I Segni dell’Onore. Le Onorificenze

  

NOTERELLE D’AVVIO

 

C’era una volta un ragioniere italiano che andava in giro affermando di essere il legittimo pretendente al trono  di Portogallo, in forza della cessione in suo favore dei diritti dinastici da parte della figlia naturale dell’ultimo re lusitano. Investito così di potestà regia, il ragioniere nominava conti e marchesi, dispensava onorificenze cavalleresche e signorie dietro compenso, si faceva fotografare assiso su di un trono e si circondava di una piccola corte. Invece di indirizzarlo verso un buon centro di igiene mentale o di chiamare i Carabinieri, la buona, piccola imprenditoria provinciale prese a comprare la paccottiglia araldica e a esporre con orgoglio nel salotto stemmi e corone. Poi, la Benemerita venne per davvero e lo impacchettò.

E ci fu un generale che mi telefonò mostrando sconcertata sorpresa per lo stemma della Casa militare della Presidenza della Repubblica (una torre sostenuta da due leoni), da lui definito «So-mi-glian-tis-si-mo», per non dire copiato, a quello della sua nobile famiglia. Nobiltà certificata nientepopodimenoche da un decreto di Sua Altezza Imperiale e Reale il principe di Altavilla-Hauteville, Gran Maestro degli ordini normanni, anch’egli fecondo dispensatore di insegne e titoli.

Ci sono, ancora, le tante famiglie dei Templari, cancellati dalla storia sette secoli fa ma ancora incredibilmente attivi, che passano con grande disinvoltura da una puntata di Voyager a solenni cerimonie con tanto di chiesa, vescovo emerito, mantelli e spadoni.

C’è, insomma, un intero e variegato mondo che ruota intorno agli onori, che aspira ad esserne insignito, che li indossa, che li iscrive a foglio matricolare, che li riceve e che, talvolta, li paga profumatamente.

Noi consideriamo l’onore e gli onori una cosa seria. E poiché, in questa materia, il confine tra il consentito e il grottesco è più sottile di un capello, abbiamo ritenuto che fosse giunto il momento di fornire qualche istruzione per l’uso.

  1. D’A.