L’APPRONTAMENTO DELLA DIVISIONE
Zona di Cuneo: Aprile-Luglio 1942
La divisione alpina “Cuneense”, rientrata dall’Albania nel maggio 1941, fu dislocata nella zona di Cuneo sino al tempo della sua partenza per il fronte russo (luglio-agosto 1942).
Il 1° aprile 1942 la divisione ricevette l’ordine di approntarsi per il fronte russo e, sotto la stessa data, passò alle dipendenze del comando del C.A. alpino, costituitosi qualche mese prima a Trento .
In base a tale ordine, la divisione dal 1° aprile al 15 luglio 1942 provvide ad apportare alle proprie unità le modifiche previste per le divisioni alpine destinate al fronte russo.
Le principali trasformazioni di struttura nella divisione furono le seguenti:
– ogni battaglione alpino ebbe, oltre al normale armamento, 4 pezzi da 47/32 con funzione prevalente di accompagnamento;
– il reggimento di artiglieria alpina ebbe, oltre ai due gruppi da montagna 75/13, anche un gruppo di obici da 105/11 (materiale francese catturato ai Greci) su due batterie;
– la divisione ebbe due compagnie cannoni controcarri da 47/32 e due batterie di mitragliere da 20 m/m con funzione normale contraerei (ciascuna compagnia e batteria su 8 pezzi);
– i mezzi per la difesa vicina dei comandi di divisione e di reggimento, delle batterie di artiglieria, delle compagnie genio e delle autosezioni dell’autoreparto divisionale furono notevolmente aumentati;
– i mezzi di collegamento radio furono aumentati; tutte le staffette portaordini furono provviste di motociclette;
– tutto il carreggio dei reggimenti alpini, del reggimento di artiglieria e del battaglione genio fu sostituito con autocarreggio (autocarrette per i reggimenti alpini ed autocarri di media portata per il reggimento di artiglieria e per il battaglione genio);
– la colonna salmerie fu ridotta a reparto salmerie; in compenso fu rinforzato notevolmente l’autoreparto divisionale (4 sezioni autocarri pesanti e medi e una autosezione ambulanze, frigoriferi e autobotti).
I reparti furono ricostituiti col personale migliore, scelto tra quello già in forza ai reparti e quello in forza ai centri di mobilitazione.
Nonostante la selezione, buona parte degli uomini dei reparti risultò di non possedere i particolari requisiti di costituzione fisica e di robustezza che una circolare del Ministero della Guerra dell’aprile 1942 aveva stabilito per il personale delle unità combattenti destinate al fronte russo. L’apposita visita medica iniziata presso l’ospedale militare di Alessandria (per gli ufficiali) e presso i reparti (per i sottufficiali e per la truppa) mise subito in evidenza che se la disposizione ministeriale fosse stata applicata con il dovuto rigore, una parte molto notevole del personale inquadrato nei reparti della divisione avrebbe dovuto essere dichiarato non idoneo al fronte russo.
I criteri della circolare ministeriale furono, di ordine superiore, abbandonati. Ciononostante lo stato fisico del personale in generale – salvo pochissime eccezioni – era da ritenersi soddisfacente e ciò si palesò durante la campagna in cui la percentuale degli ammalati ricoverati in luoghi di cura fino al giorno in cui ebbe inizio il ripiegamento dalla fronte del Don , si aggirava tra l ‘1 e il 2 (per mille).
Nei mesi di maggio, giugno e luglio 1942 i reparti della divisione lavorarono intensamente a sviluppare quella parte dell’addestramento maggiormente richiesta dalle operazioni sul teatro di guerra russo. Particolare cura ricevette l’addestramento del personale addetto alla difesa controcarri e contraerei e l’addestramento degli ufficiali.
Il risultato a tale lavoro di organizzazione e di addestramento (che migliorò alquanto le capacità di impiego della divisione acquistata nella campagna di Albania), la divisione “Cuneense” aveva senza dubbio una buona efficienza. Ma essa osservava però, come struttura fondamentale e come formazione spirituale, le possibilità ed il carattere di una grande unità destinata ad operare in montagna e precisamente sulle proprie montagne.
La destinazione al fronte russo in generale e al fronte del medio Don in particolare, posero la divisione alpina “Cuneense” in una situazione molto sfavorevole e fu uno dei fattori – e non uno degli ultimi – che determinarono l’insuccesso della ritirata dal Don.
FORZA E MEZZI DELLA DIVISION E “CUNEENSE”
1 Quartier generale
2 reggimenti alpini (1° e 2° ); ciascuno su 3 btg. e 1 cp. armi d’accompagnamento;
1° alpini: btg. Ceva, Pieve d i Teco, Mondovì
2° ” ” Borgo S.Dalmazzo, Dronero e Saluzzo
1° Regg. art. alpina (4°) su 3 gruppi (Gruppo Mondovì, Pinerolo e Val Po)
1° btg. genio ( IV)
2 cp. cannoni c.c. 47/32
2 btr . controcarri da 20 m/m
1 reparto salmerie
1 autoreparto divisionale
Servizi.
In complesso la “Cuneense”, all’atto della sua partenza per il fronte russo, aveva i seguenti organici (largamente approssimativi) :
– Personale: 500 ufficiali, 18.000 sottufficiali e militari di truppa;
– armamento: arma individuale, il fucile corto mod. 91 modificato; nessun moschetto automatico; 200 fucili mitragliatori “Breda” mod. 30; 140 mitragliatrici “Breda ” mod. 37; 54 mortai da 45 “Brixia”; 24 mortai da 81; 40 cannoni da 47/32; 16 mitragliere da 20 m/m contraerei; 24 obici da 75/13 ; 8 obici da 105/11;
– quadrupedi: 4.000 muli e cavalli
– automezzi: 500 automezzi e motociclette.
IL TRASPORTO DELLA “CUNEENSE” AL FRONTE RUSSO
(25 luglio – 20 agosto 1942)
Il trasporto ferroviario di tutti i reparti e servizi della divisione “Cuneense” in Russia ebbe la durata di 25 giorni. Il 1° convoglio partì dall’Italia il 25 luglio; l’ultimo convoglio arrivò in Ucraina il 18 agosto 1942. I singoli convogli impiegarono circa 13 giorni.
Il trasporto fu effettuato senza gravi incidenti (due convogli furono attaccati durante il viaggio tra Minsk e Gomel da nuclei di partigiani russi). Numerose furono le modifiche agli itinerari dei treni e le soste lungo il viaggio tra Gomel e la zona di scarico, in relazione ad impreviste esigenze operative e logistiche delle truppe germaniche .
La divisione “Cuneense” avrebbe dovuto concentrarsi dapprima tutta nella zona di Rikowo (N.E. di Stalino) e poscia nella zona di Uspenskaja- Ambrosiewka (distanti circa 100 km. da Taganrog sul mare di Azov.
In conseguenza del grande intasamento della linea ferroviaria Gomel-Karkov, i reparti della divisione furono invece scaricati tra Uspenskaja a sud e Izjum a nord , distanti tra loro oltre 400 km.
L A RADUNATA E LA MARCIA AL DON
( 19 agosto – 23 settembre 1942 )
Il comando della divisione “Cuneense”, giunto a Uspenskaja il 9 agosto 1942 , ricevette il giorno 10 la comunicazione che tutto il C.A. alpino era passato in quello stesso giorno alle dipendenze della XVII Armata germanica (del gruppo di Armate “A” – von Kleist ) che operava nel Caucaso .
La divisione “Trideotina”, prima divisione del C.A. alpino giunta in Ucraina e tutta raccolta nella zona di Nowo-Gorlowka, doveva iniziare subito il movimento alla volta di Armavir.
La divisione “Cuneense” doveva iniziare subito il movimento di raccolta nella zona di Uspenskaja-Ambrosiewka; questo ultimato, doveva anch’essa muovere a piedi verso il Caucaso .
In vista di tale impiego il comandante la divisione, subito dopo il suo arrivo ad Uspenskaja, aveva effettuato una ricognizione a Taganrog e Rostow, spingendosi oltre la foce del Don allo scopo di studiare il movimento della divisione, e, in special modo, il passaggio del Don in corrispondenza di Rostow .
Lo spostamento dei reparti dislocati nella zona di Izjum verso sud era appena iniziato, quando, il 19 agosto, giunse al comando della divisione la comunicazione che il C.A. alpino, tolto dalla dipendenza della XVII Armata germanica, passava alle dipendenze dell’8^ Armata italiana ed era destinato a schierarsi anch’esso nella zona del medio Don .
Di conseguenza, il comando della divisione dovette fermare subito i reparti in movimento verso sud ed organizzare il concentramento delle sue unità non più verso sud, ma verso nord-est. I reparti dislocati nella zona di Uspenskaja dovevano muovere verso nord-est e quelli dislocati nella zona di Izjum, verso est. L’incontro tra i due blocchi della divisione doveva avvenire nella zona di Starobelsk. Da qui la divisione avrebbe proseguito verso Rossosch. I movimenti dovevano essere effettuati per v.o.
Il 23 agosto 1942 le due colonne della divisione iniziarono il movimento verso Starobelsk:
– quella dislocata nella zona di Uspenskaja- Ambrosiewka, al comando del generale Battisti, per l’itinerario: Uspenskaja-Krasnij Luschworoscilowgrad-Starobelsk;
– quella dislocata nella zona di Izium, al comando del colonnello Orlandi (comandante del 4° rgt. art. alpina), per l’itinerario: Izjum-Starobelsk .
La colonna del generale Battisti raggiunse Woroscilowgrad il 30 agosto 1942. Il 3 settembre un ordine del comando dell’8 Armata italiana stabiliva che, in conseguenza dell’andamento sfavorevole delle operazioni in corso sul fronte del XXXV C.A. italiano (1^ battaglia difensiva del Don: agosto-settembre 1942), il C.A. alpino, anziché schierarsi subito in prima schiera alla estrema sinistra dell’8^ Armata, doveva assumere il compito di riserva al centro dello schieramento dell’Armata stessa.
Reparti della divisione “Tridentina” vennero subito inviati a tamponare la falla apertasi nel settore dello schieramento della divisione “Sforzesca”.
La divisione “Cuneense” fu fatta proseguire subito per Millerovo (sede del comando di Armata). La colonna del generale Battisti giunse a Millerovo il 7 settembre e fu avviata nella stessa giornata a Malschewskaja (20 km. più a nord di Millerovo). L’altra colonna a quella data procedeva ancora verso Belowodak, per ricongiungersi alla colonna del gen. Battisti nella zona di Malschewskaja. Il giorno 8 settembre il comando di Armata ordinava alla divisione “Cuneense” di raccogliersi tutta nella zona Djogtewo-Ternowka e di tenersi pronta a muovere sia verso nord-est (settore del XXXV C.A.), sia verso nord (settore del II C.A.).
Il giorno 10 settembre la divisione era tutta raccolta nella zona di Djogtewo-Ternowka. Ma proprio nello stesso giorno il comando di Armata ordinò alla divisione di trasferire d’urgenza un reggimento alpini da Djogtewo a Taly (valle del F. Boguschar – settore del II C.A.). Il 2° alpini (colonnello Scrimin) effettuò il trasferimento il giorno 11 settembre, trasportato parte in ferrovia e parte su automezzi e passò alle dipendenze del comando del II C.A. come riserva di quel settore.
Il grosso della divisione restò nella zona Djogtewo-Ternowaja fino al 13 settembre 1942. In tale giorno, per ordine del comando dell’8^ Armata, la divisione si avviò verso Rossosch, dovendo schierarsi sul Don con altre divisioni del C.A. alpino, all’estrema sinistra dello schieramento dell’8^ Armata. Il 2° reggimento alpini doveva riunirsi agli altri reparti della divisione, non appena tali reparti avessero raggiunto la zona di Rossosch .
Il 17 settembre il comando di C.A. (dislocato a Rossosch) comunicò alla divisione che le divisioni “Julia” e “Cuneense” alle ore 00.00 del 25 settembre 1942 avrebbero dovuto sostituire sulla linea del Don la 294^ divisione germanica.
Il 23 settembre il grosso della divisione raggiunse Rossosch (itinerario: Djogtewo-Mankowo-Shelistowka-Kantemirowka-Mitrofanowka-Rossosch) e si portò la sera dello stesso giorno a tergo dello schieramento del reggimento della 294^ divisione germanica nel tratto: Karabut-Nowaja Kalitwa sul Don. Il 2° reggimento alpini, messo in libertà dal comando del II C.A., il 21 settembre, raggiunse la zona di schieramento assegnatali (itinerario: Taly-Krinichnaja-Lotschina) nella notte del 24 settembre.
In tal modo, i reparti della “Cuneense”, per trasferirsi dalla zona di scarico dei treni alla zona di schieramento sul Don, impiegarono un mese di tempo e dovettero percorrere dagli 800 ai 900 km. a piedi. Il movimento nel suo complesso presentò notevoli difficoltà, che sottoposero a dura prova le truppe ed i servizi della divisione. Le più gravi furono:
1°) – Le condizioni del clima e delle strade. Il caldo, già forte dopo le 8 del mattino, diventava insopportabile tra le 11 e le 16 (alla fine di agosto 1942 il termometro toccò più di una volta i 40°). Sarebbe stato quindi conveniente compiere le marce di notte (anche perché l’aviazione nemica svolgeva azioni di ricognizioni e di spezzonamento quasi ogni giorno). Se non che, nel tardo pomeriggio, si aveva quasi ogni giorno un violento acquazzone, che rendeva impraticabili le strade (quasi tutte a fondo naturale, di natura argillosa) fino alle 9 o alle 10 del giorno successivo. In tali condizioni si dovette marciare di giorno.
