Messo a disposizione della Legione “Tagliamento” dal Distretto militare di Udine, in qualità di istruttore sulle armi leggere. Inviato a Crotone con la Legione per il servizio antisbarco e preparazione per la Russia. (Gennaio 1941).
Dopo la preparazione dei reparti, ai primi di giugno trasferimento di tutti i reparti nella zona di Mantova.
Il 15 giugno siamo passati in rivista dal Duce e da tanti capoccioni delle forze armate.
Il 1º luglio partenza da Mantova per la Russia.
Austria — Ungheria — Romania.
In Romania, sui monti Tatra in Transilvania abbiamo modo di ammirare il lugubre Castello del leggendario Conte Dracula, il quale con la sua funerea branca non ci rallegra affatto.
In Romania ci accampiamo nei boschi vicini a1 fiume Rug al confine con la Bessarabia e ci schierano subito nelle zone di Trusesti-Guranda, Batosami, Belsi e Floresti.
Subito cominciano le dolenti note.
In fila per 6 Km. la colonna attraversa il Bug e punta verso il Dniester.
Dopo il Dniester, si comincia con i combattimenti e occupiamo Perwomaisk, Nova Ukrainka, Kirovo, Novacia Praga, Howo Staradud e Saksagan. Combattimenti feroci per la linea Stalin. Artiglieria e bombardieri. Sete bestiale e pozzi avvelenati.
Tormento per la polvere ed il caldo.
Proseguiamo nell’azione con gli alleati Ungheresi e Romeni e dopo 2 giorni di accaniti scontri occupiamo la cittadina di Lampol e sempre avanti, senza un attimo di riposo verso i campi trincerati della linea fortificata Stalin.
Dobbiamo occupare i nodi ferroviari di Deskanka e Aligapol. Tutta la Bassarabia è occupata.
L’Ucraina ormai si stende davanti a noi e difatti agli ultimi di agosto ci attestiamo sulla riva del fiume Dnieper con alle spalle la città di Dniepopetrosk, città di circa 1 milione di abitanti.
Il fiume davanti a noi si stende per circa 1500 metri di larghezza.
Dopo circa 1200 km. di avanzata siamo attestati sulla riva boscosa del fiume e ogni notte siamo impegnati in cruenti scontri con i russi che traghettano il fiume a bordo di barche di ferro.
Noi, però, troviamo subito l’antidoto per fermarli prima dello sbarco, cospargendo il fiume di gasolio e incendiandolo. Così i russi a metà fiume sono riscaldati a dovere. Anche di giorno bisogna stare attenti alla pelle per l’artiglieria che spara da un treno blindato dall’altra riva e dagli aerei. Senza contare i cecchini che col Wentoka non ti danno pace. Il Wentoka è un fucile efficace fino a 2.000 metri.
Il giorno 1° settembre io e Fantino da Pavia di Udine, durante un furioso cannoneggiamento, scorgiamo, accucciata dietro un pozzo, una bambina di circa 3 anni, la quale, terrorizzata dalle cannonate, piange disperata.
Subito, con quattro balzi la raggiungiamo e la portiamo nel nostro buco al riparo. La rifocilliamo con un pezzo di galletta e un po’ d’acqua e alla sera, co1 buio, la consegnano ai nostri carabinieri che la smistano in retrovia ad una famiglia.
Niente ci avrebbe potuto soddisfare di più dopo il fatto, anche perché, è da notarsi, dopo il prelievo dietro il pozzo, il medesimo è andato in pezzi per i cannoni russi.
Intanto il 3º bersaglieri e il Savoia Cavalleria ci danno il cambio in linea.
Per qualche giorno ci dedicheremo a rassettarci e riordinare le idee e i reparti.
Così ho modo di farmi amico di un grosso cane lupo, del quale la vecchia padrona intende liberarsi perché impossibilitata a mantenerlo. Lo pago con 2 scatolette di carne e 5 gallette. (Sono i viveri di riserva).
Nel frattempo studiamo coi pontieri come passare il fiume.
Il gigantesco ponte è stato fatto saltare a metà per circa 300 metri e i nostri pontieri a mezzo cavi in acciaio hanno portato sull’acqua delle grosse tavole della larghezza di 80 cm.
Iniziamo il passaggio alle 2 di notte sotto il fuoco nemico, il quale provvede a illuminare il posto coi razzi. Passo subito col cap. Medico Bertrandi di Cervignano e mi va bene, perché il fuoco nemico si intensifica.
Si vede volare qualche testa e qualche arto, ma verso le 4 del mattino giungiamo sull’altra sponda, seppure solo con le armi leggere. Subito formiamo una testa di ponte e ci impossessiamo di alcune trincee del nemico. Dopo accanita resistenza e 3 giorni di continui combattimenti i russi cominciano a cadere e a ritirarsi.
Essi lasciano sul terreno molti morti, feriti e prendiamo un centinaio di prigionieri.
Anche noi abbiamo perdite sensibili.
Proseguiamo in avanti per congiungerci alle Divisioni Torino e Pasubio verso Petikrowka dove sono schierati i russi. Battaglia feroce per 3 giorni. Alla fine il nemico cede e si ritira lasciando ingenti quantità di armi e mezzi. I prigionieri sono circa 10.000.
Per la prima volta abbiamo avuto la caccia in appoggio e la meravigliosa artiglieria di corpo d’armata che ha aperto la strada negli assalti.
Arriviamo a Navossiolka rastrellando il territorio.
Qui ci attende il colonnello Garelli e veniamo inquadrati nel nucleo corazzato fino a Kamenka dove diamo il cambio al 5° Regg. Assaltatori “Germania SS”.
Si prosegue combattendo fino a Paulograd.
Così ci uniamo alla 198^ Div. Corazzata Germanica. Siamo tenuti sotto il fuoco dell’artiglieria nemica giorno e notte. Ci si mette anche un treno blindato che ci innaffia abbondantemente di pillole. Nella notte riusciamo a neutralizzarlo con le mine. Il lupo, quando mi vede scavare, vuole imitarmi. Con gli unghioni è sicuramente più efficace del mio badiluccio.
Ordine perentorio del Comando del C.I.S.R.
Occupare Paulograd.
Qui ci sono fossi anticarro, artiglieria, mitragliatrici e fucileria da debellare. E non è facile. Attacchiamo con l’ausilio della nostra meravigliosa artiglieria 105/32. Per tutto il giorno si combatte accanitamente, ma i russi non mollano. Viene la notte e riordiniamo le idee. All’alba occupiamo le prime case delle città. Tutte le armi cantano. Vengono a darci una mano i bersaglieri del III Reggimento.
Occupiamo Paulograd.
Ordine: proseguire e occupare il nodo ferroviario di Mawrina.
Ora ci appoggiano anche i tedeschi con la loro artiglieria e così malgrado l’accanita resistenza del nemico, occupiamo tutti i ponti sul fiume Woskia e il nodo ferroviario.
Ci asciughiamo il sudore. La popolazione si rintana per paura delle Camicie nere, che la propaganda descrive come cannibali. Le donne nascondono i bambini per il terrore, poi, dopo qualche ora, capiscono di che pasta siamo e si tranquillizzano prima, fanno amicizia dopo.
A Mawrina, in una casa, trovo un vecchio russo che simpatizza per gli italiani, perché era stato per 2 anni a Venezia durante la guerra ’15-’18. Si ricordava ·ancora molte parole italiane.
Intanto piovono a grappoli gli attestati di compiacimento per i risultati conseguiti dopo tanti assalti.
Telegrafano: il Comandante Messe, la 198^ Div. di Art. tedesca, il comandante le armate corazzate Maresciallo Von Kleist, il Comandante la Colonna Garelli.
Tanti elogi ci fanno piacere.
Sarebbe meglio, però, un buon rancio.
Facendo un passo indietro mi fa obbligo ricordare come abbiamo passato il fiume Woltskia in piena notte, sorprendendo così le munite difese dei russi.
Smontati molti sedili dei camion li abbiamo legati accuratamente ai barili vuoti di carburante e così abbiamo fatto 4 zattere contenenti ciascuno una ventina. di uomini. Con diversi traghettanti abbiamo armato la testa di ponte, favoriti in ciò dal buio, dal nevischio e dalla pioggia torrenziale.
All’indomani i genieri costruiscono un ponte di barche e così, coi mezzi corazzati ci giungono anche le armi pesanti.
