Lanfranco Sanna
Parte I
Dall’inizio delle ostilità a Caporetto
La preparazione alla guerra I piani di collaborazione tra Esercito e Marina
Nei nove mesi che intercorsero tra la dichiarazione di neutralità (3 agosto 1914) e l’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) la Regia Marina dovette spostare completamente l’asse previsto delle operazioni dal Tirreno all’Adriatico, che era praticamente indifeso. La Base di Venezia non era in grado di accogliere le grandi navi da battaglia per l’insufficiente profondità del fondale della laguna, mentre le batterie costiere erano insufficienti e obsolete. L’unica altra base importante dell’Adriatico era Brindisi, a 400 miglia di distanza, il cui porto non era comunque in grado di ospitare navi di grosso tonnellaggio e era scarsamente difeso.
Per il rovesciamento delle alleanze[1], alla fine del maggio 1915 l’Adriatico era diventato il centro dell’attività bellica navale tra l’Italia e l’Austro-Ungheria e richiedeva per di più una stretta collaborazione tra le due Forze Armate; collaborazione che peraltro era iniziata già dal 1907, quando la Regia Marina e il Regio Esercito avevano iniziato ad addestrarsi insieme in vista di eventuali operazioni anfibie in un’Albania che si riteneva minacciata da vicino dalla nostra alleata Austro-Ungheria dopo l’annessione della Bosnia-Erzegovina (6 ottobre 1908). Dal 1909, dopo un nuovo riavvicinamento tra le due alleate e in preparazione di una nostra ancora solo prevedibile invasione della Tripolitania e della Cirenaica, gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Marina iniziarono addirittura a pianificare un possibile sbarco italo-austriaco a Malta, la base navale britannica al centro del canale di Sicilia. Il piano fu completato nel 1911 e aggiornato periodicamente, anche se i punti di vista delle due Forze Armate sulla riuscita dello sbarco erano assai diverse. Infatti l’Esercito era ottimista sul buon esito perché Malta era difesa da una sola Brigata di fanteria, mentre la Marina nutriva serie perplessità a causa delle notevoli difese costiere dell’isola e soprattutto del certo intervento da parte della flotta britannica. Tra le due Forze Armate si progettò addirittura seriamente, fino al 1914, uno sbarco in Provenza.
Scoppiata la guerra, e nonostante l’Italia si fosse dichiarata neutrale, nel settembre il Comando in Capo decise di occupare l’isola di Saseno e nell’ottobre successivo Valona. Erano le premesse per poter porre il blocco del canale di Otranto in una futura guerra contro l’Austria-Ungheria. Intanto, dopo la dichiarazione di neutralità, gli scambi tra le due Forze Armate si intensificavano e già nell’agosto del 1914 furono emanate dall’Ufficio della Stato Maggiore della Marina le istruzioni di massima per l’«Impiego bellico delle navi, siluranti e mezzi aerei dislocati a Venezia» che stabilivano i criteri da seguire per la difesa del litorale limitrofo alla piazza e per l’appoggio che la R. Marina avrebbe dovuto fornire al R. Esercito in caso di conflitto con l’Impero asburgico. In conseguenza di tali accordi lo S.M. della Marina disponeva la costituzione di una speciale Divisione navale composta da unità antiquate, superate e di scarso valore bellico, ma adatte a cooperare alla difesa della piazzaforte di Venezia e di dare appoggio e protezione dal mare all’ala destra dell’Esercito durante la prevista avanzata oltre la frontiera. Ne fu designato comandante il contrammiraglio Giovanni Patris che fin dal settembre 1914 si recò a Venezia per prendere contatti con il generale Luigi Zuccari, a sua volta comandante designato dell’ala destra dell’Esercito.
Nei primi giorni di aprile 1915, cioè pressappoco negli ultimi due mesi di neutralità dell’Italia, iniziò un fitto scambio epistolare tra il tenente generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito e il suo omologo vice ammiraglio Thaon di Revel, sempre sull’argomento dell’appoggio che la Marina avrebbe potuto fornire all’avanzata delle truppe verso Trieste lungo il litorale. Cadorna nella sua prima lettera, che qui riporto nei punti salienti, scriveva:
«…Ma soprattutto quel che a me preme è di potersi valere della strada litoranea per la marcia su Trieste per la quale cosa occorre che questa strada non possa essere battuta dalle navi nemiche. Che se tale scopo si potesse raggiungere sia bloccando la flotta di Pola, sia con l’impiego di sottomarini sia spargendo mine lungo la zona litoranea sì che le navi nemiche non potessero avvicinarsi alla costa a tiro utile, giudicherei già efficace il concorso della Marina».
Semplificando e riassumendo il contenuto, per Cadorna era importante impedire che le navi nemiche potessero bombardare le truppe italiane in avanzata lungo la litorale verso Trieste, con qualunque mezzo fosse possibile.
