LUIGI BARZINI. CORRIERE DELLA SERA/CSIR. GLI ITALIANI NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA. BATTAGLIA DEL CEMENTO ARMATO. FRONTE DEL DON V PARTE

  

Luigi Barzini. Corriere della Sera/CSIR.

Gli Italiani nella Campagna di Russia. Battaglia nel Cemento Armato. VI Fronte del Don Novembre

 

GLI ITALIANI NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA

BATTAGLIA NEL CEMENTO ARMATO

VI

 

Fronte del Don, Novembre

 

Necessità non conosce legge. E la necessità della guerra sul settore meridionale del fronte russo dove fra il Dnieper e il Don la impetuosa avanzata germano-italiana ha incontrato una resistenza nemica superiore a quella prevista hanno imposto al Corpo di Spedizione italiano di agire come parte di formazioni corazzate tedesche. Quando si pensi che il C.S.I.R. era formato per almeno un terzo di truppe che marciavano a piedi, e che i suoi autotrasporti, adeguati ai servizi di una guerra nell’Europa occidentale, risultavano insufficienti sulle immense distanze senza strade della Russia, si comprende quale miracolo i nostri soldati hanno compiuto combattendo in collaborazione con forze munite dei più veloci e possenti mezzi di traslazione, affrontando fatiche e privazioni inaudite grazie a una volontà combattiva e a uno spirito di sacrificio emananti dal loro amor proprio e dalla loro fierezza.

Ma, l’animo di una truppa è un magico specchio nel quale si riflette l’animo di chi la comanda. Si forma una misteriosa armonia, più ancora, una misteriosa identità morale fra chi esegue e chi ordina, una comunione di fede o di dubbio, di certezza o di esitazione. Il sentimento del comandante penetra nei gregari per un fenomeno che, riproduce il prodigio dell’orchestra in cui esecuzione risponde al pensiero di chi la dirige, come se il direttore stesso suonasse con la sua volontà tutti gli strumenti.

Nell’azione di una truppa si rivela il carattere di chi è alla sua testa. Ne porta l’impronta. Così, quell’aggruppamento motorizzato di camicie nere, bersagliere motociclisti e medi calibri la cui manovra fece crollare, il 10 ottobre, la resistenza russa di Pawlograd, aveva la personalità del suo capo, il colonnello Garelli. E quella audace colonna di quattro battaglioni che, isolata in una azione fiancheggiante, senza viveri, senza rifornimenti, ha marciato a piedi nel fango e sotto la pioggia per quasi trecenti chilometri, sbaragliando il nemico a Griscino, aveva la energia e la tenacia dell’uomo al suo comando, il colonnello Chiaramonti.

Su tutti irradiava la volontà, il calore, la fermezza, la lucida visione, la fiducia ferrea, la forza spirituale, del Comandante il Corpo, generale Messe. Solido di forme, marziale di aspetto, egli ha sul volto pieno un sorriso giovanile che contrasta con i capelli grigi. Nel suo sguardo fermo e scrutatore brilla una espressione di umanità e di benevolenza.

L’occhio dice il carattere. Il generale Messe ha una energia eccezionale, ma affabile, cordiale, intelligente e persuasiva. Il suo comando è sempre convincente.

I soldati lo adorano perché sentono che lui li conosce, li capisce, li ama. Cura il suo animo come il loro rancio. Può chiedere loro di affrontare qualunque sacrificio sino alla morte quasi sicura, perché sa dare loro la coscienza della necessità e l’entusiasmo per la vittoria. Egli è aperto, comunicativo, riesce ad infondere negli altri gli ardori e le certezze che sono in lui.

Dopo la conquista di Stalino, il generale Messe si trovò di fronte ad un compito esorbitante: quello di avanzare col solo Corpo italiano sui grandi centri industriali del bacino del Donez, mentre lo sforzo germanico si polarizzava più al sud, presso Rostow, alla foce del Don, tendendo al Caucaso. Da quel momento il C.S.I.R. era distaccato dalle unità corazzate germaniche.

