabbia, altri cercavano le mine, dovunque vi erano cataste di materiali e uomini ammassati. Non si può asserire che tutto andasse per il meglio; fra il materiale giunto sulla spiaggia c’era anche un pianoforte; automezzi e carri armati sbarcavano con appese intorno ceste di galline e in una gabbia vi era un grosso maiale allevato per una mensa ufficiali. I palloni da sbarramento, innalzati poco dopo i primi sbarchi, avevano già disturbato gli aerei tedeschi nelle loro incursioni lungo le spiagge; dopo l’alba questi si limitarono a fugaci apparizioni perché gli aerei imbarcati sulle portaerei avevano provveduto a mettere in atto “l’ombrello aereo”. Per quanto in quella prima giornata fossero stati raggiunti gli obiettivi indicati dal “piano”, e l’avanzata, specialmente sulla fronte del X corpo britannico, fosse stata limitata a una profondità di pochi chilometri, regnava nei Comandi alleati un certo ottimismo. La più grave preoccupazione era causata da quel vuoto di 11 chilometri fra i due corpi d’armata, che nessuno di essi era in grado di riempire, impegnati come erano sulla propria fronte. Se avessero avuto appena cognizione di ciò che Kesselring stava preparando, l’ottimismo sarebbe stato alquanto attenuato. Mentre la divisione “Goering” stava già entrando in azione contro le punte dei Rangers e dei commandos sui monti alla base della penisola di Sorrento, affluivano verso il campo di battaglia la 29ª divisione dalla Calabria, la 15ª dalla zona di Gaeta e successivamente la 3ª corazzata. L’ordine di Hitler era di “spazzare” gli anglo-americani dalla spiaggia di Salerno, ma la richiesta di Kesselring di ricevere rinforzi dal Gruppo Rommel, che era nell’Italia settentrionale, impegnato a catturare ed inviare in Germania le truppe italiane, non fu accolta. Hitler antepose “la punizione” dell’esercito ex alleato alla vittoria a Salerno, che forse Kesselring avrebbe potuto ottenere se il 13 e 14 settembre avesse avuto altre due divisioni a sua disposizione. Il secondo giorno, 10 settembre, la situazione si fece assai più calma nel settore americano in quanto la 16ª divisione corazzata aveva trasferito quasi tutte le sue poche forze verso il settore inglese, più a nord (proprio da qui infatti veniva la più grave minaccia strategica per il settore di Salerno). Gli americani approfittarono del momento di pausa per allargare la loro testa di ponte e per sbarcare il grosso della 45ª divisione, la loro riserva “galleggiante”.
Intanto la 56ª divisione inglese aveva occupato nella prima mattinata il campo di aviazione di Montecorvino e il centro di Battipaglia, da dove però dovette poi ritirarsi sotto l’incalzare di un energico contrattacco portato da due battaglioni di fanteria motorizzata tedeschi affiancati da alcuni carri armati, la cui apparizione provocò fenomeni di vero e proprio panico. I servizi segreti alleati avevano avuto notizia che l’aviazione tedesca possedeva un’arma nuova e micidiale: una bomba volante, guidata con onde radio e ne avevano informato le navi. Una fonte anonima aveva avuto l’idea che gli impulsi radio avrebbero potuto essere disturbati facendo funzionare rasoi elettrici, quando vi fosse stato motivo di sospettare che un aereo stava lanciando uno di quei ordigni. Non si sa se per effetto dei rasoi elettrici ma più probabilmente a causa di errori commessi da chi doveva “guidare” la bomba, la prima che fu lanciata, alle ore 19.30 del 10, andò a finire in acqua e non fece alcun danno. L’indomani mattina l’esito fu alquanto diverso: l’incrociatore “Savannah” fu colpito in pieno su una torretta. La bomba esplose nell’interno della nave, uccidendo un centinaio di uomini, aprì un largo foro sul fondo e sconquassò le giunture, facendo imbarcare tanta acqua che l’incrociatore si inclinò di prua. Le squadre di riparazione riuscirono però a turare le falle e l’imbarcazione poté essere rimorchiata a Malta. Il giorno precedente, con la stessa arma, essi avevano assestato un bel colpo alla flotta principale degli ex alleati italiani, quando questa era appena salpata da La Spezia per raggiungere le marine da guerra alleate, affondando la nave ammiraglia, la Roma.
