LUIGI BARZINI. CORRIERE DELLA SERA/CSIR. GLI ITALIANI NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA. BATTAGLIE NEL GELO. FRONTE DEL DON. VI PARTE

  

Luigi Barzini. Corriere della Sera/CSIR.

Gli Italiani nella Campagna di Russia. Battaglie nel gelo. VII Fronte del Don Novembre

GLI ITALIANI NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA

BATTAGLIE NEL GELO

VII

Fronte del Don, Novembre

 

Che la guerra in Russia potesse riaccendersi più violenta che mai nel cuore dell’inverno, nessuno a occidente di Mosca lo immaginava un anno fa. Alla metà di novembre, dopo la battaglia di Gorlowka, il Corpo di Spedizione Italiano consolidava le sue nuove posizioni e si riorganizzava e si sistemava in previsione di una luna sesta di sverno.

Ma alla sua destra una armata corazzata germanica continuava, fra immense difficoltà logistiche che ostacolavano l’afflusso dei rifornimenti e delle riserve, la manovra contro Rostow alla foce del Don. Non era ancora tramontata la speranza di poter continuare l’offensiva verso il Caucaso.

Per favorire l’azione di questa armata corazzata parve necessario che il Corpo italiano avanzasse, in modo da proteggere la sinistra tedesca. Il C.S.I.R. aveva di fronte sei reggimenti di fanteria russi, cinque gruppi di artiglieria, la cavalleria di una divisione. Tale forza attivissima, che sferrava continuamente piccoli attacchi di tastamento, tendeva ad aggirare la nostra sinistra, rimasta scoperta essendovi da quella parte un vuoto di quaranta chilometri fra noi e il più vicino corpo germanico.

Un tentacolo russo si insinuava fra Gorlowka e Rykowo, con la punta su quel sobborgo industriale di Nowo-Gorlowka in cui si ritirarono i bolscevichi sloggiati da Gorlowka il 2 novembre. Bisognava prima di tutto eliminare quel pericoloso saliente nemico, con una offensiva sul fianco.

L’azione cominciò il 19 novembre con l’attacco di Ubescite, un villaggio che allinea le sue case al di là di un lago di fronte a Rikowo. Ci si accorse subito che il freddo era un nemico assai più temibile dei russi. Il freddo estremo ammazza tutti coloro che non trovano un rifugio caldo nella notte, o che rimangono troppo a lungo immobili all’aperto.

La necessità di difendersi dal freddo, al quale nessuno scampa senza riparo, trasforma tutti i concetti e tutte le regole della tattica. La conquista della più bella e solida posizione conduce alla morte, se su quella posizione non vi sono case o ricoveri riscaldabili. Gli aspetti del terreno, sui quali la scienza militare determina obiettivi a manovre, non contano più niente.

La battaglia non può avere altro scopo che la conquista degli abitati. È la lotta per il caldo. Chi riesce a mettersi sotto a un tetto, ha visto. Chi rimane fuori, deve andare indietro a cercarsi un riparo, o morire. Si tratta insomma di consegnare il nemico al gelo perché lo finisca. Il freddo, annientando chi non ha rifugio, combatte per coloro che possono accendersi un fuoco tra queste pareti.

Gli italiani hanno accatto in una giornata artica, crepuscolare, sul terreno coperto di neve, entro una nebbia fitta che rendeva difficile l’orientamento e accecava le artiglierie. Il fiume Bulawin, che bisognava attraversare, e il lago Wolynzowskoje al di là del quale era il villaggio da espugnare, erano gelati. Il nemico, abbondantemente fornito di armi automatiche e di mortai, fortemente trincerato lungo le rive dominanti, resisteva con accanimento. L’attacco, sopraffacendo la strenua difesa, è arrivato di slancio alle prime case di Ubescitce. Ma la nebbia si è diradata e i rincalzi, visibilissimi sulla neve perché non avevano uniformi e delle mitragliatrici, nono potevano avanzare. La giornata invernale è breve. Non si era arrivati ad alcuna soluzione quando la sera scendeva.

Fu deciso il ripiegamento sulle posizioni di partenza, il quale avvenne ordinatamente sotto la protezione di retroguardie che rispingevano contrattacchi nemici. Ma l’esperienza fu preziosa. Ci preparammo a combattere il freddo e i russi nello stesso tempo. L’importanza delle case calde nella strategia invernale fu capita e studiata. L’offensiva fu ripresa più tardi in migliori condizioni ed ebbe successo.

Intanto l’attacco tedesco su Rostow, rallentato da immense difficoltà di trasporti, riusciva a occupare la città il 20 novembre. Ma i russi, facendo assegnamento sulla crisi logistica che il freddo e la neve imponevano agli alleati paralizzando gran parte dei motori e facendo strage di locomotive si preparavano alla grande controffensiva.