A queste e ad altre successive richieste, rispondeva in modo che voleva essere definitivo, e, occorre dirlo, con ben altro spessore strategico, il vice ammiraglio Thaon di Revel:
«…il concorso della Marina alle operazioni della III Armata, anche se limitato alla protezione della strada costiera, non poteva risultare pienamente efficace se non dopo aver conquistato il dominio, almeno relativo, del mare sia con la battaglia vittoriosa oppure con opportuna dislocazione del nostro grosso rispetto al grosso avversario. Per dare battaglia occorre però che il nemico intenda accettare ed esca dalle sue munitissime basi. La dislocazione del nostro grosso per assicurare almeno il dominio relativo del golfo (di Trieste n.d.a), quando il grosso avversario fosse rinchiuso nella sua fortezza settentrionale, è operazione resa difficile e rischiosa dalla deficienza strategica del nostro litorale rispetto a quello strategicamente ottimo dell’avversario» e concludeva assicurando che ad ogni modo si sarebbe tenuto conto al massimo delle esigenze dell’Esercito.
In estrema sintesi, il Capo di Stato Maggiore della Regia Marina riteneva che non era possibile impedire con le sole mine e gli agguati dei sommergibili le azioni navali da parte del nemico contro le nostre forze terrestri in avanzata sul litorale verso Trieste, e che non era possibile intervenire con la nostra squadra navale senza aver ottenuto prima un controllo, almeno relativo, del medesimo Golfo di Trieste. E il vice ammiraglio, anche se era certo che il nemico sarebbe rimasto chiuso nella sua sicura base di Pola, non poteva arrischiare che le sue navi maggiori della Divisione Sardegna, meno numerose e potenti di quelle austro-ungariche, potessero essere prese alle spalle dalla flotta nemica, o che fossero silurate dai sommergibili in agguato, o saltassero sulle mine tanto più pericolose in un mare con così basso fondale.
Il primo giorno di guerra
Molto prima della mezzanotte fra il 23 e il 24 maggio, orario ufficiale dell’entrata in guerra dell’Italia, la K.u.K. Kriegsmarine uscì in forze dalle sue basi sulla costa orientale dell’Adriatico con l’obiettivo di inferire un grosso colpo contro le coste italiane dell’Adriatico.
Il piano era stato studiato nei minimi particolari dall’ammiraglio Anton Haus, comandante in capo della flotta austro ungarica, addirittura già dall’inizio della guerra. L’obiettivo era di danneggiare le vie italiane di comunicazione marittima lungo l’Adriatico e di determinare un collasso morale dell’opinione pubblica di una «nazione facilmente impressionabile». Per ottenere un successo l’operazione doveva essere eseguita di sorpresa immediatamente all’inizio delle ostilità e infatti, appena ricevuta la notizia della rottura delle relazioni diplomatiche, alle ore 16 del 23 maggio, furono impartiti immediatamente gli ordini di prepararsi a salpare. La flotta, che comprendeva 12 navi da battaglia e la loro scorta, uscita da Pola era divisa in 6 gruppi, ognuno con un proprio obiettivo, Ancona, Senigallia, Porto Corsini, Potenza Picena, Rimini, Fano, Pesaro. Il bombardamento navale arrecò lievi danni a strutture militari e civili e causò la morte di 68 persone, la maggior parte civili.
Neppure la Regia Marina era rimasta inerte la prima notte di guerra, anche se le sue operazioni risultarono molto più limitate e soprattutto molto meno ambiziose di quelle della sua rivale. Alle ore 02.00 del 24 maggio, quando la flotta austro ungarica era in mare da ben 7 ore, partirono da Venezia i cacciatorpediniere Zeffiro, Bersagliere e Corazziere. Lo Zeffiro aveva l’obiettivo di forzare e bombardare Porto Buso, prima isola austro ungarica della laguna di Grado, e di fare dei prigionieri. Gli altri due cacciatorpediniere dovevano affondare le unità navali presenti a Grado e tagliare il cavo telegrafico tra Grado e Cittanova. Alle ore 03.30 uscirono dalla base di Venezia anche i cacciatorpediniere Carabiniere, Garibaldino, Lanciere, Alpino e Fuciliere in esplorazione strategica con rotte a raggiera verso l’Istria. L’unica operazione che ebbe successo fu quella dello Zeffiro che, al comando del C.F. Arturo Ciano, dopo un’ora di navigazione silenziosa verso oriente lungo la costa, arrivò all’imboccatura del canale di accesso a Porto Buso, lo percorse e, arrivato al traverso del pontile e della caserma austriaca della Finanza, a una distanza di 600 metri, lanciò un siluro contro il pontile e aprì il fuoco con i cannoni da 76/40 contro la caserma e la torre di osservazione. Il distaccamento austro ungherese fu fatto prigioniero.
Il 29 maggio 1915, come era stato deciso dal piano di operazioni, i CC.TT. Lanciere, Artigliere e Garibaldino, protetti a largo dai CC.TT. Alpino, Pontiere, e Corazziere, bombardarono l’impianto chimico Adria-Werke di Monfalcone, dove si credeva si producessero gas asfissianti.
