III Congresso Torino 1928 Atti. Un pò di Storia

  

RELAZIONE  DEL III CONGRESSO

 

UN PO’ DI STORIA

 

Era l’epoca in cui i nostri plenipotenziari piagnucolavano a Versailles. I reggimenti vittoriosi facevano il loro ingresso nella città dei trionfi, di notte, bandiera arrotolata e passo di strada per non disturbare le orecchie umanitarie della plebe sovversiva. Il ventriloquio socialista trionfava. I disertori amnistiati, i mutilati vilipesi e percossi, le medaglie strappate dal petto degli Ufficiali che avevano ordine di non reagire e di vestire in borghese per non offendere il pacifismo del popolo vincitore.

Imperava Francesco Saverio Nitti: l’avvento di Lenin sembrava inevitabile; gli arricchiti di guerra investivano i loro capitali in gioielli, o quanto altro potesse riunire in poco spazio e lieve peso un grande valore facilmente trasportabile poichè i terreni e gli stabili sarebbero stati invasi ed espropriati, il danaro non avrebbe avuto più alcun valore, i ricchi sarebbero stati massacrati o ridotti alla miseria. Gli imboscati e i disertori si preparavano a nuove fughe. Il capitale emigrava, automobili cariche di preziose valigie sostavano pronte nei garages a prendere il volo ad ogni evento mentre i padroni si scalmanavano nei ritrovi, nei caffè, nei comizi, a dimostrare che le loro idee collimavano perfettamente con quelle del grande pensatore moscovita poichè nessuno più di loro abborriva la guerra e lo avevano dimostrato coi fatti. Un rappresentante ufficiale dei disertori aveva il suo seggio in parlamento. Sembrava impossibile che un popolo vincitore, che occupa il più glorioso posto nella storia del mondo, avesse potuto scendere a tanta bassezza! Ma coloro che si erano forgiata un’anima nuova al fuoco di quattro anni di guerra tremenda e che col disprezzo del pericolo avevano acquistato la coscienza del proprio valore, non potevano acconciarsi a tanta viltà. Ovunque si cospirava. D’ Annunzio l° invincibile lanciava anatemi contro Cagoia e con la marcia di Ronchi occupava Fiume. Fu il gesto eroico della riscossa. Benito Mussolini dalle colonne del «Popolo d’Italia» adoperava la penna come un bisturi rovente e raccogliendo intorno a sè la prima falange della morte, fondava i Fasci di combattimento. Ovunque si lottava, si organizzava. Contro le Associazioni «Mutilati» e «Combattenti» al servizio di Cagoia e della Camera del Lavoro nuove associazioni sorgevano. Alle guardie rosse si contrapponevano le camicie nere e le camicie azzurre. L’Italia era in soqquadro; le terre invase, invase le fabbriche, i servizi pubblici in potere di turbe scioperanti. La burocrazia si orientava verso la Camera del Lavoro, il Parlamento filosofeggiava, i bilanci non si discutevano, il deficit aumentava a miliardi, l’Esercito e lo Stato si sgretolavano. Ma la lotta ardeva, la battaglia ingaggiata fra il combattentismo sano e valoroso, il combattentismo azzurro che aveva voluto vincere ad ogni costo la guerra per l’onore e la grandezza d’Italia, non si rassegnava. Gli Azzurri, come al fronte, erano i primi dovunque. Intorno a D’ Annunzio, nella città olocausta, si era raccolto un piccolo esercito di decorati al valore. Sulle camicie nere brillavano le decorazioni guadagnate sui campi di battaglia. Ma ciò non bastava, occorreva che gli Azzurri si riunissero in una grande, invincibile legione che salvasse di nuovo la Patria colpita alle spalle il giorno del trionfo.

Il primo nome del nostro Istituto fu quello di «Legione Azzurra». Un nucleo di decorati si riunì i giorni 4 e 15 luglio 1921 in casa di uno degli attuali dirigenti per discutere uno schema di Statuto che aveva già in embrione quello che è ancor oggi la nostra carta costitutiva.