Questi centri industriali sorti nelle zone minerarie, con il loro dilagante tritume di minuscoli abituri imbiancati che circonda gli opifici si sono andati espandendo, come macchie d’olio, e nella regione del nord e al nord-est di Stalino hanno finito quasi per toccarsi. Allungano dei tentacoli le cui punte si lambono seguendo labirintici intrecci di piste e di ferrovie. Conquistare questo territorio significa dare battaglia negli abitati, affrontare la guerra fra i muri dove ogni edificio si tramuta in fortezza.

Bisognava impadronirsi subito dei due maggiori centri industriali, Rikowo e Gorlowka, lontani una settantina di km. da Stalino, e così vicini l’uno all’altro da formare quasi un solo agglomeramento: Rikowo al sud e Gorlowka al nord. Almeno tre divisioni russe, su formazioni ternaria, più grossi reparti di riserva, con molte batterie di artiglieria moderna e di mortai, vi si stavano rafforzando in preparazione di una controffensiva.

È stata la colonna Chiaramonti che ha aperto la battaglia. Essa formava ancora l’estrema punta dell’ala sinistra. Dietro a lei avanzava la divisione “Pasubio” della quale faceva parte. Da Stalino era risalita al nord, a ponente della ferrovia per Charkow, e, volgendo a levante all’altezza di Gorlowka era piombata sopra una grossa borgata industriale, posta a cavallo della strada ferrata, e che ha assunto il nome ambizioso di New York.

La colonna italiana, priva di artiglierie perché la pioggia aveva fermato tutto quello che va sulle ruote, ha urtato contro forze superiori. Ma il suo attacco è stato così risoluto e impetuoso nell’antico villaggio di Scelesnoje. Era il 24 ottobre. Il 25 e il 26 i russi hanno contrattaccato più volte, ma sono stati contenuti e respinti energicamente a furie di contrassalti all’arma bianca e a bombe a mano.

Il 28 la colonna Chiaramonti, con un colpo di sorpresa, minacciava il nemico da Scelesnoje. Il giorno dopo essa proseguiva l’attacco e investiva l’importante centro minerario di Scelesnoje, alcuni chilometri più al sud, dove i bolscevichi, adunati in forze rilevanti, hanno resistito con accanimento. Ma l’audacia degli italiani disorientò il nemico, che, come hanno poi dichiarato ufficiali prigionieri ha creduto di aver di fronte non 4 battaglioni ma una massa soverchiante. E si ritirò.

Si ritirò con tanta fretta che non ebbe il tempo di distruggere gli impianti minerari e gli opifici. I nostri soldati si inoltrarono stupiti fra grandi costruzioni intatte piene di macchinari in efficienza. Stabilimenti metallurgici e raffinerie di petrolio caddero così incolumi nelle nostre mani, oltre a più di mille prigionieri, e un rilevante bottino di armi.

L’avanzata della colonna Chiaramonti completava la preparazione per il grande attacco di Rikowo e di Gorlowka, che sono state investite contemporaneamente il 1° di novembre.

La Divisione Celere ha assalito Rikowo da sud. I bersaglieri sono scattati all’alba, di sorpresa, senza preparazione di artiglierie.

Molte delle nostre batterie erano rimaste impantanate sulle piste. Sono arrivate a battaglia finita. Non si poteva attenderle, come non si poteva attendere che le truppe lasciate indietro a rastrellare il terreno infestato da russi sbandati, raggiungessero la linea del fuoco. La situazione non permetteva ritardi. La rapidità era elemento essenziale del successo.

La conquista di Celsnoje, minacciando Garlowka, vede indetto il nemico a concentrare al nord, per la difesa di Gerlowka, il grosso delle sue forze. Rikowo perciò non è stata strenuamente difesa. L’assalto dei bersaglieri è penetrato subito nell’abitati. Alle ore 9 il tricolore sventolava sull’edificio più alto della città.