La notte del 10 la 56ª divisione sferrò un attacco con 3 brigate per impadronirsi del massiccio dominante di monte Eboli, ma realizzò solo esigui progressi (tra i quali il rientro a Battipaglia). La 46ª divisione occupò Salerno, ma non fu possibile usufruire del porto per parecchi giorni perché l’artiglieria e i mitraglieri tedeschi lo tenevano sotto il loro fuoco; riuscì invece ad inviare una sua brigata a rilevare i commandos, ma non sviluppò una tempestiva azione verso nord. Commandos e rangers stavano intanto sostenendo una dura lotta sui monti, contro una parte della divisione “Goering”, riuscendo a conservare più o meno le posizioni raggiunte, sebbene a costo di forti perdite. Nel settore americano, la 45ª divisione, fresca di sbarco, risalì per circa 15 chilometri lungo la sponda orientale del Sele, passando per Persano e arrivando fin quasi al centro stradale di Ponte Sele: l’apice della linea che, secondo i piani, la testa di sbarco avrebbe dovuto raggiungere. Ma a questo punto un battaglione di fanteria motorizzata tedesco e 8 carri armati, riportati al di là del fiume dal settore inglese, sferrarono un contrattacco che costrinse gli americani dapprima a fermarsi e poi a ripiegare. Pertanto alla fine del terzo giorno le quattro divisioni e le unità supplementari, equivalenti ad una quinta divisione, sbarcate nel golfo di Salerno erano ancora confinate in due teste di sbarco poco profonde e separate, mentre i tedeschi avevano in mano sia le alture circostanti sia le vie d’accesso alla fascia costiera pianeggiante. Le speranze di raggiungere Napoli entro il terzo giorno erano svanite. La 16ª divisione corazzata, la cui forza in unità da combattimento era appena la metà di quella di una divisione alleata, era riuscita ad arginare l’invasione e a guadagnare tempo in vista dell’arrivo di consistenti rinforzi tedeschi. I primi ad arrivare furono la 29ª Panzer Grenadier che stava già rientrando dalla Calabria, e un gruppo da combattimento (consistente in 2 battaglioni di fanteria e in circa 20 carri armati) che la rabberciata divisione Hërmann Goering era riuscita a mettere insieme. Questo gruppo da combattimento, proveniente dal settore di Napoli, contrattaccò e sfondò la linea inglese al di là del Passo di La Molina, spingendosi fin nei pressi di Vietri prima di essere fermato, il 13 settembre, dal rientro in scena dei commandos. Il Passo, comunque, era tornato saldamente in mano tedesca. Ormai era anche troppo chiaro che il X corpo inglese era virtualmente bloccato nella strettissima fascia costiera nei pressi di Salerno, con i tedeschi appostati al sicuro sulle alture circostanti. Nel frattempo l’iniziale fiducia del generale Clark veniva scossa da colpi ancora più duri nel settore meridionale, dove la 21ª divisione Panzer Grenadier, affiancata da una parte della 16ª corazzata aveva attaccato con decisione in corrispondenza della cerniera tra inglesi ed americani. La sera del 12 settembre l’ala destra inglese fu di nuovo ricacciata da Battipaglia e subì ingenti perdite, specialmente in prigionieri.
