La sera del 16 dicembre 1942 sì ebbero le prime avvisaglie dell’offensiva russa che avrebbe coinvolto il fronte del 6° Bersaglieri schierato sul Don, alla confluenza del Tichaja con il Don.
Avevamo occupato le posizioni che ci erano state assegnate con ben poco entusiasmo perché tutti si aspettavano (era notizia diffusa di radio Gavetta) un prossimo avvicendamento delle truppe che avevano sostenuto le durezza dell’inverno del 41-42 e tutta la durissima ininterrotta campagna estiva. I bersaglieri del 6° Rgt. erano tuttavia tranquilli, in particolare i veterani che avevano già provato la situazione di una guerra difensiva nel gelido ambiente invernale russo. Ci schierammo dunque il 25-26 Novembre con il VI Btg. a sud ad occupare la Valle del Tichaja ed il XIII a destra su piccole alture dominanti il Don. Il XIX Btg. era in riserva presso il comando del 6° Rgt.
Le posizioni occupate dal VI Btg. erano certamente le più infelici perché correvano lungo 6-7 km, sul margine destro del Don, in zona per gran parte fittamente boschiva, che impediva non solo il collegamento a vista tra le compagnie ma anche fra le varie postazioni. Personalmente, Lasciando da parte il comando della IV Cp. AA. assunsi quello della 131 Cp. in sostituzione del Com.te rientrato in patria. Non era difficile rendersi conto della precarietà della situazione: le squadre erano isolate una dall’altra e mancava quasi del tutto la sovrapposizione dei fuochi per cui le infiltrazioni delle pattuglie nemiche erano facili, specialmente di notte, tant’è che furono frequenti e ci costarono anche la perdita di qualche uomo fatto prigioniero. Per le armi, per quanto ora riconosca inadeguate, (almeno a livello arti. e specialmente carri armati) non detti eccessivo peso; erano quelle cui eravamo abituati e con le quali combattevamo con successo già da un anno. Nei bersaglieri non ravvisavo nessun segno di timore anche se gli anziani, che facevano un po’ i bulli, nei confronti dei complementi recentemente giunti dall’Italia, cominciavano a domandarsi quando saremmo finalmente rimpatriati. Erano comunque fortemente alla mano degli ufficiali e sottufficiali con i quali mugugnavano non poco, ma per i quali nutrivano affetto e fiducia incondizionata. Per loro non rappresentavo un’incognita; mi conoscevano tutti per aver comandato, dall’inizio delle operazioni, la 1a e la 4a Cp. e avendo avuto, specialmente in quest’ultimo incarico, l’occasione di frequentare le Cp. fucilieri ispezionando i miei pl. distaccati a questi reparti. Non c’era da lamentarsi eccessivamente neppure nell’equipaggiamento certamente migliorato rispetto all’inverno precedente ma certo deficitario per quanto riguarda scarpe e calze. Su questo punto, per amore di verità, devo dire che i pareri postumi sono esageratamente generalizzati un po’ per autocommiserazione per quelli che furono i tragici avvenimenti successivi ed anche per mancanza di possibilità di comparazione dei freschi complementi giunti dall’Italia a contatto con una realtà ambientale di per se stessa tra le più difficili, aggravata da una situazione bellica che mise le truppe sulla steppa innevata, gelida e sterminata in condizioni tragiche per la sopravvivenza, anche senza l’attacco continuo dei russi.
Ma torniamo alla sera del 16 Dicembre 1942. Tutti erano tappati nei fumosi ma caldi bunker, quando le scolte avvertirono i loro ufficiali che si udiva in lontananza un rumore insolito di motori. Fummo subito fuori e li sentimmo sempre più distinti. Più sorpreso che preoccupato avvertii il Com.te del VI Btg. Cap. Riccardo Grotti e da quel momento i telefoni da campo (unico collegamento dei reparti in linea) ebbero una frenetica attività. Noi Com.ti di Cp. del VI Btg. del tutto ignari di quanto succedeva sul resto del fronte eravamo seriamente preoccupati rendendoci conto che un attacco nemico, anche se locale ed episodico, non poteva che essere sferrato sul fronte del n/s Btg. Questo perché sia il XIII Btg. del 6° che il 131 Btg. rispettivamente a D. e S. del nostro schieramento erano sistemati a difesa su dei pianori quasi a picco, almeno 50 m. sul Don con ottimi campi di vista e di tiro. Quanto abbiamo invidiato noi del 6° quelle posizioni che permettevano tranquillità e sicurezza durante la guerra di posizione che prevedevamo avremmo dovuto sopportare sino a primavera! Non sapevamo del trabocchetto che riservavano ai nostri ignari fratelli!……………… ·
Per tutta la notte ascoltammo quei motori e la nostra ansia aumentava perché capivamo che non era un semplice avvicendamento di truppe ma la preparazione di un vero attacco in forza. Accorsero in linea il Com.te del VI Btg. Cap. Riccardo Grotti, tranquillo come sempre, ed il Com.te del Rgt. Col. Carloni, imperscrutabile nel suo volto grifagno e mi parvero rassicurati dall’atteggiamento calmo degli uomini che provavano il funzionamento delle armi tenendole lubrificate e calde per l’uso, con le cassette di munizioni già in sito. Noi per parte nostra ci sentimmo rincuorati sentendoci meno soli nel buio ed attendemmo lo sviluppo degli eventi.