Occupata Rikowo, la Celere proseguiva al nord per coadiuvare all’attacco di Cerlowka, che la Pasubio intanto investiva da ponente. Qui la lotta era furibonda. La battaglia, inoltrandosi nelle vie, si spezzava in infiniti combattimenti asprissimi, da angolo ad angolo, da muro a muro. La città è vastissima con grandi edifici industriali che torreggiano sulle casupole ognuno dei quali era difesa con mitragliatrici postate sui tetti alle finestre.

Il 2 novembre, la Pasubio era padrona della parte settentrionale della città, la Celere di quella meridionale. Una nuova colonna italiana ha attaccato Gorlowka anche da levante. Assaliti da tre parti, i russi si sono ritirati in un grosso sobborgo industriale, Nowo Gorlowka, dove si sono asserragliati dentro gigantesche costruzioni in cemento armato, piazzandovi cannoni e mortai. Ma il 4 novembre anche Nowo Gorlowka era espugnata.

L’aviazione, ad onta del maltempo, ha concorso valorosamente alla vittoria, proteggendo i movimenti delle truppe bombardando, spezzonando, mitragliando le posizioni nemiche, mantenendo il dominio del cielo. Furono esplorazioni aeree che segnalarono concentrazioni russi al nord, verso Salzewo, minaccianti la nostra ala sinistra.

A parare questa minaccia sul fianco fu mandata la colonna Chiaramonti, che costituiva una specie di estrema punta volante della nostra sinistra.

La colonna partì da Gorlowka verso il nord per occupare Nikitowka, grossa borgata industriale lontana una ventina di chilometri, e stabilirvi un caposaldo difensivo. Ma prima di arrivare a Nikitowka le sue pattuglie esploranti segnalarono l’avvicinarsi di grandi masse russe. Si trattava infatti di una intera divisione nemica.

I nostri quattro battaglioni di fanteria si trincerarono in una posizione favorevole e aspettarono l’attacco. I russi non ritennero che quell’ostacolo fosse difficile da sormontare, e vi si gettarono contro a formazioni serrate, siepi di uomini, una schiera dopo l’altra.

Le mitragliatrici italiane avevano strage. E quando dei nuclei dei russi riuscivano ad avvicinarsi alle trincee, i  nostri contrassalivano con granate a mano e li ributtavano. Il nemico tentava di sommergere la difesa col proprio peso. Le perdite russe erano enormi. Un battaglione bolscevico è stato annientato, altri sono rimasti decimati. Il terreno era costellato di morti. Verso la sera i russi hanno desistito dall’attacco e si sono ritirati. Il giorno dopo, 6 novembre Nikitowka era raggiunta dai nostri e preparata a difesa.

Ma il nemico è tornato all’assalto con forze più grandi. Esso si preparava ad un’azione controffensiva contro il Corpo d’Armata Italiano, la sua sinistra era rimasta scoperta: il più vicino corpo tedesco era a 40 chilometri di distanza. A questo scopo i russi avevano concentrato tre nuove divisioni, la 74^, la 296^, la 262^. Il loro primo obiettivo era la distruzione della colonna Chiaramonti che sbarrava il passo. E hanno attaccato Nikitowka accerchiandola.

Non era una battaglia: era un assedio. Bombardamenti schiaccianti e assalti di massa si alternavano. La difesa era tenace, eroica, disperata ma non avrebbe potuto durare a lungo. La situazione della colonna (composta in gran parte di soldati dell’80° fanteria) era insostenibile.

Fortissima di animo, quella truppa era fisicamente stanca. Marciava e combatteva continuamente da quasi un mese, soffrendo fatiche e privazioni durissime. Si trovava isolata, non poteva ricevere rifornimento, aveva poche munizioni mancava di acqua, era costretta a mangiare i muli morti nel combattimenti. Ma si batteva con superbo e furibondo coraggio.

Ha respinto assalti su assalti di forze dieci volte superiori per cinque giorni, misurando i colpi per fare economia di munizioni.

