VICENCE DEI MILITARI ITALIANI IN RUSSIA. Gen. Emilio Battisti. La Divisione Alpina “Cuneense” alla fronte russa 1942/1943

  

 

L’APPRONTAMENTO DELLA DIVISIONE

 

Zona di Cuneo: Aprile-Luglio 1942

 

La divisione  alpina  “Cuneense”, rientrata dall’Albania nel maggio 1941, fu  dislocata nella zona di Cuneo  sino  al tempo della sua partenza per  il fronte russo (luglio-agosto  1942).

Il 1° aprile 1942 la divisione ricevette l’ordine di approntarsi per il fronte russo e, sotto la stessa data, passò  alle dipendenze del  comando  del C.A. alpino,  costituitosi  qualche  mese  prima  a  Trento .

In  base  a tale ordine, la divisione   dal  1°  aprile  al 15 luglio  1942 provvide  ad  apportare alle proprie unità le modifiche previste  per le divisioni alpine  destinate  al   fronte  russo.

Le  principali trasformazioni di struttura nella divisione furono le seguenti:

– ogni battaglione alpino  ebbe,  oltre  al normale  armamento,  4  pezzi da 47/32  con  funzione prevalente di accompagnamento;

– il reggimento  di artiglieria  alpina  ebbe, oltre  ai due   gruppi da montagna 75/13, anche un  gruppo di obici da 105/11  (materiale francese catturato  ai  Greci)      su  due  batterie;

– la divisione ebbe  due  compagnie cannoni controcarri da  47/32  e due batterie  di mitragliere da 20 m/m  con  funzione normale  contraerei (ciascuna compagnia  e batteria su  8 pezzi);

– i mezzi per la difesa vicina  dei comandi di divisione e di reggimento,  delle batterie di artiglieria,  delle compagnie genio e delle autosezioni dell’autoreparto  divisionale furono notevolmente aumentati;

– i mezzi di collegamento radio furono aumentati; tutte le staffette portaordini furono provviste di motociclette;

– tutto  il carreggio dei reggimenti alpini, del reggimento di artiglieria e del battaglione genio fu sostituito con  autocarreggio (autocarrette per  i reggimenti alpini ed  autocarri di media portata per il reggimento di artiglieria e per  il battaglione genio);

– la colonna salmerie fu ridotta a reparto salmerie; in compenso fu  rinforzato  notevolmente l’autoreparto  divisionale (4 sezioni autocarri pesanti e medi e una autosezione ambulanze, frigoriferi e autobotti).

 

I reparti  furono ricostituiti col personale migliore, scelto  tra quello già  in forza ai reparti e quello in  forza ai centri di mobilitazione.

Nonostante la selezione, buona parte degli uomini dei  reparti risultò  di non  possedere  i particolari requisiti di costituzione  fisica  e di robustezza che una circolare  del Ministero della Guerra dell’aprile 1942   aveva  stabilito  per  il personale delle unità combattenti destinate al fronte russo. L’apposita visita medica iniziata presso l’ospedale militare  di Alessandria  (per  gli ufficiali)  e presso  i reparti (per i sottufficiali e per la truppa) mise subito in evidenza che se la disposizione ministeriale fosse stata  applicata con il dovuto rigore, una parte molto notevole del personale inquadrato nei reparti della divisione avrebbe dovuto  essere  dichiarato non idoneo  al fronte russo.

I criteri della  circolare  ministeriale furono,  di ordine  superiore, abbandonati. Ciononostante lo stato fisico del personale in  generale – salvo  pochissime  eccezioni – era da ritenersi soddisfacente e ciò  si palesò  durante  la campagna  in  cui la percentuale  degli ammalati ricoverati  in luoghi di cura fino  al  giorno  in  cui ebbe  inizio  il ripiegamento  dalla fronte  del Don , si aggirava  tra l ‘1 e  il 2 (per  mille).

Nei mesi  di maggio,  giugno  e luglio 1942  i reparti della divisione lavorarono intensamente a sviluppare quella parte dell’addestramento maggiormente richiesta dalle operazioni sul teatro di guerra russo. Particolare cura ricevette l’addestramento del personale addetto alla difesa controcarri e contraerei e l’addestramento degli ufficiali.

 

Il risultato a tale lavoro di organizzazione e di addestramento (che migliorò alquanto le capacità di impiego della divisione acquistata nella campagna di Albania), la divisione  “Cuneense”  aveva senza dubbio una buona efficienza. Ma  essa osservava però,  come  struttura fondamentale e come formazione spirituale, le possibilità  ed  il carattere di una grande unità destinata ad  operare  in  montagna  e precisamente  sulle proprie montagne.

La destinazione al fronte russo in  generale e al fronte del medio Don in  particolare, posero la divisione  alpina “Cuneense”  in una situazione molto  sfavorevole e fu uno dei fattori – e non uno degli ultimi – che determinarono l’insuccesso della ritirata dal Don.

 

 

 

FORZA  E  MEZZI DELLA  DIVISION E  “CUNEENSE”

 

1 Quartier  generale

2 reggimenti alpini (1°  e 2° ); ciascuno  su  3  btg.  e  1 cp. armi d’accompagnamento;

1°  alpini: btg. Ceva,  Pieve d i Teco, Mondovì

2°       ”     ”     Borgo  S.Dalmazzo, Dronero  e  Saluzzo

1° Regg. art. alpina  (4°) su 3 gruppi (Gruppo Mondovì,  Pinerolo e Val  Po)

1° btg. genio  ( IV)

2  cp. cannoni c.c. 47/32

2 btr . controcarri da 20 m/m

1 reparto salmerie

1 autoreparto divisionale

Servizi.

 

In complesso la “Cuneense”, all’atto della sua partenza per il fronte russo, aveva i seguenti organici (largamente approssimativi) :

– Personale: 500 ufficiali, 18.000 sottufficiali e  militari di truppa;

– armamento:  arma  individuale, il fucile corto mod. 91 modificato; nessun  moschetto automatico; 200 fucili mitragliatori “Breda”  mod. 30; 140 mitragliatrici “Breda ” mod. 37; 54 mortai da 45 “Brixia”; 24 mortai da 81; 40  cannoni da 47/32;  16 mitragliere da 20 m/m  contraerei; 24  obici da 75/13 ; 8 obici da  105/11;

– quadrupedi: 4.000 muli e cavalli

– automezzi: 500  automezzi e  motociclette.

 

 

IL TRASPORTO DELLA “CUNEENSE” AL FRONTE RUSSO

(25 luglio – 20 agosto  1942)

 

Il trasporto ferroviario di tutti i reparti e  servizi della divisione “Cuneense” in Russia ebbe la durata di 25 giorni. Il 1°  convoglio partì dall’Italia  il 25 luglio; l’ultimo  convoglio arrivò  in Ucraina  il 18 agosto  1942. I  singoli convogli impiegarono  circa  13  giorni.

Il trasporto fu effettuato senza gravi incidenti (due convogli furono  attaccati durante  il viaggio tra Minsk e  Gomel  da nuclei di partigiani russi). Numerose furono le modifiche agli itinerari dei treni e le soste lungo  il viaggio tra Gomel e la zona  di scarico, in relazione ad impreviste  esigenze operative e logistiche delle truppe germaniche .

La divisione “Cuneense” avrebbe dovuto concentrarsi dapprima tutta nella zona di Rikowo  (N.E. di Stalino) e poscia nella zona di Uspenskaja- Ambrosiewka  (distanti circa  100 km. da Taganrog sul mare di Azov.

In conseguenza del grande  intasamento  della linea ferroviaria  Gomel-Karkov, i reparti della divisione furono invece scaricati tra Uspenskaja  a  sud  e  Izjum  a nord , distanti tra loro  oltre  400 km.

 

 

L A  RADUNATA  E  LA  MARCIA  AL DON

( 19 agosto – 23 settembre  1942 )

 

 

Il comando  della  divisione “Cuneense”, giunto  a Uspenskaja  il 9 agosto  1942 , ricevette  il giorno  10  la comunicazione che  tutto  il C.A. alpino  era passato  in quello stesso  giorno  alle dipendenze della XVII Armata germanica  (del gruppo di Armate  “A”  – von  Kleist ) che operava nel Caucaso .

La divisione  “Trideotina”, prima  divisione  del C.A. alpino giunta in Ucraina e tutta raccolta  nella zona di Nowo-Gorlowka,  doveva iniziare  subito  il movimento alla volta di Armavir.

La divisione “Cuneense” doveva iniziare subito il movimento di raccolta nella zona di Uspenskaja-Ambrosiewka; questo ultimato, doveva anch’essa muovere a piedi verso il Caucaso .

In  vista di tale  impiego  il comandante la divisione, subito dopo il suo  arrivo  ad  Uspenskaja, aveva  effettuato una ricognizione  a Taganrog e Rostow, spingendosi oltre la foce del Don allo scopo di studiare  il movimento  della divisione, e, in  special modo, il passaggio del Don  in corrispondenza di Rostow .

Lo spostamento dei reparti dislocati nella zona di Izjum verso sud era appena iniziato, quando, il 19  agosto, giunse al comando  della divisione  la comunicazione  che  il C.A. alpino, tolto  dalla dipendenza della XVII  Armata germanica, passava alle dipendenze dell’8^  Armata italiana ed era destinato a schierarsi anch’esso nella zona del medio Don .

Di  conseguenza, il comando  della divisione  dovette  fermare  subito i reparti in movimento verso sud ed organizzare il concentramento delle sue unità non  più  verso sud, ma verso nord-est. I reparti dislocati nella zona di Uspenskaja dovevano  muovere verso nord-est  e quelli dislocati nella zona di Izjum, verso est. L’incontro tra i due blocchi della divisione doveva avvenire nella zona di Starobelsk. Da qui la divisione avrebbe proseguito verso Rossosch. I movimenti dovevano essere  effettuati per  v.o.

Il 23 agosto 1942 le due colonne della  divisione iniziarono il movimento  verso  Starobelsk:

– quella dislocata nella zona di Uspenskaja- Ambrosiewka, al comando del generale Battisti, per l’itinerario: Uspenskaja-Krasnij Luschworoscilowgrad-Starobelsk;

– quella dislocata nella  zona  di Izium,  al comando  del colonnello Orlandi (comandante del 4°  rgt. art. alpina), per l’itinerario: Izjum-Starobelsk .

La colonna del generale Battisti raggiunse Woroscilowgrad il 30 agosto 1942.  Il 3 settembre un  ordine del comando dell’8 Armata italiana stabiliva che, in conseguenza dell’andamento  sfavorevole  delle operazioni in corso sul fronte del XXXV  C.A. italiano  (1^ battaglia difensiva del Don: agosto-settembre 1942), il C.A. alpino, anziché schierarsi subito in prima  schiera alla estrema  sinistra dell’8^ Armata, doveva assumere il compito di riserva al centro dello schieramento dell’Armata stessa.

Reparti della divisione “Tridentina” vennero subito inviati a tamponare la falla apertasi nel settore dello schieramento  della divisione “Sforzesca”.

La divisione “Cuneense” fu  fatta proseguire subito per  Millerovo (sede  del  comando  di Armata). La  colonna  del generale Battisti giunse a Millerovo  il 7 settembre  e fu  avviata nella stessa giornata a Malschewskaja (20 km. più a nord  di Millerovo). L’altra colonna a quella data procedeva ancora verso Belowodak, per ricongiungersi alla colonna del gen. Battisti nella zona di Malschewskaja. Il giorno 8 settembre il comando di Armata ordinava alla divisione  “Cuneense”  di raccogliersi tutta nella zona Djogtewo-Ternowka e di tenersi pronta a muovere sia verso nord-est (settore del XXXV C.A.), sia  verso nord (settore del II C.A.).

Il giorno 10 settembre la divisione era tutta raccolta nella zona di Djogtewo-Ternowka. Ma proprio nello stesso giorno il comando di Armata ordinò alla divisione di trasferire d’urgenza un  reggimento alpini da Djogtewo  a Taly  (valle  del F. Boguschar – settore del II C.A.). Il 2°  alpini (colonnello  Scrimin)  effettuò  il trasferimento  il giorno 11  settembre, trasportato  parte  in  ferrovia e  parte  su  automezzi e  passò  alle dipendenze  del  comando  del  II C.A. come riserva di quel  settore.

Il grosso della divisione restò  nella zona Djogtewo-Ternowaja  fino al 13 settembre  1942. In  tale giorno,  per ordine del comando  dell’8^ Armata, la divisione si avviò verso Rossosch,  dovendo  schierarsi sul Don con altre divisioni del C.A. alpino, all’estrema  sinistra dello  schieramento  dell’8^ Armata. Il 2°  reggimento  alpini doveva riunirsi agli altri reparti della divisione, non  appena tali  reparti avessero  raggiunto la zona di Rossosch .

Il 17 settembre il comando di C.A. (dislocato  a Rossosch) comunicò alla divisione che le divisioni “Julia” e  “Cuneense”  alle ore  00.00 del 25 settembre  1942  avrebbero dovuto  sostituire sulla linea del  Don la 294^ divisione germanica.

Il 23 settembre  il grosso della divisione raggiunse Rossosch  (itinerario:  Djogtewo-Mankowo-Shelistowka-Kantemirowka-Mitrofanowka-Rossosch) e  si portò  la sera dello stesso  giorno  a tergo dello schieramento  del reggimento  della 294^  divisione  germanica nel tratto: Karabut-Nowaja Kalitwa  sul Don. Il 2°  reggimento alpini, messo  in libertà dal  comando  del II C.A., il 21  settembre, raggiunse la zona di schieramento assegnatali (itinerario: Taly-Krinichnaja-Lotschina) nella notte del  24 settembre.

 

In tal modo, i reparti della “Cuneense”, per  trasferirsi dalla zona di scarico dei treni alla zona di schieramento  sul Don, impiegarono un mese di tempo  e dovettero percorrere dagli 800 ai 900 km. a piedi. Il movimento nel suo complesso presentò notevoli difficoltà, che sottoposero  a dura prova le truppe  ed  i servizi della divisione. Le  più  gravi furono:

1°)  – Le condizioni del clima e delle strade. Il caldo, già forte dopo le 8 del mattino, diventava insopportabile tra le 11 e le 16  (alla fine di agosto 1942  il termometro toccò più di una volta i 40°). Sarebbe  stato  quindi conveniente compiere le marce di notte (anche perché l’aviazione nemica svolgeva azioni di ricognizioni e di spezzonamento quasi ogni giorno). Se non che, nel tardo pomeriggio, si aveva quasi ogni giorno un  violento acquazzone, che rendeva impraticabili le strade  (quasi tutte a fondo naturale, di natura argillosa) fino  alle 9 o alle 10 del giorno successivo. In tali condizioni si dovette marciare di giorno.