Essi profittavano del fatto che l’inverno privava gli eserciti dei mezzi motorizzati, sui quali si fondava l’enorme superiorità tedesca. La guerra tornava alla forma antica: uomini contro uomini. La supremazia della forza passava dunque temporaneamente alla Russia, che poteva disporre di illimitate masse umane. La controffensiva si fondava appunto sulla preponderanza numerica, sul peso, sulla possibilità di sommergere gli avversari in una valanga di carne.

Non è riuscita perché la resistenza si concentrava in capisaldi incrollabili, strenuamente difesi, fra i quali l’attacco russo non aveva possibilità di profonda penetrazione strategica e di manovra scardinatrice. L’avanzata russa era necessariamente lenta, limitata, imbarazzata dalla stessa enormità delle masse impiegate, che era sempre più difficile rifornire. E il freddo era nemico anche dei russi, i quali dovevano pure loro misurare i movimenti sulle possibilità di trovare rifugi. L’avanzata si infraniava negli abitati, dove la truppa provava un ristoro che con riluttanza abbandonava.

La controffensiva russa ha avuto certamente il vantaggio della sorpresa essa è cominciata a Rostow con l’attacco improvviso di undici divisioni, alcune delle quali erano della Ghapeù. Esse hanno forzato i tedeschi, momentaneamente privi di riserve e di rifornimenti, a ripiegare sul Taganrog, per stabilire lungo il fiume Mius una linea di resistenza a oltranza.

Iniziata alla estremità meridionale del fronte la controffensiva, rafforzata da nuove truppe provenienti dal Caucaso e dagli Urali, è andata risalendo verso il nord cercando i punti deboli dello schieramento alleato. Essa doveva sferrare sul settore italiano un formidabile attacco.

Mentre ancora si combatteva a Rostow, il corpo italiano riprendeva l’offensiva per consolidare il suo allineamento, accordandolo. Il C.S.I.R. teneva un fronte di 50 chilometri, troppo esteso per avere una sufficiente densità di difesa. Mancavano ostacoli naturali davanti alle posizioni nostre sui quali trattenere il nemico. Inoltre, quelle posizioni si trovavano in piena zona industriale, fra miniere, opifici, vasti abitati, labirinti di ferrovie e di piste, dove larghe forze dovevano essere impegnate alla vigilanza contro i partigiani, facilmente nascosti nel miserabile formicaio della popolazione rimasta.

Il nostro fronte aveva sommariamente la forma di una “Z”. Bisogna ridurlo alla forma di una “I”, scorciandolo di quasi la metà. Continui afflussi di nuovo truppe rinforzavano il nemico, che era attivissimo. Bisognava prevenire una sua offensiva, agire presto. Il 6 dicembre gli italiani hanno attaccato, mentre il corpo tedesco alla loro sinistra, che era rimasto lontano, stringeva sotto per saldarsi col C.S.I.R.. Punto di saldatura: Debalzewo, centro industriale e nodo ferroviario situato una trentina di chilometri ad est di Gorlowka.

Alla nostra sinistra avanzava la divisione Pasubio, che partendo da Gorlowka puntava al levante verso Debalzewo. Alla destra la Torino si dirigeva su DEbalzewo dal sud partendo da Rikowo. Il nemico, rinforzato da qualche divisione della Ghepeùe da una di cavalleria, esuberantemente armato, resisteva su posizioni fortificate.

Faceva un freddo di 27 gradi sotto zero. Si combatteva sulla neve gelata e dura, in un terreno pieno di acquitrini trasformati in immense lastre di ghiaccio, fra miniere abbandonate e opifici devastati trasformati in fortilizi, sotto a un fuoco intenso. Gli scoppi delle granate sollevavano gigantesche nuvole candide di neve polverizzata.

Il vento aumentava il tormento della temperatura artica, faceva sprizzare il sangue dalla pelle screpolata del viso e delle labbra. I congegni delle mitragliatrici erano bloccati dal freddo, le leve di sparo gelate non funzionavano più. Soltanto i fucili sparavano sorretti da mani intirizzite dentro ai guanti di lana. Le soste, quando bisognava sdraiarsi al suolo fra un balzo e l’altro e aspettare, erano terribili. Nella immobilità le membra si irrigidivano. Non tutti sempre si risollevavano per il nuovo balzo.

Ma una volontà eroica e disperata spingeva le truppe. Avanti era, con la Vittoria, il riposo il tepore la salvezza, la vita. Bisognava sloggiare i russi ad ogni costo, entrare nei loro ricoveri, nei loro acquartieramenti, nei loro villaggi. Sotto, dunque! Avanti a granate a mano, che non gelano.