Il giorno 13 i tedeschi sfruttarono l’ampliamento del varco che separava i due Corpi alleati per colpire l’ala sinistra americana, ricacciandola da Persano e provocandone infine una ritirata generale. Nella confusione che fece seguito a questi drammatici sviluppi, i tedeschi sfondarono in parecchie località il fronte americano, in un punto arrivando addirittura a meno di un chilometro dalle spiagge. Quella sera la situazione appariva così precaria che nel settore meridionale le operazioni di scarico di tutti i mercantili furono sospese. Inoltre il generale Clark richiese con urgenza all’ammiraglio Hewitt di prepararsi a reimbarcare il comando della 5ª armata e di tenere pronti tutti i natanti disponibili per evacuare il VI corpo dalla sua testa di sbarco per trasportarlo nel settore inglese o, in via alternativa, per trasferire il X corpo a sud. Poiché un trasferimento di emergenza di simili proporzioni sarebbe stato inattuabile, la proposta suscitò indignate proteste da parte di McCreery e del suo collega della marina, commodoro Oliver, e provocò, quando fu riferita ai generali Eisenhower e Alexander, una vera e propria costernazione ai vertici del comando. In realtà la notizia degli ordini dati da Clark a Hewitt giunse deformata al quartier generale di Eisenhower; occorsero alcune ore per chiarire che non si pensava a sgomberare la testa di sbarco e per dissipare la costernazione. Però essa ebbe il merito di accelerare l’invio di rinforzi, grazie soprattutto all’entrata in attività di 18 navi da sbarco per carri armati (LST), che erano in rotta per l’India e che furono immediatamente trasferiti nel golfo di Salerno. L’82ª divisione aviotrasportata fu messa a disposizione del generale Clark e, rispondendo con estrema prontezza alla urgente richiesta di aiuto da questi formulata nel pomeriggio, il generale Ridgway riuscì a lanciare un primo contingente sulla testa di sbarco meridionale quella sera stessa. Infatti, pochi minuti prima di mezzanotte fra il 13 e il 14, cannoni, mitragliatrici e mortai tacquero su tutta la testa di ponte, nella quale regnò un silenzio solenne. Il generale Ridgway non voleva che si ripetesse il caso di Gela, dove i cannoni delle navi avevano abbattuto la sera dell’11 luglio aerei ed alianti, scambiandoli per tedeschi, e aveva chiesto che, mentre i suoi paracadutisti si sarebbero calati a terra nessuno facesse fuoco. Quel silenzio generale fu rotto da un rombo di motori: che sia stato il caso o che i tedeschi avessero avuto sentore dei provvedimenti presi, fatto sta che per cinque minuti aerei della Luftwaffe andarono su e giù per la spiaggia bombardando le truppe terrorizzate da quella furia che si era scatenata e che non trovava contrasto alcuno. Furono cinque minuti infernali, poi 82 aerei da trasporto americani comparvero nel cielo e lanciarono 600 paracadutisti sul settore sinistro del VI corpo a sud del Sele. Era l’avanguardia dell’82ª divisione: il grosso (1.900 uomini) sarebbe giunto la notte successiva. Il giorno 15 settembre sulle spiagge del settore settentrionale ebbero inizio le operazioni di sbarco della 7ª divisione corazzata inglese. Ma il momento peggiore era ormai passato, grazie soprattutto al tempestivo appoggio di emergenza fornito dalle forze aeronavali alleate. Infatti il 15 fu una giornata di relativa stasi, con i tedeschi impegnati a riorganizzare le loro unità, uscite assai malconce dalla tempesta di bombe e di granate del giorno precedente, in vista di un nuovo attacco, al quale avrebbero dovuto prendere parte anche alcune unità sopraggiunte in rinforzo. La 26ª divisione corazzata, al momento ancora senza carri armati, era arrivata dalla Calabria, dopo essersi sganciata furtivamente dalle avanguardie della 8ª armata di Montgomery, secondo quanto ordinato dal generale Vietinghoff il giorno dello sbarco alleato a Salerno. Erano anche arrivati, rispettivamente da Roma e Gaeta, distaccamenti della 3ª e della 15ª divisione Panzer Grenadier. Ma anche con questi rinforzi i tedeschi potevano contare sull’equivalente di sole 4 divisioni, con poco più di un centinaio di carri armati, mentre il giorno 16 la 5ª armata aveva ormai a terra l’equivalente di 7 divisioni di maggiore consistenza, con circa 200 carri armati. Pertanto, l’unica cosa che poteva preoccupare il Comando alleato era l’eventualità di un cedimento del morale delle truppe prima che la loro netta superiorità facesse sentire i suoi effetti. Inoltre, l’8 armata era ormai così vicina da aumentare questo margine di superiorità e da minacciare il fianco del nemico.