2°)  – Le scarse risorse logistiche di alcune zone. Oltre il  Donez e fino al Don gli abitati erano più radi che  a sud  di Worosoilowgrad. Con l’aumentare delle distanze tra villaggio e villaggio si riducevano notevolmente le possibilità di ricovero, di vettovagliamento (anche per l’assai scarsa disponibilità di legna da ardere in posto)  e di rifornimento di acqua potabile. Nel trasferimento da Djegtewo a Rossosch tali difficoltà furono particolarmente gravi. L’abbeverata dei quadrupedi, per esempio, divenne problema difficile ed ebbe serie ripercussioni sul funzionamento  delle salmerie (enormi ritardi nell’approntamento della marcia, deperimento e fiaccature dei muli) .

3°)  – Facile deterioramento dei viveri. Il trasporto e la conservazione delle carni macellate, a causa delle forti distanze esistenti fra i centri di rifornimento  e i reparti in marcia e di mezzi di trasporto veramente adatti alla conservazione delle carni, era quasi impossibile. In poche ore dalla macellazione la carne era putrefatta e doveva  essere sotterrata. La mancanza quasi continua delle verdure fresche (i prodotti della zona erano tutti requisiti dai presidi germanici), di acqua potabile e  di vino, resero  ancora più grave la situazione. In quel periodo il vitto dei soldati fu perciò   insoddisfacente ed  anche  spesso  insufficiente.

4° )  – La  scarsità dei carburanti per  gli automezzi. I carburanti e  i lubrificanti erano distribuiti direttamente alle divisioni dalla Intendenza germanica, sempre  in misura ridotta rispetto al fabbisogno e spesso  anche  in  ritardo. Nel  periodo delle marce più   di una  volta gli automezzi dovettero fermarsi nelle località di  tappa per  alcun i giorni, in attesa che l’autocolonna di rifornimento carburanti, inviata all’Intendenza germanica, tornasse con i carburanti. I reparti dovettero provvedere  al trasporto dei materiali di pronto  impiego con  mezzi di fortuna  (carri locali). Il funzionamento  dei  servizi, reso già difficile dalle forti distanze esistenti i tra  i centri di rifornimento e le località di tappa, subì  seri intralci.

5°)  – La difficoltà di collegamento  tra le due  colonne della divisione, prima che fosse raggiunta la zona di Diogtewo-Tarnowaka.

Nella prima fase delle marce le due  colonne distavano  tra loro  circa 400 km.:  non fu  possibile collegarle con  la radio, data la forte distanza e per il fatto  che nella zona  era stato  imposto  il “silenzio radio”. L’unico collegamento possibile, ma logorante e lento, fu  quello dei portaordini motociclisti impiegati a coppie.

 

 

 

LO SCHIERAMENTO SUL DON

 

(25 settembre 1942)

 

 

La divisione “Cuneense”, nella notte tra il 24 ed il 25 settembre, si schierò sulla linea del Don nel settore compreso tra il villaggio di Karabut (a nord) e quello di Nowaja Kalitwa (escluso) a sud.

Alle ore 00.00 del 25 settembre, come stabilito dall’ordine del Comando del Corpo d’Armata alpino, la divisione rilevò dal reggimento germanico schierato in quel settore la responsabilità della difesa.

Il terreno sul quale si era schierata la divisione si presentava con una lunga dorsale appiattita con andamento nord-sud, dal predetto villaggio di Karabut a quello di Staraja Kalitwa. La dorsale, alta circa 100 metri sul livello del fiume Don, aveva la groppa tondeggiante e cadeva sul Don con una serie continua di speroni abbastanza ripidi e separati uno dall’altro da profonde incisioni.

Il fiume Don, nel tratto considerato, aveva larghezza di circa 100 metri ed una corrente piuttosto debole. Non aveva tratti guadabili. La riva nemica era bassa e leggermente inclinata verso il fiume; in molti punti era ricoperta da boschi.

Alle due estremità del settore della divisione, due avvallamenti risalivano leggermente verso ovest

  • a sud, tra gli abitati di Staraja Kalitwa e di Nowaja Kalitwa, l’avvallamento era largo 5 Km., piatto, prativo e con due piccole macchie di bosco in mezzo. Nella parte meridionale della piana scorreva il fiume Kalitwa, stretto, ma profondo. Questo fiume segnava il punto di saldatura tra il settore della “Cuneense” e quello della divisione “Cosseria” (e tra il settore del Corpo d’Armata alpino e quello del II Corpo d’Armata);
  • a nord, l’avvallamento di Karabut, largo circa 2 Km., occupato, vicino al fiume, dal villaggio omonimo. Poco più a nord di questo avvallamento passava la linea di contatto tra il settore della “Cuneense” e quello della “Julia”.

 

La fronte della divisione, inizialmente occupata, aveva uno sviluppo di circa 30 Km. (la piana del fiume Kalitwa, in quell’epoca, non era occupata, ma soltanto sorvegliata).

Lo schieramento della divisione si conformò a quello tenuto dal reggimento tedesco : dislocazione della linea di resistenza sul ciglio della dorsale che cadeva sul Don, organizzazione e capisaldi largamente intervallati, posti di sorveglianza e di ascolto sulla sponda destra del fiume.

Questo schieramento rispondeva alle esigenze della situazione che allora esisteva in quel tratto di fronte (scarsa consistenza delle forze nemiche; sufficiente riparo offerto alle nostre posizioni dal fiume Don).

Inizialmente la divisione ebbe tre solo battaglioni in primo scaglione (il “Borgo San Dalmazzo” e il “Dronero” del 2° alpini, ed il “Ceva” del 1° alpini) e tre battaglioni in secondo scaglione (il “Saluzzo”  ed  il “Mondovì”  del 2° alpini ed il “Pieve di Teco” del 1° alpini).

Come artiglierie, nel settore della divisione furono schierati, oltre ai tre gruppi organici (“Pinerolo”, “Mondovì”, “Val Po”), anche due gruppi del 30° reggimento artiglieria di Corpo d’Armata : uno da 149/13 ed uno da 105/32.

(1) Il comando della divisione si dislocò ad Annowka, quello del 1° alpini a Kresciatik e quello del 2° alpini a Topilo.

La 294ª divisione germanica si dislocò, col compito di divisione di 2ª schiera alle dipendenze del Comando 8ª Armata Italiana, tra la valle del fiume Rossosch e quella del fiume Meshonka, a tergo della “Cuneense”.

  • – Erano vecchie bocche da fuoco austriache di P.B. Da 104 mm. Nel 1942 furono calibrate nei nostri stabilimenti da 105 per poter usare con esse il nostro munizionamento da 105/28.

 

 

LA DIVISIONE CUNEENSE NEI MESI DI OTTOBRE,

 

NOVEMBRE E DICEMBRE 1942.

 

 

Le modifiche dello schieramento.

 

Lo schieramento iniziale della divisione era fondato essenzialmente sul criterio della difesa manovrata. L’adozione di questo criterio era imposta : dalla sproporzione fra le forze della divisione e la fronte da difendere, dalla scarsa consistenza delle forze nemiche antistanti, dalle condizioni della stagione. In caso di attacco nemico su uno o più punti della fronte della divisione, si trattava di impegnare e trattenere i reparti nemici attaccanti con l’azione di fuoco dell’artglieria e dei capisaldi, dislocati a cavallo della dorsale di riva destra del Don, e respingere l’attacco con l’intervento ed il contrattacco dei battaglioni di secondo scaglione.

Lo schieramento fece una prova di collaudo il giorno 6 ottobre 1942 respingendo un attacco nemico in corrispondenza del tratto di fronte tenuto dal battaglione “Borgo San Dalmazzo” del 2° alpini. L’attacco fu respinto dall’azione dei capisaldi e dell’artiglieria.

Ma, approssimandosi la cattiva stagione (che creava condizioni di ambiente e di clima favorevoli al nemico) ed in seguito al quasi impercettibile, ma progressivo rafforzamento dello schieramento nemico, era da aspettarsi una maggiore attività da parte dei Russi. Si sperava che, allorquando la divisione “Tridentina”, ancora schierata sul fronte del XXXV Corpo d’Armata fosse rientrata al Corpo d’Armata alpino, le divisioni “Julia” e “Cuneense” avrebbero potuto restringere il proprio settore difensivo ed aumentare la densità del proprio schieramento.

Questa speranza però cadde, quando si seppe (prima metà dell’ottobre 1942) che con la venuta della “Tridentina”, il fronte del Corpo d’Armata sarebbe stato notevolmente ampliato.

La crescente attività di pattuglia del nemico indusse il comandante della divisione ad occupare stabilmente anche la piana del fiume Kalitwa, sia perché, gelando il Don, la piana costituiva una direzione d’attacco e di penetrazione molto favorevole al nemico. Il battaglione  “Saluzzo” del 2° alpini, nella seconda  quindicina di ottobre, si schierò nella piana, occupando posizioni che distavano circa 3-4 Km. dal fiume Don. La fronte di schieramento della divisione raggiunse così l’ampiezza di 35 Km.

Per lo stesso motivo si dovette raffittire anche lo schieramento nella parte nord del settore della divisione, mettendo anche in primo scaglione il battaglione “Mondovì” del 1° alpini. Rimase così un solo battaglione di riserva (il battaglione “Pieve di Teco” del 1° alpini).

Avvenne, nel complesso, un allargamento della fronte ed uno scivolamento di tutto il dispositivo verso sud. In seguito a ciò il comando del 2° alpini si spostò da Topilo a Lotshina e fu sostituito nella prima delle due località dal comando del 1° alpini.

Queste modifiche, che rafforzarono la linea avanzata, portarono però alla scomparsa quasi totale della posizione di resistenza. Con un solo battaglione di riserva, specialmente durante la stagione invernale, la divisione non era in grado di respingere un attacco nemico di una certa importanza sferrato in un punto qualunque del suo fronte difensivo (35 Km.).

La debolezza dello schieramento di fanteria (in media aveva un’arma automatica ogni 200 metri di fronte e un soldato ogni 10 metri di fronte) non era certamente compensata dal fuoco di artiglieria. I cinque gruppi schierati nel settore divisionale disponevano complessivamente di 14 batterie (6 di piccolo calibro e 8 di medio calibro). Di essi, tre avevano una gittata pratica di 5-7 Km., due di 8-9 Km. Tenuto conto della distanza esistente tra gruppo e gruppo ed anche tra batteria e batteria , in pochissimi punti del settore divisionale era possibile ottenere un concentramento di fuoco con più di due batterie. La forte distanza di sicurezza dei due gruppi di medio calibro (105 e 149) non permetteva di sovrapporre il loro fuoco a quello dei gruppi da 75.  altrettanto avveniva con i mortai da 81, in quasi tutti i punti del fronte. Di conseguenza l’azione di sbarramento davanti ai capisaldi e nelle cortine, in effetti, poteva essere svolta quasi esclusivamente dalle batterie da 75/13 (ciascuna delle quali doveva essere pronta ad intervenire immediatamente entro un tratto di fronte di circa 1.500 Km.).

Stando così le cose, la divisione dovette adottare una serie di provvedimenti tendenti a rafforzare il più possibile lo schieramento in atto.

E precisamente :

  • Furono racimolate ovunque armi automatiche, cannoncini, mortai leggeri e pesanti (anche un cannone da 76 russo). Poste queste armi in linea furono alquanto ridotti gli intervalli tra i capisaldi. Il servizio di queste armi assorbì però tutto il personale già destinato alla sorveglianza e al contrassalto presso i capisaldi preesistenti.
  • Si dette corso ad una serie di poderosi lavori di fortificazione. Fu costruito un reticolato continuo a siepe triangolare lungo tutto il fronte di schieramento (ultimato alla fine di ottobre).
  • I capisaldi furono collegati fra loro con un solido camminamento in molti tratti coperto.
  • Furono messe in opera centinaia di mine anticarro (quasi tutte del tipo germanico ed alcune migliaia di mine antiuomo nei punti più sensibili del fronte.
  • Fu iniziata (e si era portata a buon punto all’atto del ripiegamento) la costruzione di due enormi fossati anticarro : uno lungo tutta la piana del fiume Kalitwa, lungo 5 Km. e nel quale lavorò anche una compagnia pionieri tedesca; il secondo in corrispondenza della soglia del vallone di Karabut (settore del battaglione “Ceva” – 1° alpini), ampia circa 2 Km.

Alla fine del dicembre 1942 il complesso dei lavori compiuti dai reparti della divisione fu giudicato dai comandi superiori italiani e germanici imponente per mole e valore di ostacolo.

Ma tutto quello che la divisione fece con grande impegno poté dare una maggiore consistenza alla linea di resistenza (prolungare la vita e l’azione dei capisaldi, in caso di attacco nemico). Con le sue forze la divisione era in grado di opporre la prima resistenza ad un attacco in forze. Ma chi avrebbe stroncato e respinto tale attacco?

Fino a quando la 294ª divisione germanica (in via di ricostruzione) rimase nella zona di retrovia della divisione a disposizione del comando della 8ª Armata italiana,la difesa del settore divisionale poteva dirsi, fino ad un certo punto, ed a prescindere dalla mancanza assoluta di mezzi corazzati, garantita. Ma, nella seconda quindicina di novembre del 1942, la 294ª divisione germanica fu trasferita nella zona della grande ansa del Don. In seguito a ciò, in tutto il settore del Corpo d’Armata alpino non rimase alcuna riserva. Ciò indusse il comando del Corpo d’Armata alpino a procurarsela. Ciascuna delle tre divisioni del Corpo d’Armata dovette mettere a disposizione del comando del Corpo d’Armata il proprio battaglione di secondo scaglione (per la “Cuneense”, il battaglione “Pieve di Teco”) ed un’aliquota di artiglieria da 75/13. Questi reparti costituirono il cosiddetto “Gruppo d’intervento” del Corpo d’Armata alpino.

