Ettore Viola Discorso celebrativo del 50° anniversario del Congresso di Assisi

  

 

Nel 1923 Presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti fu l’Avv. Vittorio Arangio Ruiz, che Mussolini aveva anche nominato Caporale d’Onore della Milizia Fascista.

Nel 1924 fu invece Commissario dell’Associazione il Capitano Nino Host-Venturi.

Fu pertanto Host-Venturi, triestino, a presiedere il Congresso di Assisi nella mattinata del 27 luglio 1924.

Erano presenti, tra gli estranei all’Associazione, i fascisti Costanzo Ciano, Dino Grandi, gli On.li Bastianini e Felicioni, le Medaglie d’Oro Paolucci, Barnaba, Rossi Passavanti, Fantini, Baruzzi; ma i pezzi grossi, quali Dino Grandi e Costanzo Ciano, si accontentarono di dirigere le manovre rimanendo nell’ombra.

Dopo la relazione morale dell’Avv. Domenico Galante, Segretario del Senato, anch’egli fascista, assunse la presidenza dell’Assemblea l’On. Prof. Rodolfo Savelli, Presidente della Federazione Combattenti di

Genova.

Nella seduta antimeridiana del 29 luglio fu addirittura il Ministro Giuriati a presiedere i lavori dell’Assemblea.

Sulla relazione morale del Galante prese per primo la parola Vittorio Arangio Ruiz, il quaÌe disse che, nonostante le ammissioni sfavorevoli riguardanti la sua persona, contenute nella relazione morale, riteneva di dover tacere in quel momento particolarmente grave per la Nazione, e per non nuocere all’Associazione che poteva essere scompaginata dalle sue rivelazioni. Fu rumoreggiato.

Prese quindi la parola l’Avv. Giulio Bergmann, Presidente della Federazione Provinciale Combattenti di Milano. Egli parlò a nome di 22 Federazioni premettendo di dover fare ammenda della sua passata debolezza verso i fascisti.

Il suo discorso fu interessante ed ascoltato. Gli schieramenti che esso determinò furono i seguenti: Pellizzi di Reggio Emilia presentò un ordine del giorno di aspra e condizionata fiducia al Governo; Arangio Ruiz lo seguì, ritenendo la posizione di Bergmann troppo rigida e troppo antifascista.

Anche Fabretti di Ferrara aderì all’ordine del giorno Pellizzi ed altrettanto fecero i dirigenti della Sezione Combattenti di Roma, delle Federazioni di Siena, di Napoli, Bologna, Sassari, Udine, Grosseto.

Favorevoli alla tesi di Bergmann furono invece Bruni di Bergamo, Rossini di Novara, Di Donato di Caserta, Spallicci di Forlì, Musotto di Palermo, Bavaro di Bari, Guatteri di Torino, Perazzolo di Verona, Zanchi di Firenze, Fermariello di Napoli, Boldrini di Ancona, Cacciò di Portoferraio, Iacobelli di Teramo, Beseghi di Parma, Fulli di Roma, Caputo di Cosenza, Rizzo di Pola.

L’On. Pivano, ultimo oratore  della  giornata  del 28 luglio, condivise il contenuto della mozione Bergmann; Zino di Genova ritenne  invece  di  doveri modificare parzialmente la stessa mozione e Savelli aderì soltanto alla prima parte del pensiero di Bergmann mancando in esso, secondo lui, i dettagli degli obiettivi da raggiungere.

 

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Dal 28 al pomeriggio del 30 luglio ci furono discussioni e diatribe poco promettenti. Soltanto nel tardo pomeriggio del 30 s’intravide una schiarita.

Si sospese la seduta per meglio riflettere e si riaprì alle ore  19,40.

Primo oratore fu l’On. Viola, che lesse un ordine del giorno concordato con l’On. Rossini. La fine della lettura fu  salutata da un applauso prolungato. Così registrò la cronaca.