Verso le quattro ci sentimmo di fronte, di là dei 100 metri del Don, rumorosi, sicuri…! Attaccarono all’alba alla maniera russa, imponente massa di uomini coperta dal tiro dei mortai e da un fuoco infernale di mitra. Corsi al telefono e annunciai al Com.te di Btg. l’avanzare del nemico chiedendo contemporaneamente l’intervento dell’artiglieria e dei mortai sul letto ghiacciato del Don. Tornato in linea mi accorsi che la situazione era disperata. Malgrado la nostra furiosa reazione di fuoco che mieteva decine e decine di vittime i russi avanzavano rimpiazzando i caduti imperterriti con sempre nuovi soldati tanto che ci sembravano infiniti. Ad un certo punto fu un pandemonio! Tuonarono i cannoni ed i mortai nostri, loro, su tutta la valle del Tichaja coprendo ogni cosa di fumo e di fiamme e di quell’acre eccitante odore di polvere da sparo che combattenti ben conoscono.
Compresi che la resistenza era impossibile e di nuovo mi precipitai nel bunker per comunicare al Com.te di Battaglione che eravamo costretti a ritirarci e chiesi il fuoco di repressione dell’artiglieria. in quella fui raggiunto da un bersagliere che dall’alto dell’ingresso mi urlò: ”I russi …i russi.” Chiamai al telefono i miei com.ti di plotone e ordinai concitatamente di ripiegare combattendo sulle alture alle nostre spalle. Mi precipitai fuori del bunker com’ero, senza cappotto e fui subito investito dal fuoco nemico ormai giunto al margine del bosco. Disperatamente dispersi come eravamo ingaggiammo un combattimento episodico tra gli alberi riuscendo a frenare i russi insicuri sulle nostre forze e infine per gruppi cercammo di guadagnare le alture retrostanti dove sapevamo essere approntate delle nuove strutture difensive (tronconi di trincea all’aperto). Le raggiungemmo alfine verso le nove ed ancora sfiniti piazzammo le armi, un po’ alla rinfusa, senza contarci, preoccupati solo di prepararci alla difesa della nuova posizione che ci parve quasi sicura così dominante tutta la pianura. Fummo rincuorati vedendo sulla nostra destra venire avanti nella valle del Tichaja e contrattaccare, il XIX Btg. bersaglieri del 6° che sapevo in riserva, mentre noi avevamo arrestato l’attacco sulla nostra fronte. Pensai che sarebbero riusciti a cacciare il nemico al di là del Don, ma il loro impeto, dapprima travolgente, si esaurì di fronte a una nuova ondata di forza di un secondo scaglione. Furono arrestati e poi costretti lentamente a retrocedere. La 131 Cp. nel frattempo era seriamente impegnata, certo nell’intento di scardinare la spalla difensiva S dello schieramento ma riuscimmo ad arginare l’attacco sin quasi alle 12 quando improvvisamente sulle nostre posizioni ebbe inizio l’aggiustamento dei mortai e dell’artiglieria nemica e successivamente un concentramento combinato di fuoco di queste armi che rese impossibile il mantenimento della posizione. Ci ritirammo quindi di qualche centinaia di metri, sganciando per prime le Breda, con sufficiente ordine. A questo punto ci raggiunse, spuntando non so da dove, un Col. dei Bersaglieri (seppi dopo trattarsi del Col. Longo) che mi ordinò di resistere in posto per dargli il tempo di schierare i suoi reparti a protezione del fianco D. del 3° Bersaglieri e poi di ripiegare sul comando del 6° Bersaglieri. Assolto l’incarico mentre con la Cp. cercavo di riprendere contatto con il Com.te del VI° o del Rgt. (ero assolutamente privo di collegamenti non avendo a livello di Cp. nessun tipo di radio) accadde un episodio che mi lasciò sbalordito. Vidi arrivare sulla strada per Warwarin l’inconfondibile auto del Col. Carloni e immediatamente un crepitare di armi automatiche. Il seguito fu quasi irreale vidi fermarsi l’auto e discendere il Com.te con due bersaglieri e con una spregiudicatezza incredibile, in piedi aprire il fuoco sul nemico. Credo non seppe mai che a tirarlo fuori d’impaccio fu non solo il suo coraggio ma anche l’intervento del fuoco del plotone della 3° Cp. col quale mi trovavo in quel momento a non più di 80 metri sulla sua destra. Vistolo ripartire con tutta calma, ripresi il ripiegamento e raggiunsi alla fine il Com.te del VI° Battaglione. Eravamo esausti per una notte insonne e per il continuo combattere della giornata per cui ci raccontammo solo in breve le reciproche vicende: ma non eravamo avviliti perché avevamo bravamente tenuto testa al nemico molto superiore in forze e confidavamo che le riserve divisionali avrebbero ricacciato il giorno successivo i russi al di là del Don.
Il Cap. Grotti ci diede questa notizia dicendoci che avremmo combattuto secondo scaglione e quindi di riordinare i reparti e approntarli per l’alba successiva. Nessuna notizia sulla situazione generale. All’alba del 18 eravamo già pronti, ma anziché vedere arrivare i rinforzi ci giunse l’ordine di attaccare. Successe allora un fatto strano! Mentre noi staccavamo in avanti anche russi attaccavano in forze. Fu una sorpresa reciproca che arrestò entrambi per qualche tempo; poi seguì per tutta la mattina una serie di attacchi e contrattacchi in campo aperto senza nessun risultato di rilievo da nessuna parte. Nel primo pomeriggio un più risoluto attacco russo portò alla conquista di un’altura a Sin. del nostro schieramento. Il Magg. Fortunato con una rapidità che ha del prodigioso raccolse tutti i rincalzi compresa la 5°Cp. del VI°, e disperatamente ci scagliammo verso l’altura riconquistandola di slancio e determinando un notevole arretramento del nemico. Trascorremmo la notte all’addiaccio addossati uno all’altro per avere un qualche riparo dal freddo sdraiati sulla neve su pochi teli da tenda e qualche coperta (avevamo dovuto abbandonare quasi tutto nei bunker sul Don).