Inaugurando una fattiva collaborazione con il Regio Esercito, impegnato nell’attraversamento del fiume Isonzo, tappa fondamentale per dare inizio a quella che sarebbe stata la prima battaglia dell’Isonzo (23 giugno-7 luglio 1915), nella notte tra il 4 e il 5 giugno uscì in mare da Venezia una forza di cinque cacciatorpediniere che bombardarono le linee nemiche presso la foce del fiume. Queste unità erano protette al largo da altri cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili, mentre la nave da battaglia Sardegna e l’incrociatore corazzato Carlo Alberto incrociavano al largo di Venezia pronti a intervenire in caso di uscita di navi nemiche da Pola. Il 7 giugno, ancora la III squadriglia Bersagliere (Corazziere, Artigliere, Lanciere e Garibaldino), tornava a bombardare la fabbrica Adria-Werke e volgeva il tiro contro le batterie austro-ungariche di Castello di Duino, che avevano inquadrato le nostre navi senza peraltro colpirle. Le truppe italiane entrarono a Monfalcone il 9 giugno, senza contrasto perché la cittadina, ritenuta indifendibile, era stata abbandonata dal nemico.
L’istituzione dei Comandi di Difesa Marittima di Grado e Porto Rosega 10 giugno 1915
Gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Marina stabilirono, di comune accordo, che la zona costiera passasse sotto il completo controllo della Regia Marina che già dal 4 giugno aveva occupato la stazione di vedetta di Grado dove, il 16 giugno, arrivò anche il primo pontone armato, il “Robusto”, con 3 cannoni da 120 mm. Il 10 giugno erano stati istituiti i due Comandi di Difesa Marittima di Grado e di Porto Rosega (Monfalcone). Il giorno successivo fu inviata a Grado una compagnia presidiaria di 300 marinai il cui sbarco fu protetto dalla nave da battaglia Sardegna.
Il 17 e 18 giugno due incrociatori e un cacciatorpediniere austro ungarici bombardarono il faro di Punta Tagliamento controbattuti senza esito dalle batterie di Porto Lignano. L’azione, pur avendo provocato solo lievi danni alle strutture del faro, fu considerata un grave rischio per le unità leggere italiane operanti nel golfo di Trieste in appoggio all’Esercito, nonché per il medesimo fronte terrestre. Fu quindi urgentemente inviata a Venezia la IV Divisione navale del contrammiraglio Umberto Cagni costituita da 4 incrociatori corazzati, Amalfi, Pisa, San Giorgio e San Marco e la loro scorta di CC.TT.
Per comprendere meglio le pressanti richieste di appoggio delle artiglierie navali di grosso calibro contro le linee nemiche da parte dei vertici dell’Esercito, bisogna sapere che tutta la 3a Armata nel giugno 1915 disponeva, di solo 9 batterie di obici da 149 e di 4 batterie di cannoni da 149 G. di artiglieria campale.
Impaziente di prendere l’iniziativa, il contrammiraglio Cagni si recò il 3 luglio al Comando in Capo del Regio Esercito a Udine per accordarsi direttamente col generale Cadorna sulle modalità di collaborazione che la Marina poteva fornire all’Esercito. Tuttavia, tanto dai colloqui con il Comando Supremo, quanto, da una ricognizione lungo il litorale, giunse alla conclusione, come il collega contrammiraglio Patris, della impossibilità di inviare nel golfo di Trieste navi da battaglia. Cagni giustificò il mancato intervento della Marina con motivazioni squisitamente tecniche. Sostenne che ben poco si poteva fare con le artiglierie navali contro le postazioni terrestri, sia per le caratteristiche tipiche del tiro navale che era diretto, sia per il tipo di munizionamento dei grossi calibri di tipo perforante e non ad alto esplosivo. Dichiarò invece che era assolutamente opportuno sbarcare i cannoni dalle vecchie unità non più utilizzabili in linea e sistemarli su pontoni ma, che era anche necessario affrontare la flotta nemica per prendere il controllo dell’Alto Adriatico.
L’occasione di affrontare il nemico si presentò quando il Comando Supremo avvertiva il contrammiraglio Cagni che un gendarme disertore austroungarico, fuggito a nuoto da Duino, riferiva che i nemici progettavano di far uscire la flotta da Pola per bombardare la zona di Monfalcone. La notizia era confermata anche dalla ricognizione aerea sulla base di Pola. Si dispose pertanto di far uscire in mare, con lo scopo di intercettare le navi nemiche, due squadriglie di siluranti che, ricongiuntesi con l’incrociatore Amalfi, avrebbero rastrellato il mare da levante a ponente dell’Istria. Ma alle ore 04.01 del 7 luglio 1915 l’Amalfi fu silurato dal sommergibile tedesco UB-14, camuffato da sommergibile austro ungarico U 26 perché non eravamo in guerra con la Germania, e affondato in pochi minuti. Perivano 72 uomini dell’equipaggio.