Quella mattina, dopo aver effettuato la traversata da Biserta a bordo di un cacciatorpediniere e aver ispezionato di persona le teste di sbarco, il generale Alexander si recò a conferire con Clark, al quartier generale di quest’ultimo. Con il suo caratteristico tatto egli scartò l’idea di evacuare l’una o l’altra delle teste di sbarco. Un nuovo e sostanzioso rinforzo fu assicurato dall’arrivo, intorno alle ore 10, delle corazzate inglesi Warspite e Valiant, salpate da Malta il pomeriggio precedente con 6 cacciatorpediniere. A causa di difficoltà insorte nelle comunicazioni radio con gli osservatori avanzati, esse non entrarono in azione che sette ore più tardi, ma a partire da quel momento cominciarono a bombardare con le grosse granate dei loro cannoni da 381 mm. bersagli situati fino a 20 chilometri nell’entroterra, con effetti micidiali tanto sul piano materiale quanto su quello psicologico. La mattina del giorno 16 i tedeschi compirono un nuovo sforzo, iniziando nel settore inglese con un attacco da nord verso Salerno e un altro verso Battipaglia. Questi due tentativi furono però neutralizzati dall’azione congiunta dell’artiglieria, delle unità da guerra con i loro cannoni e dei carri armati. Questo insuccesso e l’avvicinamento dell’8ª armata spinsero Kesselring a concludere che la possibilità di ricacciare in mare gli invasori era ormai svanita, cosicché quella sera stessa egli autorizzò uno sganciamento sul fronte costiero e una graduale ritirata verso nord. La prima fase doveva essere costituita da un ripiegamento sulla linea del Volturno, 30 Km. a nord di Napoli, che egli intendeva difendere fin verso la metà di ottobre. Visto il modo in cui le cannonate delle unità da guerra alleate avevano sventato il loro contrattacco, anche se soprattutto prima che arrivassero sulla scena le unità più grosse, i tedeschi ebbero una certa consolazione quel pomeriggio quando una delle loro nuove bombe radioguidate plananti centrò in pieno la corazzata Warspite e la mise fuori combattimento. Una volta falliti gli sforzi per ricacciare in mare gli invasori, era evidente che ai tedeschi non restava altra alternativa che quella di ritirarsi da Salerno. Dopo aver fatto tutto il possibile per sfruttare l’occasione favorevole offertagli da quella che definì “la molto cauta avanzata di Montgomery”, Kesselring non poteva più correre il rischio di tenere impegnate le sue forze su questo tratto della costa occidentale ora che, uscita dalla stretta penisola calabra, l’8ª armata inglese era arrivata sulla scena e non avrebbe avuto difficoltà ad aggirare le sue posizioni avanzando attraverso le regioni dell’interno. Le truppe a sua disposizione erano di gran lunga troppo scarse per permettergli di coprire un fronte in progressiva espansione. Ma la minaccia non si sviluppò con rapidità sufficiente a mettere in pericolo o anche soltanto affrettare la ritirata tedesca. Infatti solo nel pomeriggio del giorno 20 settembre un’avanguardia canadese dell’8ª armata entrò a Potenza, il principale nodo stradale della “caviglia” dell’Italia, 80 chilometri nell’entroterra rispetto al Golfo di Salerno. Un centinaio di paracadutisti tedeschi, fatti affluire in tutta fretta a Potenza nel pomeriggio del giorno prima, avevano costretto gli attaccanti a sospendere la loro azione durante la notte per prepararsi a lanciare all’attacco un’intera brigata contro un manipolo di difensori la cui consistenza era pari ad appena un trentesimo della loro: un episodio che dimostra in modo significativo quale efficacia ritardante possa avere un’azione difensiva condotta con abilità in una situazione confusa. L’attacco che costrinse questo esiguo distaccamento a ritirarsi portò alla cattura di soli sedici tedeschi, mentre quasi 2.000 morti provocarono tra la popolazione civile gli attacchi aerei preliminari sulla città. Durante la settimana seguente pattuglie canadesi avanzarono con cautela, avendo solo sporadici contatti con le retroguardie nemiche e raggiunsero Melfi, 65 chilometri più a nord. Intanto il grosso dell’8ª armata, a corto di rifornimenti, si era fermato, in attesa che si organizzasse la nuova direttrice di rifornimento che partiva da Taranto e Brindisi, nell’angolo sud-orientale dell’Italia. In questa zona infatti, gli Alleati avevano potuto sbarcare senza incontrare la benché minima resistenza. Il porto di Taranto era stato uno dei possibili obiettivi presi in considerazione in giugno, quando i capi di stato maggiore congiunti avevano dato istruzioni a Eisenhower di preparare i piani delle operazioni che avrebbero dovuto seguire la conclusione della campagna di Sicilia.