Alcune considerazioni su queste prime giornate di lotta: Tutti i reparti completamente all’oscuro della situazione generale, avevano combattuto senza sosta, compatti e completamente alla mano di ufficiali e sottufficiali senza alcun cedimento morale, anzi in maniera aggressiva, specialmente se si considerano le condizioni ambientali, arrestando un nemico assai più consistente in forze. Più che del valore personale sono da esaltare la saldezza morale collettiva, il senso di cameratismo, la fiducia reciproca a tutti i livelli. Ancora una volta i bersaglieri avevano dimostrato che il loro impiego non può essere quello da difesa passiva di posizioni fisse (come sul Don), ma quello di azioni dinamiche, sia pure in difensiva, molto più congegnali al loro addestramento, all’esuberanza fisica, e allo spirito di Corpo di cui sono permeati sin dall’arrivo ai reggimenti.
Per quanto riguarda le deficienze organiche dei materiali devo dire che quella veramente grave è stata la mancanza di mezzi di collegamento. In situazioni così fluttuanti non avere radio a livello compagnia, plotone e tanto meno a squadra significava non ricevere ordini, non darne e non conoscere la situazione e posizione di reparti. Buon per il 6° Rgt. che in una situazione tanto difficile ha avuto la fortuna di avere un Comandante preparatissimo coraggioso e autoritario, molti ufficiali, rotti per lunga esperienza acquisita durante cento combattimenti ad ogni sorta di situazione, bersaglieri rocciosi, poco impressionabili attaccati alla loro arma per profonda convinzione e soprattutto pienamente fiduciosi nei loro ufficiali che li avevano tante volte tirati fuori dagli impicci.
FRA DON E DONETZ
Sono buon testimone che tutto quanto detto in questo capitolo dal Col. Carloni è rigorosamente esatto e frutto di un puntuale diario degli avvenimenti. Ho potuto incontrarlo (pur non sapendo assolutamente nulla della situazione generale) degli ordini ricevuti, dai combattimenti effettuati e dallo svolgimento dei movimenti fatti. Devo tuttavia evidenziare alcuni episodi che mi sembrano importanti.
Il giorno 19, per ordini ricevuti nella notte, il VI° Btg. doveva attaccare insieme ad altri reparti del 6° i russi che ci fronteggiavano nella valle del Tichaja, ma come era successo il giorno precedente, questi riprendevano contemporaneamente la loro offensiva. Fu uno scontro frontale durissimo durato alcune ore, sopportato con accanimento da una parte e dall’altra con esito alterno, del tutto episodico, in cui ogni reparto anche minore, combatteva per conto proprio in una specie di orgogliosa esaltazione.
La 3a Cp., sulle alture a S. dello schieramento, non cedette di un passo neppure quando fu attaccata da nuove forze fresche. Disperatamente mantenne le sue posizioni per tutta la mattina.
Nel primo pomeriggio venne l’ordine di ripiegamento su Melowatij. Mentre lo eseguivamo vedemmo avanzare e prendere lentamente posizione un reparto tedesco (seppi poi trattarsi di veterani ferrovieri ) che eseguì la più bella esercitazione a fuoco cui abbia mai assistito, bloccando il nemico che ricominciava ad avanzare, avendo osservato il nostro ripiegamento.
Rapidamente prendemmo posizione alle prime isbe dell’abitato, finalmente riuniti VI° e XIX° Btg. ma piuttosto frammischiati e soprattutto sfiniti dalla stanchezza.
Ci fu di grande conforto in quella occasione una straordinaria distribuzione di viveri, caffè, zucchero, scatolette, forme intere di formaggio, cognac ed altro proveniente da un magazzino viveri italiano abbandonato. Eravamo stanchi, gelati ed affamati dopo tre giorni di continui combattimenti per cui tutta quella abbondanza fu un vero festino e, malgrado il pericolo che sentivamo incombente, ci sentimmo molto più sereni. Ma il riposo non fu lungo specialmente per noi ufficiali: frammentarie notizie avute dal Com.te di Btg. Cap. Grotti, ci indicavano una situazione allarmante determinata dallo sfondamento da parte di reparti corazzati russi, sulla sinistra dello schieramento italiano, con conseguente minaccia di un accerchiamento di tutti i reparti raggruppati a Melowatij. Quando a tarda sera venne l’ordine di ripiegamento provammo un vero senso di sollievo e ci apprestammo a raggiungere gli automezzi che dovevano trasportarci al sicuro. Che tragica sorpresa constatare che questi erano ormai andati via!
Iniziammo quindi nella notte il ripiegamento a piedi, in uno stato d’animo per la prima volta depresso ma seppur silenziosi, sempre molto determinati. Percorremmo così ben venticinque chilometri (non sapevamo fossero tanti), senza soste né dispersioni od allungamenti. Quasi all’alba del 20 raggiungemmo il Btg. delle SS che stava procedendo ai rifornimenti dei mezzi, un Btg. mitraglieri ancora efficiente seppur decimato ed il gruppo di artiglieria che era con noi a Melowatij con tutti i suoi autocarri.