Gruppo batterie Reale Nave Amalfi
Con i superstiti dell’Amalfi, furono rapidamente costituite due batterie con cannoni da sbarco 76/17 che raggiunsero il 21 luglio Cervignano, pochi chilometri a occidente dell’Isonzo e furono schierate nelle posizioni avanzate di Sdraussina e Peteano alle pendici del San Michele. Comandante del Gruppo Batterie Regia Nave Amalfi fu designato il capitano di corvetta Francesco Savino Mininni. Alle due batterie si aggiunse anche una compagnia di marinai fucilieri: così, questo primo nucleo di marinai in grigio verde raggiunse il numero di 10 ufficiali, di 12 sottufficiali e 380 sottocapi e comuni, mentre altre due compagnie di marinai sempre superstiti dell’Amalfi furono inviate nella laguna di Grado a disposizione del Comando Difesa della Regia Marina. Dopo un primo periodo in cui i pezzi da 76/17 furono utilizzati in funzione difensiva, i cannonieri dell’Amalfi chiesero e ottennero di essere trasferiti in prima linea a fianco delle fanterie, per poter utilizzare i loro cannoni con il tiro diretto a cui erano più avvezzi. Ma non si limitarono alla loro specifica mansione e vollero anche partecipare ad ardite azioni di pattuglia, in cui si distinsero per coraggio e spirito d’iniziativa. Certo, appare per lo meno strano che dei marinai, abituati a calcare il sicuro ponte di una nave, perciò con una limitatissima preparazione al combattimento terrestre e solo in quanto compagnie da sbarco, si siano adattati quasi immediatamente alla guerra di pattuglia e ai colpi di mano dei fanti. Tuttavia, fu proprio ciò che avvenne per i superstiti dell’Amalfi. E lo fecero con valore guadagnandosi 4 MAVM e 19 MBVM.
Ritorniamo ora ai Comandi Difesa Marittima di Grado e di Porto Rosega, che erano stati costituiti il 10 giugno. Il giorno successivo, come abbiamo accennato, vi furono inviate le compagnie presidiarie ed erano iniziati immediatamente i lavori di apprestamento per la difesa costiera, e quelli necessari all’istallazione delle necessarie batterie terrestri.
Se al contrammiraglio Umberto Cagni non si può attribuire la totale paternità dei pontoni armati da utilizzare nelle zone umide della laguna di Grado e della foce dell’Isonzo, a lui si deve il forte impulso impresso alla loro rapida realizzazione sin dai primi giorni del suo arrivo con la IV Divisione a Venezia. E non soltanto in quelle circostanze, ma anche in seguito, come vedremo, quando aveva lasciato ormai da tempo la base lagunare; tanto che ai primi di agosto erano installate e operative le seguenti batterie: 2 cannoni da 57 e 4 mitragliatrici a Porto Buso; 4 cannoni da 120 nell’isola di S. Pietro d’Orio; 3 cannoni da 120 e 2 mitragliatrici a Grado sul pontone “Robusto”; 2 cannoni da 76 nell’isola Ravajarina. A queste batterie che avevano una funzione antinave si aggiungevano anche una batteria terrestre con 3 cannoni da 152, alcuni pontoni armati con 6 cannoni da 149 e 2 cannoni da 152 collocati nell’Isola Morosini destinati ad un diretto supporto alle operazioni terrestri dell’Esercito.
Continuava intanto anche la cessione all’Esercito di pezzi di artiglieria navale a ritmo sostenuto tanto che, secondo quanto risulta da una lettera inviata il 13 agosto dal Capo di Stato Maggiore della Marina al Comando Supremo dell’Esercito, risulta che erano stati consegnate complessivamente 150 bocche da fuoco di diverso calibro. Con i 12 cannoni del Carlo Alberto furono create 3 batterie che, dopo le opportune modifiche apportate in tempi rapidissimi furono inviate ai primi di settembre 1915 al fronte, due a Villesse sulla riva destra delI’Isonzo e una a San Zanut alla sinistra del fiume. Le tre batterie parteciparono attivamente alle operazioni dall’ottobre al dicembre (terza e quarta battaglia dell’Isonzo), quando furono sciolte per l’usura dei cannoni. L’armamento era costituito da specialisti della Regia Marina e da soldati della Milizia Territoriale, sotto il comando del colonnello di artiglieria G. Marietti.
È costituito il Raggruppamento Artiglierie del “Basso Isonzo”
Dai contatti tra gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Marina emerse l’esigenza di dar vita a un raggruppamento organico delle artiglierie delle Difese di Grado e Monfalcone per meglio rispondere alle esigenze della 3a Armata. Fu così fu costituito il Raggruppamento Artiglierie “Basso Isonzo”, posto al comando del capitano di fregata Antonio Foschini, che comprendeva quattro batterie, due su nove pontoni con 12 cannoni da 152 e due terrestri con 4 cannoni da 152 e 2 cannoni da 305. Il Raggruppamento ebbe il suo battesimo del fuoco il 24 ottobre 1915 durante la 3a Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre – 4 novembre). Le batterie del Raggruppamento in appoggio alle nostre fanterie duellarono a lungo con le opposte batterie austro-ungariche dislocate a Medeazza est e ovest, a q. 92, a Flondar, a Duino est e ovest, sparando 250 colpi, mentre le nostre fanterie avanzavano. Un colpo fortunato, per noi, contro la batteria di Duino ovest provocò una grossa esplosione e un successivo incendio nel vicino bosco.
Altri violenti bombardamenti terrestri si ebbero tra il 4 e il 5 novembre contro le batterie di Duino e Gazzola, nonostante le difficoltà per la piena dell’Isonzo.
Nell’ottobre, oltre ai cannoni del Raggruppamento “Basso Isonzo” destinati ad appoggiare le truppe di terra, le Difese marittime di Grado e di Porto Rosega schieravano 79 cannoni, 4 di grosso calibro, 32 di medio calibro e 47 di piccolo calibro, destinati alla difesa costiera.