2°) – Le scarse risorse logistiche di alcune zone. Oltre il Donez e fino al Don gli abitati erano più radi che a sud di Worosoilowgrad. Con l’aumentare delle distanze tra villaggio e villaggio si riducevano notevolmente le possibilità di ricovero, di vettovagliamento (anche per l’assai scarsa disponibilità di legna da ardere in posto) e di rifornimento di acqua potabile. Nel trasferimento da Djegtewo a Rossosch tali difficoltà furono particolarmente gravi. L’abbeverata dei quadrupedi, per esempio, divenne problema difficile ed ebbe serie ripercussioni sul funzionamento delle salmerie (enormi ritardi nell’approntamento della marcia, deperimento e fiaccature dei muli) .
3°) – Facile deterioramento dei viveri. Il trasporto e la conservazione delle carni macellate, a causa delle forti distanze esistenti fra i centri di rifornimento e i reparti in marcia e di mezzi di trasporto veramente adatti alla conservazione delle carni, era quasi impossibile. In poche ore dalla macellazione la carne era putrefatta e doveva essere sotterrata. La mancanza quasi continua delle verdure fresche (i prodotti della zona erano tutti requisiti dai presidi germanici), di acqua potabile e di vino, resero ancora più grave la situazione. In quel periodo il vitto dei soldati fu perciò insoddisfacente ed anche spesso insufficiente.
4° ) – La scarsità dei carburanti per gli automezzi. I carburanti e i lubrificanti erano distribuiti direttamente alle divisioni dalla Intendenza germanica, sempre in misura ridotta rispetto al fabbisogno e spesso anche in ritardo. Nel periodo delle marce più di una volta gli automezzi dovettero fermarsi nelle località di tappa per alcun i giorni, in attesa che l’autocolonna di rifornimento carburanti, inviata all’Intendenza germanica, tornasse con i carburanti. I reparti dovettero provvedere al trasporto dei materiali di pronto impiego con mezzi di fortuna (carri locali). Il funzionamento dei servizi, reso già difficile dalle forti distanze esistenti i tra i centri di rifornimento e le località di tappa, subì seri intralci.
5°) – La difficoltà di collegamento tra le due colonne della divisione, prima che fosse raggiunta la zona di Diogtewo-Tarnowaka.
Nella prima fase delle marce le due colonne distavano tra loro circa 400 km.: non fu possibile collegarle con la radio, data la forte distanza e per il fatto che nella zona era stato imposto il “silenzio radio”. L’unico collegamento possibile, ma logorante e lento, fu quello dei portaordini motociclisti impiegati a coppie.
LO SCHIERAMENTO SUL DON
(25 settembre 1942)
La divisione “Cuneense”, nella notte tra il 24 ed il 25 settembre, si schierò sulla linea del Don nel settore compreso tra il villaggio di Karabut (a nord) e quello di Nowaja Kalitwa (escluso) a sud.
Alle ore 00.00 del 25 settembre, come stabilito dall’ordine del Comando del Corpo d’Armata alpino, la divisione rilevò dal reggimento germanico schierato in quel settore la responsabilità della difesa.
Il terreno sul quale si era schierata la divisione si presentava con una lunga dorsale appiattita con andamento nord-sud, dal predetto villaggio di Karabut a quello di Staraja Kalitwa. La dorsale, alta circa 100 metri sul livello del fiume Don, aveva la groppa tondeggiante e cadeva sul Don con una serie continua di speroni abbastanza ripidi e separati uno dall’altro da profonde incisioni.
Il fiume Don, nel tratto considerato, aveva larghezza di circa 100 metri ed una corrente piuttosto debole. Non aveva tratti guadabili. La riva nemica era bassa e leggermente inclinata verso il fiume; in molti punti era ricoperta da boschi.
Alle due estremità del settore della divisione, due avvallamenti risalivano leggermente verso ovest
- a sud, tra gli abitati di Staraja Kalitwa e di Nowaja Kalitwa, l’avvallamento era largo 5 Km., piatto, prativo e con due piccole macchie di bosco in mezzo. Nella parte meridionale della piana scorreva il fiume Kalitwa, stretto, ma profondo. Questo fiume segnava il punto di saldatura tra il settore della “Cuneense” e quello della divisione “Cosseria” (e tra il settore del Corpo d’Armata alpino e quello del II Corpo d’Armata);
- a nord, l’avvallamento di Karabut, largo circa 2 Km., occupato, vicino al fiume, dal villaggio omonimo. Poco più a nord di questo avvallamento passava la linea di contatto tra il settore della “Cuneense” e quello della “Julia”.
La fronte della divisione, inizialmente occupata, aveva uno sviluppo di circa 30 Km. (la piana del fiume Kalitwa, in quell’epoca, non era occupata, ma soltanto sorvegliata).
Lo schieramento della divisione si conformò a quello tenuto dal reggimento tedesco : dislocazione della linea di resistenza sul ciglio della dorsale che cadeva sul Don, organizzazione e capisaldi largamente intervallati, posti di sorveglianza e di ascolto sulla sponda destra del fiume.
Questo schieramento rispondeva alle esigenze della situazione che allora esisteva in quel tratto di fronte (scarsa consistenza delle forze nemiche; sufficiente riparo offerto alle nostre posizioni dal fiume Don).
Inizialmente la divisione ebbe tre solo battaglioni in primo scaglione (il “Borgo San Dalmazzo” e il “Dronero” del 2° alpini, ed il “Ceva” del 1° alpini) e tre battaglioni in secondo scaglione (il “Saluzzo” ed il “Mondovì” del 2° alpini ed il “Pieve di Teco” del 1° alpini).
Come artiglierie, nel settore della divisione furono schierati, oltre ai tre gruppi organici (“Pinerolo”, “Mondovì”, “Val Po”), anche due gruppi del 30° reggimento artiglieria di Corpo d’Armata : uno da 149/13 ed uno da 105/32.
(1) Il comando della divisione si dislocò ad Annowka, quello del 1° alpini a Kresciatik e quello del 2° alpini a Topilo.
La 294ª divisione germanica si dislocò, col compito di divisione di 2ª schiera alle dipendenze del Comando 8ª Armata Italiana, tra la valle del fiume Rossosch e quella del fiume Meshonka, a tergo della “Cuneense”.
- – Erano vecchie bocche da fuoco austriache di P.B. Da 104 mm. Nel 1942 furono calibrate nei nostri stabilimenti da 105 per poter usare con esse il nostro munizionamento da 105/28.
LA DIVISIONE CUNEENSE NEI MESI DI OTTOBRE,
NOVEMBRE E DICEMBRE 1942.
Le modifiche dello schieramento.
Lo schieramento iniziale della divisione era fondato essenzialmente sul criterio della difesa manovrata. L’adozione di questo criterio era imposta : dalla sproporzione fra le forze della divisione e la fronte da difendere, dalla scarsa consistenza delle forze nemiche antistanti, dalle condizioni della stagione. In caso di attacco nemico su uno o più punti della fronte della divisione, si trattava di impegnare e trattenere i reparti nemici attaccanti con l’azione di fuoco dell’artglieria e dei capisaldi, dislocati a cavallo della dorsale di riva destra del Don, e respingere l’attacco con l’intervento ed il contrattacco dei battaglioni di secondo scaglione.
Lo schieramento fece una prova di collaudo il giorno 6 ottobre 1942 respingendo un attacco nemico in corrispondenza del tratto di fronte tenuto dal battaglione “Borgo San Dalmazzo” del 2° alpini. L’attacco fu respinto dall’azione dei capisaldi e dell’artiglieria.
Ma, approssimandosi la cattiva stagione (che creava condizioni di ambiente e di clima favorevoli al nemico) ed in seguito al quasi impercettibile, ma progressivo rafforzamento dello schieramento nemico, era da aspettarsi una maggiore attività da parte dei Russi. Si sperava che, allorquando la divisione “Tridentina”, ancora schierata sul fronte del XXXV Corpo d’Armata fosse rientrata al Corpo d’Armata alpino, le divisioni “Julia” e “Cuneense” avrebbero potuto restringere il proprio settore difensivo ed aumentare la densità del proprio schieramento.
Questa speranza però cadde, quando si seppe (prima metà dell’ottobre 1942) che con la venuta della “Tridentina”, il fronte del Corpo d’Armata sarebbe stato notevolmente ampliato.
La crescente attività di pattuglia del nemico indusse il comandante della divisione ad occupare stabilmente anche la piana del fiume Kalitwa, sia perché, gelando il Don, la piana costituiva una direzione d’attacco e di penetrazione molto favorevole al nemico. Il battaglione “Saluzzo” del 2° alpini, nella seconda quindicina di ottobre, si schierò nella piana, occupando posizioni che distavano circa 3-4 Km. dal fiume Don. La fronte di schieramento della divisione raggiunse così l’ampiezza di 35 Km.
Per lo stesso motivo si dovette raffittire anche lo schieramento nella parte nord del settore della divisione, mettendo anche in primo scaglione il battaglione “Mondovì” del 1° alpini. Rimase così un solo battaglione di riserva (il battaglione “Pieve di Teco” del 1° alpini).
Avvenne, nel complesso, un allargamento della fronte ed uno scivolamento di tutto il dispositivo verso sud. In seguito a ciò il comando del 2° alpini si spostò da Topilo a Lotshina e fu sostituito nella prima delle due località dal comando del 1° alpini.
Queste modifiche, che rafforzarono la linea avanzata, portarono però alla scomparsa quasi totale della posizione di resistenza. Con un solo battaglione di riserva, specialmente durante la stagione invernale, la divisione non era in grado di respingere un attacco nemico di una certa importanza sferrato in un punto qualunque del suo fronte difensivo (35 Km.).
La debolezza dello schieramento di fanteria (in media aveva un’arma automatica ogni 200 metri di fronte e un soldato ogni 10 metri di fronte) non era certamente compensata dal fuoco di artiglieria. I cinque gruppi schierati nel settore divisionale disponevano complessivamente di 14 batterie (6 di piccolo calibro e 8 di medio calibro). Di essi, tre avevano una gittata pratica di 5-7 Km., due di 8-9 Km. Tenuto conto della distanza esistente tra gruppo e gruppo ed anche tra batteria e batteria , in pochissimi punti del settore divisionale era possibile ottenere un concentramento di fuoco con più di due batterie. La forte distanza di sicurezza dei due gruppi di medio calibro (105 e 149) non permetteva di sovrapporre il loro fuoco a quello dei gruppi da 75. altrettanto avveniva con i mortai da 81, in quasi tutti i punti del fronte. Di conseguenza l’azione di sbarramento davanti ai capisaldi e nelle cortine, in effetti, poteva essere svolta quasi esclusivamente dalle batterie da 75/13 (ciascuna delle quali doveva essere pronta ad intervenire immediatamente entro un tratto di fronte di circa 1.500 Km.).
Stando così le cose, la divisione dovette adottare una serie di provvedimenti tendenti a rafforzare il più possibile lo schieramento in atto.
E precisamente :
- Furono racimolate ovunque armi automatiche, cannoncini, mortai leggeri e pesanti (anche un cannone da 76 russo). Poste queste armi in linea furono alquanto ridotti gli intervalli tra i capisaldi. Il servizio di queste armi assorbì però tutto il personale già destinato alla sorveglianza e al contrassalto presso i capisaldi preesistenti.
- Si dette corso ad una serie di poderosi lavori di fortificazione. Fu costruito un reticolato continuo a siepe triangolare lungo tutto il fronte di schieramento (ultimato alla fine di ottobre).
- I capisaldi furono collegati fra loro con un solido camminamento in molti tratti coperto.
- Furono messe in opera centinaia di mine anticarro (quasi tutte del tipo germanico ed alcune migliaia di mine antiuomo nei punti più sensibili del fronte.
- Fu iniziata (e si era portata a buon punto all’atto del ripiegamento) la costruzione di due enormi fossati anticarro : uno lungo tutta la piana del fiume Kalitwa, lungo 5 Km. e nel quale lavorò anche una compagnia pionieri tedesca; il secondo in corrispondenza della soglia del vallone di Karabut (settore del battaglione “Ceva” – 1° alpini), ampia circa 2 Km.
Alla fine del dicembre 1942 il complesso dei lavori compiuti dai reparti della divisione fu giudicato dai comandi superiori italiani e germanici imponente per mole e valore di ostacolo.
Ma tutto quello che la divisione fece con grande impegno poté dare una maggiore consistenza alla linea di resistenza (prolungare la vita e l’azione dei capisaldi, in caso di attacco nemico). Con le sue forze la divisione era in grado di opporre la prima resistenza ad un attacco in forze. Ma chi avrebbe stroncato e respinto tale attacco?
Fino a quando la 294ª divisione germanica (in via di ricostruzione) rimase nella zona di retrovia della divisione a disposizione del comando della 8ª Armata italiana,la difesa del settore divisionale poteva dirsi, fino ad un certo punto, ed a prescindere dalla mancanza assoluta di mezzi corazzati, garantita. Ma, nella seconda quindicina di novembre del 1942, la 294ª divisione germanica fu trasferita nella zona della grande ansa del Don. In seguito a ciò, in tutto il settore del Corpo d’Armata alpino non rimase alcuna riserva. Ciò indusse il comando del Corpo d’Armata alpino a procurarsela. Ciascuna delle tre divisioni del Corpo d’Armata dovette mettere a disposizione del comando del Corpo d’Armata il proprio battaglione di secondo scaglione (per la “Cuneense”, il battaglione “Pieve di Teco”) ed un’aliquota di artiglieria da 75/13. Questi reparti costituirono il cosiddetto “Gruppo d’intervento” del Corpo d’Armata alpino.