Dopo qualche ora venne l’ordine di salire sui camion e riprendemmo il movimento in autocolonna. Il Cap. Grotti che riusciva ad avere qualche contatto diretto con Carloni e che si appoggiava ora di preferenza alla mia Cp., mi disse che dovevamo raggiungere e presidiare Werchne Makejewka. Avevamo appena eseguito il movimento ed occupato il paese quando già all’imbrunire ci venne l’ordine di risalire sugli automezzi. Eravamo abbrutiti dal freddo e dalla stanchezza e più che salire ci buttammo sui camion.
Raggiungemmo Ossipowa verso le 23 e per la prima volta avemmo chiara la tragica situazione generale che avevamo ritenuto sino allora ancora sotto controllo.
Vi trovammo infatti centinaia di soldati della Pasubio, della Sforzesca della Celere e della Torino quasi tutti disarmati ed ormai completamente abulici. Fu proprio in questo momento che maggiormente rifulse la saldezza morale dei Quadri e di tutti i Bersaglieri del 6° che mai avevano conosciuto la sconfitta e che invece di abbandonarsi come gli altri reagirono con orgogliosa determinazione, mantenendosi compatti e decisi a resistere a tutti i costi. Così ci trovò il Col. Carloni di ritorno dal Comando della Sforzesca e credo che gli fu di conforto i1 nostro atteggiamento risoluto nel darci gli ordini per la costituzione del caposaldo che doveva assicurare il ripiegamento di quella massa di inermi più che impaurita, abulica e ormai rassegnata alla resa. La
mattina del 21 eravamo ormai organizzati a difesa. Uno strano caposaldo costituito oltre che da noi del 16° Rgt. anche da truppe Romene, caratteristiche per i loro alti cappucci di capretto nero (specie di colbacchi) molto disciplinati e tranquilli e dal 121° gruppo di Art. con tutti i pezzi in linea in funzione anticarro. Pian piano vedemmo evacuare i1 paese, passare reparti e comandi, parte a piedi parte su automezzi ed incamminarsi sulla pista di Makejewka sotto la nostra protezione.
Fummo importunati durante la giornata solo da alcune pattuglie russe che respingemmo facilmente. Sebbene sempre all’erta, potemmo così usufruire della giornata e della notte sul 22 di relativo riposo che rinfrancò almeno il corpo. Molto meno lo spirito perché alcune pattuglie, inviate alla ricerca di altri reparti della Sforzesca e del nostro XIII° Btg. B., ritornarono con forti perdite e con la convinzione che questi reparti fossero ormai stati incapsulati dal nemico quindi distrutti o fatti prigionieri.
Nella mattinata del 22 i russi ripresero ad attaccare con reparti sempre più consistenti ma furono ricacciati con forti perdite di uomini e mezzi per cui alfine desistettero incerti sul da farsi. Poco dopo le 12, il Cap. Grotti ci informò che avevamo esaurito il nostro compito di protezione e ci diede ordini dettagliati per il ripiegamento.
Furono approntati dapprima i mezzi a tergo del caposaldo sulla pista di Makejewka a piccoli gruppi per diluire i rumori, successivamente in gran silenzio, presero su di essi posto i vari reparti. Partimmo nella notte con gran fragore tutti compatti, artiglieri in testa ed in coda per far fronte ad eventuali attacchi di corazzati, al centro i motorizzati e ai lati i motocarrelli con mitragliatrici e fucili mitragliatori. Superammo senza incidenti il bivio per Kijewskoje occupata dai russi, che impressionati dal fragore e della massa di mezzi che piombavano loro addosso si erano ritirati precipitosamente proseguimrno per quella località che raggiungemmo alle prime luci del 23, sotto una bufera di neve. Vi trovammo tutta la colonna di appiedati, di cui avevamo protetta la ritirata resa ancora più pesante dai resti di due reggimenti della Sforzesca che miracolosamente erano riusciti a sottrarsi al nemico. Vi trovammo inoltre il Btg. SS tedesco e i reparti romeni che avevano ormai approntato l’organizzazione difensiva. La colonna Carloni come fu anche chiamata perchè costituita oltre che dai due Btg. del 6° bersaglieri anche dal 120° Gruppo di Art., dopo aver trascorso la giornata in riposo, sostituì nella notte sul 24 il Btg. SS, chiamato ad altri compiti, nella difesa di Kijewskoje.
Non saprei proprio descrivere il caos regnante nel paese. Vi stazionavano Comandi di grandi Unità e Comandi di Rgt. che per tutta la giornata cercarono di raggruppare i loro reparti e riorganizzarli essendo tutti frammisti e resi indolenti per la stanchezza fisica e poco propensi ad abbandonare il posto che avevano faticosamente trovato nelle isbe. Li vedemmo partire all’alba del 25 sulle tracce del Btg. SS, lunga, triste colonna appiedate e ci si stringeva il cuore pensando al loro possibile destino che poteva diventare anche il nostro. Eravamo tuttavia fieri aggrappati alle nostre armi decisi a difendere la loro e la nostra ritirata, noi soli bersaglieri ed artiglieri, ormai riuniti in una fratellanza che ben si può dire di sangue.