In conseguenza di ciò, alle tre divisioni alpine non rimase che il compito di mantenere fino alle estreme possibilità la linea di resistenza. In qualunque punto del rispettivo settore essa fosse attaccata. Il comando del Corpo d’Armata alpino dovette anche accollarsi quello di formare un’infiltrazione nella linea di resistenza in un qualsiasi punto dei settori divisionali.

Alla metà di novembre del 1942, venne ad ispezionare il fronte della divisione il generale di Corpo d’Armata germanico di collegamento tra il comando della 8ª Armata italiana ed il comando del gruppo d’Armata “B” germanico, dal quale dipendeva l’Armata italiana.

Il generale germanico si compiacque con i reparti della divisione per i lavori di rafforzamento compiuti ed in corso, ma dette disposizioni ai comandanti di battaglione perché proiettassero tutto lo schieramento delle loro compagnie più in basso, proprio sulla sponda del fiume, e lo modificassero in modo che in ogni punto della sponda stessa fosse battuto da almeno un fuciliere.

I comandanti di battaglione fecero resistenza alla volontà del generale germanico, anche perché la sua visita non era stata preannunciata dal comando dell’Armata italiana.

Il generale germanico, al termine dell’ispezione, si presentò al comandante della “Cuneeense” ed insistette perché fosse attuato lo schieramento da lui voluto. In sostanza, allo schieramento della fanteria in nuclei di resistenza dislocati a mezzo costa del versante della dorsale che degradava sul fiume, il generale germanico voleva vedere sostituito uno “schieramento a cordone” sulla riva del fiume. Anche le artiglierie avrebbero dovuto essere proiettate in avanti, in modo da poter fare fuoco diretto per pezzo sulla riva nemica e sul fiume.

“I Russi attuano il principio che, dove passa uomo, passa anche un battaglione e sono bravi nella tattica d’infiltrazione”  –  diceva il generale germanico  –  . “Perciò occorre opporre loro una linea continua di fuoco, in modo che la più piccola pattuglia nemica sia avvistata e respinta prima che attraversi il fiume (specie quando esso sarà tutto congelato). Non preoccupatevi se i Russi riusciranno a sfondare in qualche punto. A fermarli e respingerli provvederanno le divisioni germaniche  che stanno per affluire al fronte orientale. L’essenziale per voi è di dare al nemico la sensazione che ogni metro di fronte è battuto almeno da un fucile”.

Il comandante della divisione fece presente al generale germanico che egli non condivideva il suo punto di vista e che, in ogni caso, egli non poteva attuare alcuna modifica allo schieramento in atto senza uno specifico ordine dei superiori comandi italiani. Insistette specialmente sul fatto che con le disposizioni attuate si era definitivamente ed irrimediabilmente rotto il rapporto che deve sempre esistere tra l’ampiezza della fronte e le forze destinate a difenderla : rapporto che deve essere mantenuto entro limiti ragionevoli per permettere la costituzione di rincalzi e riserve e rendere possibile il loro tempestivo accorrere nei punti minacciati.

Il dispositivo adottato toglieva ai comandanti di settore e al comandante di divisione ogni possibilità d’intervento nell’azione difensiva. Essi avrebbero dovuto limitarsi a……rincuorare i dipendenti attaccati, ma l’avversario era così messo in condizioni di avere ragione della difesa in qualunque punto avesse deciso di attaccare a fondo con forze e mezzi adeguati.

Quattro o cinque giorni dopo la partenza del generale germanico, un ordine del comando della 8ª Armata italiana stabiliva di modificare lo schieramento difensivo secondo i criteri espressi dal generale germanico.

Senonché, l’attuazione di questo ordine comportava un aumento dello sviluppo del fronte da difendere (lo sviluppo sul terreno, lungo la sponda del Don, sarebbe stato di non meno 55 Km.) ed avrebbe perciò determinato una notevole rarefazione degli elementi attivi della difesa, che finivano per essere più abbandonati a se stessi di quanto non fossero prima. I lavori di rafforzamento, compreso il reticolato, avrebbero dovuto essere in gran parte rifatti. In effetti furono apportate allo schieramento solo lievi modifiche.

L’ordine del comando d’Armata prevedeva che le divisioni provvedessero al più presto ad eseguire i lavori necessari (specialmente di scavo) per costituire una seconda linea difensiva, distante oltre 8 Km. dalla prima, e destinata ad essere presidiata da divisioni di seconda schiera (che sarebbero state fatte affluire nelle retrovie delle divisioni, qualora fossero state minacciate di essere travolte da attacchi nemici).

Anche questa parte dell’ordine non poté essere attuata se non minimamente, perché il personale ed i mezzi di lavoro della divisione erano tutti vincolati alla prima linea e perché la popolazione civile (che, secondo l’ordine, doveva essere adibita ai lavori) era distante ed incapace.

Avanzando l’inverno, cresceva anche e specialmente la preoccupazione di organizzare un minimo sufficiente di difesa anticarro. Sui cannoni da 47 non c’era da fare nessun affidamento. Altrettanto poteva dirsi per il munizionamento E.P. Di cui disponevano anche le artiglierie divisionali. :Furono studiati ed approntati tutti i mezzi di ripiego possibili (bottiglie incendiarie, grappoli di bombe a mano, ecc.). Alla metà di novembre era stata assegnata alla divisione una batteria di cannoni controcarro da 75 su 6 pezzi (si trattava di bocche da fuoco francesi modello 1897 montate su affusto tedesco modello 1938). Più tardi si costituiranno anche due batterie controcarro con cannoni tedeschi da 50 (materiale antiquato), ma queste due batterie non giunsero alla fronte, perché sorprese dal ripiegamento in fase di addestramento nella zona di Rossosch.

Alla fine di novembre la divisione ricevette un rinforzo di un gruppo d’artiglieria a cavallo su due batterie da 75/27 modello 1906 ed un gruppo di cannoni da 105/28 su tre batterie (questo gruppo aveva però il compito specifico di assicurare la saldatura del settore “Cuneense” con quello della                                                                    “Cosseria”).

In tal modo poté essere aumentata la disponibilità di fuoco nella parte meridionale del settore divisionale, specie in corrispondenza della piana del fiume Kalitwa, che era senza dubbio una comoda via di attacco e di penetrazione in profondità per unità corazzate nemiche.

Ai primi di dicembre il comando della divisione “Cuneense” studiò, per ordine del comando del Corpo d’Armata alpino, l’organizzazione a difesa del cosiddetto “ridotto di Topilo”, che si trovava a circa 6 Km. dalla linea difensiva e all’incirca al centro del settore divisionale. Tale ridotto avrebbe dovuto essere occupato dalla divisione, nel caso in cui eventi sfavorevoli su altre parti della fronte dell’Armata avessero consigliato di arretrare l’Armata, mantenendo però alcuni “scogli difensivi” presso il Don ai quali appoggiare la controffensiva non appena si fossero avute forze sufficienti. Ma la mole dei lavori da compiere e l’entità delle scorte di viveri e di munizioni da trasportarvi e da custodirvi fecero sì che il progetto rimanesse soltanto tale.

 

ATTIVITA’ OPERATIVA DELLA  DIVISIONE

 

Dal  momento  in  cui la divisione “Cuneense”  si schierò  sul Don, l’attività operativa da parte nostra  e da parte nemica fu di assai rilievo.

I Russi effettuarono  contro  lo  schieramento  della divisione:

– un attacco  il 6  ottobre  1942  contro le posizioni del battaglione “Borgo  S. Dalmazzo”. Una  compagnia di fanteria nemica, passato  il Don su barche  poco prima  dell’alba, riuscì ad  approdare  di sorpresa  sulla sponda destra del fiume  e  a serrare  sotto  i  nostri caposaldi. Un  violento  e  preciso   fuoco  di mortai leggeri e  pesanti accompagnò  l’azione della  compagnia nell’avanzata  sulla riva destra … Ciò  nonostante   i nostri caposaldi fermarono  la compagnia nemica  davanti ad   essa  e  le  impedirono  d i progredire. Dopo  circa due  ore, i Russi ripiegarono  sul  fiume  e fuggirono  sulle loro  barche. Una  sola  batteria da 75  era  in  grado di battere  il fiume  in  quel punto  e con  scarsa efficacia  (soprattutto per le difficoltà dell’osservazione del tiro): tutte le  imbarcazioni nemiche  riuscirono  a riguadagnare  1a sponda  sinistra.

– Il secondo  attacco fu  sferrato dai Russi nella piana del fiume Kalitwa contro lo  schieramento  del  battaglione “Saluzzo”, la notte  sul 24  dicembre 1942 . Attaccava un  battaglione di fanteria. La reazione di fuoco della nostra difesa fu  pronta  e violenta e respinse il battaglione russo. Davanti ai reticolati furono rinvenuti 160 cadaveri di soldati russi .

– Altri due  attacchi furono  effettuati il giorno  17 gennaio da reparti di fanteria russi contro  le posizioni dei battaglioni “Ceva”  e “Mondovì”  del  1° alpini, e del  “Dronero”  del  2° alpini, poco  prima  che questi battaglioni iniziassero  il ripiegamento  verso  ovest. Gli attacchi,  di assai scarsa  consistenza, furono  in breve  trattenuti e respinti. I Russi furono  invece molto  attivi e  intraprendenti nel condurre azioni di pattuglia. Quasi ogni notte  pattuglie  nemiche  passavano  sulla nostra  sponda, si infiltravano negli intervalli dello schieramento e penetravano  in  profondità per accertare l’ubicazione e la consistenza dei nostri centri di fuoco  e per  fare prigionieri. Gli sbarramenti di mine contro uomini, messi in  opera  specialmente negli intervalli son battuti dal fuoco  delle armi  automatiche, col sopraggiungere  della neve e del gelo erano stati praticamente  resi inattivi.

Spesso le pattuglie russe che si scontravano con i nostri elementi di sorveglianza riuscivano  a  sfuggire  o  ad  avere  il  sopravvento  a  causa della superiorità dell’armamento   dei  pattugliatori russi,  tutti muniti di moschetto  automatico,  in  confronto degli alpini armati del vecchio  91.

I reparti della divisione non  effettuarono  alcun  attacco contro lo schieramento nemico. Alla  metà  di dicembre  era stata studiata e predisposta un’azione  di sorpresa contro  reparti russi nella parte  settentrionale  del  settore  divisionale. L’azione doveva essere  effettuata dal btg. “Pieve di Teco”  (destinato  al  “Gruppo  d’Intervento” del C.A. Alpino),  ma la destinazione  improvvisa del  battaglione ad  altro  compito nel  settore  della divisione  “Julia” aveva fatto  cadere  il progetto. In tutto  il tempo  in  cui la divisione rimase sul Don, fu  effettuata  una sola  azione  di pattuglia oltre  il  fiume  da parte  del  battaglione “Mondovì”  (ten.Bracco); essa ebbe esito nullo. Azioni di appostamento davanti alle posizioni furono  effettuate dal 1° alpini su alcuni isolotti cespugliosi che erano in  mezzo  al fiume poco più  a  sud  di  Karabut.

Fin dal mese  di novembre  il comando del gruppo armate “B” aveva ordinato  d i svolgere un’intensa  attività di pattuglia per  stimolare  nei reparti lo spirito  aggressivo  e per  dare  al nemico la sensazione di trovarsi davanti a truppe attive e coraggiose. Ma i fattori di ordine generale,  operanti  tacitamente nell’animo  dei comandanti e di soldati (essenzialmente la sfiducia creata dalla manifesta inferiorità del nostro  armamento  individuale)  e la necessità  di evitare perdite non indispensabili (l’attività nemica nella zona vicina al fiume  poteva essere  seguita abbastanza agevolmente dalle nostre posizioni, che dominavano quelle avversarie), e lo  stillicidio di disertori forniva sufficienti informazioni sul l’avversario che ci fronteggiava, fecero sì che,  al momento  del ripiegamento, 1’attività di pattuglia  sulla sponda nemica non era stata ancora sviluppata.

L’attività dei partigiani nella zona della  divisione,  anche nelle più lontane retrovie, fu praticamente nulla. Deboli azioni di partigiani si ebbero  soltanto nel momento  in  cui fu  iniziata la ritirata contro  i reparti di coda delle colonne della divisione.

 

 

L’ORGANIZZAZIONE DELLE RETROVIE

 

Nel mese di novembre del 1942 i germanici cedettero  all’Armata   italiana  il  compito  di organizzare  e di amministrare la zona compresa nel settore  dell’Armata. In  conseguenza di ciò presso  ogni comando  (da quello di Armata  a  quello  di reggimento)  fu  costituito un  apposito organo “zona territoriale” destinato  ad  organizzare  (anche dal  punto  di vista della difesa contro unità partigiane) e  ad  amministrare  i centri abitati delle retrovie compresi nei rispettivi settori di schieramento.

La “zona territoriale” della divisione  era praticamente staccata dal comando della divisione stessa, dato che gli organi territoriali dipendevano  direttamente  dall’organo  territoriale del comando  superiore.

Questa organizzazione  trasse però il personale necessario  al suo funzionamento (carabinieri, squadre antiparacadutisti e antipartigiani, reparti per  la difesa dei grossi centri abitati, sedi di comandi e  di servizi)  dalle  divisioni.

La presenza delle popolazioni dei paesi rivieraschi, che  si erano sistemate o  intasando  i centri abitati più arretrati rispetto al fronte o vivendo in bunker da loro costruiti nelle retrovie, non procurò alcun  fastidi o alle nostre truppe. In  mezzo alla popolazione civile funzionava certamente una rete di spionaggio  e  di propaganda  ai nostri danni, ma in  complesso la popolazione civile tenne verso le truppe  italiane un contegno corretto ed abbastanza benevolo. Comandi e reparti aiutarono

sempre le popolazioni delle zone occupate nei limiti del possibile, specialmente nei riguardi dell’assistenza  sanitaria.

 

I PRIGIONIERI DI  GUERR A RUSSI

 

Durante la permanenza  della “Cuneense” sulla linea del Don  non  furono  catturati prigionieri di guerra. Alcuni disertori si presentarono alle nostre  linee. Interrogati sommariamente  presso  l’ufficio  informazioni del comando  divisione, venivano  subito  inviati al comando  del C.A. alpino.