In conseguenza di ciò, alle tre divisioni alpine non rimase che il compito di mantenere fino alle estreme possibilità la linea di resistenza. In qualunque punto del rispettivo settore essa fosse attaccata. Il comando del Corpo d’Armata alpino dovette anche accollarsi quello di formare un’infiltrazione nella linea di resistenza in un qualsiasi punto dei settori divisionali.
Alla metà di novembre del 1942, venne ad ispezionare il fronte della divisione il generale di Corpo d’Armata germanico di collegamento tra il comando della 8ª Armata italiana ed il comando del gruppo d’Armata “B” germanico, dal quale dipendeva l’Armata italiana.
Il generale germanico si compiacque con i reparti della divisione per i lavori di rafforzamento compiuti ed in corso, ma dette disposizioni ai comandanti di battaglione perché proiettassero tutto lo schieramento delle loro compagnie più in basso, proprio sulla sponda del fiume, e lo modificassero in modo che in ogni punto della sponda stessa fosse battuto da almeno un fuciliere.
I comandanti di battaglione fecero resistenza alla volontà del generale germanico, anche perché la sua visita non era stata preannunciata dal comando dell’Armata italiana.
Il generale germanico, al termine dell’ispezione, si presentò al comandante della “Cuneeense” ed insistette perché fosse attuato lo schieramento da lui voluto. In sostanza, allo schieramento della fanteria in nuclei di resistenza dislocati a mezzo costa del versante della dorsale che degradava sul fiume, il generale germanico voleva vedere sostituito uno “schieramento a cordone” sulla riva del fiume. Anche le artiglierie avrebbero dovuto essere proiettate in avanti, in modo da poter fare fuoco diretto per pezzo sulla riva nemica e sul fiume.
“I Russi attuano il principio che, dove passa uomo, passa anche un battaglione e sono bravi nella tattica d’infiltrazione” – diceva il generale germanico – . “Perciò occorre opporre loro una linea continua di fuoco, in modo che la più piccola pattuglia nemica sia avvistata e respinta prima che attraversi il fiume (specie quando esso sarà tutto congelato). Non preoccupatevi se i Russi riusciranno a sfondare in qualche punto. A fermarli e respingerli provvederanno le divisioni germaniche che stanno per affluire al fronte orientale. L’essenziale per voi è di dare al nemico la sensazione che ogni metro di fronte è battuto almeno da un fucile”.
Il comandante della divisione fece presente al generale germanico che egli non condivideva il suo punto di vista e che, in ogni caso, egli non poteva attuare alcuna modifica allo schieramento in atto senza uno specifico ordine dei superiori comandi italiani. Insistette specialmente sul fatto che con le disposizioni attuate si era definitivamente ed irrimediabilmente rotto il rapporto che deve sempre esistere tra l’ampiezza della fronte e le forze destinate a difenderla : rapporto che deve essere mantenuto entro limiti ragionevoli per permettere la costituzione di rincalzi e riserve e rendere possibile il loro tempestivo accorrere nei punti minacciati.
Il dispositivo adottato toglieva ai comandanti di settore e al comandante di divisione ogni possibilità d’intervento nell’azione difensiva. Essi avrebbero dovuto limitarsi a……rincuorare i dipendenti attaccati, ma l’avversario era così messo in condizioni di avere ragione della difesa in qualunque punto avesse deciso di attaccare a fondo con forze e mezzi adeguati.
Quattro o cinque giorni dopo la partenza del generale germanico, un ordine del comando della 8ª Armata italiana stabiliva di modificare lo schieramento difensivo secondo i criteri espressi dal generale germanico.
Senonché, l’attuazione di questo ordine comportava un aumento dello sviluppo del fronte da difendere (lo sviluppo sul terreno, lungo la sponda del Don, sarebbe stato di non meno 55 Km.) ed avrebbe perciò determinato una notevole rarefazione degli elementi attivi della difesa, che finivano per essere più abbandonati a se stessi di quanto non fossero prima. I lavori di rafforzamento, compreso il reticolato, avrebbero dovuto essere in gran parte rifatti. In effetti furono apportate allo schieramento solo lievi modifiche.
L’ordine del comando d’Armata prevedeva che le divisioni provvedessero al più presto ad eseguire i lavori necessari (specialmente di scavo) per costituire una seconda linea difensiva, distante oltre 8 Km. dalla prima, e destinata ad essere presidiata da divisioni di seconda schiera (che sarebbero state fatte affluire nelle retrovie delle divisioni, qualora fossero state minacciate di essere travolte da attacchi nemici).
Anche questa parte dell’ordine non poté essere attuata se non minimamente, perché il personale ed i mezzi di lavoro della divisione erano tutti vincolati alla prima linea e perché la popolazione civile (che, secondo l’ordine, doveva essere adibita ai lavori) era distante ed incapace.
Avanzando l’inverno, cresceva anche e specialmente la preoccupazione di organizzare un minimo sufficiente di difesa anticarro. Sui cannoni da 47 non c’era da fare nessun affidamento. Altrettanto poteva dirsi per il munizionamento E.P. Di cui disponevano anche le artiglierie divisionali. :Furono studiati ed approntati tutti i mezzi di ripiego possibili (bottiglie incendiarie, grappoli di bombe a mano, ecc.). Alla metà di novembre era stata assegnata alla divisione una batteria di cannoni controcarro da 75 su 6 pezzi (si trattava di bocche da fuoco francesi modello 1897 montate su affusto tedesco modello 1938). Più tardi si costituiranno anche due batterie controcarro con cannoni tedeschi da 50 (materiale antiquato), ma queste due batterie non giunsero alla fronte, perché sorprese dal ripiegamento in fase di addestramento nella zona di Rossosch.
Alla fine di novembre la divisione ricevette un rinforzo di un gruppo d’artiglieria a cavallo su due batterie da 75/27 modello 1906 ed un gruppo di cannoni da 105/28 su tre batterie (questo gruppo aveva però il compito specifico di assicurare la saldatura del settore “Cuneense” con quello della “Cosseria”).
In tal modo poté essere aumentata la disponibilità di fuoco nella parte meridionale del settore divisionale, specie in corrispondenza della piana del fiume Kalitwa, che era senza dubbio una comoda via di attacco e di penetrazione in profondità per unità corazzate nemiche.
Ai primi di dicembre il comando della divisione “Cuneense” studiò, per ordine del comando del Corpo d’Armata alpino, l’organizzazione a difesa del cosiddetto “ridotto di Topilo”, che si trovava a circa 6 Km. dalla linea difensiva e all’incirca al centro del settore divisionale. Tale ridotto avrebbe dovuto essere occupato dalla divisione, nel caso in cui eventi sfavorevoli su altre parti della fronte dell’Armata avessero consigliato di arretrare l’Armata, mantenendo però alcuni “scogli difensivi” presso il Don ai quali appoggiare la controffensiva non appena si fossero avute forze sufficienti. Ma la mole dei lavori da compiere e l’entità delle scorte di viveri e di munizioni da trasportarvi e da custodirvi fecero sì che il progetto rimanesse soltanto tale.
ATTIVITA’ OPERATIVA DELLA DIVISIONE
Dal momento in cui la divisione “Cuneense” si schierò sul Don, l’attività operativa da parte nostra e da parte nemica fu di assai rilievo.
I Russi effettuarono contro lo schieramento della divisione:
– un attacco il 6 ottobre 1942 contro le posizioni del battaglione “Borgo S. Dalmazzo”. Una compagnia di fanteria nemica, passato il Don su barche poco prima dell’alba, riuscì ad approdare di sorpresa sulla sponda destra del fiume e a serrare sotto i nostri caposaldi. Un violento e preciso fuoco di mortai leggeri e pesanti accompagnò l’azione della compagnia nell’avanzata sulla riva destra … Ciò nonostante i nostri caposaldi fermarono la compagnia nemica davanti ad essa e le impedirono d i progredire. Dopo circa due ore, i Russi ripiegarono sul fiume e fuggirono sulle loro barche. Una sola batteria da 75 era in grado di battere il fiume in quel punto e con scarsa efficacia (soprattutto per le difficoltà dell’osservazione del tiro): tutte le imbarcazioni nemiche riuscirono a riguadagnare 1a sponda sinistra.
– Il secondo attacco fu sferrato dai Russi nella piana del fiume Kalitwa contro lo schieramento del battaglione “Saluzzo”, la notte sul 24 dicembre 1942 . Attaccava un battaglione di fanteria. La reazione di fuoco della nostra difesa fu pronta e violenta e respinse il battaglione russo. Davanti ai reticolati furono rinvenuti 160 cadaveri di soldati russi .
– Altri due attacchi furono effettuati il giorno 17 gennaio da reparti di fanteria russi contro le posizioni dei battaglioni “Ceva” e “Mondovì” del 1° alpini, e del “Dronero” del 2° alpini, poco prima che questi battaglioni iniziassero il ripiegamento verso ovest. Gli attacchi, di assai scarsa consistenza, furono in breve trattenuti e respinti. I Russi furono invece molto attivi e intraprendenti nel condurre azioni di pattuglia. Quasi ogni notte pattuglie nemiche passavano sulla nostra sponda, si infiltravano negli intervalli dello schieramento e penetravano in profondità per accertare l’ubicazione e la consistenza dei nostri centri di fuoco e per fare prigionieri. Gli sbarramenti di mine contro uomini, messi in opera specialmente negli intervalli son battuti dal fuoco delle armi automatiche, col sopraggiungere della neve e del gelo erano stati praticamente resi inattivi.
Spesso le pattuglie russe che si scontravano con i nostri elementi di sorveglianza riuscivano a sfuggire o ad avere il sopravvento a causa della superiorità dell’armamento dei pattugliatori russi, tutti muniti di moschetto automatico, in confronto degli alpini armati del vecchio 91.
I reparti della divisione non effettuarono alcun attacco contro lo schieramento nemico. Alla metà di dicembre era stata studiata e predisposta un’azione di sorpresa contro reparti russi nella parte settentrionale del settore divisionale. L’azione doveva essere effettuata dal btg. “Pieve di Teco” (destinato al “Gruppo d’Intervento” del C.A. Alpino), ma la destinazione improvvisa del battaglione ad altro compito nel settore della divisione “Julia” aveva fatto cadere il progetto. In tutto il tempo in cui la divisione rimase sul Don, fu effettuata una sola azione di pattuglia oltre il fiume da parte del battaglione “Mondovì” (ten.Bracco); essa ebbe esito nullo. Azioni di appostamento davanti alle posizioni furono effettuate dal 1° alpini su alcuni isolotti cespugliosi che erano in mezzo al fiume poco più a sud di Karabut.
Fin dal mese di novembre il comando del gruppo armate “B” aveva ordinato d i svolgere un’intensa attività di pattuglia per stimolare nei reparti lo spirito aggressivo e per dare al nemico la sensazione di trovarsi davanti a truppe attive e coraggiose. Ma i fattori di ordine generale, operanti tacitamente nell’animo dei comandanti e di soldati (essenzialmente la sfiducia creata dalla manifesta inferiorità del nostro armamento individuale) e la necessità di evitare perdite non indispensabili (l’attività nemica nella zona vicina al fiume poteva essere seguita abbastanza agevolmente dalle nostre posizioni, che dominavano quelle avversarie), e lo stillicidio di disertori forniva sufficienti informazioni sul l’avversario che ci fronteggiava, fecero sì che, al momento del ripiegamento, 1’attività di pattuglia sulla sponda nemica non era stata ancora sviluppata.
L’attività dei partigiani nella zona della divisione, anche nelle più lontane retrovie, fu praticamente nulla. Deboli azioni di partigiani si ebbero soltanto nel momento in cui fu iniziata la ritirata contro i reparti di coda delle colonne della divisione.
L’ORGANIZZAZIONE DELLE RETROVIE
Nel mese di novembre del 1942 i germanici cedettero all’Armata italiana il compito di organizzare e di amministrare la zona compresa nel settore dell’Armata. In conseguenza di ciò presso ogni comando (da quello di Armata a quello di reggimento) fu costituito un apposito organo “zona territoriale” destinato ad organizzare (anche dal punto di vista della difesa contro unità partigiane) e ad amministrare i centri abitati delle retrovie compresi nei rispettivi settori di schieramento.
La “zona territoriale” della divisione era praticamente staccata dal comando della divisione stessa, dato che gli organi territoriali dipendevano direttamente dall’organo territoriale del comando superiore.
Questa organizzazione trasse però il personale necessario al suo funzionamento (carabinieri, squadre antiparacadutisti e antipartigiani, reparti per la difesa dei grossi centri abitati, sedi di comandi e di servizi) dalle divisioni.
La presenza delle popolazioni dei paesi rivieraschi, che si erano sistemate o intasando i centri abitati più arretrati rispetto al fronte o vivendo in bunker da loro costruiti nelle retrovie, non procurò alcun fastidi o alle nostre truppe. In mezzo alla popolazione civile funzionava certamente una rete di spionaggio e di propaganda ai nostri danni, ma in complesso la popolazione civile tenne verso le truppe italiane un contegno corretto ed abbastanza benevolo. Comandi e reparti aiutarono
sempre le popolazioni delle zone occupate nei limiti del possibile, specialmente nei riguardi dell’assistenza sanitaria.
I PRIGIONIERI DI GUERR A RUSSI
Durante la permanenza della “Cuneense” sulla linea del Don non furono catturati prigionieri di guerra. Alcuni disertori si presentarono alle nostre linee. Interrogati sommariamente presso l’ufficio informazioni del comando divisione, venivano subito inviati al comando del C.A. alpino.