Alla sera i caseggiati delle miniere di Wierowka e di Wolinzewo erano occupati dalla Torino. Ma qualche reparto ha dovuto ripiegare sugli abitati da cui era partito, per passarvi la notte. Queste giornate invernali russe hanno poche ore di luce. Il tramonto impone una tregua alla quale nessuno può sottrarsi. Alla mattina dopo la battaglia ha ripreso più violenta che mai.

La Pasubio ricaccia i russi da posizioni successive. Bande di partigiani emergono dalle miniere sulle retrovie, ma sono piccole, pavide, incapaci, e vengono presto circondate e distrutte. Si incontrano numerosi campi di mine sepolte nella neve sulla strada fra Rikowo e Ciazepetowka. Ciazepetowka si trova a mezzo cammino per Debalzewo, punto sul quale convergono dal nord anche i tedeschi.

Ciazepetowka è raggiunta alla sera dalla Pasubio. Essa è una grossa borgata industriale lunga un chilometro e mezzo. I nostri si gettano all’assalto delle case. I russi asserragliati si difendono sparando dalla finestre. Gli italiani si fanno sotto con i lanciafiamme.

Vampe abbaglianti illuminano la lotta. Enormi getti di fuoco investono i muri, le finestre, le porte, entrano rombando negli edifici, che i russi abbandonano e i nostri invadono. Casa per casa, a furia di granate a mano e lanciafiamme, il nemico viene sloggiato.

Gli italiani sono riusciti a impadronirsi quella sera di metà dell’abitato, dove hanno passato la notte.

Questa è stata veramente la battaglia dei lanciafiamme. Essi hanno avuto larga parte non soltanto nella conquista degli alloggi ma anche negli assalti di posizioni fortificate quando il combattimento arrivava al corpo a corpo. Allora le fontane ardenti facevano il vuoto davanti ai loro giganteschi e luminosi zampilli infernali. In ogni occupazione di abitato i lanciafiamme hanno funzionato da sfollagente. La necessità di un ricovero in quel mondo gelato infondeva ai combattenti un coraggio feroce, e la lotta assumeva aspetti terribili e favolosi.

Alla mattina dell’8 la battaglia ha ridivampato su tutta la linea. Si è completata l’occupazione di Ciazepetowka. Si è conquistato tutto il terreno fortificato, pieno di ricoveri con stufe, che circondava il paese. All’indomani la Torino espugnava, casa per casa, gli abitanto nella conca mineraria di Ssofjewka Rajewka e di Jelenowka. Segue una sosta di sistemazione. L’attacco riprende quattro giorni dopo.

È sopravvenuto un improvviso disgelo. Il ghiaccio si scioglie sugli acquitrini. Si affonda nei pantani fino alla cintola. Una nebbia fitta, accecante, copre la pianura. Subitamente, dalla nebbia sbucano urlando due squadroni di cosacchi che si gettano al galoppo sopra una nostra colonna di fanteria.

È avvenuta una mischia feroce, ma gli italiani si sono subito riavuti dalla sorpresa. La loro reazione è stata immediata ed efficacie. Il tiro delle loro mitragliatrici fulmineamente messe in azione ha fatto strage di cosacchi, che il fuoco ha fermato in uno scalpitante groviglio. Il terreno rimane costellato di cavalli e di cavalieri morti. I russi superstiti svaniscono nella nebbia.

L’avanzata dei nostri continua. La tregua del freddo rincuora le truppe. La battaglia infuria su tutto il fronte. È in questa mattina che il Generale De Carolis cade in prima linea. La Divisione Torino, che aggira il nemico alla destra, ha una parte preponderante, aspra e dura.

Ma prima della sera Debalzewo è raggiunta. La nostra sinistra si salda con il Corpo Tedesco che convergeva dal nord. Il nuovo fronte è formato, più corto di 20 chilometri. Gli insidiosi centri industriali, attraverso i quali passava la prima linea, sono ora alle spalle. Un catena di villaggi, che si trasformano in capisaldi, offre alle truppe rifugi caldi e un solido appoggio.

Posizioni tatticamente più forti sono avanti, ma nude, senza case, senza ricoveri. In estate sarebbero formidabili: in inverno sono micidiali. Soltanto gli abitati possono essere organizzati a Capisaldi nel freddo. Il comando italiano ha considerato la linea dei villaggi come enormemente più forte e sicura, ed ha rifiutato di spostarla.

Questo ha permesso al Corpo italiano di resistere alla poderosa controffensiva russa che doveva scatenarsi pochi giorni dopo.

 

LUIGI BARZINI