La divisione rilevò  dalla 294^  divisione germani a  verso la fine  di settembre del  1942  circa  600 prigionieri di guerra russi. I germanici facevano lavorare  i prigionieri anche nelle linee  avanzate . In complesso tali prigionieri erano in cattive  condizioni di nutrizione  e  di vestiario  (erano  in  gran  parte  scalzi). Il comando  divisione  chiese  ed ottenne  di poter inviare nei campi di raccolta delle retrovie circa la metà dei 600 prigionieri avuti dai tedeschi. I rimanenti furono ripartiti tra  i reggimenti per  i servizi di retrovia ed  il battaglione genio per i lavori nella zona  arretrata  (sgombro  neve).

Ai primi di novembre un ordine dell’Intendenza germanica  stabiliva che  ai prigionieri di guerra doveva essere  distribuita una razione viveri ridotta rispetto al  passato. Il comandante  della divisione, nella considerazione  che  i pochi prigionieri rimasti lavoravano  e rendevano sufficientemente, dispose che fosse loro mantenuta al completo la razione  del soldato  italiano; fece  spogliare  e  vestire  a nuovo  una  compagnia alpina per dare  abiti e  scarpe usate  ai prigionieri che  ne   erano sprovvisti.

 

COMPORTAMENTO DEI MATERIALI NELL A  PRIMA  PARTE DEL L’INVERNO

 

L’equipaggiamento  invernale fu  prelevato  dalla divisione nell’ultima  decade del mese di novembre  del 1942 presso l’Intendenza  di Armata di Woroschilowgrad.  Quantitativamente  sufficiente, l’equipaggiamento risultò inadatto alle esigenze della vita e dell’impiego dei reparti nel pieno rigore dell’inverno russo.

L’Intendenza germanica, forte dell’esperienza dell’inverno precedente, aveva approntato e distribuito  per  tempo  alle proprie truppe un equipaggiamento invernale adatto  (specialmente per  ciò  che riguarda le calzature: i cosi detti burki, fatti sul  tipo dei walenki russi), confezionati  con  materie prime di ottima qualità ed  in modo assai accurato.

Le nostre divise e i nostri cappotti erano invece  male confezionati con stoffe di qualità molto  scadenti. Gli scarponi di cuoio, una volta bagnati, perdevano l’impermeabilità e diventavano duri come legno. La chiodatura pesante (i soldati italiani erano i soli ad usarla) serviva solo a permettere la formazione di una crosta di ghiaccio perenne sotto la suola e  a mantenere  il fondo della scarpa sempre ghiacciato. Le scarpe furono la causa di numerosissimi congelamenti che si ebbero non solo durante la ritirata ma anche durante la nostra permanenza sul Don. Le calze di lana, appena bagnate, si restringevano  enormemente e in tal modo facilitavano  i congelamenti.

Nel complesso il nostro equipaggiamento era ricco in quantità ma non adeguato come  qualità, specialmente nei riguardi della calzatura che, ottima per  l’estate, avrebbe  dovuto  essere  sostituita, all’inizio del  gelo con un tipo del tutto simile allo stivale di feltro  russo (walenki).

 

Il vettovagliamento  dei reparti al fronte  ebbe  gravi deficienze.

La razione viveri, di per se stessa  sufficiente per  vivere e lavorare in condizioni normali, venne praticamente a ridursi in conseguenza della mancanza quasi completa  delle verdure e delle patate. I viveri di conforto (cioccolato,  zucchero,  caramelle vitaminiche, cognac) furono distribuiti troppo di rado e in quantità insufficienti. (Da  tener presente che, data l’ampiezza della fronte,  in una notte tutti gli uomini delle compagnie facevano  il loro  turno  di vedetta  o di pattuglia di sicurezza).

 

L’armamento

 

Con  la venuta del  gelo,  tutte le armi ebbero i congegni essenziali esposti al  congelamento. I reparti dovettero  escogitare  vari sistemi per riscaldare  e disincagliare  i congegni delle armi automatiche.

Nei cannoni si ebbe, oltre al bloccaggio degli otturatori, anche

il congelamento della miscela dei freni di rinculo. In dicembre furono fatti venire  dall’Italia tecnici degli stabilimenti di artiglieria, i quali procedettero allo svuotamento della camera dei freni dalla miscela gelata e a riempirle con una nuova miscela dichiarata incongelabile. Anche questa non diede buoni risultati. Le cariche aggiuntive dei mortai e delle artiglierie andarono  in  gran  parte rovinate  o  davano  forti squilibri nel rendimento  dell’esplosivo.

In complesso quindi il nostro armamento dimostrò di essere poco adatto all’impiego nelle condizioni dell’inverno russo.

 

I quadrupedi

 

I muli rappresentarono  per  la divisione un  peso  enorme  e  si dimostrarono, nelle condizioni di ambiente climatico, geografico  ed  operativo del fronte russo, di assai scarso rendimento. Le  slitte trainate dai cavalli locali andavano dappertutto, anche nella neve  alta. I muli erano  incapaci a  marciare  fuori dalle  piste  battute. Sottoposti al freddo e alle privazioni, i muli deperivano rapidamente  (i muli di razza sud-americana e di razza portoghese si dimostrarono molto più delicati dei nostri muli valligiani). Durante  la permanenza alla fronte  i reparti provvidero largamente  se stessi di slitte, che, specialmente alla ritirata, si dimostrarono come  l’unico mezzo di trasporto usabile  sul  terreno  e  con  clima  della Russia. (Prescindendo, naturalmente, dai mezzi  cingolati dei quali la divisione era  sprovvista).

La  necessità di procurare un  buon ricovero ai 4.000 e più muli della  divisione,  costrinse a disseminare  il grosso  delle  salmerie nelle lontane retrovie del C.A. alpino  (tra Rossosch – Mitrofanowka  e Rowenki). Nel caso di uno spostamento della divisione, occorrevamo quattro giorni di tempo  perché  le salmerie si riunissero  ai loro reparti al fronte. Al momento di iniziare il ripiegamento (ore 16 del  17  gennaio 1943)  ben  pochi furono  i muli e i conducenti che  si erano riuniti ai

1oro reparti sul Don. Molti distaccamenti di quadrupedi dislocati nelle retrovie nella zona di Rowenki, furono attaccati e  semidistrutti da elementi corazzati russi penetrati in profondità dopo effettuato lo sfondamento nel settore del II C.A.

 

Gli automezzi

 

Durante l’estate e l’autunno la transitabilità delle strade della zona attraversate  era  molto  ridotta  a  causa del pessimo  fondo stradale (terreno di natura argillosa). Quando le strade  erano  bagnate,  bisognava  stare  f ermi; quando  erano  asciutte,  il fondo  stradale  era  duro come  l’asfalto, ma  pieno  di  enormi  buche. La velocità  era molto  ridotta e l’usura del personale e dei materiali era notevole. Il consumo e i carburanti era più  elevato  del normale .

Quando  venne il gelo, pochissime  erano le strade  e le piste percorribili dagli automezzi  (quelle che  erano  costantemente tenute  aperte con  gli spartineve). In  tal modo  l’impiego  degli automezzi  durante l’inverno fu assai limitato. Nella ritirata essi furono  quasi tutti abbandonati nelle località di partenza o qualche chilometro più avanti.

Molto  sentita la mancanza dei carburanti e specialmente della nafta. Prima di partire dall’Italia, la divisione ebbe in prevalenza autocarri a nafta, perché sembrava che l’Intendenza germanica disponesse più di nafta che di  benzina. Giunti in Russia, si verificò  esattamente  il contrario. L’Intendenza germanica non  dava più di tre litri di olio ogni 100  di carburante (il fabbisogno  dei nostri automezzi era del 5%). Gli autocarri Fiat 626  ebbero in conseguenza del  gelo la marmitta del cambio  incrinata. Ingegneri della Fiat vennero in  Russia per porre riparo all’inconveniente, ma furono  sorpresi dalla ritirata. Nei mesi di dicembre e gennaio, dovendosi impiegare una decina di macchine, era necessario dare l’ordine di approntamento con 24 ore di anticipo  sul servizio.

In complesso i nostri autocarri si dimostrarono poco adatti ad essere impiegati in Russia, non  solo d’inverno ma  anche d’estate. Del tutto  inadatte le autovetture e gli autobus (carrozzerie troppo basse). (Occorrevano macchine a 4  ruote  motrici).

 

L’OFFENSIVA RUSSA DEL DICEMBRE-GENNAIO – L’ACCERCHIAMENTO DEL CORPO

D’ARMATA  ALPINO

 

L’undici dicembre del  1942  le truppe  sovietiche sferrarono  l’offensiva  contro l’ala destra  e  il centro  dell’8^  Armata  italiana, dopo  che nell’ultima  decade  di novembre  avevano  accerchiato le Armate  germaniche e di Stalingrado  e  sbaragliato la 3^ Armata rumena,  schierata  tra la predetta Armata.  e 1’8  Armata italiana.

Il 13 dicembre fu  attaccata anche la divisione “Cosseria” schierata  sulla destra della “Cuneense”.

Quasi tutto  il fronte della “Cosseria” fu  infranto il 16 dicembre. Il II battaglione dell’89° reggimento fanteria, che era a cotatto con il btg. “Saluzzo”, resistette  dapprima  strenuamente poi – separato dal resto  della divisione  che ripiegava  verso  oriente  – fu  costretto a cedere  ed  abbandonare  anche l’abitato  di Nowaja Kalitwa. La  situazione che veniva a crearsi metteva in serio pericolo 1’estrema destra dello  schieramento  della  “Cuneense”  e  – in  particolare  – le posizioni del btg. “Saluzzo” che potevano  essere prese d’infilata. Per porre riparo  a  tale   minaccia il comandante  della “Cuneense”  ordinò  al comandante il 2°alpini di rinforzare con  tutte le  truppe disponibili il II btg dell’89°  ftr., prendendo  questo ultimo  alle proprie dipendenze. Il 18 dicembre  fu inviato  sulla destra  del Kalitwa  il III btg. del 277°  fanteria  (Vicenza) (assegnato  in  quel giorno  alla divisione  “Cuneense”) e subito  dopo – data la scarsa efficienza di tale  battaglione – la 22^ cp. del btg. “Saluzzo”, ultimo  reparto  di riserva disponibile.

Detta compagnia contrattaccò il nemico con decisione, lo respinse oltre l’abitato di Nowaja- Kalitwa   e ne frustrò tutti i successivi attacchi fino al  giorno 22  in  cui fu  sostituita dai primi  elementi del

btg. “Tolmezzo” della “Julia”.

Nella notte  sul  24  dicembre  il nemico sferrò un attacco  in forze nel  settore del btg. “Saluzzo” (piana del Kalitwa). Fu nettamente respinto  e lasciò  sul terreno  160 morti.

La rottura del fronte tenuto dalla “Ravenna” e dalla “Cosseria” aveva creato un grande vuoto, attraverso il quale il nemico poteva lanciare in ogni momento  ingenti forze, penetrare in  profondità ed accerchiare  tutto  il  C.A. alpino. Nei giorni 16 e 17 dicembre  il comando del Gruppo  di Armate  “B”  aveva – molto probabilmente – dovuto risolvere  il problema: impiegare nuove divisioni per ricostruire, con una potente controffensiva, la  fronte sul Don oppure fare  arretrare

subito  tutto  lo schieramento  del C.A. alpino per  sottrarlo  alla minaccia di aggiramento  da  sud.

Non  potendo  attuare la prima  soluzione per  mancanza di forze  e non volendo  forse  attuare la seconda per ragioni strategiche (mantenere il fianco difensivo per le Armate germaniche accerchiate a Stalingrado) e politiche  (non indebolire  il morale del  popolo germanico), cercò di tamponare alla meglio la falla, buttandovi unità germaniche  quasi esaurite  e  spostando  la divisione  “Julia” dal  settore centrale del C.A. alpino  al settore  a sud  del  F. Kalitwa.

Al  posto della “Julia”, tra la “Tridentina”  e la “Cuneense” fu posta la  divisione “Vicenza”. Questa divisione, costituita per compiti territoriali (mancava completamente il reggimento di artiglieria), aveva scarsa capacità combattiva. Alcuni dei suoi battaglioni erano stati ceduti alle divisioni alpine e  alla difesa del centro  di Rossosch. Per queste  ed  altre ragioni il comando  del C. A. alpino  non  poté  affidare ai due reggimenti della “Vicenza” la responsabilità della difesa nel tratto di fronte che veniva lasciato dalla “Julia”.

Furono  invece  costituiti alle dipendenze  del comando  della “Vicenza” due  “settori difensivi”, composti da un  battaglione alpini e da un  battaglione di fanteria ciascuno  e rinforzati da due  batterie da montagna e da un  gruppo di artiglieria a cavallo. La “Cuneense” cedette  alla “Vicenza”  il btg. “Pieve di Teco”  e una batteria da 75/13 e dovette  allargare  verso  nord il suo settore, comprendendovi un  tratto fino  allora tenuto da un  battaglione  dell’8° reggimento  alpini della

“Julia”. Il fronte difensivo della divisione raggiunse così i 40 km. di sviluppo. Il III battaglione del 227°  fanteria ritirato  dalla zona della “Cosseria”, fu  dislocato nella zona di Topilo,  al centro  del

settore divisionale, come riserva. Reparti di artiglieria controcarro tedeschi, che  in  primo  tempo  furono  assegnati alla divisione, furono trasferiti il giorno  successivo nel  settore della  “Cosseria”. Nel  settore  della divisione restò un  gruppo tedesco di due batterie da  150 per compiere azioni d’interdizione lontana  specialmente  contro la stazione ferroviaria d i Kalasch , in cui giungevano numerosi convogli nemici.