33° Raggruppamento Artiglieria d’Assedio
L’attacco tedesco a Verdun del 21 febbraio 1916 costrinse Cadorna, su pressione degli Alleati, a lanciare l’11 marzo 1916, in grande anticipo su quanto programmato, la 5a battaglia dell’Isonzo, che, organizzata frettolosamente, non poté ottenere risultati tangibili. Durante questa battaglia parteciparono attivamente all’azione di bombardamento delle linee nemiche le artiglierie del 33° Raggruppamento Artiglieria d’Assedio, creato in sostituzione del Raggruppamento “Basso Isonzo”, come documenta il Bollettino del 9 marzo 1916: «Inizia la quinta battaglia dell’Isonzo a cui partecipa anche il 33° Raggruppamento Artiglieria d’Assedio, già Raggruppamento Artiglieria Basso Isonzo formato da personale della Marina.»
Infatti nei primi mesi del 1916 il Raggruppamento Artiglierie “Basso Isonzo” era stato potenziato con l’aggiunta di altre batterie sia dell’Esercito che della Marina ed aveva cambiato denominazione in 33° Raggruppamento Artiglieria d’Assedio, sempre al comando del capitano di fregata Antonio Foschini, con la medesima dislocazione nel Basso Isonzo e con disposizione ancor più varia: infatti comprendeva batterie terrestri, batterie su pontoni, batterie su autocarri e persino una batteria su carri ferroviari.
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Comando Difesa Marittima di Monfalcone. Situazione delle artiglierie alla fine del 1916
In coincidenza con l’inizio dell’offensiva sugli Altipiani della primavera del 1916, fortemente voluta dal capo di Stato Maggiore Generale Conrad, come preventivato gli austro ungarici attaccarono anche sul fronte dell’Isonzo con lo scopo di fissare le forze italiane ed evitare che accorressero in soccorso alle truppe sul fronte del Trentino. Di conseguenza, tra il 14 e il 16 maggio 1916 entrarono in azione anche le batterie del Raggruppamento, che per 56 ore continuative bombardarono le linee nemiche. A tal proposito è da sottolineare che nel quadro generale della Frühjahrsoffensive – Battaglia degli Altipiani – il Comando Superiore imperiale chiedeva con insistenza anche l’intervento della K.u.K. Kriegsmarine nel Golfo di Venezia e di Trieste per arrecare danni alla piazzaforte di Venezia e per fissare le nostre truppe sulla costa nel timore di uno sbarco. L’ammiraglio Anton Haus espresse però la sua totale contrarietà a far uscire la flotta e bombardare la Piazzaforte di Venezia, poiché si sarebbero corsi troppi rischi e i risultati sarebbero stati sicuramente modesti. Conrad non poté fare altro che prenderne atto.
Un mese dopo, tra il 14 e il 17 giugno 1916, le batterie 96a, 97a, 98a e 100a furono di nuovo chiamate a contrastare gli attacchi austro ungarici e spararono 830 colpi; l’azione si ripeté il 28 e 29 giugno 1916, quando si stavano ormai esaurendo i combattimenti sugli altipiani trentini, e questa volta furono sparati 1.218 colpi.
Fattiva fu la partecipazione dalle nostre batterie del 33° Raggruppamento di Artiglieria d’Assedio anche durante la 6a battaglia dell’Isonzo (4-17 agosto 1916), durante la quale fu conquistata Gorizia, la 7a battaglia dell’Isonzo (14-19 settembre 1916), l’8a (9-12 ottobre 1916) e la 9a battaglia dell’Isonzo (31 ottobre-7 novembre 1916).
Nel novembre 1916 il Comando Difesa Marittima di Porto Rosega comprendeva 4 cannoni da 203, 2 da 190, 12 da 152 e 5 da 120 con 500 uomini. Il Comando Difesa Marittima di Grado nello stesso mese schierava 4 pezzi da 152, 7 da 120, 16 da 76 contraerei e 12 cannoni di calibro inferiore con un personale di 1.900 uomini. I depositi principali di munizioni per le artiglierie dei due Comandi e del 33° Raggruppamento d’Artiglieria d’Assedio erano collocati ad Aquileia.
Nel dicembre 1916, a causa della carenza soprattutto di cannonieri, le batterie della Regia Marina del 33° Raggruppamento furono cedute all’Esercito ad eccezione delle 6 batterie del IV Gruppo che ritornarono alle dipendenze della Difesa Marittima di Monfalcone. Il comandante Foschini fu destinato al comando di un incrociatore.
La batteria “Amalfi”
La Regia Marina aveva anche la responsabilità della difesa costiera della Piazza di Venezia e per rafforzarla, alla fine 1915, sul Cavallino fu iniziata la costruzione di una possente batteria, che prese il nome di “Amalfi”, in ricordo dell’omonimo incrociatore corazzato affondato nell’estate, con 2 grossi cannoni navali da 381/40, che originariamente erano stati destinati alle corazzate della classe Caracciolo di cui era stata sospesa la costruzione all’inizio della guerra. I due cannoni, che erano posti in una torre corazzata di tipo navale, disponevano quindi di un settore di tiro di 360° che consentì loro di battere le posizioni terrestri nemiche durante la battaglia d’arresto sulla Piave alla fine del 1917. Non ebbero però mai modo di aprire il fuoco contro le navi austro ungariche, che non osarono mai avvicinarsi alla nostra Piazza. Nel primo semestre 1917 sarebbe stata pronta non solo la batteria “Amalfi”, ma anche altre 10 nuove batterie a difesa del fronte a mare di Venezia, per un totale di 7 cannoni da 152, 18 da 120 e 15 di calibri inferiori.