Intanto troviamo una fabbrica di Wodka e allora apriti cielo. La “furlanie” finalmente può soddisfare il “gargarozzo”.
E avanti sempre.
In ottobre marciamo su Stalino, città con circa 600.000 abitanti, occupiamo l’aeroporto e troviamo anche qualcosa da mangiare. I nostri rifornimenti sono a 100 km. e i camion non vanno più per il fango alto mezzo metro.
In attesa dei mezzi meccanici ci spidocchiamo e ci mettiamo un po’ ordine.
A metà novembre ci giunge l’ordine di raggiungere Gorlowka. Già la Divisione Torino è accerchiata da preponderanti forze nemiche. Alle 2 di notte siamo alla periferia della città. Attacchiamo in mattinata appena giunte le armi controcarro. Coi bersaglieri sfondiamo le linee nemiche e ci uniamo alla Torino. Intanto la temperatura è scesa in poche ore da 0 a 25° sotto zero. Siamo ancora senza indumenti invernali. Occupiamo Nikitowska e Kaliminsk e ci sistemiamo a difesa di Skelesnaie.
Qui io e Toni Gismano siamo protagonisti di un curioso episodio.
La notte del 2 novembre, mandati di pattuglia assieme ad altri legionari, ci allontaniamo un po’ dagli stessi, per cercare nelle case disabitate qualche cosa da mangiare. A poca distanza (forse 50 metri) vediamo dei soldati. Da una casupola esce una vecchietta che ci fa capire che sono soldati russi di guardia ad un comando. Benedetta vecchietta. Probabilmente ci ha salvato la vita.
Raggiungiamo gli altri e rientriamo.
Il freddo si fa insopportabile e la fame anche. Da 2 giorni non si mangia niente.
Ci raggiungono anche tutti i mezzi meccanici e i cannoni controcarro.
Bisogna andare avanti.
Saggiamo la consistenza del nemico con mortai e cannoni. La resistenza non è grande e così la mia compagnia occupa Krestoxka e si arresta.
Un Btg. (il 63°) occupa Maio Oriwka, un altro reparto occupa Pioski. Però ci vogliono le bombe a mano per far recedere i russi.
A Mikailowka, frattanto, si attesa il 79° Btg. mentre un’altra compagnia coi bersaglieri del 3° Regg. occupa Novaia Ozlowka.
A nostro rinforzo (siamo una sola compagnia) arriva un gruppo cavalleggeri del Genova, in previsione di un attacco russo.
I sovietici stanno ammazzando cospicue forze e bisogna stare all’erta. Con continue, rischiose pattuglie li controlliamo.
Siamo riforniti solo di armi e munizioni. Mangiare, niente.
E le perdite continuano. Morti, feriti e congelati.
Nel frattempo si moltiplicano gli atti di eroismo di tanti camerati.
Un episodio merita di essere raccontato.
Il Comandante della I Cp. del 79° Btg. cap. Pigozzi, ospite in una isba che fungeva anche da comando, la prima notte, veniva chiamato da un sedicente portaordini. La proprietaria della casupola esortava il Capitano a non uscire. Ma il Pigozzi si affacciava alla porta intimando al cosiddetto portaordini di farsi riconoscere con la parola d’ordine, quando la donna lo copriva nell’uscita.
La raffica colpiva la donna e la uccideva sul colpo e feriva anche il capitano, il quale con altri 3 legionari ingaggiava un duello a fuoco con la pattuglia che, ormai era chiaro, era formata dai russi. Il loro capo veniva ucciso e l’indomani riconosciuto per il marito della donna.
Sono comandato per una pattuglia che dovrà saggiare il nemico in Kumskazki. Ci uniamo ad una pattuglia della Pasubio e entriamo nel paese. Battiamo casa per casa. Il nemico era partito un’ ora prima.
Torniamo a sistemarci a Gorlowka.
Arriva in visita il Maggiore del Savoia Cavalleria Litta Duca Modigliani che rivedremo l’anno dopo nella carica sul Don.
Per lui non siamo abbastanza eleganti e per di più abbiamo la barba lunga.
E bravo Maggiore. (Lo incontrerò,1 mese dopo in circostanze che ricorderò).
Intanto la neve è alta e il termometro è basso. (Circa 35 sotto zero}.
Le pattuglie nostre e quelle dei russi si scontrano continuamente. Il nemico continua ad ammazzare truppe di fronte ai nostri capisaldi che sono: Malo Orlowka, dove ci sono anch’io, Mikailowski e Ivanova (assieme ad un contingente di bersaglieri).
L’odore di battaglia si fa sentire da mille indizi. Con le pattuglie abbiamo modo di vedere persino uno schieramento imponente di mongoli a cavallo.
Le cose si mettono male.
Il nostro servizio informazioni ci dà per sicuro l’attacco dei russi per la notte di Natale.
Tutto lo schieramento è all’erta.
A mezzanotte ha inizio il finimondo.
Artiglieria, mortai e carri armati iniziano l’attacco, si combatte con accanimento sino all’alba, quando si aggiunge all’inferno la divisione di cavalleria mongola. Si cerca di colpire quanti cavalli ci vengono contro.
Si combatte 1 a 20.
Facciamo un macello di cavalli e, dopo un paio d’ore, i mongoli si ritirano.
Ad essi subentra la fanteria.
Si combatte fino a sera.
Intanto giunge l’ordine, a noi, asserragliati a Krestowka, di unirci al 63° Btg. a Malo Orlowka. Resteremo in dieci uomini, al Comando dell’aiutante pluridecorato della guerra ’15 – ’18, della guerra di Etiopia, di quella di Spagna, allo scopo di ritardare il più possibile il cammino di un grosso reparto russo. Egli è l’aiutante Baradello, da Latisana. Dalle 6 di sera teniamo duro fino alle 11, con solo 3 mitragliatrici Breda pesanti e 7 mitra. Poi finite anche le bombe a mano e coi russi a pochi metri, ci sganciamo e ci avviamo anche noi verso Malo Orlowka.
A questo punto ricordo il caso occorsomi. Siamo lontani circa 100 metri dalla città, quando l’aiutante che ci comanda mi avverte che manca 1’amico Taiariol da Pordenone. Allora tomo indietro per cercarlo, ma i russi mi scorgono e mi inviano una serie di saluti che mi obbligano a ritirarmi.
Seguo un muretto per proteggermi dai colpi che mi segnano per un bel po’ di strada.
Quando penso di essere in salvo, col chiarore della neve scorgo davanti, a pochi metri, un’ombra.
Mi fermo, pensando a qualche russo disperso dalla tormenta, ma dall’andatura riconosco l’uomo. Egli è l’ineffabile Checco Baulino, il quale, per conto suo aveva razziato alcuni viveri in paese.
Chiamatolo per nome, egli si fermò e, con un concitato colloquio, mi confidò che avrebbe tanto desiderato essere nella trattoria “Al Gambrinus” di Udine a farsi una buona bottiglia di Merlot.
Azionammo sveltamente le leve e verso le due di notte giungemmo al caposaldo di Malo.
Il freddo è intenso, mangiare niente. Mi sdraio per terra sfinito, ma il freddo non ti fa dormire ed i russi neanche.
Alle 6 dello stesso mattino vengo comandato di pattuglia. Dobbiamo tornare a Krestowka e colà giunti dobbiamo segnalare con una combinazione di razzi colorati la consistenza del nemico.
Dopo un paio d’ore di talpinata giungiamo nei sobborghi. Davanti a noi vediamo un cavallo gigantesco. Lo catturiamo. Ci dividiamo in 2 gruppi di 6 e, defilati a destra e sinistra del monumentale quadrupede, entriamo in paese.
Qui si scatena l’inferno.
Dai pagliai ci sparano con tutte le armi in loro possesso. Calcoliamo, in base al fuoco, che saranno almeno una trentina lasciati in retroguardia.
La fortuna ancora una volta ci assiste.
I muretti sono il nostro baluardo, però siamo inchiodati per oltre un’ ora.
Nel frattempo, coi razzi, segnaliamo la nostra precaria posizione.
Per contorno, verso le nove, i Rota da caccia cominciano un carosello infernale. Il nostro cavallo viene letteralmente sventrato dai colpi. Ci servirà, poi, per ottime bistecche.
Arriva, intanto, con tutti i mezzi meccanici e i controcarro il 63° Btg. e in un’oretta facciamo piazza pulita.