Dopo molte ore interminabili di tensione in attesa dell’attacco del nemico di cui intravedevamo le pattuglie avanzate, rompemmo il contatto senza incidenti ed in serata raggiungemmo le truppe che ci avevano preceduto. Schierati in difesa piazzammo le armi proteggendole con stracci e teli da tenda e ci apprestammo a trascorrere la notte all’addiaccio sulla neve con un freddo intensissimo. Quella fu per tutti la lotte più tremenda passata in Russia; combattevamo contro il gelo, contro la stanchezza, contro la fame che cominciavamo ad avvertire, nè valsero un gran che ad alleviare questi mali qualche distribuzione di caffè caldo, giunta non sapevamo da quale parte. Il timore di addormentarci e quindi cedere al congelamento degli arti o peggio ancora di finire assiderati ci costrinse a battere continuamente i piedi, battere le braccia e strofinarci orecchi e naso. Ci confortò non poco la presenza del Col. Carloni che più di una volta aggirandosi nel buio profondo, quasi a condividere la nostra sofferenza, ci rivolgeva parole di elogio.
Ce lo vedemmo arrivare ombra sulla neve mentre sotto il misero riparo costituito da pochi teli da tenda sostenuti dalle nostre teste e seduti su due cassette di munizioni il Cap. Grotti, il s.Ten. Ebenstain ed io si parlava delle nostre famiglie, come di cose molte lontane, …con un certo distacco. Ci diede coraggio con la sua presenza o ne ricevette? Forse entrambe le cose!
Mi ordinò di presentarmi a lui la mattina successiva, cosa che feci puntualmente, ed in quella occasione assieme ad un caffè ed un pezzetto di cioccolata, per la prima volta mi ragguagliò sulla situazione generale e mi diede le disposizioni per la giornata. La 3a Cp. doveva procedere in testa alla Colonna Carloni preceduta dalla ricognizione a distanza della cavalleria romena; in direzione di Krasnoiarewka.
Detta località doveva essere raggiunta prima di notte! Fu un sollievo per tutti rimetterci in movimento e giungemmo in vista del paese solo disturbati da una bufera di neve. Krasnoiarewka era occupata dai Russi. Ce ne diede notizia la cavalleria Romena comunicandoci inoltre la presenza di blindati o corazzati nemici.
Eravamo oramai al crepuscolo e Carloni mi diede l’ordine di attaccare rinforzando la 3a Cp. con tre cannoni da 47/32.
Abbandonati gli autocarri, avanzammo verso il paese con i due plotoni in linea (tali erano dopo le perdite subite) con alle ali ed al centro i cannoni anticarro.
Procedemmo spediti fiu quasi a 600 m. dall’obbiettivo ma a questo punto fummo investiti da un improvviso quanto intenso fuoco di armi automatiche. Continuammo allora ad avanzare a sbalzi di plotone sotto un fuoco pirotecnico di traccianti, che in altri momenti sarebbe stato anche bello da vedere, percorrendo altri 400 m.. Fu allora che fui raggiunto da un reparto, poco consistente, comandato dallo stesso Carloni che mi urlò nel fragore delle armi “Attacchiamo, Attacchiamo Vices”.
Alla disperata, gridando come ossessi Savoia, ci buttammo sulle prime isbe sbaragliando bombe a mano i1 nemico che si diede precipitosamente alla fuga. L’occupazione del paese da parte della colonna fu immediata e senza perdere un solo attimo furono piazzate le armi automatiche ed i cannoni anticarro nostri e Romeni a tutti gli accessi al paese per respingere eventuali contrattacchi. Svuotata di forze la 3a Cp. rimase a disposizione del Comandante. Non fu impiegata durante la notte e potè riposare in qualche maniera anche se nella notte vi furono attacchi Russi cannonate, incendi e l’invasione caotica dei reparti appiedati che si buttarono nelle case, completamente sfiniti, del tutto abulici, indifferenti a tutto quanto poteva succedere. Il giorno 28 passò tranquillo per i difensori, ma non per i comandi.
Dal Cap. Grotti seppi che c’era stata tempestosa seduta in cui era stata prospettata molto seriamente la possibilità della resa.
Era stato decisivo l’intervento di Carloni che aveva nettamente rifiutato questa eventualità disponendo ancora il caposaldo di reparti la cui capacità operativa e combattiva era ancora a tutta prova.
Fu quindi concordato di tentare il ripiegamento e di salvare migliaia di uomini. Fummo quindi approntati ed in piena notte si formò la colonna appiedata ma combattente che si avviò lentamente sulla pista di Makejewka sfilando, lunga striscia nera, silenziosa, rassegnata, per alcune ore.
Sul finire della notte il caposaldo fu attaccato in forze ma il 6° Rgt. B. con il solito gruppo di Artiglieria ed i mitraglieri respinsero decisamente l’attacco. Ma era solo una pausa! Vedemmo arrivare una trentina di carri armati russi accompagnati da fanteria che tentano di tagliare la via della ritirata. Temevamo di essere alla fine, ma la nostra. Artiglieria, meravigliosa Artiglieria, aprì un fuoco violentissimo e preciso sulla fanteria nemica che fu costretta ad arrestarsi. Contemporaneamente il Btg. SS, che ci fu sempre vicino, contrattaccava spregiudicatamente con quattro carri Tigre e quattro semoventi da 88.
Il combattimento si esaurì in breve tempo perché i carri russi, subite pesanti perdite si ritirarono rapidamente dalla loro fanteria.