La difesa della costa adriatica. I Treni Armati della Regia Marina
Per proteggere dai continui bombardamenti navali e aerei la nostra costa adriatica da Ravenna a Bari, la Regia Marina ideò un sistema di difesa mobile con dei treni armati. Ogni treno era armato con cannoni navali da 152 mm o da 120 navali o da 76 antiaerei, ed era affiancato da un treno logistico con vagoni addetti a cucina, cambusa, pezzi di ricambio, officina e alloggi per il personale. Occorre precisare che i cannonieri di marina erano ben addestrati a calcolare, oltre alla distanza, anche la velocità, la rotta, gli scarti fra le salve e, soprattutto, sapevano valutare le accostate e le variazioni di velocità, tutti elementi necessari per colpire una nave in navigazione.
Entrarono in servizio in totale 12 treni, 6 treni armati con cannoni da 152, 5 treni armati con cannoni da 120 e 1 treno con cannoni e mitragliere antiaerei. Il personale era formato da 60 ufficiali, 144 sottufficiali e 730 tra sottocapi e comuni. I ferrovieri e i macchinisti erano stati militarizzati. Grazie alla presenza dei nostri treni armati, gli attacchi austro-ungarici contro la nostra costa adriatica andarono a diminuire progressivamente, con sollievo anche del morale della popolazione.
C’è un aspetto, che io ritengo di grande importanza ma che non è stato sufficientemente valutato dagli studiosi. Se osserviamo la disposizione delle forze contrapposte alla vigilia della Battaglia di Vittorio Veneto, notiamo che noi difendevamo la piatta e scoperta costa adriatica dalla Romagna alle Puglie con solo 12 treni armati e un migliaio di marinai e 8.000 Guardie di Finanza distribuite in piccoli nuclei di osservazione lungo tutto il litorale, mentre gli Austro ungarici, per difendere l’articolata e protetta costa istriana e dalmata, impegnavano 6 divisioni, che avrebbero potuto rafforzare le truppe schierate sulla Piave, se il nemico non avesse avuto il timore continuo di nostri sbarchi.
L’opera del naviglio leggero e dell’Aviazione Navale nella difesa dell’Alto Adriatico
Oltre all’appoggio diretto delle artiglierie sul fronte terrestre nel Basso Isonzo, oltre alla difesa costiera, la Marina appoggiava l’Esercito, come abbiamo visto sin dai primi giorni di guerra, con bombardamenti navali contro costa da parte di cacciatorpediniere. Non bisogna nemmeno dimenticare l’azione difensiva e offensiva dell’Aviazione Navale, che già dal 1916 iniziava a contrastare con maggiore efficacia quella più potente ed esperta austro ungarica; ma neppure va taciuta la guerra di mine, forse poco appariscente ma incessante e molto importante nell’ostacolare il traffico navale nemico e nel consentire il nostro; e così pure è da sottolineare la innovativa strategia tutta italiana del forzamento dei porti nemici da parte di torpediniere, MAS, barchini saltatori e mezzi d’assalto semi-subacquei, che non offriva un apporto diretto alle operazioni terrestri, ma costringeva le forze navali nemiche alla difensiva anche all’interno dei loro porti. Così parlava Thaon di Revel della nuova strategia: «Il vangelo delle operazioni della flotta dovrà sempre essere: arrecare maggior danno al nemico ricevendone il minimo, affidando a piccoli e veloci mezzi d’assalto il compito di condurre la strategia della battaglia in porto. Attaccando il nemico fin dentro le sue basi».
- Thaon di Revel
È bene inoltre ricordare che gli aerei e gli idrovolanti che erano macchine estremamente delicate e che volavano a vista non disponendo di alcun strumento, quando dovevano attraversare un tratto di mare, erano assistiti dalle siluranti della RM che indicavano la rotta e intervenivano in casi di avaria e ammaraggio d’emergenza.
La “Spedizione punitiva” austro ungarica e le cinque battaglie dell’Isonzo del 1916 avevano accentuato il problema della carenza delle artiglierie di grosso calibro, che si ripresentò quindi in tutta la sua urgenza in vista di altri attacchi contro le forti posizioni nemiche. Perciò furono riprese le trattative tra Esercito e Marina per la cessione di ulteriori artiglierie navali. Il vice ammiraglio Cagni, sempre fortemente convinto dell’utilità che ne sarebbe derivata per l’Esercito senza danneggiare peraltro la flotta, fece da intermediario per organizzare un incontro tra il generale Cadorna e il Duca degli Abruzzi. L’incontro avvenne nei primi giorni del 1917 e fu raggiunta un’intesa tra i due, che però fu subito ostacolata dal Ministero della Marina e in seguito anche dal vice ammiraglio Thaon di Revel, al quale nel frattempo era stato affidato l’incarico, sia di Capo di Stato Maggiore della Marina, sia di comandante della Forze Navali Mobilitate, incarico che Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi era stato costretto a lasciare, ufficialmente, per motivi di salute. Così la richiesta di Cadorna fu notevolmente ridimensionata e furono consegnati all’Esercito solo 8 cannoni da 152/40, 8 cannoni da 149/27 A e 12 cannoni da 120/40 con le relative installazioni e munizionamento.