La divisione rilevò dalla 294^ divisione germani a verso la fine di settembre del 1942 circa 600 prigionieri di guerra russi. I germanici facevano lavorare i prigionieri anche nelle linee avanzate . In complesso tali prigionieri erano in cattive condizioni di nutrizione e di vestiario (erano in gran parte scalzi). Il comando divisione chiese ed ottenne di poter inviare nei campi di raccolta delle retrovie circa la metà dei 600 prigionieri avuti dai tedeschi. I rimanenti furono ripartiti tra i reggimenti per i servizi di retrovia ed il battaglione genio per i lavori nella zona arretrata (sgombro neve).
Ai primi di novembre un ordine dell’Intendenza germanica stabiliva che ai prigionieri di guerra doveva essere distribuita una razione viveri ridotta rispetto al passato. Il comandante della divisione, nella considerazione che i pochi prigionieri rimasti lavoravano e rendevano sufficientemente, dispose che fosse loro mantenuta al completo la razione del soldato italiano; fece spogliare e vestire a nuovo una compagnia alpina per dare abiti e scarpe usate ai prigionieri che ne erano sprovvisti.
COMPORTAMENTO DEI MATERIALI NELL A PRIMA PARTE DEL L’INVERNO
L’equipaggiamento invernale fu prelevato dalla divisione nell’ultima decade del mese di novembre del 1942 presso l’Intendenza di Armata di Woroschilowgrad. Quantitativamente sufficiente, l’equipaggiamento risultò inadatto alle esigenze della vita e dell’impiego dei reparti nel pieno rigore dell’inverno russo.
L’Intendenza germanica, forte dell’esperienza dell’inverno precedente, aveva approntato e distribuito per tempo alle proprie truppe un equipaggiamento invernale adatto (specialmente per ciò che riguarda le calzature: i cosi detti burki, fatti sul tipo dei walenki russi), confezionati con materie prime di ottima qualità ed in modo assai accurato.
Le nostre divise e i nostri cappotti erano invece male confezionati con stoffe di qualità molto scadenti. Gli scarponi di cuoio, una volta bagnati, perdevano l’impermeabilità e diventavano duri come legno. La chiodatura pesante (i soldati italiani erano i soli ad usarla) serviva solo a permettere la formazione di una crosta di ghiaccio perenne sotto la suola e a mantenere il fondo della scarpa sempre ghiacciato. Le scarpe furono la causa di numerosissimi congelamenti che si ebbero non solo durante la ritirata ma anche durante la nostra permanenza sul Don. Le calze di lana, appena bagnate, si restringevano enormemente e in tal modo facilitavano i congelamenti.
Nel complesso il nostro equipaggiamento era ricco in quantità ma non adeguato come qualità, specialmente nei riguardi della calzatura che, ottima per l’estate, avrebbe dovuto essere sostituita, all’inizio del gelo con un tipo del tutto simile allo stivale di feltro russo (walenki).
Il vettovagliamento dei reparti al fronte ebbe gravi deficienze.
La razione viveri, di per se stessa sufficiente per vivere e lavorare in condizioni normali, venne praticamente a ridursi in conseguenza della mancanza quasi completa delle verdure e delle patate. I viveri di conforto (cioccolato, zucchero, caramelle vitaminiche, cognac) furono distribuiti troppo di rado e in quantità insufficienti. (Da tener presente che, data l’ampiezza della fronte, in una notte tutti gli uomini delle compagnie facevano il loro turno di vedetta o di pattuglia di sicurezza).
L’armamento
Con la venuta del gelo, tutte le armi ebbero i congegni essenziali esposti al congelamento. I reparti dovettero escogitare vari sistemi per riscaldare e disincagliare i congegni delle armi automatiche.
Nei cannoni si ebbe, oltre al bloccaggio degli otturatori, anche
il congelamento della miscela dei freni di rinculo. In dicembre furono fatti venire dall’Italia tecnici degli stabilimenti di artiglieria, i quali procedettero allo svuotamento della camera dei freni dalla miscela gelata e a riempirle con una nuova miscela dichiarata incongelabile. Anche questa non diede buoni risultati. Le cariche aggiuntive dei mortai e delle artiglierie andarono in gran parte rovinate o davano forti squilibri nel rendimento dell’esplosivo.
In complesso quindi il nostro armamento dimostrò di essere poco adatto all’impiego nelle condizioni dell’inverno russo.
I quadrupedi
I muli rappresentarono per la divisione un peso enorme e si dimostrarono, nelle condizioni di ambiente climatico, geografico ed operativo del fronte russo, di assai scarso rendimento. Le slitte trainate dai cavalli locali andavano dappertutto, anche nella neve alta. I muli erano incapaci a marciare fuori dalle piste battute. Sottoposti al freddo e alle privazioni, i muli deperivano rapidamente (i muli di razza sud-americana e di razza portoghese si dimostrarono molto più delicati dei nostri muli valligiani). Durante la permanenza alla fronte i reparti provvidero largamente se stessi di slitte, che, specialmente alla ritirata, si dimostrarono come l’unico mezzo di trasporto usabile sul terreno e con clima della Russia. (Prescindendo, naturalmente, dai mezzi cingolati dei quali la divisione era sprovvista).
La necessità di procurare un buon ricovero ai 4.000 e più muli della divisione, costrinse a disseminare il grosso delle salmerie nelle lontane retrovie del C.A. alpino (tra Rossosch – Mitrofanowka e Rowenki). Nel caso di uno spostamento della divisione, occorrevamo quattro giorni di tempo perché le salmerie si riunissero ai loro reparti al fronte. Al momento di iniziare il ripiegamento (ore 16 del 17 gennaio 1943) ben pochi furono i muli e i conducenti che si erano riuniti ai
1oro reparti sul Don. Molti distaccamenti di quadrupedi dislocati nelle retrovie nella zona di Rowenki, furono attaccati e semidistrutti da elementi corazzati russi penetrati in profondità dopo effettuato lo sfondamento nel settore del II C.A.
Gli automezzi
Durante l’estate e l’autunno la transitabilità delle strade della zona attraversate era molto ridotta a causa del pessimo fondo stradale (terreno di natura argillosa). Quando le strade erano bagnate, bisognava stare f ermi; quando erano asciutte, il fondo stradale era duro come l’asfalto, ma pieno di enormi buche. La velocità era molto ridotta e l’usura del personale e dei materiali era notevole. Il consumo e i carburanti era più elevato del normale .
Quando venne il gelo, pochissime erano le strade e le piste percorribili dagli automezzi (quelle che erano costantemente tenute aperte con gli spartineve). In tal modo l’impiego degli automezzi durante l’inverno fu assai limitato. Nella ritirata essi furono quasi tutti abbandonati nelle località di partenza o qualche chilometro più avanti.
Molto sentita la mancanza dei carburanti e specialmente della nafta. Prima di partire dall’Italia, la divisione ebbe in prevalenza autocarri a nafta, perché sembrava che l’Intendenza germanica disponesse più di nafta che di benzina. Giunti in Russia, si verificò esattamente il contrario. L’Intendenza germanica non dava più di tre litri di olio ogni 100 di carburante (il fabbisogno dei nostri automezzi era del 5%). Gli autocarri Fiat 626 ebbero in conseguenza del gelo la marmitta del cambio incrinata. Ingegneri della Fiat vennero in Russia per porre riparo all’inconveniente, ma furono sorpresi dalla ritirata. Nei mesi di dicembre e gennaio, dovendosi impiegare una decina di macchine, era necessario dare l’ordine di approntamento con 24 ore di anticipo sul servizio.
In complesso i nostri autocarri si dimostrarono poco adatti ad essere impiegati in Russia, non solo d’inverno ma anche d’estate. Del tutto inadatte le autovetture e gli autobus (carrozzerie troppo basse). (Occorrevano macchine a 4 ruote motrici).
L’OFFENSIVA RUSSA DEL DICEMBRE-GENNAIO – L’ACCERCHIAMENTO DEL CORPO
D’ARMATA ALPINO
L’undici dicembre del 1942 le truppe sovietiche sferrarono l’offensiva contro l’ala destra e il centro dell’8^ Armata italiana, dopo che nell’ultima decade di novembre avevano accerchiato le Armate germaniche e di Stalingrado e sbaragliato la 3^ Armata rumena, schierata tra la predetta Armata. e 1’8 Armata italiana.
Il 13 dicembre fu attaccata anche la divisione “Cosseria” schierata sulla destra della “Cuneense”.
Quasi tutto il fronte della “Cosseria” fu infranto il 16 dicembre. Il II battaglione dell’89° reggimento fanteria, che era a cotatto con il btg. “Saluzzo”, resistette dapprima strenuamente poi – separato dal resto della divisione che ripiegava verso oriente – fu costretto a cedere ed abbandonare anche l’abitato di Nowaja Kalitwa. La situazione che veniva a crearsi metteva in serio pericolo 1’estrema destra dello schieramento della “Cuneense” e – in particolare – le posizioni del btg. “Saluzzo” che potevano essere prese d’infilata. Per porre riparo a tale minaccia il comandante della “Cuneense” ordinò al comandante il 2°alpini di rinforzare con tutte le truppe disponibili il II btg dell’89° ftr., prendendo questo ultimo alle proprie dipendenze. Il 18 dicembre fu inviato sulla destra del Kalitwa il III btg. del 277° fanteria (Vicenza) (assegnato in quel giorno alla divisione “Cuneense”) e subito dopo – data la scarsa efficienza di tale battaglione – la 22^ cp. del btg. “Saluzzo”, ultimo reparto di riserva disponibile.
Detta compagnia contrattaccò il nemico con decisione, lo respinse oltre l’abitato di Nowaja- Kalitwa e ne frustrò tutti i successivi attacchi fino al giorno 22 in cui fu sostituita dai primi elementi del
btg. “Tolmezzo” della “Julia”.
Nella notte sul 24 dicembre il nemico sferrò un attacco in forze nel settore del btg. “Saluzzo” (piana del Kalitwa). Fu nettamente respinto e lasciò sul terreno 160 morti.
La rottura del fronte tenuto dalla “Ravenna” e dalla “Cosseria” aveva creato un grande vuoto, attraverso il quale il nemico poteva lanciare in ogni momento ingenti forze, penetrare in profondità ed accerchiare tutto il C.A. alpino. Nei giorni 16 e 17 dicembre il comando del Gruppo di Armate “B” aveva – molto probabilmente – dovuto risolvere il problema: impiegare nuove divisioni per ricostruire, con una potente controffensiva, la fronte sul Don oppure fare arretrare
subito tutto lo schieramento del C.A. alpino per sottrarlo alla minaccia di aggiramento da sud.
Non potendo attuare la prima soluzione per mancanza di forze e non volendo forse attuare la seconda per ragioni strategiche (mantenere il fianco difensivo per le Armate germaniche accerchiate a Stalingrado) e politiche (non indebolire il morale del popolo germanico), cercò di tamponare alla meglio la falla, buttandovi unità germaniche quasi esaurite e spostando la divisione “Julia” dal settore centrale del C.A. alpino al settore a sud del F. Kalitwa.
Al posto della “Julia”, tra la “Tridentina” e la “Cuneense” fu posta la divisione “Vicenza”. Questa divisione, costituita per compiti territoriali (mancava completamente il reggimento di artiglieria), aveva scarsa capacità combattiva. Alcuni dei suoi battaglioni erano stati ceduti alle divisioni alpine e alla difesa del centro di Rossosch. Per queste ed altre ragioni il comando del C. A. alpino non poté affidare ai due reggimenti della “Vicenza” la responsabilità della difesa nel tratto di fronte che veniva lasciato dalla “Julia”.
Furono invece costituiti alle dipendenze del comando della “Vicenza” due “settori difensivi”, composti da un battaglione alpini e da un battaglione di fanteria ciascuno e rinforzati da due batterie da montagna e da un gruppo di artiglieria a cavallo. La “Cuneense” cedette alla “Vicenza” il btg. “Pieve di Teco” e una batteria da 75/13 e dovette allargare verso nord il suo settore, comprendendovi un tratto fino allora tenuto da un battaglione dell’8° reggimento alpini della
“Julia”. Il fronte difensivo della divisione raggiunse così i 40 km. di sviluppo. Il III battaglione del 227° fanteria ritirato dalla zona della “Cosseria”, fu dislocato nella zona di Topilo, al centro del
settore divisionale, come riserva. Reparti di artiglieria controcarro tedeschi, che in primo tempo furono assegnati alla divisione, furono trasferiti il giorno successivo nel settore della “Cosseria”. Nel settore della divisione restò un gruppo tedesco di due batterie da 150 per compiere azioni d’interdizione lontana specialmente contro la stazione ferroviaria d i Kalasch , in cui giungevano numerosi convogli nemici.
Le notizie sulla situazione generale, di cui i comandi di divisione nulla in via ufficiale sapevano, erano via via conosciute per il tramite dell’ufficiale germanico di collegamento presso il comando di divisione il quale possedeva una propria stazione R.T. in grado di captare i radiogrammi emessi dalle stazioni delle varie unità germaniche operanti nella zona. Si venne così a sapere dell’accerchiamento delle Armate tedesche a Stalingrado, del crollo della 3^ Armata rumena, del ripiegamento dell’ala destra e del centro dell’8^ Armata italiana e dell’offensiva in corso contro la 2^ Armata ungherese, schierata a nord del C.A. alpino. La minaccia di accerchiamento del C.A. alpino era molto grave. In quei giorni (10 gennaio 1943) il comando d’Armata italiana diramò una circolare del comando Gruppo di Armate “B”, nella quale era detto che il C.A. alpino e l’Armata ungherese dovevano mantenere la linea del Don sino all’ultimo uomo e all’ultima cartuccia. Nessun arretramento del fronte poteva essere fatto, neppure dai battaglioni, senza l’ordine del comando del Gruppo di Armate. Responsabili personalmente, i comandanti di divisione.