Ma gli eventi incalzavano; più che nuove organizzazioni occorrevano uomini per combattere: Mussolini diventava l’anima della riscossa. Egli girava l’Italia arringando, organizzando, entusiasmando. A Francesco Saverio Nitti era intanto succeduto il risorto germanofilo neutralista di Dronero. — Caduto un nemico ne risorge un altro peggiore! — aveva ammonito D’ Annunzio da Fiume; e chi aveva abbandonato Valona fuggendo innanzi a poche bande mercenarie, non esitò a mandare una intera flotta a bombardare il gabinetto di lavoro di Gabriele D’ Annunzio, anima della guerra, salvatore di Fiume, artefice del nuovo confine orientale. Nuove vergogne, nuove umiliazioni, sanguinanti dolori, ma pur nuove ribellioni.

Il fascismo, che era ormai una potente organizzazione guidata da un pugno di ferro e da una volontà incrollabile, ingaggiava battaglia dovunque. Nelle città, nelle campagne, nelle officine, in Parlamento, la lotta ardeva cruenta e micidiale; l’ora decisiva si avvicinava.

Mentre Giovanni Giolitti, come sempre nei momenti critici, cedeva il seggio presidenziale per farsi poi richiamare come salvatore della Patria, Benito Mussolini aveva riunito le sue Camicie Nere per marciare su Roma.

Non è il caso di ripetere ciò che tutti sanno, ma è giusto affermare una volta di più che la rivoluzione fascista fu opera eminentemente azzurra. Fu nelle luminose giornate della Marcia su Roma che furono riprese le riunioni per costituire definitivamente la «Legione Azzurra».

Nell’assemblea costitutiva, che ebbe luogo il 23 febbraio 1923 in Via delle Finanze N. 6, fu approvato lo Statuto sociale e nominato il primo «Consiglio dei Dieci».

  1. E. Mussolini, non appena informato della costituzione dell’Associazione dei decorati al valor militare, a dimostrare tutta la sua simpatia per gli Azzurri, volle egli stesso dare al nostro Sodalizio il nome attuale e l’Insegna. La data memorabile del nostro Istituto fu il 21 aprile 1923, quando S. E. il Capo del Governo riunì gli Azzurri in Campidoglio per la consegna ufficiale dell’Orifiamma. Il discorso pronunciato dal Duce in quell’occasione è per noi motivo di grande fierezza. Egli definì gli Azzurri «la nuova, potente aristocrazia italiana» e da quel giorno, fuori delle opportunità politiche, delle contingenze cronologiche e locali, delle velleità esibizionistiche, nel puro campo delle gerarchie ideali, fu assegnato al Nastro Azzurro il primo posto nell’ordine delle precedenze che hanno la loro classifica nell’ anima della Nazione.

Da allora il Nastro Azzurro osservò una linea ed una condotta che lo mantennero all’altezza della definizione mussoliniana. In politica non accettò mai di entrare nelle lotte partigiane nelle quali convulsionavano tutte le altre associazioni combattentistiche. L’Istituto del Nastro Azzurro, trincerandosi dietro la formula dell’apoliticità, non aderì alla secessione assisiana che portò allo scioglimento dell’Associazione Combattenti e della Mutilati. L’Istituto del Nastro Azzurro, fedele ai propri principi e alle sue origini, riconobbe dal primo giorno nel fascismo non un partito, ma la parte sana della Nazione, la parte sana e valorosa del combattentismo che salvò una seconda volta la Patria; l’Istituto partecipò fin dal principio alla ricorrenza della Marcia su Roma e a tutte le altre manifestazioni fasciste. Al Congresso di Sassari l’Istituto riaffermò, con l’approvazione dell’ordine del giorno De Cesaris, la sua linea di condotta chiaramente fascista, nè poteva essere altrimenti nonostante i tentativi palesi ed occulti per traviare le direttive del Sodalizio, poichè, come dicevamo, la preparazione e gli ardimenti e l’opera e la vittoria fascista, hanno una impronta eminentemente azzurra e le più belle figure di decorati furono e restarono le più belle figure del fascismo.