Subito dopo vedemmo partire altre truppe tedesche ed ancora una volta la Colonna Carloni rimase sola a proteggere la ritirata……………………………………………………………………………
Eravamo tesi come corde di violino mentre attendevamo l’ordine di evacuare anche noi il paese. Fui chiamato dal Col. Carloni che mi diede ordine di proteggere con la mia 3a Cp. il ripiegamento della Colonna tenendo il paese sino a quando tutti i nostri reparti non fossero scomparsi dalla vista sulla pista di Makejewka.
Non ci fu tempo per altre parole perchè il combattimento si era acceso tra le case del paese e dovetti raggiungere subito il mio reparto.
Seguì un pandemonio di cannonate di cui non riuscivo a rendermi ragione impegnato com’ero nel combattimento tra le case. (Seppi dopo che la colonna era stata attaccata dai T. 34)
Poi sentii la colonna mettersi in marcia. Eravamo rimasti solamente due Ufficiali (era con me il coraggiosissimo S.Ten. Rosa Agostino di Roma) ed una quarantina di bersaglieri armati solo di mitra, moschetti 91 e qualche fucile mitragliatore. Ritirandoci casa per casa ritardavamo il più possibile i Russi sempre più aggressivi fin quando fummo sul margine dell’abitato dove operammo l’ultima disperata resistenza.
Vedemmo ormai lontani i camion della Colonna e ritenni che il nostro compito fosse stato assolto. Secondo gli accordi che avevo preso col S.Ten. Rosa scaricammo contemporaneamente sul nemico tutte le nostre armi arrestandolo interdetto per qualche minuto. Il tempo appena sufficiente per arrembare i due camion che ci attendevano in moto già sulla pista!.
Il fuoco concentrato, rabbioso che ci investì non ebbe per fortuna nessun esito e potemmo raggiungere sul tardi la Colonna ed il resto delle truppe. Durante la notte sul 29 riprendemmo il movimento e questa volta il 6° Bers. passò all’avanguardia, ma eravamo tutti assai sollevati perchè circolava notizia che stavamo per entrare nell’organizzazione difensiva Tedesca. Quando però fummo a pochi chilometri dalla meta, la Colonna fece una sosta che da prima credemmo del tutto normale.
Di lì a poco ci vedemmo sorvolati da un piccolo aeroplano Tedesco che dopo alcuni giri sulla nostra testa ci lanciò un messaggio. Seppi dopo trattarsi della comunicazione che il paese era occupato dai Russi e ci indicava una direzione nuova di marcia. Il carburante scarseggiava per cui fu necessario abbandonare alcuni automezzi per recuperarlo dai loro serbatoi, ma nessuno può immaginare quanta fatica costò a noi Ufficiali far scendere gli uomini per trasbordarli su altri già occupati.
Basti dire che io ed il s.Ten. Ebenstain fummo costretti, essendo gli unici rimasti a terra a farci accogliere, armi alla mano, sul cassone di un furgoncino che sotto scorta di due carabinieri trasportava la cassaforte di non so quale divisione.
Il movimento non fu del tutto tranquillo perché eravamo punzecchiati la tutte le parti da pattuglie motocorazzate nemiche che però furono regolarmente respinte. Verso le dodici ci riunimmo al Comando del XXIX Corpo d’Armata con il quale sostammo qualche ora. Ricevemmo in questo lasso di tempo, per via aerea, un esiguo rifornimento di carburante. Fu tuttavia di grande aiuto per il morale di tutti perché ci sentimmo sostenuti e guidati da una organizzazione. Poco dopo riprendemmo il movimento. I restanti 15 Km. furono tormentatissimi. Una puntata di carri armati Russi subito contrastata dall’artiglieria (non so di quale reparto) separò gli ultimi automezzi della colonna tra i quali era anche il mio.
Essendo la pista occupata dai mezzi dell’artiglieria che si opponeva con successo alla puntata russa, fui costretto ad abbandonare il furgoncino.
Coadiuvato dal S.Ten. Ebcnstain raccolsi i bersaglieri che con noi erano stati tagliati fuori ed insieme ci lanciammo in aperta steppa con la neve fresca che ci giungeva quasi al ginocchio indirizzandoci nella direzione in cui avevamo visto scomparire gli ultimi autocarri. Fu uno sforzo tremendo che però fu ben ricompensato perché dopo un chilometro circa riuscimmo a recuperare la pista sulla quale proseguimmo un pò più tranquilli. Lungo i restanti 6-7 Km. trovammo altri autocarri abbandonati per mancanza di carburante ma per fortuna non fummo più disturbati sino a Skassirskaja occupata saldamente dai tedeschi, dove giungemmo sull’imbrunire. Eravamo veramente sfiniti ma felici perchè capivamo che oramai eravamo al sicuro.
I due giorni che seguirono furono di completo relax fisico e morale. Dopo 15 giorni di combattimenti continui, di notti insonni , di fame, di gelo e di angoscia, riuscimmo per la prima volta a toglierci di dosso gli abiti brulicanti di insetti, a lavarci ed a consumare un rancio caldo. Il 1° gennaio del ’43, dopo aver riordinato i reparti, iniziammo la marcia di 50 Km. a piedi, (lo eravamo ormai quasi tutti – per mancanza di mezzi) che smorzò molto del nostro entusiasmo. Solo allora comprendemmo la tragedia di quei poveri fanti che avevano salvato dalla morte o dalla prigionia, ma che si erano trascinati nella neve per giorni e notti, completamente ignari di quanto succedeva, terrorizzati dai continui attacchi russi che avvertivano avanti, dietro e sui fianchi della colonna. Con sollievo arrivammo a Kamenkaja dove il giorno 3 fummo imbarcati su dei pianali scoperti ed avviati a Rikowo .