Questa direttiva, ne stabilì un compito chiaro da assolvere (mantenere a tutti i costi la linea del Don), non riuscì però a togliere la preoccupazione di vedersi quanto prima attaccati, oltre che sulla fronte, anche alle spalle e perciò di dover combattere in una situazione in netta inferiorità rispetto all’avversario. I reparti dovettero rafforzare e migliorare le misure già prese per fare fronte alla possibilità di un attacco contemporaneo sul fronte e alle spalle. Verso le ore 12 del 14 gennaio 1943 il comando del C.A. alpino telefonò al comando divisione, avvertendolo che probabilmente la divisione avrebbe dovuto spostarsi in altra zona. In attesa dell’ordine scritto, la divisione avrebbe dovuto prepararsi a muovere.
Il comandante della divisione dette le disposizioni a tutti i comandanti sottoposti (che già in precedenza aveva studiato il caso di dove spostare i loro reparti in altre parti della fronte).
Il giorno 15 gennaio verso le ore 11, un ufficiale del comando del C.A. alpino consegnò al comandante della divisione l’ordine scritto per il ripiegamento.
Intanto, proprio in quella mattina, colonne corazzate russe, rotto il fronte del XXIV C.A. germanico (schierato a sud della “Julia”) erano penetrate in profondità ed avevano raggiunto ed occupato la città di Rossosch (sede del comando del C.A. alpino). Il comando del C.A alpino era stato costretto a trasferirsi ad Opit. nelle retrovie della “Tridentina” (estremo nord del settore del C.A. alpino).
L’ORDINE DI RIP IEGAMENTO DEL C.A. ALP IN O
Nelle sue linee essenziali, ecco il contenuto dell’ordine di ripiegamento del comando del C.A ., in data 15 gennaio 1943:
– avvenimenti sfavorevoli in altre parti del fronte costringono ad arretrare il C.A., per impedirne l’accerchiamento ;
– il C.A. sarebbe stato così costituito (da nord a sud): divisioni “‘Tridentina”, “Vicenza”, “Cuneense”, “Julia”, XXIV C.A. corazzato germanico – truppe e servizi dislocati nella zona di Rossosch.
– Scopo del ripiegamento era quello di raggiungere al più presto e con la maggiore efficienza possibile, l’allineamento: Waluiki – Rowenki in corrispondenza del quale il C.A. alpino avrebbe dovuto schierarsi a difesa fronte a nord-est, saldando le proprie ali nei due grandi pilastri difensivi di Waluiki e di Rowenki con grandi unità germaniche in corso di schieramento in tale zona.
– Obbiettivi del ripiegamento: divisione “Tridentina”, e “Vicenza” – Waluiki; divisione “Cuneense”: Nowo Alexandrowka (all’incirca a metà distanza fra Waluiki e Rowenki); divisione “Julia” e XXIV corazzato germanico: Rowenki.
– Direzioni di ripiegamento: fino all’allineamento segnato dalla ferrovia Rossosch-Jewdakowo, le divisioni dovevano mantenere all’incirca la fronte sino allora occupata sul Don. Poscia il ripiegamento avrebbe dovuto avvenire secondo tre direzioni principali:
– a nord: “Tridentina” e “Vicenza: Podgornoje – Opit – Nowocharkowoa – Warwarowka – Waluiki;
– al centro: divisione “Cuneense”: Popowka – Olikowatka – Losno – Alexandrovna – Novo – Alexandrowka;
– a sud: divisione “Jul ia” e XXIV Corpo corazzato tedesco: Rossosch – Lisinowka – Rowenk i.
– Linee di attestamento: il ripiegamento sarebbe stato coordinato e diretto dal comando del C.A. alpino, che avrebbe marciato con la divisione “Tridentina” (direzione nord di ripiegamento). Per coordinare il ripiegamento erano state fissate le seguenti linee di attestamento:
1 ) – La linea ferroviaria Rossosch-Jewdakowo, tra Rossosch e Podgornoje. Questa linea avrebbe dovuto essere raggiunta il mattino del 18 gennaio (prime ore del giorno). Prime a raggiungerla dovevano essere le artiglierie di C.A. per organizzarvi una ossatura di fuoco a protezione delle
colonne in ripiegamento ;
2 ) – Il solco del F.Kalitwa tra Warwarowka (“Tridentina”) e Rossosch (“Julia ) e XXIV Corpo corazzato germanico. Per raggiungere questa linea era necessario operare una conversione del fronte di ripiegamento da ovest a sud-ovest. L’ala marciante era rappresentata dalla “Tridentina”.
Inizio del ripiegamento: il movimento dei reparti avanzati non doveva avvenire prima delle ore 16 del giorno 17 gennaio 1943.
L’ordine di operazioni del comando del C.A. alpino era stato compilato nella notte sul 15 gennaio, cioè prima che le colonne corazzate russe raggiungessero ed occupassero Rossosch e due giorni prima che i Russi conquistassero anche i due pilastri della futura linea difensiva: Waluiki e Rowenki. Praticamente, la situazione che era servita di base per la compilazione dell’ordine di ripiegamento era radicalmente cambiata ancora prima che il ripiegamento avesse inizio.
Per fare fronte a questo improvviso ed essenziale cambiamento della situazione, sarebbe stato necessario uno stretto e costante collegamento tra le divisioni che dovevano ripiegare e il comando del C.A. alpino, e tra questo e i comandi superiori. Il collegamento tra il comando del C.A. alpino e la divisione “Cuneense” cessò di fatto la mattina del 15 gennaio e non fu più ristabilito (eccezione fatta per una brevissima ripresa di contatto a mezzo radio il mattino del 20 gennaio).
Ignari della situazione esistente nelle retrovie, il comando della “Cuneense” e quello della “Julia” avrebbero dovuto attuare la prima fase del ripiegamento in base ad un ordine di ripiegamento che non rispondeva più alla situazione creatasi subito dopo la compilazione dell’ordine stesso.
In particolare, l’attuazione dell’ordine di ripiegamento avrebbe richiesto questo:
– Per quanto riguardava la “Julia” e il XXIV Corpo corazzato tedesco (entrambe queste G.U. avevano perduto, in un mese di combattimenti. gran parte della loro capacità offensiva), la riconquista del grande centro abitato di Rossosch…………. (conquistato dai Russi fin dal 15 gennaio) e, in
seguito, la riconquista del grande centro abitato di Rowenki (occupato dai Russi il 17 gennaio).
– Per quanto riguardava la “Cuneense”, la riconquista del grande centro abitato di Oljchowatka (conquistato dai Russi il 16 gennaio) e riconquista del centro abitato di Nowa-Alexandrowka (obbiettivo di ripiegamento), anch’esso occupato dai Russi il 17 gennaio. Circa il raggiungimento della 1^ linea di attestamento per le prime ore della mattina del 18 gennaio, alcuni reparti della divisione avrebbero dovuto compiere – nel corso della notte – extra eventuali combattimenti – una marcia di circa 70 km .-!
Il mattino del 16 gennaio il comando del C.A. alpino dette ordine al XXX btg. guastatori del genio e al I btg. complementi della “Cuneense” di raggiungere Rossosch – già occupata dai Russi il giorno precedente – per rinforzare la difesa di quel centro, già in gran parte travolta. I due reparti giunsero a Rossosch quando già le colonne di fanteria e di artiglieria motorizzate russe, provenienti dal sud, avevano sbaragliato gli ultimi avanzi della difesa della città e avevano preso possesso di quasi tutta la città. Costretti da un attacco di sorpresa al combattimento di strada
contro truppe corazzate senza averne i mezzi adatti, furono quasi completamente distrutti .
IL RIPIEGAMENTO DELLA DIVISIONE (17-28 gennaio 1943)
L’ordine della divisione –
Alla sera del 15 gennaio il comando della divisione diramò (a conferma del preavviso del giorno precedente) l’ordine scritto di ripiegamento ai reparti dipendenti. In tale ordine, indicati gli elementi di base contenuti nell’ordine del comando del C.A., era stabilito che nelle prime ore del pomeriggio del giorno 17 gennaio i reparti dovevano iniziare il ripiegamento verso ovest. La rottura del contatto da parte degli elementi più avanti doveva avvenire non prima delle ore 16 (dopo il tramonto).
I due reggimenti alpini, con i reparti di rinforzo schierati nei loro settori avrebbero dovuto ripiegare verso ovest, formando due colonne:
– a nord – 1°alpini ed elementi di rinforzo per l’itinerario: Kresciatik – Archangelskoje – abitato a 5 km. a nord di Cjapajewa – Popowka;
– a sud – 2°alpini ed elementi di rinforzo per l’itinerario: Lotschina – Topilo – Solonzi – Annowka – Cjapajewa – Popowka; il III I btg. del 277° fanteria, doveva trasferirsi il mattino del giorno 16 gennaio a Cjapajewa e Schierarvisi a difesa contro eventuali minacce provenienti da Rossosch.
Tutti gli automezzi in grado di partire dovevano essere avviati a Popowka il mattino del 17 gennaio (per l’itinerario: Annowka – Cjapajewa – Popowka).
Tutti i depositi di viveri, indumenti e materiali vari dovevano esser dati alle fiamme da parte di elementi che dovevano ripiegare con le retroguardie.
Il comando di divisione avrebbe marciato fino a Popowka con la colonna sud
La giornata del 16 gennaio –
Nessun attacco da parte del nemico né sul Don né dalla zona di Rossosch .
Il 201° autoreparto divisionale comunicò verso le ore 10 per telefono che doveva abbandonare quasi tutti gli automezzi, che non si era riusciti a mettere in moto fino ad allora, perché reparti di fanteria russa stavano attaccando la località ove erano gli automezzi.
Ufficiali dei reparti salmerie dislocati nella zona a sud e a ovest di Rossosch, raggiunto il comando della divisione nel pomeriggio del 16 gennaio riferirono che alle ore 11 tutti i reparti rimasti alla difesa di Rossosch erano stati travolti.
Verso le ore 11 il comandante il C.A. alpino telefonò personalmente al comandante della divisione ripetendogli e confermandogli il contenuto della circolare già citata dal Comando del Gruppo di Armate “B” diramata il giorno 10 (proibizione di abbandonare la linea del Don).
In seguito ad una ricognizione effettuata nelle prime ore del pomeriggio del 16 da un ufficiale dello S.M. della divisione a Rossosch, fu accertato che ormai non esistevano reparti organici nella periferia della città. I resti della difesa di Rossosch, gli elementi addetti al centro logistico di Rossosch erano in ripiegamento disordinato sulle strade di Rossosch – Popowka e Rossosch – Semeiki. Colonne di carreggi e di automezzi tedesche si sforzavano di superare i punti intassati delle due strade predette. Il frammischiamento e il disordine sulle due strade erano enormi.
Verso le ore 18 del 16 gennaio giunse al comando della divisione il comando del XXIV Corpo corazzato tedesco con alcuni mezzi corazzati (7 fra carri armati e semoventi). Il comandante del Corpo corazzato riferì al comandante della divisione che la “Julia” e le truppe tedesche da lui dipendenti avrebbero abbandonato la direzione di ripiegamento assegnata loro dal C.A. alpino, in quanto non erano in grado di attaccare il centro di Rossosch per aprirvi la strada verso Rowenki. Il comando del XXIV Corpo avrebbe raggiunto la sera stessa il comando del C.A. alpino ad Opit per metterlo al corrente della situazione e della decisione presa. In effetti il comando del XXIV Corpo rimase per tutto il periodo della ritirata presso il comando del C.A. con i 7 mezzi corazzati rimastigli. Le sue divisioni 385^’ e 387″^, ridotte praticamente a due interminabili colonne di slitte e di carreggi, si unirono in parte alla “Julia” e in parte alla “Cuneense”. In effetto nella notte tra il 16 e il 17 gennaio molti elementi del XXIV C.A. tedesco e tutta la divisione “Julia”; provenienti da Ternowka, sfilarono da Annowka (sede del comando della “Cuneense”) diretti a Popowka e Podgornoje.
LA PRIMA FASE DEL RIPIEGAMENTO (17-20 gennaio)
Dal Don a Popowka –
Alle ore 11 del 17 il comandante del C.A. alpino telefona personalmente al comandante la divisione l’ordine di iniziare il ripiegamento, secondo gli ordini già impartiti, alle ore 17 del giorno stesso, Le obiezioni mosse dal comandante della divisione circa i sostanziali mutamenti avvenuti nella situazione posta a base dell’ordine – non ultimo lo sfilamento della divisione “Julia” diretta a Popowka – non ottennero alcun risultato.
All’imbrunire del 17 gennaio (verso le ore 17), i reparti della divisione iniziarono il ripiegamento verso ovest. Il distacco dalla linea del Don dei reparti avanzati fu disturbato in qualche parte da deboli attacchi nemici (sul fronte dei btg. “Ceva”, Mondovì” e “Dronero”).
Durante la formazione degli scaglioni e a marcia iniziata, i reparti furono seriamente disturbati nelle immediate retrovie del fronte delle artiglierie motorizzate di C.A. che da alcune ore tentavano di avviarsi verso ovest con i loro pezzi. Dopo estenuante lavoro furono costrette a fare saltare i cannoni e ad abbandonare i trattori. Altrettanto dovettero fare le due batterie tedesche da 150, che erano pure provviste di trattori cingolati.
Colonne di slitte tedesche provenienti dalla valle del Kalitwa si mischiarono agli itinerari assegnati alle due colonne della divisione.
Durante la notte i reparti di retroguardia delle due colonne (btg. “Mondovì” per il 1° alpini e btg. “Saluzzo” per il 2° alpini) furono attaccati più volte da nuclei di partigiani nell’attraversamento di alcuni villaggi.