L’Istituto che aveva avuto l’origine, il nome e il battesimo dal Capo del Governo suo Presidente Onorario, l’Istituto che pone al disopra di ogni interesse spirituale e materiale il bene della Patria, non poteva non riconoscere più e prima di ogni altro l’alto valore dell’Uomo che aveva salvato la Patria dall’ anarchia e che con ferma mano e ferrea volontà la conduce verso luminosi destini. Forse talvolta la linea austera e riservata dell’Istituto, imposta dal contenuto altamente ideale del suo Statuto e dalla presenza nelle sue file dei Principi Reali, dei Marescialli d’Italia, degli Ufficiali in servizio permanente effettivo, degli insigniti dell’Ordine Militare di Savoia e di spiccate personalità politiche, fu fraintesa e fu notato il distacco fra le acrobazie esibizionistiche di altri e la nostra rigidezza.

Gli altri avevano forse qualche cosa da farsi perdonare e qualche cosa da chiedere; noi abbiamo per programma di non chiedere mai nulla. L’Istituto si amministra coi propri mezzi, modestamente, ma non pesa sul bilancio dello Stato, direttamente o indirettamente, neanche per un millesimo e quando può offre, per la generosità dei suoi soci, qualche libretto di soprassoldo all’Erario. La serietà del nostro Istituto non poteva sfuggire alla sagacia onniveggente del Capo del Governo che, a testimonianza della sua considerazione per il Nastro Azzurro, si degnò proporre all’ Augusto Sovrano la concessione dell’Emblema Araldico ai decorati al valor militare, suoi soci. Tale concessione costituisce un segno così alto di estimazione nel campo delle gerarchie spirituali della Nazione, da obbligarci alla più profonda riconoscenza verso l’Augusto Sovrano ed il suo Primo Ministro e alla maggiore indulgenza per coloro che si affannano per ottenere almeno nei pubblici cortei quella precedenza che gli Azzurri seppero tenere sui campi dell’onore. Del resto, l’istituzione delle Corti d’Onore Azzurre, la loro grande affermazione e il loro crescente prestigio, stanno ad affermare una volta di più quanto grande sia la considerazione in cui il cittadino italiano tiene i fratelli che meglio servirono la Patria, se ai loro tribunali affida la tutela del proprio onore.

Coronamento di questo continuo progresso spirituale dell’Istituto del Nastro Azzurro, è stato il suo riconoscimento giuridico per cui il 3° Congresso di Torino ha potuto dare al Sodalizio il suo assetto definitivo riconoscendogli di aver realizzato brillantemente i fini immediati precisati nel Congresso di Sassari. Nella nuova veste di Ente Morale, attuato il suo programma preliminare, l’Istituto si avvia decisamente al conseguimento delle sue finalità più alte. Dette finalità, già da tempo indicate dagli Enti Centrali, hanno trovato una felice, se non completa esposizione, nelle proposte presentate da Monsignor Cravosio, illustre Presidente della Sezione di Pola ed in altre che i nostri soci troveranno nel capitolo «Lavori». Sono anche esse quasi sempre di ordine altamente ideale poichè è questa la caratteristica del nostro Sodalizio che lo differenzia da tutte quelle Associazioni consorelle, pur benemerite, dedicate prevalentemente a scopi assistenziali.

Tali finalità noi perseguiremo con la stessa tenacia che ci condusse al primo successo e nutriamo la più viva fede che il nostro Istituto, auspice la chiaroveggente protezione del Capo del Governo, sia per divenire una delle più salde istituzioni del nostro Grande Paese.

Torino la sabauda, la gloriosa, ha accolto con regale ospitalità gli Azzurri d’Italia riuniti a Congresso. Un Augusto Principe Sabaudo ha loro parlato da condottiero e da fratello, il giovane Principe che in sè riassume le più azzurre speranze della Patria, ha voluto conoscerli tutti e stringere la mano ad uno ad uno. Ognuno ha sentito in un attimo risplendere nel proprio cuore la bellezza ideale di quella fede che ci sostenne nell’ora del cimento e ci chiama oggi alle opere feconde della pace, intorno al Re e al Duce per offrire ancora quanto è in noi di meglio affinchè il solco fecondato dal sangue dei nostri morti dia alla Patria le messi della felicità.

( A cura di Chiara Mastrantonio)