PASCOLINI ETELVOLDO
Generale di Brigata, comandante Divisione “Vicenza”
Nominato sottotenente in s.p.e. (servizio permanente effettivo) nel 1910, partecipò dall’ottobre 1911 al maggio 1913 alla campagna di Libia nel 23° reggimento fanteria. Rientrato in Patria, e promosso tenente, nel maggio 1915 entrò in guerra col 73° reggimento fanteria. Ferito gravemente ad Oslavia nel novembre al comando di una compagnia, trascorse circa due anni in luoghi di cura e in convalescenza, quindi col grado di maggiore, venne mantenuto in servizio a domanda quale invalido di guerra. Promosso tenente colonnello a scelta nel febbraio 1927, dal marzo 1932 al settembre 1934, prestò servizio a domanda nel R.C.T.C. (Regio Corpo Truppe Coloniali) della Somalia. Rimpatriato e destinato al 63° fanteria, l’anno dopo, col XXVI battaglione complementi della Divisione «Assietta», ritornò in A.O. (Africa Orientale) e promosso colonnello alla fine del 1936, si distinse nelle operazioni di grande polizia coloniale contro le formazioni ribelli di Ras Destà. Rimpatriato col grado di generale di Brigata nel gennaio 1940, ottenne, dopo la dichiarazione di guerra, di essere inviato in Albania e di qui, sempre a domanda, partiva, nel novembre 1942, per la Russia. Assegnato prima alle retrovie dell’8ª Armata, dal dicembre successivo ottenne il comando della Divisione «Vicenza». Caduto prigioniero coi pochi superstiti della sua Divisione il 21 gennaio 1943, rientrò in patria nel 1950, dopo aver subito, per insussistenti accuse, la condanna ai campi di punizione. Promosso generale di Divisione, fu collocato in congedo nel gennaio 1951. Il 2 giugno di quell’anno, a Torino, durante la solenne consegna delle ricompense al V.M. (Valore Militare), il figlio Stefano, allora giovane tenente di vascello, anch’egli già decorato di M.O. (Medaglia d’Oro), ebbe l’incarico di appuntare sul petto del padre l’aureo segno del valore. Decedeva a Torino, il 2 giugno 1956.
“Valoroso combattente di tre guerre, benché mutilato ed assegnato al ruolo riassunti per i servizi in Patria, partecipava volontariamente alla guerra sul fronte russo e, in uno dei momenti più critici della campagna, accettava con gioia e, anzi, sollecitava l’onore e la responsabilità di comandare una Divisione. Assunto il comando di una G.U. (Grande Unità), costituita per il solo presidio di territori nemici occupati, dovette condurla in linea. Sopperendo con grande energia e somma perizia alle deficienze organiche e di armamento di essa, affrontava l’impari lotta; durante i tragici eventi della ritirata dal Don riusciva varie volte a spezzare l’accerchiamento, ponendosi animosamente e ripetutamente alla testa dei propri reparti. Circondato e sopraffatto da schiacciante superiorità avversaria, sopportava infine lunghissimo periodo di prigionia con animo forte, virile, con dignità di soldato e di italiano. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di fedeltà alle leggi dell’onore militare e di amore di Patria.” Fronte del Don; Prigionia in Russia, novembre 1942 – giugno 1950.
Altre decorazioni:
Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (A.O. gennaio 1937)
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«In diversi aspri combattimenti quali prese parte come comandante di un battaglione, seppe guidare la propria truppa con fermezza, perizia e valore, dando col suo contegno mirabile esempio di sprezzo del pericolo agli inferiori, e rimanendo all’ultimo gravemente ferito». Alto Sabotino, 28-29 ottobre-Oslavia, 2, 3, 13 novembre 1915.
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«Comandante di un raggruppamento di battaglioni libici, già distintosi sul fronte dell’Harrar e chiamato a cooperare con le forze del Governo dei Galla e Sidama nella decisiva battaglia di Chevena ed Arbagoma contro le superstiti forze del ribelle Ras Destà, conduceva la sua agguerrita colonna, attraverso ripetuti aspri scontri alla conquista di uno dei capisaldi nemici e contribuiva, col magnifico apporto di efficace cooperazione tattica e di spiccato valore personale, all’annientamento delle forze ribelli ed al nostro vittorioso successo» Chevena-Arbagoma, 18-21 gennaio 1937.
Medaglia di Bronzo al Valor Militare
«Incurante del pericolo e sotto l’intenso fuoco nemico di artiglieria e mitragliatrici, primo fra tutti attraversava un lungo tratto di terreno scoperto per raccogliere un soldato gravemente ferito, trasportandolo in posto sicuro.» Peuma, settembre 1915.
Generale di Brigata per merito di guerra (A.O., 1937 -1938)
«Volontario della guerra italo turca, valoroso combattente ferito e decorato della grande guerra, volontario nell’impresa Imperiale, ha portato nelle tre guerre largo contributo di fede, di coraggio, di chiare virtù militari. In un ciclo operativo in A.O.I., dava prova di alta capacità di comando e di valore personale, cercando e sgominando le formazioni ribelli di ras Destà attraverso più combattimenti contro forze spesso superiori ed agguerrite. Nelle operazioni di polizia del Goggiam, quantunque già transitato nel ruolo degli ufficiali mutilati riassunti in servizio sedentario, chiedeva ed otteneva il comando di una brigata coloniale che perfettamente addestrava e conduceva alla vittoria, dando nuove prove di eminenti virtù guerriere.» Arbagoma, 18 gennaio 1937; Chevenà, 20 gennaio 1937; Hulè, 31 gennaio 1937; Beggi (Iebanò), 2 febbraio 1937; Ueghè, 22 febbraio 1937; Tamamò, 2 marzo 1937; Gurè, 5 marzo 1937; Faguttà, 25, 26, 27 marzo 1938; Samsì, 30 maggio 1938.
TANI SANTE
Sottotenente cpl. artiglieria, partigiano combattente
Conseguita nell’Università di Roma la laurea in giurisprudenza nel 1927, nello stesso anno fu chiamato per il servizio di leva. Ammesso al corso allievi ufficiali di complemento a Lucca, nell’aprile 1928 venne nominato sottotenente e, assegnato all’8° reggimento artiglieria pesante campale, prestò servizio fino all’ottobre successivo. Stabilitosi ad Arezzo, esercitò per anni la professione di avvocato. Inviato al confino politico in provincia di Benevento per le sue idee politiche, rientrò ad Arezzo dopo l’armistizio dell’8 sett. 1943 ed aderì al movimento di resistenza in città e nella provincia. Arrestato dalle SS. tedesche fu ucciso assieme al fratello sacerdote e ad altro patriota.
«Subito dopo l’armistizio dava vita al movimento di resistenza nella città e nella provincia di Arezzo. Organizzatore ed animatore impareggiabile, presiedeva il Comitato di Liberazione Cittadino e comandava formazioni di partigiani nella campagna dando, in difficili circostanze, bella prova di decisione di coraggio. Caduto in mani nemiche, veniva brutalmente seviziato, gettato in carcere senza soccorso alcuno e, per 17 giorni, barbaramente ripetutamente interrogato. Mantenendo contegno fiero ed esemplare nulla rivelava anche quando gli veniva offerta la libertà a prezzo di delazione. Trucidato nella sua cella, sacrificava la vita agli ideali di Patria e di Libertà.»