Reggemmo a questo nuovo supplizio solo poche ore! Sdraiati su dei pianali, uno sull’altro, riparati da poche coperte e da qualche telo da tenda, sentivamo la morte implorante si di noi. Il treno si fermò finalmente ad una stazioncina e senza che nessuno desse un ordine ci buttammo a terra occupando la stazione e due o tre casette intorno. Ma non tutti!, alcuni nostri cari commilitoni giaquero su quei maledetti pianali stecchiti, senza vita a pochi chilometri dalla salvezza.
La mattina del giorno successivo prendemmo d’assalto un treno ed in carri bestiame, molto depressi, giungemmo a Rikowo e di qui spediti a Korsuni.
Vi sostammo quasi tutto il mese di gennaio recuperando le forze, ricomponendo organicamente i reparti smembrati che furono anche ben dotati di armi. Tuttavia anche se moralmente molto su di tono, per l’impresa compiuta e per la notizia di un prossimo rientro in Italia,
c’era nell’aria come un presentimento che tutto non era ancora finito..
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CONSIDERAZIONI SU QUESTO PERIODO DI LOTTA –
Quello che fu per altri reparti, anche se poi esaltati, una triste esperienza di passiva ritirata con qualche episodio di disperata reazione, fu per il 6° Bersaglieri, chiamato ad agire nelle stesse condizioni strategiche ed ambientali, una, trionfale prolungata azione di guerra protrattasi per centinaia di chilometri, in cui pur ritirandosi fu sempre il protagonista ed il vincitore.
Quali elementi consentirono questo eccezionale successo? Il Comandante, i quadri Ufficiali e Sottufficiali, il bersagliere. Ognuno di essi merita una menzione particolare.
Il Comandante che sarebbe diventato certamente una figura leggendaria se le tristi vicende della guerra avessero preso un altro corso, si rivelò allora, almeno per noi, l’uomo del destino.
Tattico eccezionale, capace di fulminee decisioni, coraggioso e quasi temerario, duro ed inflessibile con tutti, freddo e calcolatore, seppe prendere decisioni giuste in ogni frangente subordinando spesso alla sua ferrea volontà e perizia anche Superiori comandanti di Unità e consistenti reparti Alleati.
I quadri Ufficiali e sottufficiali, fedeli e puntuali esecutori di ordini anche se a volte ritenuti inattuabili, ma capaci di coraggiose iniziative, furono come fari nel buio per i loro soldati. Tennero in pugno gli uomini fermamente ma con comprensione, aiutandoli e non solo con l’esempio a superare fatiche, disagi, situazioni critiche.
I Bersaglieri, potenti fisicamente lo erano ancora forse di più moralmente. Nella depressione generale, a contatto e spesso frammischiati con soldati distrutti, abbruttiti e resi abulici dalla fatica, mantennero sempre amore e fiducia. per le proprie armi, per il proprio reparto e per i loro ufficiali.
Di questi tre elementi nessuno fu inferiore all’altro, ma ognuno di essi integrò gli altri in maniera decisiva rendendo possibile a suon di sacrifici e morte un ripiegamento ordinato di migliaia di soldati che per loro merito potevano ritornare alle loro case.
Il loro eroismo fu premiato con molte decorazioni al Valor Militare sul Campo, ma furono defraudati anche di queste attestazioni di coraggio. I relativi brevetti e motivazioni furono smarriti o andarono distrutti 1’8 Settembre del ’43 in modo piuttosto strano se non sospetto.
Fra tutti meritano una menzione particolare motocarrellisti.
Statue i ghiaccio nel vento e nella neve, si sostituirono ai mezzi di collegamento, furono portaferiti, pattugliatori astuti, mitraglieri e portamunizioni, meccanici provetti.
Non posso sottacere il decisivo apporto del II° Gruppo del 121° Rgt. Art. che combattendo al nostro fianco con fredda determinazione ci chiede la forza e la possibilità di opporci alle incursioni dei carri armati e corazzati nemici.
P A V L O G R A D
La sosta a Korsuni, realmente utile per la riorganizzazione dei reparti e per il riposo degli uomini, non fu tuttavia molto gradita. Le notizie che trapelavano sempre più insistenti indicavano una situazione generale molto critica e tale da poterci coinvolgere in nuove difficili situazioni. Il veder partire verso la salvezza tutti gli altri reparti aumentò notevolmente le nostre ansie per cui anche quando per noi giunse l’ordine di partenza fu per tutti un grande sollievo. Non ci preoccupò molto il compito di protezione del Movimento delle Unità che ci precedevano, ritenendoci ancora in ambiente di relativa sicurezza. Il 6 febbraio, attardati da una fitta nevicata, giungemmo a Pavlograd.
I giorni che seguirono furono caratterizzati da una situazione molto incerta per le notizie sempre più allarmanti sull’offensiva russa che tendeva a raggiungere il Dnieper per tagliare la ritirata alle truppe che affannosamente cercavano la salvezza al di là del fiume dove i tedeschi contavano di arrestare definitivamente la loro avanzata.
Verso il giorno 9 febbraio, ricevuto l’ordine di schierarsi a caposaldo, comprendemmo, con ben poco entusiasmo, che le nostre pene non erano ancora finite.
