Antonio Trogu Libano Geografia politica economica

  

(Contributo al Progetto 2022/1)

 

E’ necessario partire dall’indipendenza ottenuta nel 1943 per avere un quadro del contesto politico, sociale e religioso del Libano. Con l’indipendenza nacque il “Patto Nazionale” che ancora vige in quel martoriato paese del Medio Oriente e che prevede che il Presidente sia di fede cristiana maronita, che il Primo Ministro sia musulmano sunnita e che il Presidente dell’Assemblea Nazionale sia musulmano sciita. Considerando la suddivisione del Libano tra 18 gruppi religiosi: 11 cristiani, 6 musulmani, 1 ebraico questo e’ il modo per permettere alle maggiori confessioni religiose presenti nel Paese di avere il medesimo peso politico all’interno della Nazione (eredità del dominio coloniale francese). Il governo libanese è quindi progettato per fornire una rappresentanza politica a tutti i gruppi religiosi ed i principali sono tre: i cristiani maroniti, i musulmani sunniti e i musulmani sciiti.

Il numero di seggi in parlamento è suddiviso proporzionalmente tra cristiani e musulmani e, a sua volta, tra le diverse confessioni di ciascuna religione. Lo stesso vale anche per i posti nel governo e quelli di vertice del settore pubblico.

La convivenza tra gruppi religiosi non e’ sempre stata pacifica, la situazione in Libano comincia infatti a precipitare a partire dagli anni ’60, con le guerre Arabo-Israeliane e l’enorme afflusso di profughi palestinesi che si riversano nel paese e, soprattutto negli anni ’70, con la presenza attiva di “Settembre Nero”.

Non si può parlare della situazione libanese senza prendere in esame la Giordania che, nonostante sia uno stato piccolo, si e’ trovato frequentemente al centro dei conflitti e delle crisi del Medio Oriente. In particolare vedremo più avanti quale sia stata la scintilla che ha provocato la guerra civile libanese.

L’afflusso in massa dei profughi palestinesi dalla Giordania in Libano ebbe come conseguenza una spaccatura nell’Esercito Libanese che perse consistenza ed il Governo di Beirut si trovò così a non avere più la capacità di controllare il territorio. A cavallo tra la fine degli anni ‘70 ed i primi anni ‘80 le milizie presenti in Libano erano composte da 40 mila maroniti, 27 mila musulmani e 10 mila “Fedayn” di Arafat, con l’esercito regolare ridotto a solamente 8 mila effettivi scarsamente equipaggiati. Queste milizie, in lotta tra loro, furono la causa di circa 60 mila morti tra i civili, cosa che portò ad un intervento della Lega Araba, dopo la bocciatura di un intervento Onu, che però era palesemente schierata con le fazioni musulmane. Nel marzo del 1978, a seguito di alcuni attentati a Tel Aviv, vi fu l’intervento di Israele che lanciò  l’operazione “Litani”. L’esercito israeliano invase unilateralmente il Libano, occupando una fascia di territorio che andava dalla frontiera sino al fiume Litani, per garantirsi una “fascia di sicurezza”. A quel punto l’Onu intervenne per ristabilire lo status quo ante ed Israele fu costretto a ritirarsi, cosa che però permise ancora la discesa delle milizie arabe che tornarono ad impossessarsi di quella parte del territorio e a minacciare lo Stato ebraico. Difatti, il 6 giugno 1982, Israele lancia l’operazione “Pace in Galilea”: in cinque giorni grazie ad operazioni congiunte di forze anfibie, terrestri ed aeree, l’esercito israeliano arriva ad occupare metà del Libano sino a Beirut tagliando fuori 3 brigate dell’Esercito Siriano e 10 mila uomini dell’Olp nella parte ovest della città. Israele avrebbe voluto chiudere la questione e debellare le forze arabe in città, ma la presenza navale sovietica a Tartus e soprattutto il transito di “osservatori” di Mosca tra la Siria e la parte del Libano occupata dalle forze arabe, consigliava prudenza per evitare un’escalation del conflitto ed un allargamento alle forze navali della Nato e del Patto di Varsavia presenti nel Mediterraneo.