Episodi di un eroismo inaudito si svolgevano in quell’atmosfera ardente, come il fatto del mitragliere Randazzo, che avendo avuto un braccio asportato da una scheggia ha continuato a far fuoco tenendo l’arma con la mano rimastagli e premendo la leva di sparo con i denti, finchè una pallottola lo ha ucciso.

Il momento era tragico, quando l’11 novembre era una colonna di soccorso è uscita da Gorlowka per tentare di sbloccare Nikitowka. Era formata da un reggimento di fanteria e da uno di cavalleria appiedata, sole forze immediatamente disponibili. Ma i russi prevedevano questa mossa e avevano disposto uno sbarramento formidabile di fuoco. La colonna italiana fu fermata.

Essa riuscì tuttavia a resistere agli attacchi e a mantenersi sulle posizioni raggiunte. Il giorno dopo un reggimento di bersaglieri arrivò a rinforzarla.

Con questo aiuto la colonna riprese l’azione per aprirsi un varco su Nikitowka. Ma anche questo secondo tentativo di sbocco fallì. Le forze nemiche erano in continuo aumento. La situazione pareva disperata, quando lo stesso aumento della resistenza russa all’avanzata della colonna di soccorso ha favorito la soluzione.

Perché il nemico, per opporsi alla pressione crescente dei reggimenti che salivano da Gorlowka, ha distolto forze dall’assedio di Nikitowka. Si è presentata così alla colonna Chiaramonti l’opportunità di una sortita.

Il primo tentativo fallì.

Erano le ore 15 quando da Nikitowka irruppero le pattuglie di avanguardia dove il fronte pareva più quieto. Intense raffiche micidiali di mitragliatrici le fermarono.

Si attese la sera. Nella penombra del crepuscolo la sortita riuscì. La colonna si aprì il passo verso ponente, dal lato meno premuto dal nemico. Il fuoco delle mitragliatrici russe fu tardivo e inefficace nel buio. Il varco aperto si allarghi subito. Sentendosi sparare alle spalle, i russi disorientati si ritirarono. La colonna italiana passò.

Lacera, sporca e fiera essa rientrò a Gorlowka all’alba, in ordine perfetto. Ultimo il Colonnello. Non un ferito, non una cartuccia, non un’arma saliva erano stati lasciati indietro.

L’inverno terribile era arrivato.

Si imponeva una sosta di assestamento e di riorganizzazione.

Bisognava concentrare le basi avanzate di rifornimento a Stalino, recuperare migliaia di automezzi rimasti disseminati su immensi spazi per impantanamento o per avarie, ripescare sulle piste numerosi cannoni che il fango e il gelo avevano inchiodato al suolo.

I soldati avevano bisogno di tutto. Con le uniformi stracciate, le scarpe rotte, i volti abbronzati dalle intemperie, avevano un’aria truce e selvaggia. La previdenza della Patria aveva approntato per loro tutto il necessario ad affrontare il freddo: indumenti invernali, pellicce, berretti di pelo. Ma tutto era in basi lontane e la strage dei motori paralizzava i trasporti.

L’aviazione, sempre magnifica, oltre a combattere, esplorare, proteggere, ha risoluto il problema più urgente: quello della distribuzione degli indumenti invernali alle truppe. Essa ha inoltre trasportato rifornimenti indispensabili, ha evacuato i feriti dal fronte portandoli agli ospedali di retrovie. Intanto le officine mobili lavoravano notte e giorno a riparare automezzi.

Il Corpo Italiano aveva in tre mesi percorsi duemila chilometri –  due volte la lunghezza dell’Italia – e aveva sostenuto venti combattimenti vittoriosi, catturato 13.000 prigionieri, abbattuto 40 aeroplani, preso un enorme bottino di armi. Ma lo sforzo fatto era poco di fronte a quello che il destino gli doveva imporre poco dopo.

Lo attendeva la campagna invernale: la più aspra, la più dura, la più inverosimile della storia.

 

LUIGI BARZINI