Personalmente m’imbatto in un ufficiale russo a terra gravemente ferito. Gli salverò la testa e lo faccio bere qualche goccia di Wodka.
E’ giovane e lo sento mormorare alcune parole. Riesco capire la parola “Mamacka”.
Chiama sua madre. Poi muore.
Nella borsa che tiene a tracolla ha un cannocchiale, una carta topografica e tanti rubli.
Era un ufficiale pagatore.
Tengo il cannocchiale e distribuisco alla mia pattuglia i rubli. Tanto dove li spendiamo?
Proseguiamo verso Mikailoski e ci congiungiamo col 79° Btg.
Poi via ad occupare Ivanowka, coi russi in completa ritirata.
Qui siamo testimoni di un assurdo macello perpetrato dai russi.
Nella battaglia di Natale, essi avevano catturato una ventina di valorosi bersaglieri feriti, sui quali i russi prima di ritirarsi avevano infierito uccidendoli tutti.
Di tanto erano capaci i cosiddetti compagni, mentre noi li curavamo e li assistevamo in base alla nostra umanità riconosciuta su tutti i fronti.
Ma non possiamo fermarci. Con 3 Btg. dobbiamo avanzare e occupare Waroscilowa forte caposaldo nemico.
Qui ci sono fortini a filo di terreno.
Alle 6 precise, c’è buio, del giorno 30 dicembre, con 40° sotto zero ci disponiamo per 1’attacco, mentre la nostra artiglieria inizia le bordate di accompagnamento.
Da questo momento ha inizio 1’epopea della Legione nello schieramento in Waroscilowa.
Entriamo nel caposaldo verso sera dopo che per tutto il giorno, il nemico ci ha conteso metro su metro l’occupazione del centro-nord difensivo di tutto il loro schieramento. Abbiamo sensibili perdite ma riusciamo nell’intento.
E’ l’inizio di furibondi combattimenti.
Già nella notte inizia la danza.
Siamo attaccati da tre lati, ma teniamo bene malgrado le preponderanti forze dell’avversario.
Qui avviene un fatto personale.
Mi trovavo schierato in un angolo di un capannone con 1’amico Silvio Benatti di Mantova ed un altro camerata. Quest’ultimo è colpito a morte e il Benatti viene ferito ad un ginocchio. Mi carico il ferito sulle spalle per portarlo al primo posto medicazione.
Passo attraverso un intenso fuoco di traccianti e riesco nell’intento .
L’indomani i feriti vengono trasportati al primo ospedale da campo. Il Benatti morirà dopo un mese. Il proiettile da Katiusca, di rame, lo aveva avvelenato. Con quei proiettili non c’era salvezza.
Dall’uno all’8 gennaio la temperatura scende a 51 gradi sotto zero e noi siamo impegnati al massimo per tenere le posizioni. Notte e giorno siamo attaccati da truppe nemiche sempre fresche. Oltre che con l’artiglieria e con l’aviazione lottiamo col freddo, la fame e la stanchezza mortale. Le slitte coi conducenti fanno miracoli per rifornirci di munizioni e di qualche galletta. Al ritorno trasportano i feriti.
In questo servizio si distingue particolarmente Veri Aldo, da Terenzano, il quale, dopo aver trascorso cinque anni con la Legione Straniera in Indocina e due anni nella guerra di Etiopia, metteva sempre a disposizione il suo coraggio e la sua esperienza.
Si può dire che mantiene in efficienza il suo cavallo solo con la galletta che gli spetta giornalmente: il foraggio esiste solo 1 metro sotto il ghiaccio.
E ancora, come faccia a stivare i feriti (forse una decina per viaggio) nella sua slitta è un miracolo che solo lui sa fare.
Intanto lo stillicidio dei morti e dei feriti è continuo. L’artiglieria fa quello che può per darci una mano, sia di giorno che di notte.
L’aviazione cerca di rifornirci di viveri e munizioni. Ma il ghiaccio che si forma sulle ali li mette in pericolo.
Siamo soli contro forze preponderanti, dalle mostrine e dagli interrogatori è chiaro che combattiamo almeno 1 a 20.
Ci vengono in aiuto anche 6 carri armati.
Così teniamo duro fino alla data ordinataci dal comando e cioè fino al 23 gennaio.
Il cambio ci viene dato dal 3° Bersaglieri, che già all’indomani sono costretti ad abbandonare il caposaldo.
Ci tocca tornare in linea per la riconquista e per essa siamo costretti ad altre perdite. Lo stillicidio di morti e feriti ha ridotto a metà le forze in organico. Noi che siamo ancora vivi siamo allo stremo. Pidocchi, fame, freddo e soprattutto il sonno e lo stress dei combattimenti ci hanno demolito le forze. Siamo degli automi mezzi incretiniti.
Queste sofferenze sono così bestiali che mi è impossibile descriverle.
Per ordine del Comando di Settore dobbiamo effettuare continue pattuglie verso Nichitino, ove si sono attestati, (in alto sulle balke), i russi.
Appuriamo che i cannoni e i carri armati del nemico sono stati spostati in un altro settore e che quelli che sono schierati contro di noi sono in legno.
Il giorno 12 gennaio avviene il fatto del camerata colpito da una scheggia di mortaio alla caviglia e al quale il piede rimane attaccato alla gamba solo per mezzo del tendine, che verrà reciso per desiderio del ferito dal pugnale di un suo amico (Vedi trafiletti di cronaca inerenti al sottoscritto e stilati dal medesimo).
Continuano i combattimenti e le perdite.
In pattuglia andiamo (di notte) a razziare qualche cavallo ai russi e solo così mangiamo qualche osso caldo. Per il resto abbiamo miglio e girasoli coi quali facciamo le polpette riscaldate coi sassi sul fuoco.
Il giorno 14 muore a due metri da me il Ten. Mazzocchi. Ho raccolto la testa a 20 metri di distanza e ho scritto alla sua famiglia (1mese dopo) tacendo naturalmente su come era deceduto.
Finalmente mi reputo guarito della vesciche che ho su tutto il corpo: a Natale, causa i pidocchi, mi ero cosparso di petrolio.
Dopo 2 giorni ero tutta una piaga con febbre alta. Per 15 giorni ho patito le pene dell’inferno. Oltre al resto già descritto.
Intanto riesco a catturare un giovane russo. Lo trattengo come attendente. E’ un azerbagiano di 20 anni ed è un convinto anticomunista. Sarà per me un ottimo amico. Starà con me fino all’agosto quando sul Don lo riconsegnerò a sua madre a Popwka dopo la battaglia di Karkow, che qui di seguito racconterò.
Dimenticavo che l’attendente si chiama Citizi, che in italiano è Quattro.
Dicevo della battaglia di Karkow.
Le informazioni degli 007 danno per certo un ammassamento russo di 80 divisioni miste.
Italiani, Romeni, Ungheresi danno una mano all’Armata Corazzata del Maresciallo Von Klaist.
Un mese di combattimenti e i russi ci rimettono 400.000 prigionieri e morti. Il Comandante. Maresciallo Budianni, ci rimette al Comando e viene destituito da Stalin.
Intanto a noi tocca il compito di occupare Nikitino, Lo facciamo non senza il massimo di impegno. Noi siamo il nemico n. 1 e quando i russi ci sono di fronte raddoppiamo le forze.
Qui troviamo i famosi carri armati di legno.
La mossa era abile. Quando li facevano sfilare sulla balka di fronte a noi, in cordata e trainati da un trattore, davano davvero la sensazione di una colonna di tanks. Inoltre il trattore era cingolato e perciò, per noi, c’era la certezza di reparti corazzati in movimento.
C’era solo da meravigliarsi perché non ci attaccassero. Le pattuglie, poi, chiarirono il mistero.
Chi leggerà, (se ci sarà qualcuno che ne avrà tempo), noterà che non faccio quasi mai cenno ad atti di eroismo individuale.
Gli stessi sono chiaramente descritti nei 2 volumi della Legione CC.MM. ‘Tagliamento”.
Mi limito perciò a ricontare solo quello che ho visto e subito, naturalmente con le lacune dovute al tempo trascorso da allora. Esattamente 50 anni.
Ma anche i 50 anni di divario da quei giorni non mi impediscono di rivedere decine e decine di atti di grande valore, di abnegazione e di vero ardimento sia individuale che di gruppo.