Le  notizie  sulla situazione  generale, di cui i comandi di divisione nulla in via ufficiale   sapevano,  erano  via via conosciute  per il tramite  dell’ufficiale germanico  di collegamento  presso  il comando  di divisione  il quale possedeva una propria  stazione R.T. in grado di captare  i radiogrammi emessi  dalle stazioni delle varie unità germaniche  operanti nella zona.  Si venne  così  a  sapere  dell’accerchiamento delle Armate  tedesche  a  Stalingrado, del  crollo della 3^  Armata rumena, del ripiegamento  dell’ala  destra e del centro  dell’8^ Armata italiana  e  dell’offensiva in corso  contro  la 2^  Armata  ungherese, schierata  a nord  del C.A. alpino. La  minaccia di accerchiamento  del  C.A.  alpino era  molto  grave. In quei  giorni  (10  gennaio  1943) il comando  d’Armata italiana diramò una circolare del comando Gruppo di Armate “B”, nella quale  era detto  che  il C.A. alpino  e l’Armata ungherese dovevano mantenere la linea del Don   sino  all’ultimo  uomo  e  all’ultima  cartuccia. Nessun  arretramento  del fronte poteva  essere fatto, neppure dai battaglioni, senza  l’ordine del comando del Gruppo di Armate. Responsabili personalmente,  i comandanti di divisione.

Questa direttiva, ne stabilì un  compito  chiaro  da assolvere (mantenere a tutti i costi la linea del Don), non  riuscì però  a togliere la preoccupazione di vedersi quanto prima attaccati, oltre che  sulla fronte,  anche alle spalle e  perciò di dover  combattere  in una  situazione  in netta inferiorità rispetto  all’avversario. I reparti dovettero  rafforzare  e  migliorare le misure  già prese per  fare fronte alla possibilità di un attacco contemporaneo  sul fronte  e  alle spalle. Verso le ore 12 del  14 gennaio 1943  il  comando  del C.A. alpino  telefonò  al comando  divisione,  avvertendolo  che  probabilmente la divisione  avrebbe dovuto  spostarsi in  altra   zona. In  attesa  dell’ordine  scritto, la divisione avrebbe dovuto prepararsi a muovere.

Il comandante della divisione dette le disposizioni a tutti i comandanti sottoposti (che già in   precedenza  aveva  studiato  il caso di dove  spostare  i loro reparti in altre  parti della fronte).

Il  giorno 15  gennaio verso le  ore 11, un  ufficiale  del comando  del C.A. alpino  consegnò  al comandante della divisione l’ordine  scritto per il ripiegamento.

Intanto,  proprio  in  quella mattina, colonne  corazzate russe, rotto il fronte del  XXIV  C.A. germanico  (schierato a  sud della “Julia”) erano penetrate  in  profondità ed  avevano raggiunto ed  occupato la città di Rossosch (sede del comando  del C.A. alpino). Il comando del C.A alpino  era  stato  costretto  a  trasferirsi  ad  Opit.  nelle retrovie della “Tridentina”  (estremo nord  del  settore  del  C.A. alpino).

 

L’ORDINE  DI  RIP IEGAMENTO  DEL  C.A. ALP IN O

 

Nelle  sue linee  essenziali, ecco  il  contenuto  dell’ordine  di ripiegamento del comando del C.A ., in data  15  gennaio 1943:

– avvenimenti sfavorevoli in altre parti del fronte costringono ad arretrare il C.A., per impedirne l’accerchiamento ;

– il C.A. sarebbe  stato così costituito (da nord a sud): divisioni “‘Tridentina”, “Vicenza”, “Cuneense”, “Julia”, XXIV  C.A. corazzato  germanico – truppe e  servizi dislocati nella zona di Rossosch.

– Scopo del ripiegamento  era quello di  raggiungere al  più presto  e con  la maggiore  efficienza possibile, l’allineamento:  Waluiki – Rowenki in corrispondenza del quale  il  C.A. alpino  avrebbe dovuto  schierarsi a difesa fronte a nord-est,  saldando le proprie ali nei due  grandi pilastri difensivi di Waluiki  e di Rowenki con  grandi unità germaniche  in corso di schieramento  in  tale  zona.

– Obbiettivi del  ripiegamento: divisione  “Tridentina”,  e “Vicenza” – Waluiki; divisione “Cuneense”: Nowo  Alexandrowka (all’incirca a metà distanza fra Waluiki e Rowenki); divisione  “Julia” e XXIV  corazzato germanico: Rowenki.

– Direzioni di ripiegamento: fino all’allineamento segnato  dalla ferrovia Rossosch-Jewdakowo, le divisioni dovevano mantenere   all’incirca la fronte  sino  allora  occupata  sul  Don. Poscia  il  ripiegamento avrebbe dovuto avvenire secondo tre direzioni principali:

– a  nord: “Tridentina”  e “Vicenza: Podgornoje – Opit – Nowocharkowoa – Warwarowka  – Waluiki;

 

– al centro: divisione  “Cuneense”: Popowka  – Olikowatka  – Losno – Alexandrovna – Novo – Alexandrowka;

– a  sud: divisione “Jul ia”   e  XXIV  Corpo corazzato tedesco:  Rossosch  – Lisinowka – Rowenk i.

– Linee di attestamento: il ripiegamento  sarebbe  stato  coordinato  e diretto  dal  comando  del C.A. alpino,  che  avrebbe  marciato con la divisione  “Tridentina”  (direzione nord di ripiegamento). Per   coordinare   il ripiegamento erano state  fissate le seguenti linee  di attestamento:

1 ) – La  linea ferroviaria Rossosch-Jewdakowo, tra Rossosch e Podgornoje. Questa linea  avrebbe  dovuto  essere   raggiunta  il  mattino  del  18 gennaio (prime  ore del  giorno). Prime a raggiungerla dovevano  essere le artiglierie di C.A. per organizzarvi una  ossatura di fuoco  a protezione delle

colonne  in  ripiegamento  ;

2 )  – Il solco del F.Kalitwa  tra Warwarowka (“Tridentina”) e Rossosch  (“Julia )  e XXIV  Corpo  corazzato  germanico. Per  raggiungere  questa linea era necessario operare una conversione del fronte di ripiegamento da ovest a sud-ovest. L’ala marciante era rappresentata dalla “Tridentina”.

Inizio del ripiegamento: il movimento dei reparti avanzati  non doveva avvenire prima delle  ore  16 del giorno  17 gennaio 1943.

L’ordine  di operazioni del comando del C.A.  alpino  era stato  compilato nella notte  sul  15  gennaio, cioè  prima  che le  colonne  corazzate russe raggiungessero ed occupassero  Rossosch e due giorni prima che  i Russi conquistassero  anche  i due pilastri della futura linea difensiva:  Waluiki e Rowenki. Praticamente, la situazione che era servita di base per la  compilazione dell’ordine di ripiegamento  era radicalmente cambiata ancora prima che  il ripiegamento avesse  inizio.

Per  fare fronte a questo  improvviso ed  essenziale cambiamento della situazione,  sarebbe  stato  necessario uno stretto e costante collegamento tra le divisioni che  dovevano  ripiegare e il comando  del  C.A. alpino,  e tra questo e  i comandi superiori. Il collegamento tra il comando del C.A. alpino  e la divisione  “Cuneense” cessò di fatto la mattina del 15  gennaio e non fu  più ristabilito (eccezione fatta per una brevissima ripresa di contatto a mezzo radio  il mattino  del 20 gennaio).

Ignari della  situazione  esistente  nelle retrovie,  il comando  della “Cuneense” e quello della “Julia” avrebbero dovuto  attuare la prima fase del  ripiegamento in  base ad un  ordine di ripiegamento  che non rispondeva più  alla situazione  creatasi subito dopo la compilazione dell’ordine  stesso.

In  particolare,  l’attuazione  dell’ordine  di ripiegamento  avrebbe richiesto  questo:

– Per  quanto riguardava la “Julia” e  il XXIV  Corpo corazzato tedesco (entrambe queste G.U. avevano perduto, in un mese di combattimenti. gran parte della loro capacità offensiva), la riconquista del grande centro  abitato di Rossosch…………. (conquistato dai Russi fin  dal 15 gennaio) e, in

seguito, la riconquista  del grande  centro  abitato  di Rowenki (occupato  dai Russi il 17  gennaio).

– Per  quanto riguardava la “Cuneense”, la riconquista del  grande centro  abitato di Oljchowatka (conquistato dai Russi il 16  gennaio) e riconquista del centro  abitato di Nowa-Alexandrowka  (obbiettivo di ripiegamento),  anch’esso  occupato  dai Russi il 17 gennaio.  Circa  il raggiungimento   della 1^ linea  di attestamento  per  le prime   ore  della mattina del 18  gennaio, alcuni reparti della divisione avrebbero dovuto compiere – nel corso della notte  – extra  eventuali combattimenti – una marcia di  circa 70 km .-!

 

Il mattino  del 16  gennaio  il comando  del  C.A. alpino  dette  ordine al XXX btg. guastatori del genio e al I btg. complementi della “Cuneense” di raggiungere Rossosch – già  occupata dai Russi il giorno  precedente – per  rinforzare  la difesa  di quel centro, già  in  gran  parte  travolta. I due reparti giunsero  a Rossosch  quando  già le  colonne di fanteria e di artiglieria motorizzate russe, provenienti dal sud, avevano sbaragliato  gli ultimi  avanzi della  difesa  della  città  e  avevano  preso possesso di quasi tutta la città. Costretti da un  attacco di sorpresa al combattimento  di strada

contro  truppe corazzate  senza  averne  i mezzi adatti, furono  quasi completamente distrutti  .

 

 

IL RIPIEGAMENTO DELLA  DIVISIONE  (17-28 gennaio 1943)

 

L’ordine della divisione –

Alla sera del 15 gennaio il comando della divisione  diramò (a conferma del preavviso del giorno precedente)  l’ordine scritto di ripiegamento ai reparti dipendenti. In tale ordine,  indicati gli elementi di base contenuti nell’ordine  del comando del C.A., era  stabilito che nelle prime  ore del pomeriggio del giorno 17 gennaio  i reparti dovevano  iniziare  il ripiegamento  verso ovest. La  rottura del contatto da parte degli elementi  più avanti doveva avvenire non prima delle ore 16  (dopo il tramonto).

I due reggimenti alpini, con i reparti di rinforzo schierati nei loro settori avrebbero  dovuto ripiegare  verso  ovest, formando  due  colonne:

– a nord  – 1°alpini  ed elementi di rinforzo per l’itinerario: Kresciatik  – Archangelskoje  – abitato  a  5 km. a nord di Cjapajewa  – Popowka;

– a sud – 2°alpini ed  elementi di rinforzo  per  l’itinerario:  Lotschina – Topilo  – Solonzi – Annowka – Cjapajewa – Popowka; il III I btg. del 277°  fanteria,  doveva  trasferirsi il mattino  del             giorno  16  gennaio a Cjapajewa e  Schierarvisi a difesa contro eventuali minacce  provenienti da Rossosch.

Tutti gli automezzi in grado di partire dovevano essere avviati  a Popowka  il mattino del 17 gennaio (per l’itinerario: Annowka – Cjapajewa – Popowka).

Tutti i depositi di viveri, indumenti e materiali vari dovevano esser dati alle fiamme da parte di elementi che dovevano ripiegare con le retroguardie.

Il comando di divisione avrebbe marciato fino a Popowka con la colonna sud

 

La  giornata del 16  gennaio –

Nessun  attacco  da parte del nemico né  sul  Don  né  dalla zona di Rossosch .

Il 201° autoreparto divisionale comunicò verso le ore 10 per  telefono  che  doveva  abbandonare  quasi tutti gli automezzi, che non si era riusciti a mettere  in moto fino ad allora, perché reparti di  fanteria russa stavano attaccando la località  ove  erano gli automezzi.

Ufficiali dei reparti salmerie dislocati nella zona a sud  e a  ovest di Rossosch, raggiunto  il comando  della divisione nel pomeriggio del 16 gennaio riferirono che alle ore 11 tutti i reparti rimasti alla difesa di Rossosch  erano  stati travolti.

Verso le ore 11  il comandante il C.A. alpino telefonò personalmente  al comandante  della divisione ripetendogli e confermandogli il contenuto  della circolare  già citata dal Comando  del  Gruppo di Armate “B” diramata il giorno 10 (proibizione di abbandonare la linea del Don).

In seguito  ad  una ricognizione  effettuata nelle prime  ore del pomeriggio del 16 da un ufficiale  dello S.M. della divisione a Rossosch, fu  accertato che ormai non esistevano reparti organici nella periferia della città. I resti della difesa di Rossosch,  gli elementi addetti al centro  logistico  di Rossosch  erano  in ripiegamento disordinato sulle strade di Rossosch – Popowka  e Rossosch – Semeiki. Colonne di carreggi e di automezzi tedesche si sforzavano  di superare i punti intassati delle due  strade predette. Il frammischiamento  e  il disordine sulle due strade  erano  enormi.

Verso le ore 18 del 16 gennaio giunse al comando della divisione il comando del XXIV Corpo  corazzato tedesco con  alcuni mezzi corazzati (7 fra carri armati e  semoventi). Il comandante del Corpo  corazzato riferì al comandante  della divisione  che la “Julia” e le truppe  tedesche  da lui dipendenti avrebbero  abbandonato  la direzione di ripiegamento assegnata loro  dal  C.A. alpino, in  quanto non erano  in  grado  di attaccare il centro di Rossosch per aprirvi la strada verso Rowenki. Il comando  del  XXIV  Corpo avrebbe raggiunto la sera stessa  il comando  del C.A. alpino ad  Opit per  metterlo  al corrente della situazione e della decisione presa. In  effetti il comando del XXIV  Corpo rimase per tutto il periodo della ritirata presso il comando del C.A. con i 7 mezzi corazzati rimastigli. Le sue divisioni 385^’  e 387″^, ridotte praticamente a due  interminabili colonne di  slitte e di carreggi, si unirono in parte alla “Julia” e in  parte alla “Cuneense”. In effetto nella notte tra il 16 e  il 17  gennaio molti elementi del XXIV C.A. tedesco e tutta la divisione “Julia”; provenienti da Ternowka, sfilarono da Annowka (sede del comando della “Cuneense”)  diretti a Popowka  e Podgornoje.