Alla mia 3° Cp. rinforzata da un plotone mitraglieri venne assegnato un compito molto impegnativo: la difesa dell’unico ponte di Pavlograd sul fiume Voleja. I giorni che seguirono, almeno per noi, furono piuttosto tranquilli e li utilizzammo nell’apprestare difese passive (per la verità poco consistenti) e curare le armi. Fu il periodo di maggior lavoro per le pattuglie, montate di solito su motocarrelli, che si spingevano per vari chilometri tutto intorno alla cittadina alla ricerca del nemico che non si fece attendere molto. Le notizie non erano davvero molte; sapevamo che dovevamo resistere sino al giorno 20 febbraio per dar modo alla sistemazione difensiva tedesca sul Dnieper di completarsi e ricevere, due divisioni corazzate urgentemente ritirate dalla Francia. Sempre più frequenti si udivano le sparatorie alla periferia est del paese e si parlava di ammutinamento di un reparto collaboratore costituito dai russi, ma presto domato.
Ci fu di gran conforto il g. 11 l’arrivo di 7 carri tigre ed alcuni cannoni da 88 provenienti da Dniepopetrowsk ed assegnati specificatamente al caposaldo. I giorni che seguirono furono caratterizzati da scontri sempre più frequenti alla periferia dell’abitato ed. ormai il g. 15-16 febbraio ce li sentivamo addosso. L’attacco definitivo cominciò poco prima dell’alba del 17. Dalla mia posizione, non ancora impegnata, ascoltavo con ansia il furioso cannoneggiamento e l’incessante fuoco delle mitragliatrici sui due fronti alternarsi a brevi pause. Ancora più violento si riaccese il combattimento alla luce di un vivido mattino e Pavlograd venne investita, quasi perimetralmente, da truppe russe corazzate, artiglieria e la solita massa urlante di fanteria. Compresi che l’andamento del combattimento volgeva a nostro sfavore quando vidi passare sul ponte numerosi automezzi semivuoti. Non ebbi però molto tempo per meditare su questi pensieri perché il combattimento si fece ancora più caotico e cruento. La città era un inferno; fumo e fiamme sprigionavano dalle case colpite dall’artiglieria russa e la lotta si accese, per me inspiegabilmente, anche fra di esse.
Verso le 9.30 anche la 3a Cp. fu coinvolta direttamente nel combattimento. Sulla destra del ponte vidi avanzare, passando tranquillamente sulla crosta ghiacciata del Valoya, una massa di fanteria nemica tendente ad accerchiare il ponte stesso. Il nutrito fuoco delle nostre mitragliatrici, agevolato da un campo di tiro del tutto scoperto, provocando forti perdite tra le loro file costrinse il nemico ad arrestarsi prima, quindi a ripiegare a distanza di sicurezza ed infine a riprendere il suo aggiramento molto a più a ampio raggio.
Senza tema di smentite credo che questo abbia salvato i difensori di Pavlograd. Di lì a poco vedemmo infatti ripiegare sul ponte, tutti frammischiati, reparti italiani e tedeschi su camion stracolmi e parte a piedi. Intanto si era completato l’aggiramento della fanteria russa che si era portata a meno di 300 mt. alle nostre spalle e che ci investiva con un fuoco micidiale. Fu un momento veramente critico perché i miei meravigliosi bersaglieri, pur restando inchiodati alle loro armi, cominciavano a perdere terreno. Vidi infine, sotto un infuriare di fuoco nemico passare i carri armati tedeschi, gli 88 ed infine, tra gli ultimi, gli automezzi del Comando.
Non potendo fare altrimenti la 3a Cp. del VI°, sotto l’infuriare delle mitragliatrici ripiegò di corsa sulla pista per Dnjepopetrowsk lasciando sul campo numerosi camerati. Non fummo inseguiti dai russi, forse paghi dalla conquista della città, e potemmo raggiungere, quando ormai disperavamo di farcela, la colonna. Il resto non ha più storia e non mi dilungo (vedi bersaglieri sul Don).
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Non c’è dubbio che la difesa di Pavlograd sia stata una fra le più gloriose imprese compiute dai bersaglieri del 6° Rgt., devo tuttavia dire che la pagammo forse ad un prezzo troppo elevato.
Pur riconoscendo a Carloni tutti i meriti già detti in precedenza come Comandante, come tattico, come combattente è mia opinione e non del tutto personale, che a trascinarci in quest’ultima sublime impresa sia stato indotto da alcuni fattori personali che posso comprendere ma non del tutto giustificare.
Aveva nel cuore la memoria del suo eroico figlio che certo lo induceva alla vendetta, all’emulazione e forse alla ricerca di una morte altrettanto eroica. Questi sentimenti e le sue innate qualità ne fecero, tra noi, un uomo leggendario cui certamente dobbiamo il merito insieme ad altre migliaia di soldati di essere ritornati alle nostre famiglie.
L’interrogativo che tuttavia i reduci si posero e si pongono nei loro incontri, anche se fieri dell’impresa compiuta, rimane ancora: era davvero necessaria una Pavlograd?
In questa esaltante fase di guerra chi veramente merita tutti i più elevati aggettivi qualificativi sono i bersaglieri. Per la maggior parte veterani di cento battaglie, non sollecitati da nessuna ambizione, non spinti da sentimenti personali combatterono e posso ben dire eroicamente, solo per forza morale, per senso del dovere, per abnegazione e amoroso rispetto dei loro ufficiali, per fanatismo di corpo e per amore verso la loro Bandiera cui regalarono ben due Medaglie d’Oro. Dinanzi a loro mi inchino umile e li ringrazio con profonda commozione.
Diario del generale
Salvatore Vices Vinci