Comunque la cessione di pezzi di artiglieria continuò senza interruzione anche nei mesi successivi, tanto che nel maggio 1917 erano schierate sul Basso Isonzo 141 bocche da fuoco della Regia Marina, di cui 18 di grosso calibro e 48 di medio calibro, oltre a quelle gestite direttamente e completamente dall’Esercito.
Costituzione del Comando Marittimo nel Settore a levante di Porto Lignano.
Per coordinare i Comandi di Difesa Marittima di Grado e di Porto Rosega, nel marzo 1917 fu costituito il Comando Marittimo nel Settore a levante di Porto Lignano con sede a Terzo di Aquileia, al comando del contrammiraglio Paolo Marzolo, a sua volta alle dipendenze tattiche del Comando della 3a Armata. A metà del 1917 il comando della Difesa di Grado aveva una forza di 3.000 uomini, distribuiti tra le batterie e i distaccamenti nella laguna, disponeva di dieci batterie terrestri con 35 cannoni di vario calibro, di quattro batterie su natanti, di due monitori britannici, di una squadriglia di cannoniere, di una squadriglia di torpediniere costiere, di una squadriglia di MAS, di una sezione Motonautica del CNVM, di due squadriglie idrovolanti. Dipendevano dal Comando Difesa di Grado anche i mezzi del Genio Marina, del Genio Civile e del Genio Lagunare.
Il Comando Difesa Marittima di Porto Rosega, che aveva la sede nell’Isola Morosini, aveva una forza di 2.500 marinai distribuiti tra le varie batterie e comprendeva due batterie terrestri, dieci batterie su natanti con un totale di 18 cannoni di medio-grosso calibro e altri di calibro minore.
La 10a battaglia dell’Isonzo 12 maggio- 8 giugno 1917
Alle artiglierie della Marina dislocate nel Basso Isonzo il 24 maggio 1917 si aggiunsero i grossi calibri dei due monitori britannici Earl of Peterborough e il Sir Thomas Picton. Arrivati a Venezia nei mesi precedenti, appena ricevuto l’ordine salparono da Venezia per la missione di bombardamento programmata. Erano fortemente scortatati da siluranti, dragamine, unità ausiliarie e aerei perché, oltre al rischio sempre presente delle mine, era atteso un veemente attacco da parte dell’aviazione navale austro ungarica di base a Trieste. Intanto, erano pronte a muovere da Venezia le due vecchie navi da battaglia Emanuele Filiberto e Ammiraglio di Saint Bon, nel caso uscisse da Pola una forza navale nemica.
Giunti nelle rispettive posizioni di tiro davanti a bocca di Primero, i due monitori britannici aprirono il fuoco contro l’aeroporto di Contovello, rimanendo fuori tiro delle batterie terrestri austro ungariche. Subito dopo apparvero otto aerei nemici che sottoposero a un intenso bombardamento i due monitori che furono raggiunti da numerose schegge. Il Peterborough fu anche colpito da una bomba da 50 chilogrammi riportando lievi danni. Il tiro dei monitori fu ben diretto dagli osservatori della 44a Squadriglia i cui Caudron G.4 non subirono attacchi da parte dell’aviazione nemica, mentre fu abbattuto l’idrovolante L 136 austro ungarico da uno dei caccia Newport di scorta.
Durante l’azione furono sparati 32 colpi che provocarono solo lievi danni al campo di aviazione. La K.u.K. Kriegsmarine, fece uscire in mare i sommergibili U-1 e U-2 che non riuscirono a giungere in tempo per attaccare le unità britanniche. Bloccata l’offensiva terrestre, le due unità rientrarono nell’Arsenale di Venezia.
L’11a battaglia dell’Isonzo: 17 agosto – 29 settembre 1917
Il 17 agosto 1917 il Comando Supremo italiano diede il via alla più grande offensiva lanciata dal Regio Esercito dall’inizio della guerra, alla quale furono destinate 51 divisioni e 5.200 pezzi di artiglieria. A sostegno dell’azione della 3a Armata, il cui obiettivo era aggirare la roccaforte dell’Hermada attraverso la conquista dell’altopiano del Comeno, la Regia Marina schierò, oltre alle batterie fisse terrestri e su natanti del Gruppo “Granafei”, anche i due monitori britannici e i due pontoni armati semoventi Alfredo Cappellini e Faà di Bruno. Oltre al supporto di fuoco da parte delle artiglierie, la Regia Marina avrebbe dovuto provvedere allo sbarco tra Duino e Sistiana di tre battaglioni del Regio Esercito, 3.000 uomini circa, preceduti da un reparto di arditi marinai, il Gruppo “Apollonia”, finalizzato ad aggirare le postazioni difensive sull’ala sinistra del fronte austroungarico. Gli obiettivi assegnati ai monitori britannici erano le possenti postazioni difensive nemiche sul rovescio dell’Hermada.