Il mio pensiero torna in quei luoghi dove abbiamo sofferto il vento gelido che ti provocava i ghiaccioli nel naso e sugli occhi.
Alla fame, al sonno mortale, la stanchezza, i pidocchi, e il dover agire in continuazione con le armi contro il nemico. Giorno e notte. E ancora pattuglie al limite estremo del rischio.
Questa è stata la nostra guerra, con sofferenze inenarrabili.
Continuiamo a marciare. Il nemico non molla facilmente, anche perché i soldati hanno alla schiena il “Politruk” ossia il commissario del partito pronto a sparare e alla schiena di chi si ferma o esita negli assalti.
Malgrado tutto occupiamo la città di Stalino e poi quella di Makiewka.
Intanto siamo arrivati al punto che se non ci fanno riposare sono guai seri.
Infatti ci spostano nella periferia di Makiewka al villaggio Ivan ove troviamo dei capannoni abbastanza confortevoli.
Siamo a Pasqua 1942.
Nel frattempo siamo informati che circa 1600 complementi hanno lasciato l’Italia per rinsanguare le nostre file.
La mia compagnia (la più numerosa per superstiti), è composta da 38 uomini. Ha perso in morti, feriti e congelati 102 soldati in 10 mesi di combattimenti.
Gli unici reparti ancora quasi completi rimangono: il Btg. Cannoni, gli autieri e i vari servizi speciali meccanizzati.
Dopo 10 giorni di viaggio, finalmente ci raggiungono 1600 legionari nei quali sono stati incorporati un centinaio di cosiddetti “legionari della morte”. Infatti, sulla destra della giubba, portano, cucito, un teschio. Di questi legionari si fa un gran parlare anche per il loro alto grado di addestramento e per gli assalti ai fortini del nemico. Staremo a vedere.
I 1600 uomini recano con se anche 8 giorni di viveri e alcune botti di vino.
Allarme dei friulani. Essi hanno, in seno alla varie compagnie, un’organizzazione atta ai recuperi vari, altamente specializzata.
Sono in 4. E ognuno di essi ha un compito ben definito. C’è un legionario proveniente dall’Indocina, rotto a tutte le astuzie. Un cassiere di banca che fa i piani strategici. Uno scassinatore egregio (tecnico del materiale di ufficio). Un indagatore e informatore di precisione.
Dicevo delle botti di vino.
Una di queste era stata situata al I° piano di una casa ove io avevo la fureria ed ero impegnato a ricucire tutto il lavoro amministrativo di mesi addietro.
Immediatamente i 4 organizzavano un piano per sottrarre almeno una parte del nettare contenuto nella botte, guardata a vista da sentinelle che si susseguivano ogni 2 ore.
Episodio guerresco (Si fa per dire)
Prima cosa, lo sguardo bramoso dei friulani alla vista della botti e, immediatamente, la banda dei 4 “eno-predatori” che organizza e si dispone un piano diabolico onde impossessarsi di almeno una parte del rosso rivitalizzante.
Gli ideatori passano poi all’azione.
Uniti tra loro diversi tubi delle maschere antigas, forato il soffitto in tavolame del piano di sotto e pure la botte con degli arnesi trovati chissà dove, i seguaci di Bacco, dopo aver riempito alcuni secchielli di tela, (che servivano per rifornire il camion d’acqua), si davano con altri compagni a robuste libagioni, che si ripeteranno fino al completo esaurimento della botte di elisir rosso, senza che alcunché trapelasse.
Il sottoscritto, che in qualità di furiere faceva le ore piccole per la mole di lavoro contabile rimasto insoluto dai mesi precedenti, notava sì qualcosa di strano, per certe andature sicuramente non da parata. Ovviamente sospettavo qualcosa e intuivo che qualche “marachella” dei 4 era in atto.
I canti nostalgici si sprecavano e con certe stonature…….
Allora, messi in campo alcuni 007, tutto l’affare venne a galla. Tutte le sentinelle,ignare, furono punite. Naturalmente i nominativi della “Gang” li ho sempre tenuti per me.
Al rimpatrio, nel 1943, da tutti e 4 i componenti la Banda, con un sermone ricattatorio, riuscii a farmi offrire una lauta cena a base di rane innaffiata da un generoso vino, nella trattoria dell’amico di naia Cossio Franco, il quale era già rientrato dalla Russia ferito qualche mese prima di noi.
Continua l’avventura
Il nostro Cappellano militare, Monsignor Prof. Guglielmo Biasutti, sant’uomo ed eroe di tanti salvataggi di compagni feriti, parte per il recupero delle salme dei “nostri” rimasti sotto il ghiaccio nei combattimenti del dicembre 1941-gennaio1942. Parte con una ventina di legionari e alcuni autocarri verso i campi di battaglia di Krestowka, Malo – Orlowo, Mikailoschi – Ivanowka e soprattutto Woroscilowa, ove, comandati a tenere il caposaldo fino all’ultimo uomo, è avvenuto il vero olocausto della Legione.
Il lavoro per il recupero dei nostri Caduti è durissimo, malgrado il disgelo sia già iniziato.
Intanto i servizi dell’Aeronautica preparano le croci in ferro per il Cimitero che sarà dislocato in Mikailowka e che conterrà circa 170 legionari sottufficiali e ufficiali. Tutti caduti il giorno di Natale.
Altri cimiteri lasceremo per via man mano che ci inoltreremo verso il Don.
Non ci sarà più il nostro Cappellano, Monsignor Biasutti, cantato da tutti gli appartenenti, alla Legione. Gravemente ammalato sarà giocoforza caricarlo su un aereo e spedirlo in patria appena in tempo per salvargli la “ghirba”.
A sostituirlo arriverà il Cappellano militare Don Conte Giuseppe Maria, napoletano, mente eccelsa e molto amico specialmente dei friulani.
Giunge in questi giorni l’ordine di prepararci al meglio per la visita che ci farà il Comando completo del C.S.I.R. Capitanato dal Generale Messe.
Ci sarà la medaglia d’argento al labaro e molte decorazioni a Ufficiali, Sottufficiali e Legionari. Sono ben abbondantemente meritate. Anche un Generale Tedesco ci offre diversi riconoscimenti di 2^ e 3^ classe e le parole di ringraziamento per i fatti di quota 331 (Woroscilowa), che ci avevano consentito di salvare dalla morte sicura e dalla prigionia un intero plotone di 30 uomini di fanteria S.S.
Nel pomeriggio, in un campo di calcio, ci sarà un incontro tra una squadra tedesca e una della Legione. I tedeschi hanno in squadra ben 3 nazionali ed è tutto dire. Perdiamo 2 a 1 dopo una discreta partita. Poi rancio speciale con un gavettino di vino per tutti.
Se ne vanno i Capoccioni e noi già all’indomani a ripassare indumenti e armi per il supplemento che ci attende d’ora in poi.
A metà maggio giunge l’ordine di operazioni.
I 30 giorni di cure e di riposo, con un discreto rancio, ci hanno rimessi in forze.
Nel frattempo abbiamo imposto anche ai nuovi venuti tutto quanto avevamo imparato nei 10 mesi precedenti ed essi sono ben lieti di seguirci.
Per noi anziani è il ritorno alle faccende di ieri, per i nuovi venuti sarà il battesimo di fuoco.
Andiamo per balche tenute dai russi le occupiamo e nell’oscurità ci ritiriamo in quella alle nostre spalle. Così la loro aviazione crede col furioso bombardamento di averci eliminati.
Occupiamo Nikitino e proseguiamo per Wladimirowka. Diamo il cambio ad un reparto tedesco. L’indomani ci attende un compito assai arduo. Nemico assai numeroso, artiglieria, fossi anticarro e carri armati.
La legione si schiera, nella notte, di fronte allo schieramento nemico e Iwanowa – Krasni Luseht. Dietro, come riserva, abbiamo la Legione croata e reparti d’assalto tedeschi.
Alle 10 ci muoviamo e incomincia una danza che non sono in grado di riportare con sufficiente chiarezza.
E’ un inferno di fuoco.
Personalmente mi trovo in un fosso col Dott. Bertrandi di Cervignani col mio enorme cane lupo, il quale incurante dei “botti” resta calmo accanto a me. Qui lo perdo per sempre. I caccia arrivano a nugoli ad “innaffiarci” e solo allora il mio lupo si scatena e corre all’aperto, finché una scarica sparata da un Rata lo fulmina.
