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Alla Camera, sul bilancio della politica estera, ci furono soltanto sei voti contrari e ventisei astensioni. Il 22 novembre, in sede di discussione sul bilancio dell’Interno, diciassette voti contrari e diciotto astensioni.
Al Senato, ove Mussolini era riuscito a far entrare soltanto qualche fascista, il 5 dicembre 1924 furono regalati al Duce ben 206 voti favorevoli. I 54 voti contrari e le 35 astensioni non servirono a nulla. Fu una vera sconfitta, una ignobile abdicazione del Parlamento.
A quel punto la strada poteva considerarsi aperta ad ogni avventura, e infatti ci fu, subito dopo, il famoso discorso del 3 gennaio, foriero di gravissimi provvedimenti.
Tuttavia i deputati combattenti, sostenuti entusiasticamente dalla base, continuarono a fare tutto il loro dovere.
Furono anche, i deputati combattenti, validissimi compagni di cordata di Vittorio Emanuele Orlando, di Giolitti, di Salandra, di Soleri, di Paratore; se non che dal 17 gennaio 1925 perdemmo Salandra, poi Orlando. Il primo fu nominato, nel 1928, Senatore del Regno e il secondo si dimise da deputato il 6 agosto 1925.
Fino alla riapertura della Camera, cioè fino al novembre 1924, i divi – per così dire – della situazione politica , furono i rispettivi Presidenti dei Combattenti e dei Mutilati e regista un nostro collega deputato, che finì poi col cedere alle lusinghe di Federzoni e di Badoglio.
L’Agenzia Stefani era a loro disposizione e la gara per raggiungerla, per primi, stava diventando tragicomica.
Il regista, per la verità, si interessava soltanto di organizzare un nuovo Governo, presidente del quale avrebbe dovuto essere, secondo lui, Giolitti, e Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno lui stesso, con ampi poteri.
A Delcroix il regista aveva invece offerto il Ministero della Propaganda, ma non si seppe mai se il grande mutilato disdegnasse l’offerta per alterigia o per modestia.
Quanto al deprecato voltafaccia, tutti sanno che Delcroix ricadde nelle braccia di Mussolini, per i ricatti sempre più serrati di Farinacci.
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Dei deputati dell’Associazione ho già parlato, ma son tenuto ad aggiungere che sia nell’Aula che nel Paese non furon mai superati da alcuno nell’impegno di ostacolare la ripresa del fascismo. Mi riferisco particolarmente a quei sei colleghi che raggiunsero e superarono il traguardo del 9 novembre 1926 senza macchia e senza paura.
Fino al 16 gennaio 1925, trentadue oppositori nell’Aula avevano votato contro il Governo e tra essi ci furono nove combattenti. Si trattava, in quel giorno, di un nuovo disegno di legge sulla riforma elettorale politica; e fino al 19 giugno 1925 i « NO » salirono a 42 perché si erano uniti, a tutti gli altri oppositori, per la prima volta, anche i comunisti.
Ma da quella data, purtroppo, furon pochi a ritrovarsi in Aula per votare contro il fascismo. Anche tra i nostri ci fu purtroppo qualche defezione come ho già fatto intendere. Al posto dei delusi e dei pavidi subentrarono i comunisti, sicché potemmo tirare avanti, fraternizzando cordialmente con loro.
I più attivi oppositori, tra essi, furono Graziadei, Maffi, Riboldi, Repossi, ma fecero udire la loro voce autorevole anche Gramsci e Grieco.
Quanto ai nostri, guardando retrospettivamente, devo riconoscere che gli oratori e oppositori più efficaci e rettilinei furono, nell’ordine, Pivano, Bavaro, Gasparotto, Lanza di Trabia.
Non vi parlerò, invece, delle traversie parlamentari ed extra-parlamentari del sottoscritto.
Come sapete, nell’ultimo traguardo del 9 novembre 1926, allorché si trattò di votare i gravissimi provvedimenti per la difesa dello Stato, ivi compresa la restaurazione della pena di morte e il divieto per gli Aventiniani di rientrare in Aula, a votare il « NO » si ritrovarono soltanto sei nostri commilitoni e cioè: Bavaro, Gasparotto, Lanza di Trabia, Musotto, Pivano, Viola, perché Rossini e Pellanda si erano già staccati da noi fin dal novembre 1925 e qualche altro collega da quella stessa data si era messo a « fare il morto ».