L‘Earl of Peterborough e il Sir Thomas Picton, giunsero all’alba del 19 agosto 1917 presso i gavitelli indicanti le rispettive postazioni di tiro di fronte a bocca di Primero, scortati da una squadriglia di torpediniere e da una squadriglia MAS alle quale si aggiunse un’ulteriore squadriglia di torpediniere e una di MAS della base di Grado. Uscirono da Venezia anche due squadriglie di cacciatorpediniere come scorta indiretta in missione di vigilanza. Completavano il dispositivo di sicurezza dodici sommergibili inviati in agguato davanti alla costa istriana, mentre gli idrovolanti delle stazioni di Venezia, Grado e Porto Corsini si alzarono in volo per eseguire missioni di esplorazione a largo raggio nonché di scorta ai velivoli degli osservatori del tiro. Alle ore 15.00 del 19 agosto, iniziò il bombardamento che durò senza sosta per due ore, dopo che erano stati sparati complessivamente 56 colpi da 305 mm su obiettivi situati sul tergo dell’Hermada, sulla quota 279 e sulla dolina di Cresta. Il tiro dei monitori fu regolato da un Caudron G.4 della 44a squadriglia. Terminata la missione, attorno alle 22.00, i due monitori furono rimorchiati verso il loro ancoraggio nel canale d’Orio, nella laguna di Grado, dove si provvide al rifornimento di carbone e di munizioni.
Impiego dei monitori britannici nel golfo di Trieste nell’agosto 1917 Le crociere di protezione della Regia Marina
Due giorni dopo, all’alba del 21 agosto, entrambe le unità britanniche, scortate da due squadriglie di MAS e dal piroscafo armato Capitano Sauro, ripresero il bombardamento dell’Hermada su bersagli posti alla distanza di circa 19.000 yard (ca. 18.000 m). Tra le 10.35 e le 13.00 spararono complessivamente 65 colpi di grosso calibro. I monitori inglesi uscirono nuovamente in mare all’alba del 23 agosto per bombardare le linee di comunicazioni nemiche, ma i risultati furono poco soddisfacenti in quanto i cannoni cominciarono a riportare alcune avarie a causa dell’alto numero di colpi sparati a un’elevazione maggiore della massima nominale. La probabilità di colpire gli obiettivi puntiforrni assegnati, come i viadotti ferroviari, era peraltro piuttosto bassa; di cinquantaquattro colpi sparati, infatti, solo tre furono quelli “messi a segno”. Contemporaneamente ai monitor della Royal Navy erano entrati in azione i due pontoni armati semoventi Faà di Bruno e Cappellini con i loro cannoni navali da 381/40 mm. Essi avevano diretto il loro tiro contro la zona industriale di Trieste e i nodi stradali e ferroviari di Sistiana e Nabresina, ma non si ottennero risultati significativi. Durante l’11a battaglia dell’Isonzo i cannoni del 33° Raggruppamento Artiglierie d’Assedio, e quelli della Difesa di Porto Rosega, spararono complessivamente 7.849 colpi. A questi si aggiunsero i tiri dei pontoni semoventi armati Faà di Bruno e Cappellini, 65 colpi e dei monitori britannici Earl of Peterborough e Sir Thomas Picton, 175 colpi.
Le corazzate costiere austro ungariche Wien e Budapest giungono a Trieste il 27 agosto 1917
Nel frattempo, per difendere Trieste dal paventato attacco italiano, erano state richiamate da Cattaro due vecchie corazzate costiere Wien e Budapest. Ma le due corazzate non uscirono mai in mare per contrastare le nostre unità navali e per bombardare le nostre linee e anzi divennero subito, a loro volta, bersaglio di accaniti bombardamenti aerei italiani. Infatti, appena individuate dalla nostra ricognizione, le due corazzate furono sottoposte ad un incessante e martellante bombardamento finché il 5 settembre il Wien fu colpito da ben 17 bombe. Una di queste centrò un’imbarcazione laterale issata a sinistra e finì in mare scoppiando sott’acqua creando una falla lunga 7 metri. Il 12 settembre 1917 le due corazzate lasciarono Trieste per raggiungere Pola dove il Wien doveva essere riparato. Lo stesso giorno cessarono i combattimenti sul Monte San Gabriele.
Da parte austro ungarica, per poter contrastare il tiro dei nostri grossi calibri il contrammiraglio Koudelka ottenne un cannone da 35 cm previsto per la classe Ersatz-Monarch, di cui era stata bloccata la costruzione con l’inizio delle ostilità. Il pezzo fu installato nei pressi di Santa Croce (Duino-Aurisina) il 23 agosto 1917 col nome di copertura Georg, ma non fece a tempo a entrare in azione durante l’11a battaglia dell’Isonzo perché sarebbe diventato operativo solo il 22 settembre. Secondo le fonti del Comando del Distretto marittimo di Trieste, il cannone sparò i suoi primi colpi contro Grado il 18 ottobre 1917, una settimana prima dell’offensiva congiunta austro tedesca di Caporetto: il primo colpo cadde a solo otto metri dal nostro comando e l’altro colpì le Poste. I gradesi, pur abituati ai continui bombardamenti aerei, ne rimasero sconvolti.
[1] Uso qui volutamente il noto termine tecnico riferito alla Guerra dei Sette Anni (1756-1763).