Per me è un grande dispiacere. Ho perso un amico fedelissimo, che mi amava da circa 8 mesi era stato compagno di tante avventure
Per oggi segnamo il passo. Domani è un altro giorno di massimo impegno.
L’ordine è perentorio.
Occupare Schterowka a tutti i costi.
All’alba, 150 uomini divisi tra minatori, lanciafiamme, mitraglieri scelti e assaltatori dovranno aprire un varco nelle file nemiche, onde permettere un’ulteriore avanzata dalle truppe italiane e tedesche.
Si iniziava così il combattimento contro forze molto superiori e attestate oltre fossi anticarro. Dovevamo salire sulle spalle di un commilitone per poter superare il fosso profondo più di 2 metri. Superato questo erano da debellare i russi.
Qui iniziava la sua gloriosa ultima giornata, oltre a tanti altri camerati, il Legionario Mario Paolucci, di nobile famiglia, ex tenente dell’Esercito, partito volontariamente come semplice soldato.
Egli era mio carissimo amico, signorile, gentile e leale soldato.
Il Paolucci, pur nella concitazione dell’assalto alle postazioni nemiche, visto cadere ferito un ufficiale, il Ten. Zago di Trieste, accorre in suo aiuto, ma viene colpito a sua volta alle braccia. In un supremo sforzo afferra coi denti il cinturone dell’ufficiale e strisciando cerca di portarlo in salvo. Percorre alcuni metri e giunge alla postazione ove mi trovo abbarbicato col Dr. Bertrandi. Non possiamo dare ai due Eroi alcun aiuto. Sono morti entrambi. A Mario Paolucci venne conferita la medaglia d’oro al V.M.
Il fatto d’armi venne illustrato sulla Domenica del Corriere dal sommo Maestro Beltrame.
Da ricordare, ancora, che Mario aveva sovente partecipato alle più rischiose imprese sul fronte russo.
Con grande merito in copertina ai 2 volumi dedicati alla Legione “Tagliamento” è illustrato l’eroico fatto d’armi.
Io, da parte mia, data la grande amicizia che mi legava a Mario, in più posso solo riferire qualche confidenza. Egli pochi giorni prima dei combattimenti descritti mi aveva confidato mestamente che forse era arrivata la sua ora.
Cercai di farlo sorridere con le mie solite battute, ma nel contempo ricordai altri casi del genere avvenuti in passato. Vedi Battello da Pozzuolo, o Purinan da Udine e qualche altro di cui mi sfugge il nome.
Anch’essi si confidavano e confessavano il disagio spirituale che provavano, qualche giorno prima della morte in combattimento.
Era premonizione?
Ma torniamo a noi.
Dopo aver occupato Schterowka e Kolpacowo il nostro compito di rottura del fronte russo è terminato.
Ma quante lacrime dei familiari che attendono il ritorno di coloro (e sono tanti) che invece non torneranno più!
Dopo Schterowka occupiamo Alessandrowka ove facciamo una trentina di prigionieri.
Il compito di accompagnarli nelle retrovie mi viene affidato unitamente al mio caro amico di tante battaglie, Fantino. Di notte con un buio pesto, in due, dobbiamo accompagnare 30 prigionieri ai reparti in retrovia. Visitiamo accuratamente tutti i russi affinché non nascondano nessuna arma e partiamo. Due ore di scarpinata senza vedere a un palmo. Finalmente siamo alla meta senza smarrirci. Da notare che nella steppa non c’è alcun punto di riferimento. Consegnamo i prigionieri e rientriamo al reparto verso le 4 del mattino.
La stessa sera (eravamo agli ultimi giorni dì giugno), vengo chiamato al Comando sito a qualche chilometro dalla linea difensiva che avevamo organizzato. Qui resto di sasso: sono autorizzato ad assistere al rapporto ufficiale per l’azione che il mio reparto dovrà effettuare all’indomani all’alba. Prendo gli appunti necessari e dispongo tutto quanto occorre per l’alba del giorno dopo. L’ufficiale Comandante il gruppo arriverà a cose iniziate. Meno male che me la sono cavata discretamente!
Continuiamo la marcia in avanti verso Woroscilowgrad, grande città che occuperemo coi Tedeschi i Rumeni e gli Ungheresi.
Proseguiamo in avanti e giungiamo a Luganskaia. Qui ci attestiamo a difesa. Siamo letteralmente a pezzi. Vuoi per lo stress, che per la fame, il sonno e i soliti pidocchi.
Tre giorni di sosta ci rimettono in piedi. Difatti dobbiamo vedercela col nemico che difende Tsebatowka – Millerowo.
Con il cospicuo aiuto dei carri tedeschi occupiamo le cittadine, non senza aver duramente combattuto per la tenacissima difesa russa.
Cominciamo anche a conoscere il nuovo Comandante, Colonnello Mittica.
Non è il Colonnello Nicchiarelli, ma anche lui è un ottimo uomo, di notevoli capacità.
Scade col mese di luglio anche il nostro 13° mese di permanenza sul fronte russo. Al 12° dovevamo avere il cambio e rimpatriare, ma ancora non c’è nulla di concreto.
Intanto nei combattimenti sostenuti dal maggio agli ultimi giorni di luglio le file si sono diradate alquanto. Il comando è costretto a richiedere nuovi elementi.
E noi sempre sotto.
Ma il male peggiore è la domanda che ci poniamo, quando abbiamo tempo: perché siamo quassù?
Appena puoi scrivi un saluto a casa dalla linea di fuoco, appena un attimo dopo che la morte ti è passata accanto.
Ha preso tanti accanto a te, la morte, ma per stavolta non sono stato toccato. Chi deve vivere e chi deve morire.
Questo è il gioco della guerra.
I primi di agosto ci troviamo in ferie lungo le steppe che portano al Don.
Di fronte, dalle informazioni delle pattuglie, abbiamo 3 divisioni della Guardia di Stalin.
Sono molto preparati e addestrati in special modo nei combattimenti corpo a corpo.
Noi siamo rinforzati da 2 reggimenti di fanteria, uno di cavalleria e alcune batterie di cannoni.
Sono cinque giorni di accaniti combattimenti. Qui conta solo il valore dell’uomo e la sua preparazione.
I nostri ufficiali ci dicono che la posta in gioco è enorme, perciò cerchiamo tutti i modi di renderci degni del compito che ci hanno affidato.
Così raggiungiamo Popowka, un grosso centro agricolo. Lo chiamano subito il paese delle oche, dato che nottetempo cerchiamo (e ci riusciamo) di rifornirci delle prelibate bestiole. Ma è un sogno che dura poco.
Dobbiamo andare verso Babrowki, vicino al Don ove la Div. Sforzesca è duramente impegnata.
Ci attestiamo a Rolstoi ove il fianco della Sforzesca è praticamente coperto.
Da qui i russi cercano in tutti i modi di impedire ai tedeschi di portare rinforzi a Stalingrado.
Sono giunti altri rinforzi per noi dall’Italia e questi novelli soldati hanno il loro battesimo del fuoco. Moriranno un attimo dopo che sono entrati in combattimento.
La Sforzesca, attaccata da 2 divisioni della Guardia rossa, dopo aver respinto diversi attacchi è costretta a cedere e si unisce a noi a Tsebotareski-Jagodni. Qui gli aerei da picchiata Strukas tedeschi, per errore, ci bombardano. Dicono che tra noi, i fanti e i bersaglieri abbiamo avuto una perdita di 150 uomini.
Io sono fuori in pattuglia con romeni e tedeschi. In attesa di radunarci in prossimità di una nostra palude, ci sediamo in una casupola mezza distrutta. Io e Visentin, (di Motta di Livenza), in attesa facciamo una briscola. Lui in questi giochi è palesemente un baro e siccome vince sempre smetto, lo mando in malora e mi stendo per riposarmi per qualche minuto, dato che i romeni sono in vista, per unirsi a noi e ai tedeschi.
Sono steso e vicino a me si stende anche il Visentin. Passano sì e no 3 minuti quando un grosso proiettile (forse di mortaio) attraversa 2 muri (di argilla), senza scoppiare e passando sopra di noi due a non più di 1 metro. Se avessimo giocato ancora a carte ci avrebbe probabilmente fatti a pezzi.
Con Madonna e Bambino, la quale, per quanto mi risultava, non era appesa da nessuna parte.
L’Icona in parola è ancora in mio possesso dopo 50 anni e, malgrado offerte vantaggiosissime, non ho mai voluto cederla.