Al mattino del 18 gennaio quasi tutti i reparti erano in forte ritardo rispetto al previsto e molto affaticati. La temperatura nella notte era scesa al disotto dei 30° sotto zero.
In particolare il btg. “Saluzzo” – retroguardia della colonna costituita dal 2° alpini – sfilò da Annowka all’alba del 18. Solo allora il comando divisione lasciò la propria sede e si unì a tale battaglione. La 22a cp. di esso, estrema retroguardia, sostenne un cruento combattimento con avanguardie nemiche e partigiani nel momento di abbandonare l’abitato di Annowka stessa.
Risultò chiara l’impossibilità di raggiungere la linea di attestamento fissata dal C.A., senza dare un po’ di riposo ai reparti (anche per eliminare i frammischiamenti con quelli di artiglieria e con i reparti germanici).
Verso mezzogiorno i reparti di retroguardia raggiunsero la zona di Cjapajewa. Le colonne si erano fermate per la sosta negli abitati posti a cavallo della strada Rossosch-Semeiki.
Alle ore 18, dopo aver cercato invano di prendere collegamento radio con il comando del C.A. alpino e della divisione di desta (“Vicenza”) le due colonne della divisione ripresero la marcia verso Popowka. La colonna del 1° alpini vi giunse verso le ore 6 del 19 gennaio. Quella del 2° alpini, col comando della divisione, vi giunse, con la testa, verso le ore 8. Il III btg. Del 277° fanteria, che era stato avviato a Popowka il mattino del giorno 18, vi era giunto la sera stessa. Lungo la marcia sporadiche azioni di partigiani contro i fianchi delle colonne.
L’abitato di Popowka (30 km. a nord di Rossosch) era zeppo di truppe italiane e tedesche. La sera del 18 vi erano giunte la divisione “Julia” e la 385° divisione tedesca. Ad esse si erano uniti numerosissimi gruppi di sbandati provenienti da Rossosch. I reparti della divisione “Cuneense” dovettero sostare all’aperto.
Alle ore 10 del giorno 19, in una casa di Popowka, il comandante la divisione si incontrò con un generale germanico comandante di un gruppo di combattimento denominato “Rheingold”. I due comandanti stabilirono di dover abbandonare le direzioni di ripiegamento assegnate alle divisioni dal comando del C.A. alpino e di puntare sull’abitato di Waluiki, l’occupazione del quale da parte dei russi non era ancora nota (il generale germanico assicurava di aver notizie che esso era tuttora occupato da truppe germaniche), evitando la strada Rossosch-Olikowatka-Waluiki, che risultava invece in possesso dei russi, e seguendo l’itinerario: Popowka-Kulashewka-Sheliakino (o Warwarowka)-Waluiki. Tutti gli automezzi che erano riusciti a raggiungere Popowka e tutti i carreggi delle divisioni tedesche dovevano essere abbandonati perché le piste percorribili erano controllate dagli elementi corazzati russi. Tutte le slitte dovevano marciare coi rispettivi scaglioni.
Durante la sosta le radio del comando divisione cercarono inutilmente di stabilire il collegamento con il comando del C.A. alpino e con i comandi della divisione “Vicenza” e “Tridentina. Nel pomeriggio del 19 un ufficiale dello S.M. raggiunse con un’autovettura Podgornoje e cercò di giungere ad Opit per trovare il comando del C.A.. Trovò la strada intasata e non poté oltrepassare Podgornoje. Riuscì però a sapere che la “Tridentina” aveva combattuto la mattina ad Opit e che era riuscita a passare e a proseguire verso Ovest. Colonne di slitte e sbandati, fuori strada, annaspavano nella neve per cercare di raggiungere la divisione “Tridentina” e il comando del C.A.- Durante la giornata a Popowka si ebbe qualche azione di disturbo da parte di partigiani.
Da Popowka a Nowo-Postojali (1) –
Alle ore 15 del 19 gennaio la “Cuneense” riprese la marcia verso est, suddividendosi in due scaglioni: il primo, formato dal 1° alpini e il secondo dal 2° alpini. Il comando della divisione si avviò col primo scaglione. A protezione dell’incolonnamento e dell’avviamento dei reparti sull’itinerario fissato fu posto il III btg. del 277° fanteria che doveva schierarsi fronte a sud e sud-est.
Prima della partenza si cercò di raccogliere e di inquadrare tutti gli sbandati che si trovavano a Popowka, per impedire loro di frammischiarsi negli scaglioni e portarvi disordine e intralcio. I reparti di formazione che ne risultarono furono avviati sul l’itinerario fra il primo e il secondo scaglione.
Verso le 19 reparti di fanteria russi (in tuta bianca e scambiati per tedeschi), sopraffatto il III btg. del 277° ftr., attaccarono il secondo scaglione della divisione mentre stava partendo da Popowka. Alcuni reparti, colti di sorpresa, furono scompaginati. Una compagnia del btg. “Borgo S. Dalmazzo” (la 14a) e una batteria del gruppo “Val Po” (la 72a) andarono pressocché perdute. La 21a cp., del btg. “Saluzzo” combatté eroicamente e permise alla colonna di sganciarsi e proseguire il ripiegamento verso Nowo-Postojali1.
(1) Nowo-Postojali é un villaggio – non segnato sulla carta l : 300,00C che trovasi sulla strada Rossosch-Ostrogolsk a circa metà percorso tra Rossosch e Postojal.
Verso le ore 24 del 19 gennaio il primo scaglione della divisione raggiunse la dorsale di Nowo-Postojali, presso Nowo-Postojali. A ridosso dell’ abitato erano fermi reparti della “Julia” (8° reggimento). Il secondo scaglione si fermò ai piedi della dorsale: presso il Kolkos Kopanki.
I combattimenti del 20 gennaio 1943 a Nowo-Postojali –
All’ imbrunire del 19 gennaio, i reparti della “Julia”, mentre tentavano di superare la dorsale presso Nowo-Postojali, avevano urtato contro lo schieramento nemico organizzato sulla sommità della dorsale stessa. I reparti della ‘Julia” avevano cercato di superare di forza lo schieramento avversario ma, dopo un successo iniziale, erano stati ricacciati indietro.
Il comandante del primo scaglione della “Cuneense” (col. Manfredi), giunto a contatto con i reparti dell’8° alpini, fu dal comandante di questo messo al corrente della situazione. Il comandante dell’8° alpini (col. Cimolino) espresse la convinzione che, attaccando prima dell’alba con un battaglione in piena efficienza, la difesa dell’abitato sarebbe stata sopraffatta. Il comandante del 1° alpini predispose allora l’attacco del centro abitato con il btg. “Ceva” (ten. col. Avenanti). Attaccando di notte e contro uno schieramento non conosciuto, il battaglione non poté fare assegnamento sull’appoggio dell’ artiglieria,
Alle ore 3,30 il btg. “Ceva” mosse verso l’abitato, cercando di arrivare addosso alla difesa di sorpresa. La reazione della difesa, fatta a brevissima distanza, fu violentissima e investì in pieno le compagnie del battaglione proprio mentre queste stavano per raggiungere il margine dell’abitato da più parti.
Le perdite del battaglione furono gravi ed esso dovette ripiegare sulle posizioni di partenza. Il comandante del 1° alpini decise allora di ritentare 1’attacco alle prime luci dell’alba facendo intervenire il gruppo “Mondovì” da 75/13.
Ma, poco tempo prima di iniziare il secondo attacco, i russi scatenarono un robusto fuoco di artiglieria e di mortai sul btg. “Ceva” e sul gruppo “Mondovì”. Dopo una prima azione di fuoco il nemico effettuò un contrattacco appoggiato da alcuni carri armati. Il “Ceva” ed altri reparti del 1° alpini, nonostante le gravissime perdite, tennero duro e costrinsero il nemico a ripiegare sul paese. I carri armati, pressochè indisturbati dal fuoco dei nostri pezzi da 47 e dai colpi E.P. dei pezzi del “Mondovì”, travolsero uomini, mitragliatrici, cannoni da 47 ed anche i pezzi del gruppo “Mondovì” i cui tre comandanti di batteria morirono eroicamente sui pezzi. Due carri armati rimasero sul terreno immobilizzati. Gli altri ripiegarono su Nowo Postojali.
Il comandante di reggimento e i comandanti di battaglione della divisione “Julia” proposero al loro comandante di divisione e al comandante della “Cuneense”, generale Battisti, di negoziare la resa col nemico. Il gen. Battisti che, come comandante di divisione più anziano, avrebbe dovuto decidere per tutti, non ritenne di accogliere la proposta, prima che fossero stati effettuati tutti i tentativi possibili di rompere o di aggirare lo schieramento nemico e prima che tali tentativi si fossero dimostrati vani.
Verso le 8 del 20 gennaio, la radio della “Cuneense” riuscì a mettersi in collegamento con una radio del comando del C.A. alpino. Il generale Battisti riferì al comando superiore sulla situazione e fece presente la difficoltà di superare lo schieramento nemico senza l’aiuto di cannoni semoventi o di carri armati. II comando del C.A. e (era al microfono della radio il magg. Tessitore dello S.M. del C.A.) comunicò che anche 1a divisione “Tridentina” era duramente impegnata contro lo sbarramento nemico di Postojali (circa 20 km. più a nord del villaggio di Nowo-Postojali) Qualora l’attacco della “Tridentina” fosse riuscito, il comando del C.A. avrebbe inviato in aiuto alla “Cuneense” i 7 carri e cannoni semoventi rimasti al XXIV Corpo corazzato germanico.
Verso le ore 9,30 il collegamento radio si interruppe senza preavviso. Non fu più ristabilito per tutta la durata del ripiegamento.
La divisione attese per alcune ore che giungessero i mezzi corazza promessi dal C.A., ma questi non giunsero. Ciò fece pensare che la “Tridentina” fosse stata fermata e che dovesse tentare un nuovo attacco, trattenendo perciò i 7 carri e semoventi.
Partendo da questa supposizione e considerato che prima dell’imbrunire i russi avrebbero potuto effettuare un attacco in forze per sbaragliare le truppe raccolte tra Nowo-Postojali e Kolkos Kopanki, il comandante della “Cuneense” decise di superare la dorsale di Nowo-Postojali più a nord del centro abitato. Verso le ore 14 egli ordinò al comandante del 2° alpini di inviare due battaglioni verso due piccoli villaggi, situati alcuni chilometri più a nord di Nowo-Postojali. I battaglioni “Borgo S. Dalmazzo” e “Saluzzo”, dopo una breve ma faticosa marcia nella neve alta, riuscirono a portarsi indisturbati sulla dorsale e cercarono di attraversarla tra i due piccoli villaggi predetti. Sembrava che stessero per passare oltre quando furono violentemente investiti sui fianchi da reparti russi che erano appostati nei due abitati. Ebbero fortissime perdite, ma riuscirono ad aggrapparsi al margine dei due villaggi. Contrattaccati poi da rilevanti forze di fanteria e da alcuni carri armati e sottoposti ad un preciso e violento fuoco di mortai, i due battaglioni furono quasi completamente distrutti.
Tornarono dall’azione solo i comandanti di battaglione, alcuni ufficiali e una sessantina di uomini per battaglione. Tutti gli altri rimasero sul terreno o feriti a morte (oltre 1.500 uomini).
Constatato che lo sbarramento nemico della dorsale era insuperabile senza il concorso di cannoni anticarro e carri armati, il comandante della divisione “Cuneense” decise di tentare l’ultima possibilità che ancora restava per salvare i resti delle due divisioni. Tale possibilità si fondava sulla speranza che la “Tridentina” fosse riuscita a superare Postojali (dopo le 10 non si era più sentito tuonare il cannone in quella direzione) e a proseguire verso ovest. Si trattava perciò, approfittando delle tenebre, di rompere il contatto e di sfuggire verso nord per portarsi sull’itinerario della “Tridentina” e ricongiungersi con essa. Quasi tutti i resti della divisione “Julia” con i loro comandi di reggimento e di battaglione si arresero ai russi. Il comandante della “Julia”, il Capo di S.M., il comandante dell’artiglieria con piccole aliquote dei vari reparti della divisione stessa preferirono unirsi alla “Cuneense” e seguirne le sorti.
All’imbrunire del giorno 20 gennaio, mentre reparti della divisione stavano lasciando le posizioni di Nowo-Postojali, reparti di fanteria russi sferrarono un nuovo attacco contro i resti del 1° alpini. Il battaglione “Mondovì”, incaricato di proteggere il ripiegamento da Nowo-Postojali e di proteggere, successivamente, il fianco della colonna mentre questa si dirigeva verso nord, fu seriamente impegnato da più parti e costretto al combattimento. Per assolvere il suo compito, il battaglione “Mondovì” dovette sacrificare gran parte dei suoi uomini (il comandante del battaglione, magg. Trovato, morì nell’azione) .Nello stesso tempo, reparti russi provenienti da Popowka stavano attaccando alle spalle resti del 2° alpini, mentre questi cercavano di allontanarsi da Kolkos Kopanki. Approfittando delle tenebre e mascherando il ripiegamento con l’azione di una compagnia del “Dronero”, le truppe di Kolkos Kopanki riuscirono a sottrarsi all’attacco nemico e ad avviarsi verso nord.
In definitiva, in meno di 24 ore (tra le 22 del 19 e le 18 del 20 gennaio), la divisione “Cuneense” aveva complessivamente perduto, a Popowka e a Nowo-Postojali: quattro battaglioni alpini, un battaglione di fanteria, un gruppo di artiglieria da 75/13, una batteria da 105/11 e cioé i 5/6 della sua fanteria e più di metà della sua artiglieria. Alla divisione restavano ancora: il battaglione “Dronero” e il gruppo “Pinerolo” da 75/13, non ancora impegnati in combattimento, il battaglione genio e i resti dei battaglioni perduti,
Si ricordi che il btg. “Pieve di Teco” del 1° alpini era stato ceduto alla divisione “Vicenza”.