 

LA PRIMA FASE DEL RIPIEGAMENTO (17-20 gennaio)

 

Dal Don a Popowka –

Alle ore 11 del 17 il comandante del C.A. alpino telefona personalmente al comandante la divisione l’ordine di iniziare il ripiegamento, secondo gli ordini già impartiti, alle ore 17 del giorno stesso, Le obiezioni mosse dal comandante della divisione circa i sostanziali mutamenti avvenuti nella situazione posta a base dell’ordine – non ultimo lo sfilamento della divisione “Julia” diretta a Popowka – non ottennero alcun risultato.

All’imbrunire del 17 gennaio (verso le ore 17), i reparti della divisione iniziarono il ripiegamento verso ovest.  Il distacco dalla linea del Don dei reparti avanzati fu disturbato in qualche parte da deboli attacchi nemici (sul fronte dei btg. “Ceva”, Mondovì” e “Dronero”).

Durante la formazione degli scaglioni e a marcia iniziata, i reparti furono seriamente disturbati nelle immediate retrovie del fronte delle artiglierie motorizzate di C.A. che da alcune ore tentavano di avviarsi verso ovest con i loro pezzi. Dopo estenuante lavoro furono costrette a fare saltare i cannoni e ad abbandonare i trattori. Altrettanto dovettero fare le due batterie tedesche da 150, che erano pure provviste di trattori cingolati.

Colonne di slitte tedesche provenienti dalla valle del Kalitwa si mischiarono agli itinerari assegnati alle due colonne della divisione.

Durante la notte i reparti di retroguardia delle due colonne (btg. “Mondovì” per il 1° alpini e btg. “Saluzzo” per il 2° alpini) furono attaccati più volte da nuclei di partigiani nell’attraversamento di alcuni villaggi.

Al mattino del 18 gennaio quasi tutti i reparti erano in forte ritardo rispetto al previsto e molto affaticati. La temperatura nella notte era scesa al disotto dei 30° sotto zero.

In particolare il btg. “Saluzzo” – retroguardia della colonna costituita dal 2° alpini – sfilò  da Annowka all’alba del 18. Solo allora il comando divisione lasciò la propria sede e si unì a tale battaglione. La 22a cp. di esso, estrema retroguardia, sostenne un cruento combattimento con avanguardie nemiche e partigiani nel momento di abbandonare l’abitato di Annowka stessa.

Risultò chiara l’impossibilità di raggiungere la linea di attestamento fissata dal C.A., senza dare un po’ di riposo ai reparti (anche per eliminare i frammischiamenti con quelli di artiglieria e con i reparti germanici).

Verso mezzogiorno i reparti di retroguardia raggiunsero la zona di Cjapajewa. Le colonne si erano fermate per la sosta negli abitati posti a cavallo della strada Rossosch-Semeiki.

Alle ore 18, dopo aver cercato invano di prendere collegamento radio con il comando del C.A. alpino e della divisione di desta (“Vicenza”) le due colonne della divisione ripresero la marcia verso Popowka. La colonna del 1° alpini vi giunse verso le ore 6 del 19 gennaio. Quella del 2° alpini, col comando della divisione, vi giunse, con la testa, verso le ore 8. Il III btg. Del 277° fanteria, che era stato avviato a Popowka il mattino del giorno 18, vi era giunto la sera stessa. Lungo la marcia sporadiche azioni di partigiani contro i fianchi delle colonne.

L’abitato di Popowka (30 km. a nord di Rossosch) era zeppo di truppe italiane e tedesche. La sera del 18 vi erano giunte la divisione “Julia” e la 385° divisione tedesca. Ad esse si erano uniti numerosissimi gruppi di sbandati provenienti da Rossosch. I reparti della divisione “Cuneense” dovettero sostare all’aperto.

Alle ore 10 del giorno 19, in una casa di Popowka, il comandante la divisione si incontrò con un generale germanico comandante di un gruppo di combattimento denominato “Rheingold”. I due comandanti stabilirono di dover abbandonare le direzioni di ripiegamento assegnate alle divisioni dal comando del C.A. alpino e di puntare sull’abitato di Waluiki, l’occupazione del quale da parte dei russi non era ancora nota (il generale germanico assicurava di aver notizie che esso era tuttora occupato da truppe germaniche), evitando la strada Rossosch-Olikowatka-Waluiki, che risultava invece in possesso dei russi, e seguendo l’itinerario: Popowka-Kulashewka-Sheliakino (o Warwarowka)-Waluiki. Tutti gli automezzi che erano riusciti a raggiungere Popowka e tutti i carreggi delle divisioni tedesche dovevano essere abbandonati perché le piste percorribili erano controllate dagli elementi corazzati russi. Tutte le slitte dovevano marciare coi rispettivi scaglioni.

Durante la sosta le radio del comando divisione cercarono inutilmente di stabilire il collegamento con il comando del C.A. alpino e con i comandi della divisione “Vicenza” e “Tridentina. Nel pomeriggio del 19 un ufficiale dello S.M. raggiunse con un’autovettura Podgornoje e cercò di giungere ad Opit per trovare il comando del C.A.. Trovò la strada intasata e non poté oltrepassare Podgornoje. Riuscì però  a sapere che la “Tridentina” aveva combattuto la mattina ad Opit e che era riuscita a passare e a proseguire verso Ovest. Colonne di slitte e sbandati, fuori strada, annaspavano nella neve per cercare di raggiungere la divisione “Tridentina” e il comando del C.A.- Durante la giornata a Popowka si ebbe qualche azione di disturbo da parte di partigiani.

 

Da Popowka a Nowo-Postojali (1) –

Alle ore 15 del 19 gennaio la “Cuneense” riprese la marcia verso est, suddividendosi in due scaglioni: il primo, formato dal 1° alpini e il secondo dal 2° alpini. Il comando della divisione si avviò col primo scaglione. A protezione dell’incolonnamento e dell’avviamento dei reparti sull’itinerario fissato fu posto il III btg. del 277° fanteria che doveva schierarsi fronte a sud e sud-est.

Prima della partenza si cercò di raccogliere e di inquadrare tutti gli sbandati che si trovavano a Popowka, per impedire loro di frammischiarsi negli scaglioni e portarvi disordine e intralcio. I reparti di formazione che ne risultarono furono avviati sul l’itinerario fra il primo e il secondo scaglione.

Verso le 19 reparti di fanteria russi (in tuta bianca e scambiati per tedeschi), sopraffatto il III btg. del 277° ftr., attaccarono il secondo scaglione della divisione mentre stava partendo da Popowka. Alcuni reparti, colti di sorpresa, furono scompaginati. Una compagnia del btg. “Borgo S. Dalmazzo” (la 14a) e una batteria del gruppo “Val Po” (la 72a) andarono pressocché perdute. La 21a cp., del btg. “Saluzzo” combatté eroicamente e permise alla colonna di sganciarsi e proseguire il ripiegamento verso Nowo-Postojali1.

 

(1) Nowo-Postojali é un villaggio – non segnato sulla carta l : 300,00C che trovasi sulla strada Rossosch-Ostrogolsk a circa metà percorso tra Rossosch e Postojal.

 

Verso le ore 24 del 19 gennaio il primo scaglione della divisione raggiunse la dorsale di Nowo-Postojali, presso Nowo-Postojali. A ridosso dell’ abitato erano fermi reparti della “Julia” (8° reggimento). Il secondo scaglione si fermò ai piedi della dorsale: presso il Kolkos Kopanki.

 

I combattimenti del 20 gennaio 1943 a Nowo-Postojali –

All’ imbrunire del 19 gennaio, i reparti della “Julia”, mentre tentavano di superare la dorsale presso Nowo-Postojali, avevano urtato contro lo schieramento nemico organizzato sulla sommità della dorsale stessa. I reparti della ‘Julia” avevano cercato di superare di forza lo schieramento avversario ma, dopo un successo iniziale, erano stati ricacciati indietro.

Il comandante del primo scaglione della “Cuneense” (col. Manfredi), giunto a contatto con i reparti dell’8° alpini, fu dal comandante di questo messo al corrente della situazione. Il comandante dell’8° alpini (col. Cimolino) espresse la convinzione che, attaccando prima dell’alba con un battaglione in piena efficienza, la difesa dell’abitato sarebbe stata sopraffatta. Il comandante del 1° alpini predispose allora l’attacco del centro abitato con il btg. “Ceva” (ten. col. Avenanti). Attaccando di notte e contro uno schieramento non conosciuto, il battaglione non poté fare assegnamento sull’appoggio dell’ artiglieria,

Alle ore 3,30 il btg. “Ceva” mosse verso l’abitato, cercando di arrivare addosso alla difesa di sorpresa. La reazione della difesa, fatta a brevissima distanza, fu violentissima e investì in pieno le compagnie del battaglione proprio mentre queste stavano per raggiungere il margine dell’abitato da più parti.

Le perdite del battaglione furono gravi ed esso dovette ripiegare sulle posizioni di partenza. Il comandante del 1° alpini decise allora di ritentare 1’attacco alle prime luci dell’alba facendo intervenire il gruppo “Mondovì” da 75/13.

Ma, poco tempo prima di iniziare il secondo attacco, i russi scatenarono un robusto fuoco di artiglieria e di mortai sul btg. “Ceva” e sul gruppo “Mondovì”. Dopo una prima azione di fuoco il nemico effettuò un contrattacco appoggiato da alcuni carri armati. Il “Ceva” ed altri reparti del 1° alpini, nonostante le gravissime perdite, tennero duro e costrinsero il nemico a ripiegare sul paese. I carri armati, pressochè indisturbati dal fuoco dei nostri pezzi da 47 e dai colpi E.P. dei pezzi del “Mondovì”, travolsero uomini, mitragliatrici, cannoni da 47 ed anche i pezzi del gruppo “Mondovì” i cui tre comandanti di batteria morirono eroicamente sui pezzi. Due carri armati rimasero sul terreno immobilizzati. Gli altri ripiegarono su Nowo Postojali.

Il comandante di reggimento e i comandanti di battaglione della divisione “Julia” proposero al loro comandante di divisione e al comandante della “Cuneense”, generale Battisti, di negoziare la resa col nemico. Il gen. Battisti che, come comandante di divisione più anziano, avrebbe dovuto decidere per tutti, non ritenne di accogliere la proposta, prima che fossero stati effettuati tutti i tentativi possibili di rompere o di aggirare lo schieramento nemico e prima che tali tentativi si fossero dimostrati vani.

Verso le 8 del 20 gennaio, la radio della “Cuneense” riuscì a mettersi in collegamento con una radio del comando del C.A. alpino. Il generale Battisti riferì al comando superiore sulla situazione e fece presente la difficoltà di superare lo schieramento nemico senza l’aiuto di cannoni semoventi o di carri armati. II comando del C.A. e (era al microfono della radio il magg. Tessitore dello S.M. del C.A.) comunicò che anche 1a divisione “Tridentina” era duramente impegnata contro lo sbarramento nemico di Postojali (circa 20 km. più a nord del villaggio di Nowo-Postojali) Qualora l’attacco della “Tridentina” fosse riuscito, il comando del C.A. avrebbe inviato in aiuto alla “Cuneense” i 7 carri e cannoni semoventi rimasti al XXIV Corpo corazzato germanico.

Verso le ore 9,30 il collegamento radio si interruppe senza preavviso. Non fu più ristabilito per tutta la durata del ripiegamento.

La divisione attese per alcune ore che giungessero i mezzi corazza  promessi dal C.A., ma questi non giunsero. Ciò fece pensare che la “Tridentina” fosse stata fermata e che dovesse tentare un nuovo attacco, trattenendo perciò i 7 carri e semoventi.

Partendo da questa supposizione e considerato che prima dell’imbrunire i russi avrebbero potuto effettuare un attacco in forze per sbaragliare le truppe raccolte tra Nowo-Postojali e Kolkos Kopanki, il comandante della “Cuneense” decise di superare la dorsale di Nowo-Postojali più a nord del centro abitato. Verso le ore 14 egli ordinò al comandante del 2° alpini di inviare due battaglioni verso due piccoli villaggi, situati alcuni chilometri più a nord di Nowo-Postojali. I battaglioni “Borgo S. Dalmazzo” e “Saluzzo”, dopo una breve ma faticosa marcia nella neve alta, riuscirono a portarsi indisturbati sulla dorsale e cercarono di attraversarla tra i due piccoli villaggi predetti. Sembrava che stessero per passare oltre quando furono violentemente investiti sui fianchi da reparti russi che erano appostati nei due abitati. Ebbero fortissime perdite, ma riuscirono ad aggrapparsi al margine dei due villaggi. Contrattaccati poi da rilevanti forze di fanteria e da alcuni carri armati e sottoposti ad un preciso e violento fuoco di mortai, i due battaglioni furono quasi completamente distrutti.

Tornarono dall’azione solo i comandanti di battaglione, alcuni ufficiali e una sessantina di uomini per battaglione. Tutti gli altri rimasero sul terreno o feriti a morte (oltre 1.500 uomini).

Constatato che lo sbarramento nemico della dorsale era insuperabile senza il concorso di cannoni anticarro e carri armati, il comandante della divisione “Cuneense” decise di tentare l’ultima possibilità che ancora restava per salvare i resti delle due divisioni. Tale possibilità si fondava sulla speranza che la “Tridentina” fosse riuscita a superare Postojali (dopo le 10 non si era più sentito tuonare il cannone in quella direzione) e a proseguire verso ovest. Si trattava perciò, approfittando delle tenebre, di rompere il contatto e di sfuggire verso nord per portarsi sull’itinerario della “Tridentina” e ricongiungersi con essa. Quasi tutti i resti della divisione “Julia” con i loro comandi di reggimento e di battaglione si arresero ai russi. Il comandante della “Julia”, il Capo di S.M., il comandante dell’artiglieria con piccole aliquote dei vari reparti della divisione stessa preferirono unirsi alla “Cuneense” e seguirne le sorti.

All’imbrunire del giorno 20 gennaio, mentre reparti della divisione stavano lasciando le posizioni di Nowo-Postojali, reparti di fanteria russi sferrarono un nuovo attacco contro i resti del 1° alpini. Il battaglione “Mondovì”, incaricato di proteggere il ripiegamento da Nowo-Postojali e di proteggere, successivamente, il fianco della colonna mentre questa si dirigeva verso nord, fu seriamente impegnato da più parti e costretto al combattimento. Per assolvere il suo compito, il battaglione “Mondovì” dovette sacrificare gran parte dei suoi uomini (il comandante del battaglione, magg. Trovato, morì nell’azione) .Nello stesso tempo, reparti russi provenienti da Popowka stavano attaccando alle spalle resti del 2° alpini, mentre questi cercavano di allontanarsi da Kolkos Kopanki. Approfittando delle tenebre e mascherando il ripiegamento con l’azione di una compagnia del “Dronero”, le truppe di Kolkos Kopanki riuscirono a sottrarsi all’attacco nemico e ad avviarsi verso nord.