E mai lo farò.
Dopo il pattugliamento, che ci è costato solo 3 feriti, facciamo il rapporto, mettendo in chiare note che davanti a noi, carponi tra le altissime erbe della steppa, abbiamo non meno di 2 divisioni nemiche. Coi bersaglieri e i fanti della Sforzesca e il Savoia cavalleria dovremo rimboccarci le maniche.
Per fortuna sappiamo dove sparare.
Comincia il canto della Breda 37.
I russi adottano una tattica suicida.
Una fila avanza in piedi tra alte erbe con le mani alzate, come volessero arrendersi, mentre la maggior parte dei loro compagni striscia carponi per sorprenderci in una lotta corpo a corpo.
La tattica è vecchia, perciò non ci sono sorprese, ma l’impegno è massimo.
I cumuli dei caduti nemici, il sole che batte implacabile (siamo ai primi di agosto) ci obbligano a spostamenti repentini. Tra l’altro dobbiamo applicarci un fazzoletto sulla bocca e sul naso per la puzza che emanano i morti.
La battaglia a Tsebatarewski-Iagodni dura ininterrotta 8 giorni e 8 notti.
Qui incontro il Generale Biglino, il quale con altri ufficiali del Comando Operativo di Zona è tenuto a rendersi conto di persona di come vanno le cose. Lo incontro al riparo di un rudere di casolare, proprio mentre una pattuglia russa ci attacca. Così, per nostra fortuna, anche il Generale Biglino e i suoi 8 o 10 ufficiali sono costretti a darci una mano. (La mia è una pattuglia di 15 uomini). Ricordo con chiarezza che tutti si sono battuti molto bene.
Abbiamo, tra l’altro, catturato 6 prigionieri.
Qualche anno dopo il Generale Biglino, quale Comandante del Corpo d’Armata di stanza in Friuli, nell’accogliermi parecchie volte presso il Comando di via Savorgnana, fu con me prodigo di gentilezze e anche di qualche aiuto economico. Da notare che ogni volta mandava prendermi a casa, a S. Osvaldo, con la macchina sua.
Non dimenticherò mai questo Gentiluomo.
Finalmente dopo 5 giorni e 5 notti di duri scontri, la mia compagnia può godersi qualche giorno di relax, come si dice oggi. Così ci avviamo verso un gruppo di case a qualche kilometro nelle retrovie. Qui è schierato un gruppo di cannoni antiaerei comandati da un capitano.
Entriamo nelle isbe assegnateci quando un portaordini del Capitano suddetto ci impone di sgomberare. Il mio plotone non ha ufficiali ed io sono il più alto in grado, pertanto faccio presente al portaordini che l’assegnazione della baraccopoli è stata effettuata da un Comando Superiore (Comando di Settore), e che il Capitano non può opporsi, anche perché alla sua compagnia non diamo alcun fastidio.
Allora interviene il Capitano in persona, mi impone l’attenti e mi apostrofa chiamandomi mercenario. Egli continua a sbraitare agitandomi sul viso le mani e assicurandomi che, per il mio rifiuto, mi avrebbe fatto rapporto al Tribunale Militare. Allora mi siedo su un masso e comincio ad insultarlo sul serio, mettendo perfino in dubbio il suo grado. Gli dico che è un maleducato e gli dò del cialtrone e siccome ho i nervi a fior di pelle gli faccio abbassare le braccia che continuava a mulinarmi sul viso con due colpi di taglio. Incredibile: si ritira e va nel suo cosiddetto ufficio per stendere la denuncia a mio carico.
Gli angariati soldati della sua compagnia, se avessero potuto, mi avrebbero portato in trionfo per la soddisfazione che avevo loro data. Il tizio in parola era un vero incubo per la truppa che maltrattava giornalmente.
Nel pomeriggio, arriva al mio Comando copia del verbale e vengo chiamato per un confronto. Nel verbale ci sono verità e anche tante balle. Perciò una Commissione di ufficiali delle varie armi viene riunita per il caso.
E intanto passano i mesi e ogni tanto il nuovo Cappellano Militare, Don Giuseppe Conte, mi interpella e mi “consola” così:
– Carrer, quando vuoi che ti fucilino: al mattino o all’imbrunire? Io gli faccio le “coma” alla militare, mandandolo a quel paese.
Confesso che qualche volta la faccenda mi dava fastidio, ma poi i continui impegni nel reparto mi facevano dimenticare ogni cosa.
Inoltre, dicevo a me stesso, se le cose vanno avanti così, sarà improbabile che il Tribunale Militare mi possa giudicare da vivo. Ogni giorno vedo i legionari che partono per un viaggio senza ritorno e perciò sto zitto e attendo gli eventi, quali che siano.
Arriva novembre e una pattuglia dei carabinieri porta al mio Comando la risposta al quesito che mi riguarda. Il comandante in persona Colonnello Mittica mi comunica:
– Assolto! –
– Non ho però il tempo di gustare la buona notizia.
Pare che i russi siano fortemente intenzionati a farci fuori tutti.
Si agitano, gridano, attaccano giorno e notte.
E’ un inferno di proiettili, di pidocchi, di sporcizia e di fame. I rifornimenti sono precari e arrivano solo munizioni. Mangiare niente, bere neanche. Allora ci viene in mente di fare qualche scorreria presso i russi e di notte. Così qualche cosa da mettere sotto i denti arriva. Ma le perdite non valgono la candela.
Poi c’è il pericolo degli aerei nostrani i quali, nottetempo, nelle zone boscose ove si annidano i russi, fanno piovere barili di benzina: innaffiati dai proiettili, scoppiano incendiando vaste zone di bosco, così i “tovarish” devono ripassare il Don con cortese urgenza. La loro fortuna è l’acqua molto bassa, data la stagione, e perciò il fiume è guadabile .
La sarabanda va avanti giorno dopo giorno.
Non possiedo una penna efficace per ricordare gli innumerevoli atti di valore autentico, di sacrificio e di abnegazione gloriosa della Tagliamento.
Da dove ricavavano tanto coraggio e tanta forza questi legionari?
L’impegno, specialmente nei combattimenti notturni corpo a corpo, è al massimo grado. E qui giova ricordare l’addestramento sulla Sila che tanto ci faceva mugugnare ma che si è dimostrato prezioso.
Mi scappa una riflessione.
Il peso corporeo è al di sotto del peso forma.
C’è sempre tensione. Mangiare poco. Dormire idem, pidocchi che ti divorano. Guai se ti gratti. Le piaghe si formano sulla pelle e sei fritto. Tutto il tuo organismo è sempre sotto pressione. L’unica cosa che riposa sono i denti: sono spesso disoccupati! E pensare che quando puoi schiacciare anche un breve sonnellino, sogni i piatti di spaghetti pantagruelici, polli e vino in quantità e chissà perché questi lauti pasti li consumi sempre a casa tua. Con la gente che ami.
Ma proseguiamo , perché i sogni sono solo sogni. . .
Dobbiamo tenere l’Ansa di Maman ad ogni costo. Abbiamo l’impressione che tutta l’Armata Rossa di Budienni sia schierata contro di noi.
Gli ultimi giorni dell’agosto ’42 sono indimenticabili. I combattimenti si susseguono in ogni settore del nostro schieramento. Artiglieria, carri armati e reparti d’assalto non cessano mai di agire e non ci danno tregua. Ma teniamo testa bene. Per 8 giorni e 8 notti. L’Ansa di Maman è giudicata dai comandi enorme valore strategico e non possiamo assolutamente mollare.
Siamo nuovamente in “calo” di forze, perciò al nostro posto viene mandata una intera divisione alpina. ‘
Ma la festa non è finita. Dobbiamo accorrere a Bakmutin ove i tedeschi hanno mollato e ci tocca riprendere il Caposaldo di Bolchoi.
Vengono a trovarci il Gen. Galbiati, il Gen. Von Lutze e il Gen. Messe. Tutti ci elogiano e ci chiedono come facciamo a stare ancora in piedi! Mistero.
Io personalmente mi sono fatto una domanda!
Perché proprio noi,”Tagliamento”, dobbiamo espletare tutti i compiti che ci demandano i Comandi Superiori, sino agli estremi limiti del sacrificio e del patimento?
Per me, tutto è studiato a tavolino. Il nostro destino è m mano a dei facinorosi ”bastian contrari” del Regime.