Ma anche gli altri « oppositori nell’Aula » si presentarono soltanto in sei a votare l’ultimo « NO ». Furono Fazio, Giovannini, Pasqualini Vassallo, Poggi, Scotti e Soleri.
A questo punto riconosco di aver già parlato abbastanza, ciononostante debbo chiedervi qualche altro minuto di pazienza.
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Non tutti ricorderanno che da Assisi in poi, scopo primordiale di Mussolini e di Farinacci, fu quello di svalutare, o minare, il prestigio dell’Associazione e dei suoi dirigenti per poi sciogliere il Comitato Centrale ed affidare l’Associazione a più sicuri servitori.
Lo stesso libro di Arturo Codignola dal titolo La resistenza dei Combattenti di Assisi, riferendosi a quell’epoca, a pag. 126, dice: « ” Il Tevere” continua a sciupare carta per svalutare il magnifico passato militare dell’On. Viola».
Per vari mesi sembrò veramente che il quotidiano « Il Tevere » di Roma e il giornale di Cremona diretto da Farinacci, non avessero altro scopo.
La questione prese un tale aspetto scandaloso – vedasi « Il Mondo » di Amendola del 22 febbraio 1925 – che il Gruppo Medaglie d’Oro al Valor Militare e l’Istituto del Nastro Azzurro, benché già praticamente nell’orbita fascista, trasmisero alla stampa un ordine del giorno di viva deplorazione per la campagna diffamatoria che « Il Tevere » di Roma conduceva contro il Presidente dell’Associazione Combattenti, On. Viola.
Ed eccoci con i triumviri Rossi, Russo, Sansanelli, accompagnati da un funzionario del Ministero dell’Interno, alla sede del Comitato Centrale dell’Associazione, nel Palazzetto Venezia
Siamo al 4 marzo del 1925.
Con un decreto presidenziale di due giorni prima si nominavano quei signori alla temporanea gestione della nostra Associazione in sostituzione dei sospesi organi centrali amministrativi. Ci rimasero invece venti anni.
Nel verbale di consegna il Presidente dell’Associazione fece inserire la seguente protesta:
« L’On. Viola dichiara che, mentre fa le più ampie riserve circa la legalità del provvedimento governativo, intende di avere con la sua firma ceduto soltanto le funzioni dell’Ente morale accordato dal Governo in data 24 giugno 1923, e non già l’organizzazione la quale, com’è sorta nel 1919, continuerà a vivere per volontà dei combattenti italiani ».
I Commissari del Governo impugnarono le riserve del Presidente respingendole in tutto il loro contenuto, ciononostante dovettero aggiungere al verbale quanto segue:
« Ponendo a confronto le risultanze della contabilità di fatto riscontrate con la verifica della cassa, in base ai documenti e alle carte contabili, i verbalizzanti dichiarano di non aver nulla da eccepire ».
Evidentemente, se non ci fosse stata una Amministrazione ineccepibile, i Commissari e il Governo ci avrebbero demoliti.
Lo scioglimento del Comitato Centrale dell’Associazione diede luogo a imponenti manifestazioni di protesta da parte della cittadinanza; e l’8 marzo, cioè quattro giorni dopo, si riunì in Roma il Consiglio Nazionale dell’Associazione.
Le proteste che ne derivarono furono espresse in un ordine del giorno che cominciava così:
« I convenuti dichiarano il loro entusiastico plauso ad Ettore Viola incontaminabile insegna di fulgido eroismo e di purissima fraternità; e deplorano che la erezione dell’Associazione in Ente Morale, vantata come generosissimo beneficio, sia servita soltanto per proibire quella manifestazione della volontà degli associati, che le leggi fondamentali del Regno garantiscono a tutti i cittadini ».
Dopo quel Consiglio Nazionale, con il nome di Associazione Nazionale Combattenti Indipendenti, la nostra Organizzazione si trasferì in Via Fontanella Borghese, e 50 Federazioni Provinciali, su 74, solidarizzarono con noi.
Da quel momento diressero la nuova Associazione chi vi parla e l’On. Bavaro. Segretario fu Chiapparini di Lucca.
L’odissea che ne derivò non potrebbe essere narrata in pochi minuti.
Conseguentemente interrompo la celebrazione del Congresso di Assisi, tanto più che è scaduto il tempo che mi è stato assegnato per parlare in questa sede.