In definitiva, in meno di 24 ore (tra le 22 del 19 e le 18 del 20 gennaio), la divisione “Cuneense” aveva complessivamente perduto, a Popowka e a Nowo-Postojali: quattro battaglioni alpini, un battaglione di fanteria, un gruppo di artiglieria da 75/13, una batteria da 105/11 e cioé i 5/6 della sua fanteria e più di metà della sua artiglieria. Alla divisione restavano ancora: il battaglione “Dronero” e il gruppo “Pinerolo” da 75/13, non ancora impegnati in combattimento, il battaglione genio e i resti dei battaglioni perduti,

Si ricordi che il btg. “Pieve di Teco” del 1° alpini era stato ceduto alla divisione “Vicenza”.

Al momento in cui la divisione riprese la marcia verso nord, non contava più di 7.000 uomini (5.000 propri e 2.000 dei reparti e servizi di corpo d’armata). Ad essa si unirono un migliaio di uomini della divisione “Julia”, con il generale Ricagno, il col. Molinari e il col. Moro.

 

 

 

LA SECONDA FASE DEL RIPIEGAMENTO

Da Nowo-Postojali a Nowo-Charkowka

Lasciata la zona di Nowo-Postojali-Kolkos Kopanki, i resti della “Cuneense”, formando due colonne, si avviarono verso nord-ovest. Il comandante della divisione intendeva di portarsi al più presto sull’itinerario seguito dalla “Tridentina” e, a marce forzate, raggiungerla e fare blocco con essa.

Si marciò ininterrottamente tutta la notte sul 21 gennaio e tutto il giorno 21 fino alle ore 20. Verso le ore 15 del 21 la divisione raggiunse il centro abitato di Postojali, dove il mattino del giorno  precedente aveva combattuto la “Tridentina” e dove qualche ora prima aerei nemici avevano bombardato a lungo truppe in sosta nell’abitato. Le truppe della “Cuneense” raggiunsero il paese, stremate dal freddo e dalla fatica. Il comandante della divisione ritenne però opportuno di non fermarsi a Postojali per timore che il nemico vi effettuasse nuove azioni con carri armati e bombardamenti aerei. Dette perciò l’ordine di proseguire verso ovest, con 1’intenzione di fare tappa in qualche località più sicura. Alle ore 20 la testa delle due colonne della divisione raggiunse l’abitato di Alexandrowka (1), dove si trovava ancora un piccolo presidio germanico. La coda delle due colonne raggiunse l’abitato dopo la mezzanotte.

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(1) – Non segnato sulla carta. Trovasi ad ovest di Postojali.

 

Il comandante della divisione intendeva riprendere la marcia verso est nel tardo mattino del giorno 22 gennaio per fare riposare le truppe specialmente per riorganizzare un po’ i reparti. La frequente comparsa di aerei nemici imponeva che, almeno, l’arrivo alle tappe avvenisse di notte. All’alba del 22 gennaio, il comandante della divisione, preoccupato di raggiungere al più presto la “Tridentina”, chiese ai comandanti di reggimento se ritenevano possibile di riprendere subito la marcia. I comandanti di reggimento, malgrado lo sfinimento degli uomini, molti dei quali erano feriti e congelati, accettarono di ripartire subito.

I resti del 1° alpini ripresero la marcia verso le 7,30; il resto della divisione partì alle ore 9,30 alla volta di Nowo-Charchowka.

L’adunata e l’incolonnamento dei reparti furono particolarmente faticosi. Azioni di partigiani indussero però gli sbandati ad abbandonare le case e a riprendere la marcia.

La sera del 22 gennaio i due scaglioni della divisione scesero nella valle del fiume Oljkowatka e raggiunsero l’abitato di Nowo-Charkowka (1). Qui la “Cuneense” raggiunse la coda della divisione “Vicenza”, giuntavi nella mattina. Nessuna notizia importante sulla situazione generale, su quella della “Tridentina” e del comando di C.A. alpino si poté apprendere dalla “Vicenza”. Durante la notte sul 23 gennaio la “Vicenza” ripartì per Krawzowka, alla volta di Sheliakino.

La notte sul 23 gennaio passò tranquilla, nonostante la vicinanza villaggio di Nowo-Charkowka da Oljkowatka, occupata dai russi.

 

Da Nowo-Charkowka a Nowo-Dimitriewka e Rebalzin

All’alba del 23 gennaio i resti della divisione ripresero la marcia verso Sheliakino, passando per Krawzowka. Durante la marcia una lunga colonna di slitte tedesche si unì e si frammischiò ai reparti della divisione. Verso le 14 carri armati russi piombarono all’improvviso sulla

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(l ) – Non segnato sulla carta, trovasi a nord-ovest di Charkowskaia.

 

testa della colonna e scompaginarono lo scaglione di testa. Molte perdite ebbe un reparto salmerie che si era fermato nella piazzetta del villaggio. Un mortaio tedesco con un colpo fortunato riuscì a immobilizzare uno dei carri armati. Gli altri due carri si ritirarono verso Krawzowka. Durante la marcia di Nowo-Charkowka a Krawzowka si ebbero numerosi feriti per lo scoppio di bombe a mano italiane abbandonate nella neve (qualche reparto italiano che era passato per quella strada aveva lanciato bombe, che erano affondate nella neve senza scoppiare).

Riformatasi la colonna, questa avanzò fino all’imbrunire, raggiungendo una serie di villaggi nella zona di Krawzowka-Limarew dove sin dal mattino sostava la divisione “Vicenza”. Questa riparti alla volta di Sheliakino verso le ore 20 del 23 gennaio. La colonna della “Cuneense” sostò invece a Nowo-Dimitrlewka (l).

Verso le ore 22 del 23, dalla valle di Sheliakino proveniva il rumore di un cannoneggiamento abbastanza intenso. Si pensò che si trattasse della “Tridentina”, perché nel pomeriggio di quel giorno, subito dopo l’attacco dei tre carri armati russi, il Capo di S.M. del C.A. alpino, gen. Matjnat, che viaggiava con un’autovettura, si era incontrato con il comandante della “Vicenza” e gli aveva comunicato che la “Tridentina” non doveva essere avanti della “Cuneense” più di una tappa.

Il gen. Martjnat aggiunse che anche la situazione della “Tridentina” non doveva considerarsi disperata se altre unità poste all’infuori del cerchio stretto attorno al C.A. alpino non fossero accorse in suo aiuto.

In tale situazione il comandante della “Cuneense” emanò un ordine scritto ai comandanti dipendenti, nel quale, mettendoli al corrente delle poche e vaghe notizie apprese sulla situazione, li esortava a accogliere tutte le forze per compiere lo sforzo decisivo: l’ultima speranza di salvezza era nella celerità e nella lunghezza delle marce future. La situazione della divisione non consentiva di affrontare nuovi

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(l) A nord di Sheliakino.

 

combattimenti offensivi; era perciò necessario marciare fuori dalle strade evitando il più possibile gli abitati. All’alba del 24 gennaio la divisione avrebbe ripreso la marcia verso ovest su due colonne (quella del l° alpini, a destra) che, anziché puntare direttamente su Sheliakino, avrebbero dovuto aggirare tale abitato da nord (mantenendo 6-7 km. da esso) e attraversare la valle del F.Kalitwa all’incirca a metà strada tra Sheliakino e Warwarowka (che molto probabilmente era fortemente presidiata dai russi) o a monte di quest’ultima località.

Poco prima della mezzanotte il comandante della divisione radunò i comandanti dipendenti presenti in Nowo-Dimitriewka ed espose la situazione: continuare il ripiegamento riuniti ai suoi ordini o tentare di uscire dalla sacca con i reparti suddivisi in piccoli gruppi. Gli ufficiali dello dello S.M. del comando dell’artiglieria e del genio e tutti gli altri comandanti presenti dichiararono che preferivano seguire la sorte comune agli ordini del generale Battisti. Analoga risposta fece avere al comandante della divisione il comandante del l° alpini, col. Manfredi, a none di tutti gli ufficiali superstiti.

Il comandante del 2° alpini e due ufficiali superiori di tale reggimento dichiararono invece che preferivano tentare la sorte per proprio conto. Furono autorizzati ad effettuare un tentativo. Partiti subito con una slitta e direttisi verso nord-ovest furono fatti prigionieri nella stessa giornata.

Verso le ore 2 del 24 gennaio le due colonne ripresero la marcia verso ovest, mantenendosi lontane dal fondo valle Kalitwa 8-9 chilometri. L’avanzata, dovendosi camminare sulla neve alta, attraverso boschi e dovendosi superare avvallamenti molto ripidi, riuscì oltremodo faticosa. Più volte i reparti furono disturbati e trattenuti da azioni di partigiani.

Dopo una sosta di tre ore nell’abitato di Ambrovka (?), alle ore 18 del 24 gennaio, le due colonne puntarono verso sud per attraversare la valle del fiume Kalitwa, senza toccare centri abitati e senza incontrare resistenza. Il passaggio della valle doveva avvenire, come stabilito, a circa metà strada tra Sheliakino e Warwarowka o a monte di quest’ultima località. La colonna del 2° alpini e del comando divisione giunge nel fondo valle di un affluente del Kalitwa (Annow) presso Garbusowo poco prima dell’alba del 25 e proseguì subito per Rubalzin (l), dove giunse nelle prime ore del mattino.

La colonna del l° alpini vi arrivò invece verso le ore 8 del 25 gennaio. Il comandante della colonna intendeva proseguire subito per Rubalzin, ma gli sbandati si sparpagliarono in una piazza e per la strada principale del paese di Garbusowo per procurarsi del cibo e riposare. All’improvviso alcuni mortai pesanti e cannoni russi iniziarono un fuoco violento sulla colonna, portandovi lo scompiglio. Due carri armati con fanteria montata piombarono addosso alla coda della colonna, facendo fuoco con il cannone e le mitragliatrici e la costrinsero a sbandarsi. Le perdite in uomini e in slitte (cariche di feriti e congelati) furono rilevanti. La testa della colonna, uscita fuori dell’abitato, riprese la marcia. Il resto della colonna fu ricomposto ed avviato, da alcuni ufficiali, dietro la testa. Nuclei di partigiani con mitragliatrici attaccarono in più punti i fianchi della colonna che, assottigliandosi sempre di più, poté raggiungere soltanto verso mezzogiorno il villaggio di Rubalzin. La marcia era durata, per la colonna del l° alpini, 30 ore. Gli uomini erano sfiniti dalla fatica, dal freddo e dalla fame. Il comandante della divisione decise perciò di sostare in Rubalzin fino alla sera del 25 gennaio.

 

Da Rubalzin a Solonzi e Malakiewka

All’imbrunire del 25 gennaio i resti della “Cuneense” e della “Julia” si incolonnarono per riprendere la marcia verso Schukowo (2) ed

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(l) – Rubalzin trovasi sulla dorsale tra il Kalitwa e il suo affluente di sinistra (Annow).

(2) – Schukowo trovasi sulla strada di fondo Val Kalitwa tra Nadolnoje e Bublikow.

 

oltre. Mentre la testa della colonna stava per ripartire, si scatenò una violenta bufera di neve e di vento. La testa della colonna non poté fare in un’ora più di 200 metri. Molti uomini ebbero congelati i piedi e il viso. Fu giocoforza sospendere la marcia e ritornare nell’abitato per aspettare che la tempesta si calmasse. Moli uomini non riuscirono a raggiungere un posto al coperto ed al mattino furono trovati assiderati nella neve.

Verso l’alba del 26 gennaio la bufera cessò. Si formò subito un’unica colonna e si riprese la marcia verso sud-ovest, sempre con l’intendimento di raggiungere almeno Waluiki, che già si trovava assai più a nord dell’ obbiettivo di ripiegamento assegnato alla divisione dall’ordine del giorno l5. Durante la marcia, per la prima ed ultima volta durante tutta la ritirata, un aereo germanico sorvolò per qualche minuto la colonna, senza però gettare alcun messaggio o fare una qualsiasi indicazione.

Giunti in vista del villaggio di Schukowo, mentre la colonna della divisione scendeva per un pendio verso il villaggio, alcune mitragliatrici piazzate sul campanile della chiesa e alcuni mortai pesanti la investirono con il loro fuoco. Alcune mitragliatrici furono montate dai nostri reparti, ma per farle sparare si dovette accendere sotto ciascuna di esse un mucchio di paglia (ogni arma aveva un servente con un telo da tenda pieno di paglia per riscaldare le mitragliatrici al momento dell’impiego). Il btg. “Dronero” che conservava ancora una certa efficienza riuscì e serrare sotto il paese e, con un attacco alla baionetta, condotto dal cap. di S.M. Amico, costrinse il reparto nemico a cessare fuoco e fuggire. Furono catturate una autoblindo e due mitragliatrici inefficienti ma molti morti e feriti nostri restarono sul terreno. La divisione marciò fino a sera senza più essere disturbata (un aereo nemico sorvolò più volte la divisione senza fare fuoco). Giunta nella zona dei villaggi di Malakeiewa, la colonna fu sottoposta nuovamente ad un violento fuoco di mortai e di mitragliatrici. Suddivisa in due blocchi questi procedettero per itinerari diversi fino alle ore l del 27 gennaio, e si fermarono per la sosta negli abitati di Malakejewa e Solonzi (a sud-ovest di questa) distanti fra loro circa 8 km., per aspettarvi l’alba e riposare qualche ora. Alle prime luci i due blocchi ripresero la marcia vergo ovest, ma fino alle ore l0 non riuscirono ad avvistarsi né ad avere notizie uno dell’ altro. A quella ora un aereo nemico sorvolò ora l’uno ora l’altro, mitragliando e spezzonando da bassissima quota. L’attacco aereo scompigliò le truppe e procurò nuove perdite, ma permise ai due blocchi di avvistarsi reciprocamente e, poco dopo, di ricongiungersi.