Siamo soli col nostro destino e le nostre forze.
Non si mangia da 2 giorni e non si dorme da 3.
Il mio nuovo comandante, il Ten. Menegozzo da Azzano Decimo, il più decorato sul fronte russo, mi “invita” per un giro di piacere da farsi in un immenso campo di girasoli.
Si sospetta che vi siano pattuglie nemiche che stanno attestandosi in attesa di un attacco.
Parto con la Gilera, concentrato su quello che devo fare. Dopo un paio di km., l’inferno. Mortai e mitra cercano, con cortese premura, di centrarci.
Non so come, riesco a fare un sollecito dietro-front e via a tutto gas. Al rientro nelle nostre linee, conto 23 colpi che hanno centrato la moto. Ringrazio Colui che ha steso la Mano sopra di noi.
Intanto si combatte per il caposaldo di Krutowski e Iagodni. Perdiamo ufficiali e soldati ma l’incarico viene assolto. Qualcuno dei nostri è riuscito perfino a salire su qualche carro armato russo e vi ha arrostito, con le bombe a mano, l’intero equipaggio. Ma i carri armati sono tanti e perciò in proporzione le bombe sono poche. E’ necessario scavare fossi per riposarci dalle bordate.
Fortuna vuole che il nostro Btg. anticarro venga sollecito in nostro aiuto, altrimenti sarebbero stati guai e grossi. Inizia una battaglia a cannonate. E noi giusto in mezzo.
Dopo un lungo avanti-indrè di cingoli e ruote dentate di cannoni che ci passano a qualche metro, finalmente i russi si ritirano (non prima di aver cagionato diversi guai ai nostri anticarro, ma anche di aver perso diversi carri ed equipaggi.
Però il nemico non demorde.
E qui, a Tscherkowa, ho modo di conoscere i vecchi legionari, i reparti anticarro e soprattutto gli assaltatori. Si lotta contro cannoni, carri armati e truppe scelte della Guardia Rossa come si può.
Qui sul Don ognuno combatte per sé.
E’ vietato cedere.
Intanto giunge l’ordine. Finalmente!
Raggiungere una colonna corazzata tedesca e ripiegare su Millerovo da dove avremo il cambio di truppe fresche giunte dall’Italia.
In tutto siamo rimasti in 186 legionari e 7 ufficiali. E’ stato un continuo olocausto della Legione “Tagliamento”. La medaglia d’oro e quella d’argento al labaro ne sono la dimostrazione.
Queste sono solo le mie scarne memorie.
Le manchevolezze e gli errori sono molti.
Perciò colui che vorrà documentarsi con estrema precisione se per caso se la sentirà, legga i 2 volumi ”Storici” della Legione.
Solo dopo molti anni, (nel 1958), a Porpetto, per la squisita cortesia del mio ex comandante di compagnia 1° Cap. Angelo Cristofoli, durante un lieto convivio in casa del fraterno amico Dri, egli mi mostra la copia del verbale che mi riguardava relativo alla denuncia di cui ho narrato in precedenza, il quale portava le firme, tutte in mio favore, di 30 ufficiali della Legione.
Anche queste sono soddisfazioni.
Con le loro testimonianze mi hanno evitato, il “muro”, nonché una pesante purnz1one.
Evviva: con gli amici presenti tiriamo su una mezza “balla” e forse anche anche qualcosa di più.
Dopo 5 giorni, si torna alla famigerata località: dobbiamo traghettare la palude di Iagodni e rientrare in linea.
I reparti hanno bisogno di tutti.
E come al solito ci tuffiamo nella bolgia!
Fino a tutto dicembre siamo impegnati allo spasimo per contenere le preponderanti forze nemiche. A metà del mese arrivano nuovi contingenti di legionari, i quali verranno subito inghiottiti dalla fornace. La loro preparazione ed il loro armamento erano piuttosto carenti.
Finalmente, per noi “vecchi”, arriva l’ordine di rimpatrio.
Ormai non siamo che larve umane, coi nervi a pezzi e il fisico logorato.
I comandi capivano che avremmo potuto fare ben poco, con il grado di debilitazione cui eravamo ridotti.
Ripeto:
Superstiti 7 ufficiali e 186 legionari
E molti con magagne più o meno gravi.
………………………………………………………………………………………………………………..
Qui di seguito vi racconto del “piacevole” viaggio di ritorno.
Almeno nella prima parte.
Poi le cose sono andate abbastanza bene.
Durante la Campagna di Russia la Legione “Tagliamento” “M” è stata insignita della
Medaglia d’oro e Medaglia d’argento al labaro
per il valore delle sue truppe durante i combattimenti a cui ha partecipato dal luglio 1941 al gennaio 1943.
Ai “caduti”
La retorica non è mai stata il mio forte, ma qui vorrei ricordare tutti i caduti come un grande giardino di rose. Sono, per me, gli unici che hanno fatto il loro dovere.
In modo maiuscolo. Tutti eravamo figli d’Italia, finché abbiamo avuto il torto di tornare dall’inferno per cadere in un inferno ancora peggiore, e in Patria.
Dove sono le folle immense che applaudivano per la dichiarazione di guerra?
Povero Mussolini! Non aveva capito il vero “animus pugnandi” di tanti italiani o pseudo tali.
Il loro motto era “Armiamoci e partite”.
Infatti alle armi erano chiamati sempre gli stessi.
Per una damigiana d’olio si poteva ottenere o l’esonero o l’assegnazione in qualche buco da imboscato per tutta la durata della guerra.
Ricordo con disgusto la mia partenza da Udine per la Calabria, e da Mantova per la Russia! Fasce tricolori, di quelli che cantavano, generali o picchetti armati che ti presentavano le armi. E tanta folla entusiasta che applaudiva. Tanto non erano loro che partivano.
Altro clima all’arrivo a Udine dopo la quarantena a Tarvisio.
Eravamo ai primi di febbraio 1943.
A Udine, ad accoglierci, solo qualche familiare. Ed il viaggio da Tarvisio?
In piedi nei vagoni che avevano trasportato muli. Per nostra fortuna, con circa 13 gradi sotto zero, la “cacca” dei muli era gelata. Altrimenti, sai che viaggio profumato! Questa era la riconoscenza della patria dopo 20 mesi di fronte, a 7 ufficiali e 186 uomini di truppa, i quali, in quel periodo avevano perduto in combattimento il 55% degli ufficiali ed il 77% dei legionari.
Basta! Godiamoci questi sudati 30 giorni di licenza in famiglia, anche se non mi raccapezzo più durante questa breve ma felice pausa.
Anche se la notte gli incubi mi perseguitano e continueranno a farlo per diversi anni.
Di punto in bianco non si possono cancellare dalla memoria scene orrende, carneficine e feroci confronti tra gli uomini, ai quali è stato inculcato un ordine perentorio: UCCIDI!
E anche se non vorresti, per non soccombere, devi farlo.
A questi uomini, poi, per ritrovare l’equilibrio interiore, ci vorranno anni di vita.
E gli altri non li capiranno.
Saranno “soli” per tanto tempo.
Queste note sono state buttate giù senza fioriture, ma anche se scarne potranno dire qualcosa su un periodo di vita altamente drammatico. Se qualche mio caro familiare vorrà leggere almeno qualche passaggio di quanto ho scritto, senza annoiarsi, faccia tesoro di questi ricordi e rifletta sui complessivi 11 anni di gioventù, 7 anni di militare e 4 tra ospedali e convalescenza, che il povero Carrer ha dovuto perdere.
Qui non ho voluto, di proposito, citare tutti gli atti di eroismo, di abnegazione, di fratellanza, a mia diretta conoscenza. Citare uomini che un giorno saranno riconosciuti per le loro altissime qualità umane e per le loro altissime qualità di combattenti.
Quasi 20 mesi di combattimenti, intercalati solo da brevi periodi di riposo, con temperature polari, scarsamente equipaggiati; coi maledetti pidocchi che ti divoravano, il ghiaccio che si attaccava alle palpebre e alle nari. Un supplizio. E la fame ed il sonno …
E bisognava andare.
E tenere ben calda l’arma sotto l’ascella.
In ogni momento e con la massima cura: l’arnese del mestiere che ti salverà la vita.
Basta per ora con le lagne.
A Millerovo ci imbarcano su un treno che aveva trasportato carbone Ci tolgono le armi e la pelliccia.