Al momento in cui la divisione riprese la marcia verso nord, non contava più di 7.000 uomini (5.000 propri e 2.000 dei reparti e servizi di corpo d’armata). Ad essa si unirono un migliaio di uomini della divisione “Julia”, con il generale Ricagno, il col. Molinari e il col. Moro.
LA SECONDA FASE DEL RIPIEGAMENTO
Da Nowo-Postojali a Nowo-Charkowka –
Lasciata la zona di Nowo-Postojali-Kolkos Kopanki, i resti della “Cuneense”, formando due colonne, si avviarono verso nord-ovest. Il comandante della divisione intendeva di portarsi al più presto sull’itinerario seguito dalla “Tridentina” e, a marce forzate, raggiungerla e fare blocco con essa.
Si marciò ininterrottamente tutta la notte sul 21 gennaio e tutto il giorno 21 fino alle ore 20. Verso le ore 15 del 21 la divisione raggiunse il centro abitato di Postojali, dove il mattino del giorno precedente aveva combattuto la “Tridentina” e dove qualche ora prima aerei nemici avevano bombardato a lungo truppe in sosta nell’abitato. Le truppe della “Cuneense” raggiunsero il paese, stremate dal freddo e dalla fatica. Il comandante della divisione ritenne però opportuno di non fermarsi a Postojali per timore che il nemico vi effettuasse nuove azioni con carri armati e bombardamenti aerei. Dette perciò l’ordine di proseguire verso ovest, con 1’intenzione di fare tappa in qualche località più sicura. Alle ore 20 la testa delle due colonne della divisione raggiunse l’abitato di Alexandrowka (1), dove si trovava ancora un piccolo presidio germanico. La coda delle due colonne raggiunse l’abitato dopo la mezzanotte.
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(1) – Non segnato sulla carta. Trovasi ad ovest di Postojali.
Il comandante della divisione intendeva riprendere la marcia verso est nel tardo mattino del giorno 22 gennaio per fare riposare le truppe specialmente per riorganizzare un po’ i reparti. La frequente comparsa di aerei nemici imponeva che, almeno, l’arrivo alle tappe avvenisse di notte. All’alba del 22 gennaio, il comandante della divisione, preoccupato di raggiungere al più presto la “Tridentina”, chiese ai comandanti di reggimento se ritenevano possibile di riprendere subito la marcia. I comandanti di reggimento, malgrado lo sfinimento degli uomini, molti dei quali erano feriti e congelati, accettarono di ripartire subito.
I resti del 1° alpini ripresero la marcia verso le 7,30; il resto della divisione partì alle ore 9,30 alla volta di Nowo-Charchowka.
L’adunata e l’incolonnamento dei reparti furono particolarmente faticosi. Azioni di partigiani indussero però gli sbandati ad abbandonare le case e a riprendere la marcia.
La sera del 22 gennaio i due scaglioni della divisione scesero nella valle del fiume Oljkowatka e raggiunsero l’abitato di Nowo-Charkowka (1). Qui la “Cuneense” raggiunse la coda della divisione “Vicenza”, giuntavi nella mattina. Nessuna notizia importante sulla situazione generale, su quella della “Tridentina” e del comando di C.A. alpino si poté apprendere dalla “Vicenza”. Durante la notte sul 23 gennaio la “Vicenza” ripartì per Krawzowka, alla volta di Sheliakino.
La notte sul 23 gennaio passò tranquilla, nonostante la vicinanza villaggio di Nowo-Charkowka da Oljkowatka, occupata dai russi.
Da Nowo-Charkowka a Nowo-Dimitriewka e Rebalzin –
All’alba del 23 gennaio i resti della divisione ripresero la marcia verso Sheliakino, passando per Krawzowka. Durante la marcia una lunga colonna di slitte tedesche si unì e si frammischiò ai reparti della divisione. Verso le 14 carri armati russi piombarono all’improvviso sulla
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(l ) – Non segnato sulla carta, trovasi a nord-ovest di Charkowskaia.
testa della colonna e scompaginarono lo scaglione di testa. Molte perdite ebbe un reparto salmerie che si era fermato nella piazzetta del villaggio. Un mortaio tedesco con un colpo fortunato riuscì a immobilizzare uno dei carri armati. Gli altri due carri si ritirarono verso Krawzowka. Durante la marcia di Nowo-Charkowka a Krawzowka si ebbero numerosi feriti per lo scoppio di bombe a mano italiane abbandonate nella neve (qualche reparto italiano che era passato per quella strada aveva lanciato bombe, che erano affondate nella neve senza scoppiare).
Riformatasi la colonna, questa avanzò fino all’imbrunire, raggiungendo una serie di villaggi nella zona di Krawzowka-Limarew dove sin dal mattino sostava la divisione “Vicenza”. Questa riparti alla volta di Sheliakino verso le ore 20 del 23 gennaio. La colonna della “Cuneense” sostò invece a Nowo-Dimitrlewka (l).
Verso le ore 22 del 23, dalla valle di Sheliakino proveniva il rumore di un cannoneggiamento abbastanza intenso. Si pensò che si trattasse della “Tridentina”, perché nel pomeriggio di quel giorno, subito dopo l’attacco dei tre carri armati russi, il Capo di S.M. del C.A. alpino, gen. Matjnat, che viaggiava con un’autovettura, si era incontrato con il comandante della “Vicenza” e gli aveva comunicato che la “Tridentina” non doveva essere avanti della “Cuneense” più di una tappa.
Il gen. Martjnat aggiunse che anche la situazione della “Tridentina” non doveva considerarsi disperata se altre unità poste all’infuori del cerchio stretto attorno al C.A. alpino non fossero accorse in suo aiuto.
In tale situazione il comandante della “Cuneense” emanò un ordine scritto ai comandanti dipendenti, nel quale, mettendoli al corrente delle poche e vaghe notizie apprese sulla situazione, li esortava a accogliere tutte le forze per compiere lo sforzo decisivo: l’ultima speranza di salvezza era nella celerità e nella lunghezza delle marce future. La situazione della divisione non consentiva di affrontare nuovi
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(l) A nord di Sheliakino.
combattimenti offensivi; era perciò necessario marciare fuori dalle strade evitando il più possibile gli abitati. All’alba del 24 gennaio la divisione avrebbe ripreso la marcia verso ovest su due colonne (quella del l° alpini, a destra) che, anziché puntare direttamente su Sheliakino, avrebbero dovuto aggirare tale abitato da nord (mantenendo 6-7 km. da esso) e attraversare la valle del F.Kalitwa all’incirca a metà strada tra Sheliakino e Warwarowka (che molto probabilmente era fortemente presidiata dai russi) o a monte di quest’ultima località.
Poco prima della mezzanotte il comandante della divisione radunò i comandanti dipendenti presenti in Nowo-Dimitriewka ed espose la situazione: continuare il ripiegamento riuniti ai suoi ordini o tentare di uscire dalla sacca con i reparti suddivisi in piccoli gruppi. Gli ufficiali dello dello S.M. del comando dell’artiglieria e del genio e tutti gli altri comandanti presenti dichiararono che preferivano seguire la sorte comune agli ordini del generale Battisti. Analoga risposta fece avere al comandante della divisione il comandante del l° alpini, col. Manfredi, a none di tutti gli ufficiali superstiti.
Il comandante del 2° alpini e due ufficiali superiori di tale reggimento dichiararono invece che preferivano tentare la sorte per proprio conto. Furono autorizzati ad effettuare un tentativo. Partiti subito con una slitta e direttisi verso nord-ovest furono fatti prigionieri nella stessa giornata.
Verso le ore 2 del 24 gennaio le due colonne ripresero la marcia verso ovest, mantenendosi lontane dal fondo valle Kalitwa 8-9 chilometri. L’avanzata, dovendosi camminare sulla neve alta, attraverso boschi e dovendosi superare avvallamenti molto ripidi, riuscì oltremodo faticosa. Più volte i reparti furono disturbati e trattenuti da azioni di partigiani.
Dopo una sosta di tre ore nell’abitato di Ambrovka (?), alle ore 18 del 24 gennaio, le due colonne puntarono verso sud per attraversare la valle del fiume Kalitwa, senza toccare centri abitati e senza incontrare resistenza. Il passaggio della valle doveva avvenire, come stabilito, a circa metà strada tra Sheliakino e Warwarowka o a monte di quest’ultima località. La colonna del 2° alpini e del comando divisione giunge nel fondo valle di un affluente del Kalitwa (Annow) presso Garbusowo poco prima dell’alba del 25 e proseguì subito per Rubalzin (l), dove giunse nelle prime ore del mattino.
La colonna del l° alpini vi arrivò invece verso le ore 8 del 25 gennaio. Il comandante della colonna intendeva proseguire subito per Rubalzin, ma gli sbandati si sparpagliarono in una piazza e per la strada principale del paese di Garbusowo per procurarsi del cibo e riposare. All’improvviso alcuni mortai pesanti e cannoni russi iniziarono un fuoco violento sulla colonna, portandovi lo scompiglio. Due carri armati con fanteria montata piombarono addosso alla coda della colonna, facendo fuoco con il cannone e le mitragliatrici e la costrinsero a sbandarsi. Le perdite in uomini e in slitte (cariche di feriti e congelati) furono rilevanti. La testa della colonna, uscita fuori dell’abitato, riprese la marcia. Il resto della colonna fu ricomposto ed avviato, da alcuni ufficiali, dietro la testa. Nuclei di partigiani con mitragliatrici attaccarono in più punti i fianchi della colonna che, assottigliandosi sempre di più, poté raggiungere soltanto verso mezzogiorno il villaggio di Rubalzin. La marcia era durata, per la colonna del l° alpini, 30 ore. Gli uomini erano sfiniti dalla fatica, dal freddo e dalla fame. Il comandante della divisione decise perciò di sostare in Rubalzin fino alla sera del 25 gennaio.
Da Rubalzin a Solonzi e Malakiewka –
All’imbrunire del 25 gennaio i resti della “Cuneense” e della “Julia” si incolonnarono per riprendere la marcia verso Schukowo (2) ed
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(l) – Rubalzin trovasi sulla dorsale tra il Kalitwa e il suo affluente di sinistra (Annow).
(2) – Schukowo trovasi sulla strada di fondo Val Kalitwa tra Nadolnoje e Bublikow.
oltre. Mentre la testa della colonna stava per ripartire, si scatenò una violenta bufera di neve e di vento. La testa della colonna non poté fare in un’ora più di 200 metri. Molti uomini ebbero congelati i piedi e il viso. Fu giocoforza sospendere la marcia e ritornare nell’abitato per aspettare che la tempesta si calmasse. Moli uomini non riuscirono a raggiungere un posto al coperto ed al mattino furono trovati assiderati nella neve.
Verso l’alba del 26 gennaio la bufera cessò. Si formò subito un’unica colonna e si riprese la marcia verso sud-ovest, sempre con l’intendimento di raggiungere almeno Waluiki, che già si trovava assai più a nord dell’ obbiettivo di ripiegamento assegnato alla divisione dall’ordine del giorno l5. Durante la marcia, per la prima ed ultima volta durante tutta la ritirata, un aereo germanico sorvolò per qualche minuto la colonna, senza però gettare alcun messaggio o fare una qualsiasi indicazione.
Giunti in vista del villaggio di Schukowo, mentre la colonna della divisione scendeva per un pendio verso il villaggio, alcune mitragliatrici piazzate sul campanile della chiesa e alcuni mortai pesanti la investirono con il loro fuoco. Alcune mitragliatrici furono montate dai nostri reparti, ma per farle sparare si dovette accendere sotto ciascuna di esse un mucchio di paglia (ogni arma aveva un servente con un telo da tenda pieno di paglia per riscaldare le mitragliatrici al momento dell’impiego). Il btg. “Dronero” che conservava ancora una certa efficienza riuscì e serrare sotto il paese e, con un attacco alla baionetta, condotto dal cap. di S.M. Amico, costrinse il reparto nemico a cessare fuoco e fuggire. Furono catturate una autoblindo e due mitragliatrici inefficienti ma molti morti e feriti nostri restarono sul terreno. La divisione marciò fino a sera senza più essere disturbata (un aereo nemico sorvolò più volte la divisione senza fare fuoco). Giunta nella zona dei villaggi di Malakeiewa, la colonna fu sottoposta nuovamente ad un violento fuoco di mortai e di mitragliatrici. Suddivisa in due blocchi questi procedettero per itinerari diversi fino alle ore l del 27 gennaio, e si fermarono per la sosta negli abitati di Malakejewa e Solonzi (a sud-ovest di questa) distanti fra loro circa 8 km., per aspettarvi l’alba e riposare qualche ora. Alle prime luci i due blocchi ripresero la marcia vergo ovest, ma fino alle ore l0 non riuscirono ad avvistarsi né ad avere notizie uno dell’ altro. A quella ora un aereo nemico sorvolò ora l’uno ora l’altro, mitragliando e spezzonando da bassissima quota. L’attacco aereo scompigliò le truppe e procurò nuove perdite, ma permise ai due blocchi di avvistarsi reciprocamente e, poco dopo, di ricongiungersi.
Nel pomeriggio del 27 gennaio la divisione giunse in vista di un abitato occupato dall’avversario (Woronowka ?). Da esso partiva intenso fuoco di mortai. La colonna lo aggirò e si diresse verso sud-ovest lasciandolo alla sua destra. Poco prima dell’imbrunire il comandante della divisione ordinò una sosta per riorganizzare la colonna prima di proseguire verso ovest, con l’intenzione di raggiungere la valle del fiume Walui, percorsa dalla ferrovia Waluiki-Nikolajewka, durante la notte e di attraversare questa in un punto lontano dai centri abitati, qualora fossero già occupati dall’avversario, come affermavano gli abitanti interrogati.