Nel pomeriggio del 27 gennaio la divisione giunse in vista di un abitato occupato dall’avversario (Woronowka ?). Da esso partiva intenso fuoco di mortai. La colonna lo aggirò e si diresse verso sud-ovest lasciandolo alla sua destra. Poco prima dell’imbrunire il comandante della divisione ordinò una sosta per riorganizzare la colonna prima di proseguire verso ovest, con l’intenzione di raggiungere la valle  del fiume Walui, percorsa dalla ferrovia Waluiki-Nikolajewka, durante la notte e di attraversare questa in un punto lontano dai centri abitati, qualora fossero già occupati dall’avversario, come affermavano gli abitanti interrogati.

Mentre la colonna riprendeva il movimento, la testa venne attaccata da alcuni squadroni di cosacchi con mitragliatrici su slitte e appoggiati da una batteria da 122. L’attacco di sorpresa, partente da un bosco, fu così improvviso che il comandante della divisione, che con alcuni ufficiali si trovava a cavallo in testa alla colonna, si sottrasse a stento alla cattura. Il btg, “Dronero” si schierò rapidamente, contrattaccando e costringe il nemico a ripiegare.

La marcia fu ripresa e continuò tutta la notte disturbata da fuoco di mortai avversari. Verso l’alba del 28 la testa della colonna (btg. “Dronero”) piegò inspiegabilmente verso sud. Il comandante la divisione inviò alcuni ufficiali a cavallo per raggiungere la testa della colonne e riportarla sulla direzione ovest. Un ufficiale del comando divisione (magg. Berardi), riuscì a raggiungerla poco ad est di Mandrova (l). Un ufficiale tedesco era alla testa con alcuni ufficiali e guidava la marcia a forte andatura. La testa non volle sapere per alcuna ragione di cambiare direzione. Raggiunto un abitato, la massa si buttò a capofitto nelle case e non volle più muoversi; lo sfinimento ebbe ragione del timore di cadere prigionieri. Quelli che non trovarono posto nelle case, si fermarono in mezzo ai campi; per riscaldarsi dettero fuoco ai pagliai disseminati nei campi stessi. Ogni tentativo di impedire ciò e indurre gli uomini a riprendere la marcia fu vano.

 

LA CATTURA DEI RESTI DELLA “CUNEENSE”

Alle prime luci del 28 gennaio l943, gruppi di partigiani nemici, richiamati dal bagliore dei fuochi, attaccarono molti gruppi di nostri soldati al bivacco. Reparti regolari russi sorprendevano nel sonno quelli che si erano rifugiati nelle case dei villaggi della zona. Con le prime luci dell’alba si formarono due gruppi di forze. Con quello di destra (nord) era il comando divisione, con quello sud, il comando del l° alpini. I due gruppi riuscirono a riprendere celermente la marcia verso ovest. Non appena riuscirono ad avvistarsi, il gruppo sud puntò su quello nord per unirsi ad esso. Aerei nemici cominciarono a sorvolare i gruppi e a mitragliarli. Superata la dorsale che si stendeva tra il fiume Polatowka e il fiume Walui, un violento fuoco di artiglieria, di mortai pesanti investì in pieno il gruppo sud e lo scompaginò. Un gruppo di squadroni di cavalleria cosacca proveniente da nord comparve al galoppo in fondo alla valle. Qualcuno gridò: “Ecco gli ungheresi, ecco gli ungheresi!”. Il grido passò su tutte le bocche e i

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(l) – Non segnata sulla carta.

 

soldati correndo si diressero verso le posizioni delle armi nemiche. La cavalleria nemica fece cerchio attorno alla massa e la strinse al centro. Piccoli  gruppi che non si erano precipitati verso il fondo della valle cercarono di procedere celermente verso il gruppo del comando divisione.

Il gruppo nord giunse ai primi albori in vista di un villaggio (che si seppe poi essere Roswenskoje (o Roshdestweno) 3-4 km. da Waluiki). L’avanguardia col comandante la divisione, attraversò la strada ferrata e venne violentemente attaccata da cavalleria. Dopo breve combattimento, esaurite le munizioni, i reparti furono catturati e con essi il comandante la divisione e alcuni ufficiali del comando. Erano le ore 5,30 del 28 gennaio l943.

I resti del “Dronero” furono catturati verso le ore 8,30. Nel pomeriggio lo furono anche gli sbandati, i resti del “Borgo S. Dalmazzo”; del “Saluzzo” e del ”Mondovì” insieme con i resti della divisione “Julia”.

Così, nella giornata del 28 gennaio l943, nella zona di Roswenskoje nord, e Waluiki a sud, finirono i resti della divisione alpina “Cuneense” e dei reparti della “Julia” che si erano uniti ad essa durante la ritirata.

Gli uomini caduti in mano al nemico in quel giorno ammontavano a circa 4.000, Parte di essi era ferita e congelata. Tutti erano sfiniti dalla fatica e dalle privazioni.

 

 

OSSERVAZIONI SUL RIPIEGAMENTO

 

Bilancio del ripiegamento

La divisione “Cuneense” in 12 giorni e 11 notti percorse circa 250 chilometri. La più grande parte del percorso fu fatta fuori strada, cioè battendo la pista nella neve alta. Perciò un’idea più chiara dello sforzo fatto dalla divisione può aversi calcolando le ore di marcia effettiva compiuta dalle truppe: 182 ore di marcia. Si ha così una media di 16 ore di marcia al giorno.

Nello stesso periodo la divisione dovette sostenere una ventina di combattimenti con truppe regolari e con partigiani russi. Nei combattimenti del 20 gennaio, avvenuti nella zona di Nowo-Postojali, nei quali la divisione ebbe di fronte forze valutabili ad una divisione di fanteria, rinforzata da un battaglione di carri armati, la divisione perdette gran parte delle sue unità (più dell’80% della sua fanteria e circa il 50% della sua artiglieria). Come grande unità, la divisione “Cuneense” poteva considerarsi perduta alla sera del 20 gennaio.

La fame, il freddo (quasi sempre intorno ai 30° sotto zero), la stanchezza accrebbero le perdite della divisione in misura rilevante.

Alla fine della ritirata le perdite per sfinimento e per assideramento raggiunsero certamente una cifra pari all’incirca alla metà delle perdite avute nei combattimenti.

Complessivamente, tra morti e feriti gravi, assiderati, sfiniti, la divisione nella ritirata perdette più dei due terzi degli uomini presenti al momento dell’inizio del ripiegamento.

Si ricorda che la divisione “Cuneense” mancava del btg. “Pieve di Teco” ceduto alla “Vicenza” fin dal 18 dicembre. Molti elementi dei servizi (salmerie, ospedali, automezzi ecc.) avevano iniziato il ripiegamento in anticipo ed, in parte, riuscirono a sottrarsi alla sorte della divisione.

La condotta del ripiegamento

La distinzione in due fasi fatta nella narrazione del ripiegamento della “Cuneense” rispecchia due situazioni, ben diverse tra loro, in cui venne a trovarsi la divisione stessa nel corso del ripiegamento.

– Nella prima fase (fino alla sera del 20 gennaio), la divisione ripiegò lungo la direzione fissatale dal comando del C.A. alpino e, potendo contare su una sufficiente capacità offensiva, cercò di aprirsi la strada verso ovest con azioni di forza.

– Nella seconda fase (dalla sera del 20 gennaio alla mattina del 28 gennaio) la divisione “Cuneense”, avendo esaurita quasi completamente la sua capacità offensiva, fu costretta a ricercare la salvezza delle truppe superstiti evitando i combattimenti e tentando di uscire dall’accerchiamento attraverso qualche vuoto nel dispositivo nemico.

Il radicale cambiamento iniziale della situazione generale apportò una sostanziale modifica al dispositivo di ripiegamento di tutto il C.A. alpino. Al dispositivo di ripiegamento su vasta fronte (tutte le divisioni marcianti su colonne parallele in prima schiera), venne a sostituirsi dopo il 20 gennaio quello su fronte ristretta (una divisione dopo l’altra, quasi sullo stesso itinerario). In tal modo la divisione “Tridentina” venne praticamente a costituire l’avanguardia della “Cuneense” (e resti della “Julia” e della “Vicenza”) venne a costituire il grosso e la retroguardia del C.A., che purtroppo, raccoglieva tutti i dispersi e gli sbandati delle unità che la precedevano nel ripiegamento.

Le vicende della seconda fase del ripiegamento e soprattutto la mancanza costante di un collegamento qualsiasi tra avanguardia e grosso, impedirono a questo di raggiungere la “Tridentina” e di fare massa con essa. Non solo, ma impedirono anche al grosso di beneficiare delle azioni tattiche svolte dalla “Tridentina” per aprirsi la strada verso ovest, azioni tattiche rese possibili e facilitate dalle successive comunicazioni che le autorità superiori riuscirono a far pervenire al comando del C.A. (che seguiva la “Tridentina”) per mezzo della radio del comando del XXIV Corpo d’Armata germanico (che marciava pure con la “Tridentina”) e degli aerei, comunicazioni che segnalavano le località già occupate dal nemico e la direzione di marcia più conveniente. Nessuna di tali comunicazioni giunse al comando della “Cuneense” e della “Julia”. Le predette azioni tattiche furono anche facilitate dalla disponibilità di cannoni semoventi e carri armati di cui la “Cuneense”, la “Julia” e la “Vicenza” erano assolutamente sprovviste. L’insuccesso del ripiegamento per tre delle quattro divisioni del C.A. alpino fu dovuto essenzialmente alla mancanza di un collegamento continuo e sicuro tra le divisioni stesse e il comando del C.A. che procedeva con la divisione “Tridentina” e, di conseguenza, alla mancanza di ogni coordinamento del movimento di tutte le divisioni del C.A. alpino. Non c’è dubbio infatti che se nella seconda fase del ripiegamento, tutti i reparti delle divisioni del C.A. alpino fossero riusciti a congiungersi e ad avanzare insieme verso ovest, facendosi aprire la strada da un raggruppamento tattico costituito con tutti reparti ancora efficienti rimasti alle singole divisioni, la probabilità di uscire dall’accerchiamento per i resti di tutte quattro le divisioni del C.A. sarebbe stata notevolmente maggiore.

Particolarmente sentita – specialmente nel campo operativo – fu la costante assenza dal cielo del ripiegamento dell’aviazione amica. Non c’è fase della guerra in cui l’intervento della propria aviazione sia indispensabile come nel ripiegamento. L’aereo sarebbe stato, durante il ripiegamento, il mezzo più adatto per il collegamento tra le divisioni e il C.A., cosi come, nel campo tattico, sarebbe stato il mezzo più adatto per sostituire il cannone controcarro di cui tutte le divisioni del C.A. (meno la “Tridentina” che poté valersi dei 7 carri e cannoni semoventi del XXIV Corpo corazzato germanico) erano completamente prive.

 

La battaglia di Nowo-Postojali

II giorno 20 gennaio, per rompere lo sbarramento nemico nella zona di Nowo-Postojali, furono impiegati in tre azioni successive quattro battaglioni alpini, che andarono quasi  completamente distrutti senza poter raggiungere gli obbiettivi delle rispettive azioni tattiche. Nel decidere l’attacco sferrato prima dell’alba del 20 gennaio dal btg. “Ceva”, ci fu un errore di valutazione delle forze nemiche schierate in corrispondenza dell’abitato di Nowo-Postojali. Al momento dell’attacco del btg. “Ceva”, lo schieramento nemico era molto più forte di quello che era all’imbrunire del giorno precedente, quando fu attaccato dai reparti della “Julia”. I ragguagli sulla situazione che il comandante dell’8° alpini fornì al comandante del 1° alpini verso le ore 1 del 20 gennaio non tenevano conto delle variazioni in più che le forze nemiche avevano avuto nella prima parte della notte. Se i quattro battaglioni perduti in quel giorno dalla divisione, avessero attaccato  contemporaneamente lo sbarramento nemico su una fronte abbastanza ampia, la probabilità di riuscita dell’azione sarebbe stata maggiore.

E’ però da tenere presente che a determinare l’insuccesso dell’azione del “Ceva” all’ alba, e dell’azione del “Borgo S. Dalmazzo” e del “Saluzzo” nel pomeriggio del giorno 20, furono i mezzi corazzati nemici, contro i quali reparti della “Cuneense” non avevano alcun mezzo appropriato. Perciò, anche nel caso in cui le posizioni di Nowo-Postojali fossero state attaccate da più battaglioni, ben difficilmente la giornata del 20 gennaio si sarebbe chiusa con successo, e la “Cuneense” – e con essa la “Julia” – avrebbe potuto avere una sorte migliore di quella che ebbe nella realtà.

Non è superfluo aggiungere che se le unità corazzate e autotrasportate russe che furono duramente impegnate a Nowo-Postojali dalla “Cuneense” e dalla “Julia” avessero avuto libertà d’azione nei giorni 19 e 20, molto probabilmente si sarebbero gettate sulla “Tridentina” pregiudicando gravemente la sua già precaria situazione (si tengano presenti le dichiarazioni fatte dal gen. Martjnat al comandante della “Vicenza”, gen. Pascolini, nel pomeriggio del 23).

La “Cuneense” e la “Julia” preservarono la “Tridentina” anche dagli attacchi in coda che esse subirono durante la seconda fase del ripiegamento. E, infine, i resti delle due divisioni avrebbero forse potuto sfuggire all’accerchiamento se avessero ricevuto dal Comando superiore quelle indicazioni sulla direzione opportuna che la “Tridentina” ricevette via via per mezzo della radio e degli aerei di collegamento. La mancanza di simili indicazioni fece sì che il comandante la “Cuneense” si sforzasse di riprendere la direzione assegnatagli marciando in direzione di Waluiki già occupato dal grosso dell’avversario. (A Waluiki vi era un comando di Corpo d’armata russo!)

La perdita della divisione “Cuneense” e della “Julia” oltre che al mancato coordinamento dell’azione da parte dell’ autorità superiore, furono dovute alla assoluta mancanza di cannoni controcarro capaci di mettere fuori combattimento i carri armati russi e l’assenza completa dell’aviazione amica nel cielo della battaglia.