Teniamo solo 4 bombe a mano ed il pugnale.
Siamo, come già detto, 186 Legionari e 7 ufficiali e ci tocca correre in giro per i vagoni anche se il freddo non è più quello del primo inverno. Però sono sempre 30 gradi sotto zero e con l’aria, data la corsa del treno, non c’è da stare caldi.
In una località deserta ci fanno scendere.
Dobbiamo liberare dalla neve, alta quasi 3 metri, una trentina di camion pieni di munizioni e diretti al fronte.
Lavoriamo tutta la notte portando a termine anche questo incarico e proseguiamo verso Paltova, dove ci attende una tradotta che, attraverso la Polonia, la Cecoslovacchia, la Germania e l’Austria ci porta a Tarvisio al Campo Contumaciale.
Qui sostiamo 40 giorni per ripulirci, spidocchiarci con giornalieri bagni di acqua bollente unita a vari medicamenti. Veniamo nutriti come si deve per riprendere almeno in parte i kili perduti.
Ci godiamo un mesetto di licenza e poi di nuovo all’adunata in seno alla Divisione Corazzata “M” in Roma, per 70 giorni di duro addestramento con carri Pantera da 46 tonnellate.
Finito il corso sono ricoverato all’ospedale di ritorno. Ci resto per una quarantina di giorni in attesa di responso medico, il quale non arriverà mai. Un bombardamento a tappeto delle fortezze volanti riduce l’ospedale ad un cumulo di macerie. Salvo la “ghirba” ancora una volta e raggiungo la Divisione sul lago di Bracciano. Ai primi di aprile del 1943 chiedo la licenza matrimoniale di 1 mese. Torno ai patri lidi per sposarmi con Bruna. Ai primi di maggio rientro alla mia Compagnia, che è la I Cp. Corazzata “M”. Mi obbligano a rifare il furiere. Nel frattempo avviene la nomina (finalmente) a sergente. Mi fermo e lavoro in una villetta in legno che prima della guerra era adibita ad ufficio della cosiddetta “Valigia delle Indie” inglese: qui su questo lago, atterravano gli idrovolanti inglesi diretti in India.
In maggio nuovo trasferimento della Divisione nella zona di Passeriano di Roma, ove siamo ospitati nelle numerose caserme, sui colli adiacenti. 90 carri armati, 300 camion e vetture e moto sono ben celati alle premurose ricerche degli aerei nemici. Infatti, tratti in errore, bombardano un Cimitero. E così uccidono chi è già morto da tempo.
Anche nelle grotte il caldo è torrido e la notte i pipistrelli ti svegliano.
Comunque, nei boschi circostanti continua l’addestramento. Pare che vogliano mandarci in Sicilia.
Ai primi di giugno arriva il nuovo Comandante, Calvi di Bergolo, generale di una signorilità eccezionale con tutti. Ai piedi della scalinata che porta al Castello dove opera il nostro comando, deve scendere dalla macchina proprio a fronte della grotta dove ho la fureria. Col suo aiutante di campo mi interroga sulle munizioni, sugli armamenti della mia compagnia, sui mezzi di comunicazione, sulla consistenza delle riserve, sul munizionamento e sul dislocamento della
truppa, la quale è defilata nella boscaglia circostante. Vedo, con soddisfazione, che le mie risposte precise sono apprezzate e ne avrò conferma poi dai miei superiori
Ogni tanto qualcosa va per il suo verso.
Cosi piano piano si arriva a luglio.
Il 25 c’è il colpo di Stato. Abbiamo notizia che Mussolini è stato fatto arrestare dal Re.
La maggior parte dei legionari vuole marciare subito a Roma per catturare il Re e i suoi accoliti, i quali, dopo aver fruito grazie al regime di onori, cariche remunerative e titoli nobiliari, si sono scoperti all’improvviso accaniti antifascisti. I fessi che credevano e combattevano siamo sempre noi poveri diavoli del popolo.
La notte del 27 luglio, un Btg. di carri al comando del Ten. Col. Comandante e dei relativi ufficiali e legionari si schiera in fila di marcia. Senonché il Comando di Divisione, che non condivide quanto sopra, ordina ad un ufficiale, (tra l’altro mio Comandante in Russia), il 1° Capitano Angelo Cristofoli, di reclutare immediatamente 20 uomini di assoluta fiducia, con 2 sottufficiali, io e Cattarossi, per recarsi velocemente sul luogo dell’adunata, con l’ordine preciso: o la colonna rientra subito alla base, oppure dobbiamo sparare agli ufficiali.
Meno male che si raggiunge un accordo e tutti si rientra nei ranghi, non senza un sospiro di liberazione. A cosa ci avrebbe portato l’uccisione degli ufficiali?
Meglio non pensarci!
Il 29 rientra il nostro comandante, Generale Calvi di Bergolo, ed approva incondizionatamente l’operato dei restanti ufficiali Superiori.
Il 30 mettiamo le stellette e la Divisione corazzata “M” si chiamerà “Centauro”.
Gli alti Comandi di Roma ci temono.
Hanno paura di un colpo militare, (vedere le cronache di oggi, 1993), e perciò tutti i “Cappoccia”, compreso il Re, che aveva firmato la dichiarazione di guerra, se la squagliano vigliaccamente al Sud, lasciando un popolo in condizioni disperate e che aveva creduto in loro.
Gli ordini del Super Traditore Badoglio sono ignorati, i tedeschi calano in massa dall’Alto Adige e lui, il vile capo del governo, con 6 divisioni, di cui 4 corazzate, non nuove un dito per ordinarci di cacciarli. L’8 settembre 1943 è la chiave di volta di tutto l’imbroglio perpetrato ai danni degli italiani. L’ineffabile maresciallo, alla radio, annuncia che ha ottenuto l’armistizio con Americani e Inglesi e bontà sua e della sua chiarezza dice che, però, la guerra continua.
Ma contro chi ci domandiamo noi?
Ordini e contrordini si susseguono a tutto andare, ma nessuno sa cosa fare.
Finché il 10 settembre, di buon mattino, arrivano al nostro comando tedeschi con a capo un Generale e si addiviene ad un accordo di massima. Nessuno sparerà. Chi vorrà restare continuerà nelle sue mansioni, però sotto il comando tedesco. Roma ha avallato questo accordo (Generale Carbone e soci): perciò mandiamo in malora Carbone, soci e tedeschi e andiamo a casa. Poi, in seguito, si riformerà la Legione “Tagliamento” a difesa dei confini nelle valli del Natisone.
E, anche qui, la Legione si comporterà valorosamente impedendo la penetrazione delle orde comuniste-slav.e e l’invasione del Friuli, malgrado leccapiedi comunisti nostrani, i quali solo da poco avevano smesso l’orbace e si erano asserviti ai comunisti slavi.
Poveri noi! Italiani del risorgimento dove siete?
Nel 1945, in attesa di un posto in ospedale, ho dovuto vergognarmi di dichiararmi italiano.
Italiani contro italiani. Assassini.
Fratelli contro fratelli. I combattenti veri e reduci dei vari fronti denigrati e offesi, se non peggio. Per aver combattuto contro i russi; i comunisti nostrani (se non stavi attento) ti facevano la pelle con agguati da banditi di strada. Avevano perfino addestrato squadre di killer per questo, macchiandosi dei peggiori delitti.
Per non cadere nella rete di questi signori dovevi mettere in atto tutto quanto imparato in guerra.
Con me avevano già tentato. Mi avevano perfino mandato in casa, di notte, una squadra di SS e quello che mi si imputava era che aiutavo i partigiani. Quello che mi salvò fu la giacca del fronte appesa in un salottino e che portava in bella vista una decorazione tedesca. La Croce di III grado, la quale mi era stata appuntata in Russia, nell’aprile 1942, dal Feld Maresciallo Comandante delle armate corazzate Gen. Von Kleist.
Anche se non ci tenevo granché la giudicavo per quanto mi servì con i tedeschi, prima di questi fatti e anche dopo.
Gli uomini megalomani a quel tempo imperavano.
Dicevano i tedeschi:
– Voi italiani avete un bel quadro, ma una pessima cornice. Noi abbiamo una bella cornice, ma un pessimo quadro. –
Per me sbagliavano, e di grosso, in tutti e due i casi. Naturalmente lo dico a posteriori.
Difatti la storia lo dimostrerà.
Non esistono super uomini a questo mondo.
E non esisteranno!