Mentre la colonna riprendeva il movimento, la testa venne attaccata da alcuni squadroni di cosacchi con mitragliatrici su slitte e appoggiati da una batteria da 122. L’attacco di sorpresa, partente da un bosco, fu così improvviso che il comandante della divisione, che con alcuni ufficiali si trovava a cavallo in testa alla colonna, si sottrasse a stento alla cattura. Il btg, “Dronero” si schierò rapidamente, contrattaccando e costringe il nemico a ripiegare.
La marcia fu ripresa e continuò tutta la notte disturbata da fuoco di mortai avversari. Verso l’alba del 28 la testa della colonna (btg. “Dronero”) piegò inspiegabilmente verso sud. Il comandante la divisione inviò alcuni ufficiali a cavallo per raggiungere la testa della colonne e riportarla sulla direzione ovest. Un ufficiale del comando divisione (magg. Berardi), riuscì a raggiungerla poco ad est di Mandrova (l). Un ufficiale tedesco era alla testa con alcuni ufficiali e guidava la marcia a forte andatura. La testa non volle sapere per alcuna ragione di cambiare direzione. Raggiunto un abitato, la massa si buttò a capofitto nelle case e non volle più muoversi; lo sfinimento ebbe ragione del timore di cadere prigionieri. Quelli che non trovarono posto nelle case, si fermarono in mezzo ai campi; per riscaldarsi dettero fuoco ai pagliai disseminati nei campi stessi. Ogni tentativo di impedire ciò e indurre gli uomini a riprendere la marcia fu vano.
LA CATTURA DEI RESTI DELLA “CUNEENSE”
Alle prime luci del 28 gennaio l943, gruppi di partigiani nemici, richiamati dal bagliore dei fuochi, attaccarono molti gruppi di nostri soldati al bivacco. Reparti regolari russi sorprendevano nel sonno quelli che si erano rifugiati nelle case dei villaggi della zona. Con le prime luci dell’alba si formarono due gruppi di forze. Con quello di destra (nord) era il comando divisione, con quello sud, il comando del l° alpini. I due gruppi riuscirono a riprendere celermente la marcia verso ovest. Non appena riuscirono ad avvistarsi, il gruppo sud puntò su quello nord per unirsi ad esso. Aerei nemici cominciarono a sorvolare i gruppi e a mitragliarli. Superata la dorsale che si stendeva tra il fiume Polatowka e il fiume Walui, un violento fuoco di artiglieria, di mortai pesanti investì in pieno il gruppo sud e lo scompaginò. Un gruppo di squadroni di cavalleria cosacca proveniente da nord comparve al galoppo in fondo alla valle. Qualcuno gridò: “Ecco gli ungheresi, ecco gli ungheresi!”. Il grido passò su tutte le bocche e i
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(l) – Non segnata sulla carta.
soldati correndo si diressero verso le posizioni delle armi nemiche. La cavalleria nemica fece cerchio attorno alla massa e la strinse al centro. Piccoli gruppi che non si erano precipitati verso il fondo della valle cercarono di procedere celermente verso il gruppo del comando divisione.
Il gruppo nord giunse ai primi albori in vista di un villaggio (che si seppe poi essere Roswenskoje (o Roshdestweno) 3-4 km. da Waluiki). L’avanguardia col comandante la divisione, attraversò la strada ferrata e venne violentemente attaccata da cavalleria. Dopo breve combattimento, esaurite le munizioni, i reparti furono catturati e con essi il comandante la divisione e alcuni ufficiali del comando. Erano le ore 5,30 del 28 gennaio l943.
I resti del “Dronero” furono catturati verso le ore 8,30. Nel pomeriggio lo furono anche gli sbandati, i resti del “Borgo S. Dalmazzo”; del “Saluzzo” e del ”Mondovì” insieme con i resti della divisione “Julia”.
Così, nella giornata del 28 gennaio l943, nella zona di Roswenskoje nord, e Waluiki a sud, finirono i resti della divisione alpina “Cuneense” e dei reparti della “Julia” che si erano uniti ad essa durante la ritirata.
Gli uomini caduti in mano al nemico in quel giorno ammontavano a circa 4.000, Parte di essi era ferita e congelata. Tutti erano sfiniti dalla fatica e dalle privazioni.
OSSERVAZIONI SUL RIPIEGAMENTO
Bilancio del ripiegamento –
La divisione “Cuneense” in 12 giorni e 11 notti percorse circa 250 chilometri. La più grande parte del percorso fu fatta fuori strada, cioè battendo la pista nella neve alta. Perciò un’idea più chiara dello sforzo fatto dalla divisione può aversi calcolando le ore di marcia effettiva compiuta dalle truppe: 182 ore di marcia. Si ha così una media di 16 ore di marcia al giorno.
Nello stesso periodo la divisione dovette sostenere una ventina di combattimenti con truppe regolari e con partigiani russi. Nei combattimenti del 20 gennaio, avvenuti nella zona di Nowo-Postojali, nei quali la divisione ebbe di fronte forze valutabili ad una divisione di fanteria, rinforzata da un battaglione di carri armati, la divisione perdette gran parte delle sue unità (più dell’80% della sua fanteria e circa il 50% della sua artiglieria). Come grande unità, la divisione “Cuneense” poteva considerarsi perduta alla sera del 20 gennaio.
La fame, il freddo (quasi sempre intorno ai 30° sotto zero), la stanchezza accrebbero le perdite della divisione in misura rilevante.
Alla fine della ritirata le perdite per sfinimento e per assideramento raggiunsero certamente una cifra pari all’incirca alla metà delle perdite avute nei combattimenti.
Complessivamente, tra morti e feriti gravi, assiderati, sfiniti, la divisione nella ritirata perdette più dei due terzi degli uomini presenti al momento dell’inizio del ripiegamento.
Si ricorda che la divisione “Cuneense” mancava del btg. “Pieve di Teco” ceduto alla “Vicenza” fin dal 18 dicembre. Molti elementi dei servizi (salmerie, ospedali, automezzi ecc.) avevano iniziato il ripiegamento in anticipo ed, in parte, riuscirono a sottrarsi alla sorte della divisione.
La condotta del ripiegamento –
La distinzione in due fasi fatta nella narrazione del ripiegamento della “Cuneense” rispecchia due situazioni, ben diverse tra loro, in cui venne a trovarsi la divisione stessa nel corso del ripiegamento.
– Nella prima fase (fino alla sera del 20 gennaio), la divisione ripiegò lungo la direzione fissatale dal comando del C.A. alpino e, potendo contare su una sufficiente capacità offensiva, cercò di aprirsi la strada verso ovest con azioni di forza.
– Nella seconda fase (dalla sera del 20 gennaio alla mattina del 28 gennaio) la divisione “Cuneense”, avendo esaurita quasi completamente la sua capacità offensiva, fu costretta a ricercare la salvezza delle truppe superstiti evitando i combattimenti e tentando di uscire dall’accerchiamento attraverso qualche vuoto nel dispositivo nemico.
Il radicale cambiamento iniziale della situazione generale apportò una sostanziale modifica al dispositivo di ripiegamento di tutto il C.A. alpino. Al dispositivo di ripiegamento su vasta fronte (tutte le divisioni marcianti su colonne parallele in prima schiera), venne a sostituirsi dopo il 20 gennaio quello su fronte ristretta (una divisione dopo l’altra, quasi sullo stesso itinerario). In tal modo la divisione “Tridentina” venne praticamente a costituire l’avanguardia della “Cuneense” (e resti della “Julia” e della “Vicenza”) venne a costituire il grosso e la retroguardia del C.A., che purtroppo, raccoglieva tutti i dispersi e gli sbandati delle unità che la precedevano nel ripiegamento.
Le vicende della seconda fase del ripiegamento e soprattutto la mancanza costante di un collegamento qualsiasi tra avanguardia e grosso, impedirono a questo di raggiungere la “Tridentina” e di fare massa con essa. Non solo, ma impedirono anche al grosso di beneficiare delle azioni tattiche svolte dalla “Tridentina” per aprirsi la strada verso ovest, azioni tattiche rese possibili e facilitate dalle successive comunicazioni che le autorità superiori riuscirono a far pervenire al comando del C.A. (che seguiva la “Tridentina”) per mezzo della radio del comando del XXIV Corpo d’Armata germanico (che marciava pure con la “Tridentina”) e degli aerei, comunicazioni che segnalavano le località già occupate dal nemico e la direzione di marcia più conveniente. Nessuna di tali comunicazioni giunse al comando della “Cuneense” e della “Julia”. Le predette azioni tattiche furono anche facilitate dalla disponibilità di cannoni semoventi e carri armati di cui la “Cuneense”, la “Julia” e la “Vicenza” erano assolutamente sprovviste. L’insuccesso del ripiegamento per tre delle quattro divisioni del C.A. alpino fu dovuto essenzialmente alla mancanza di un collegamento continuo e sicuro tra le divisioni stesse e il comando del C.A. che procedeva con la divisione “Tridentina” e, di conseguenza, alla mancanza di ogni coordinamento del movimento di tutte le divisioni del C.A. alpino. Non c’è dubbio infatti che se nella seconda fase del ripiegamento, tutti i reparti delle divisioni del C.A. alpino fossero riusciti a congiungersi e ad avanzare insieme verso ovest, facendosi aprire la strada da un raggruppamento tattico costituito con tutti reparti ancora efficienti rimasti alle singole divisioni, la probabilità di uscire dall’accerchiamento per i resti di tutte quattro le divisioni del C.A. sarebbe stata notevolmente maggiore.
Particolarmente sentita – specialmente nel campo operativo – fu la costante assenza dal cielo del ripiegamento dell’aviazione amica. Non c’è fase della guerra in cui l’intervento della propria aviazione sia indispensabile come nel ripiegamento. L’aereo sarebbe stato, durante il ripiegamento, il mezzo più adatto per il collegamento tra le divisioni e il C.A., cosi come, nel campo tattico, sarebbe stato il mezzo più adatto per sostituire il cannone controcarro di cui tutte le divisioni del C.A. (meno la “Tridentina” che poté valersi dei 7 carri e cannoni semoventi del XXIV Corpo corazzato germanico) erano completamente prive.
La battaglia di Nowo-Postojali –
II giorno 20 gennaio, per rompere lo sbarramento nemico nella zona di Nowo-Postojali, furono impiegati in tre azioni successive quattro battaglioni alpini, che andarono quasi completamente distrutti senza poter raggiungere gli obbiettivi delle rispettive azioni tattiche. Nel decidere l’attacco sferrato prima dell’alba del 20 gennaio dal btg. “Ceva”, ci fu un errore di valutazione delle forze nemiche schierate in corrispondenza dell’abitato di Nowo-Postojali. Al momento dell’attacco del btg. “Ceva”, lo schieramento nemico era molto più forte di quello che era all’imbrunire del giorno precedente, quando fu attaccato dai reparti della “Julia”. I ragguagli sulla situazione che il comandante dell’8° alpini fornì al comandante del 1° alpini verso le ore 1 del 20 gennaio non tenevano conto delle variazioni in più che le forze nemiche avevano avuto nella prima parte della notte. Se i quattro battaglioni perduti in quel giorno dalla divisione, avessero attaccato contemporaneamente lo sbarramento nemico su una fronte abbastanza ampia, la probabilità di riuscita dell’azione sarebbe stata maggiore.
E’ però da tenere presente che a determinare l’insuccesso dell’azione del “Ceva” all’ alba, e dell’azione del “Borgo S. Dalmazzo” e del “Saluzzo” nel pomeriggio del giorno 20, furono i mezzi corazzati nemici, contro i quali reparti della “Cuneense” non avevano alcun mezzo appropriato. Perciò, anche nel caso in cui le posizioni di Nowo-Postojali fossero state attaccate da più battaglioni, ben difficilmente la giornata del 20 gennaio si sarebbe chiusa con successo, e la “Cuneense” – e con essa la “Julia” – avrebbe potuto avere una sorte migliore di quella che ebbe nella realtà.
Non è superfluo aggiungere che se le unità corazzate e autotrasportate russe che furono duramente impegnate a Nowo-Postojali dalla “Cuneense” e dalla “Julia” avessero avuto libertà d’azione nei giorni 19 e 20, molto probabilmente si sarebbero gettate sulla “Tridentina” pregiudicando gravemente la sua già precaria situazione (si tengano presenti le dichiarazioni fatte dal gen. Martjnat al comandante della “Vicenza”, gen. Pascolini, nel pomeriggio del 23).
La “Cuneense” e la “Julia” preservarono la “Tridentina” anche dagli attacchi in coda che esse subirono durante la seconda fase del ripiegamento. E, infine, i resti delle due divisioni avrebbero forse potuto sfuggire all’accerchiamento se avessero ricevuto dal Comando superiore quelle indicazioni sulla direzione opportuna che la “Tridentina” ricevette via via per mezzo della radio e degli aerei di collegamento. La mancanza di simili indicazioni fece sì che il comandante la “Cuneense” si sforzasse di riprendere la direzione assegnatagli marciando in direzione di Waluiki già occupato dal grosso dell’avversario. (A Waluiki vi era un comando di Corpo d’armata russo!)
La perdita della divisione “Cuneense” e della “Julia” oltre che al mancato coordinamento dell’azione da parte dell’ autorità superiore, furono dovute alla assoluta mancanza di cannoni controcarro capaci di mettere fuori combattimento i carri armati russi e l’assenza completa dell’aviazione amica nel cielo della battaglia.