SERGIO BENEDETTO SABETTA. Riflessioni strategiche sulla pandemia

  

 

 

La pandemia ha accentuato il disperdersi della società, ha sostanzialmente fatto emergere ed evidenziato il suo tessuto, altrimenti non chiaramente visibile, frantumato in mille rivoli.

Ha altresì evidenziato le fragilità economiche e psicologiche del sistema, molto evidenti nei fatti di cronaca e nei comportamenti scolastici, favorito tra al’altro dalla soppressione di un servizio militare non sostituito da alcuna forma obbligatoria di servizio civile per le nuove generazioni.

Per non parlare degli aspetti economico-strategici e dello scenario che ne risulta, con le tensioni nell’Est Europa, lo spostamento dell’asse strategico verso Oriente a seguito dell’alleanza Mosca-Pechino e il conseguente dirottamento di molte risorse strategiche ed energetiche, con conseguente spiazzamento per l’Occidente e aumento dei costi delle forniture.

Gli U.S.A. hanno perso parte della loro capacità di essere leadership mondiale, anche a seguito di una serie di errori strategici, economici e psicologici, nel voler imporre il loro modello a livello globale, in parte rifiutato, con una conseguente persistente opposizione anche terroristica, e dall’altro utilitaristicamente adottato in parte e ritorto in termini di supremazia mondiale.

D’altronde era già successo nel primo dopoguerra della Grande Guerra che ad una bulimica esaltazione degli anni folli era seguita la crisi del 1929, causa non secondaria per la salita al potere del nazismo, premesse per la Seconda Guerra Mondiale.

Da più parti si è osservato che la globalizzazione si è risolta nella volontà di imporre un unico modello culturale, in una omogeneizzazione fondata sulla misurazione economica di tutto l’agire umano e sulla commercializzazione dei modelli culturali, esempio ne è la tendenza a rapportare tutto al modello economico del risarcimento.

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Alla ritirata degli U.S.A. da molti settori globali, si è contrapposta l’avanzata di nuove potenze, che hanno avuto la capacità di sfruttare i trasferimenti tecnologici favoriti dalla ricerca di sempre nuovi utili nella mobilità di capitali e tecnologie, proprie del modello economico neoliberista degli ultimi tre decenni.

I mezzi di comunicazione, apparentemente liberi, sono nella realtà pienamente integrati nello scontro in atto, fornendo letture parziali dei fatti se non tacendoli.

Come è stato osservato, anche il tanto abusa termine di green nasconde, nella giusta e necessaria ricerca di nuove forme di attività economica meno invasive, non solo la ricerca di utili con il semplice trasferimento della tipologia di inquinamento, ma anche una lotta per la supremazia derivante dall’adozione di nuove tecnologie.

La manipolazione biologica che l’evento di questi ultimi anni ha evidenziato, si affianca ad una lotta per il controllo dello spazio interno tra terra e luna, in quanto chi controllerà lo spazio controllerà la terra, il tutto coperto da una dubbia cooperazione internazionale.

Nell’attività umana vi è un pensiero ciclico, essendo insita nella specie sia la cooperazione che la ricerca di un predominio, tanto all’interno di un gruppo che tra gruppi. Non resta quindi che incanalare tale aggressività, impedendone l’emergere degli aspetti più distruttivi che con l’attuale tecnologia può trasformarsi in autodistruzione.

Come dimostrano gli eventi di questi ultimi decenni, se le guerre guerreggiate sono state territorialmente limitate e spesso a bassa intensità, tanto che per evitare problemi di diritto internazionale e spiacevoli ricadute politiche, sia interne che internazionali, si è ricorso ad organizzazioni paramilitari, dette “Private Military Company”, riedizioni moderne delle antiche compagnie di ventura è anche vero che nell’attuale società supertecnologica e iperconnessa    è sufficiente bloccarne l’energia per renderla impotente, con conseguente diffusione del panico.

Si parla quindi di costruire nuove riserve strategiche e di formare macroaree di globalizzazione o globalizzazioni locali, più sostenibili in termini di sicurezza evitando peraltro gli attriti di una omogeneità imposta, lasciando dialogare le varie culture, selezionando solo quegli aspetti ritenuti più validi e complementari.

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L’Europa in questo scenario è  sia divisa al suo interno, nonostante le dichiarazioni assicuranti, sia dipendente da terzi, in un pericoloso pendolarismo, che tuttavia può permettere adeguatamente supportato una più ampia funzione diplomatica di mediazione.

Altro aspetto è stato il riemergere nei momenti di crisi dell’importanza statuale e la difficoltà tuttavia di mantenerne una unitarietà d’azione, senza sprofondare in contraddizioni operative e messaggi confusi, impedendo nella libera società della comunicazione la sovraesposizione mediatica ed il presenzialismo unito ad un sensazionalismo. D’altronde vi è un parallelismo comunicativo che nella libertà senza adeguati dibattiti e filtri cognitivi genera contraddizioni, incertezze e false notizie, la comunicazione diventa guerra.

Nella costruzione della realtà si possono avere due visioni opposte.

Una economica in cui i fenomeni e gli “oggetti”, compresi gli esseri viventi, hanno un “ruolo”, quali merci, e un prezzo fornito quale mezzo dal bene intermedio e virtuale che è la moneta.

L’altra naturale nella quale i beni da esclusivamente economici, quindi utili allo scambio, riacquistano la funzione di elemento di un ecosistema.

Nella estremizzazione della prima visione vi è l’accumulo, lo scarto e l’inevitabile suddivisione con chiusura all’esterno, premessa necessaria allo scontro anche armato, nella seconda la coscienza di una originaria unitarietà, premessa per una possibile visione collaborativa. (G. Rist, I fantasmi dell’economia, Jaca Book 2012)

NOTA

AA.VV. Lo spazio serve a farci la guerra – Limes, 12/2021

 

 

 

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