Ma l’idea era stata scartata soprattutto perché non conforme al principio cardine, stabilito immediatamente dallo stato maggiore di Eisenhower, secondo il quale non si doveva tentare alcuno sbarco su una costa controllata dal nemico al di fuori della zona di copertura della caccia. Come Napoli, anche Taranto cadeva appena al di là dei 290 chilometri del raggio d’azione degli Spitfires operanti dai campi di aviazione della Sicilia nord-orientale, mentre Salerno era appena al di qua di questo limite. Il progetto di Taranto fu riesumato solo dopo la firma dell’armistizio con l’Italia, il 3 settembre. Esso fu aggiunto al piano di invasione come improvvisata mossa sussidiaria (denominata “Slapstick” – “Operazione Spatola di Arlecchino”) quando si venne a sapere che solo un pugno di truppe tedesche presidiava il “tallone” della penisola, e quando finalmente ci si rese conto che il porto di Napoli, una volta conquistato e rimesso in condizioni di funzionamento, non sarebbe bastato a sostenere un’avanzata simultanea tanto sul versante orientale quanto su quello occidentale degli Appennini. Due giorni dopo il successo di questa prima parte dell’operazione fu completato con l’occupazione di Brindisi (dove si erano rifugiati, provenienti da Roma, il re Vittorio Emanuele e il maresciallo Badoglio) e di Bari, 100 Km. più in su lungo la costa. In questo modo tre grandi porti erano caduti in mano alleata in questo settore, tre porti ampiamente sufficienti per alimentare un’avanzata su per la costa adriatica, molto tempo prima che anche un solo porto di importanza paragonabile fosse stato conquistato sulla costa occidentale; tra l’altro, era ormai anche troppo chiaro che, visto il ritardo con cui procedeva l’avanzata da Salerno a Napoli, i tedeschi avrebbero avuto tutto il tempo di distruggere le attrezzature di quel porto prima di abbandonarlo. Tuttavia, la splendida occasione venutasi così a creare sulla costa orientale andò sprecata per mancanza di previdenza e, in seguito, per l’inadeguatezza degli sforzi che si fecero per riacciuffarla.
Ma torniamo agli avvenimenti dello sbarco: alle ore 9 del 16 settembre l’ultima offensiva tedesca investì la testa di ponte. Sarebbe dovuto iniziare alle ore 6 ma furiosi bombardamenti navali e azioni di aerei a volo radente avevano immobilizzato i tedeschi nelle loro posizioni. Da Cava dei Tirreni tentò di avanzare la colonna della divisione “Goering”, al comando del colonnello Schmalz, ma fu arrestata dal fuoco di artiglieria campale, di incrociatori e cacciatorpediniere. Le navi erano il terrore dei tedeschi, i quali concentrarono disperatamente contro di esse ciò che di meglio avevano a disposizione in fatto di nuovo munizionamento (bombe radioguidate). A mezzogiorno il comandante dell’armata tedesca, il generale von Vietingof, ebbe la convinzione che la partita era ormai perduta. Col fuoco dei loro cannoni ed i loro aerei gli anglo-americani avevano acquisito l’assoluto dominio. I tedeschi erano paralizzati ed impotenti. Ormai venivano a mancare le condizioni sulle quali Kesselring aveva contato per risolvere a suo favore la situazione: battere la 5ª armata prima che sopraggiungesse l’8ª di Montgomery. Alle ore 14, le prime pattuglie dell’armata del generale britannico presero contatto, a 25 chilometri a sud di Agropoli, con pattuglie americane che erano andate loro incontro. Kesselring ordinò la ritirata, la battaglia per Salerno era vinta dagli Alleati.
Bibliografia
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- Giuseppe Conti, Una guerra segreta, Società editrice Il Mulino, Ed. 2009.
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- Martin Gilbert, La grande storia della Seconda Guerra Mondiale, Arnoldo Mondadori Editore, 1990.
- Antonio Spinosa, Mussolini il fascino di un dittatore – Hitler il figlio della Germania, Arnoldo Mondadori Editore, 1991.
- E. Morison, History of United States Naval Operations in World War II, Vol. IX. Boston 1954.