Subito dopo parlò Bergmann: « La mozione da noi presentata – disse – con lo scopo di attirare su un gruppo di idee e sugli uomini che modestamente le rappresentano l’onore di essere più volte citati e discussi, non aveva un preciso carattere di opposizione. Abbiamo dichiarato che essa aveva il solo ed unico scopo di richiamare l’Associazione a considerare come la sua indipendenza si attui solo con l’assoluta autonomia.

« Questo concetto è compreso nell’ordine del giorno Viola il quale, se non rispecchia completamente le idee della nostra mozione, consente tuttavia a noi, fedeli alle nostre idee ed alle nostre coscienze, di approvarlo e dargli il nostro voto favorevole ».

Bergmann aveva già fatto il tentativo di presentare una propria lista, ma non ebbe fortuna.

Nella stessa serata del 30 luglio, il Presidente Savelli lesse una sua lista di nomi prescelti per la Direzione dell’Associazione, ma tale lettura determinò un forte scompiglio e vivaci discussioni.

A quel punto, riferisce la cronaca, prese la parola l’On. Viola il quale, dopo aver richiamato i Congressisti ad un  un  doveroso senso di responsabilità, dichiarò che se la lista non fosse stata votata nella serata stessa, non  importa  con  quale esito, egli e gli amici  di cui era  sicuro  interprete, avrebbero abbandonato il convegno.

Dopo quella dichiarazione ripresero la parola Savelli, Arangio Ruiz e Biagi. Quindi lo stesso Viola pregò il Presidente Savelli di voler mettere in votazione  l’ordine  del  giorno:  l’ordine  del  giorno  di Assisi,  che  suona  così:

« Il Consiglio Nazionale dell’Associazione Combattenti, unito in Congresso  in  Assisi,  giudica  che l’esperienza politica ha dimostrato come l’indipendenza dell’Associazione, base imprescindibile della sua esistenza e della sua autorità morale, non  possa seriamente attuarsi se  non  attraverso  la  più  piena ed  effettiva  autonomia  di  azione.

« Ritiene che al di sopra delle fazioni in lotta sia oggi urgente ristabilire nella sua piena ed assoluta efficienza l’imperio della legge, base e condizione elementare del libero svolgersi della vita di un popolo; e, mentre  ammonisce che non si  debbono riabilitare i partiti che disconobbero e svalutarono la vittoria, né acconsentire in alcun modo il ritorno  al  periodo   di vergogna  dell’immediato  dopoguerra, dichiara al combattente che regge le sorti della Nazione che i suoi commilitoni sorreggeranno la sua opera in quanto essa, ispirandosi ai concetti ideali scaturiti da Vittorio Veneto e riconsacrati dallo spirito che lo condusse al potere, sia effettivamente rivolta al fine di assicurare all’Italia un’alta concordia civile sulla base dell’assoluta condanna degli illegalismi superstiti, della sovranità esclusiva dello stato secondo lo spirito e la tradizione del nostro Risorgimento, nella elevazione delle forze del lavoro, nel rinato amore della Patria »

Il laborioso documento ricevette 311.240 voti favorevoli e soltanto 3.520 contrari.

Alla direzione dell’Associazione risultano poi eletti Savelli di Genova, Rossini di Novara, Viola di Massa Carrara, Bruni di Bergamo, Russo di Udine, Rizzo di Pola, Zino di Genova, Ciucci di Pisa, Fabretti di Ferrara, Fermariello di Napoli, Bavaro di Bari, Orlando di Palermo.

Alla carica di Sindaci furono invece eletti Cacciò di Portoferraio, Iacobelli di Teramo, Beseghi di Parma, Fulli di Roma, Caputo di Cosenza.

 

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In un primo tempo sembrò che Mussolini accettasse il nostro ordine del giorno, ma cambiò idea, allorché si accorse che i giornali  dell’opposizione avevano considerato il  nostro documento di netta opposizione; per cui,

illudendosi di poter ancora parare il colpo, convocò per direttissima, a Palazzo Venezia, il Consiglio Nazionale Fascista; ma praticamente convocò a « redde rationem » il sottoscritto come fu dimostrato nella seduta del 2 agosto 1924 con un rabbioso coacervo di critiche ed accuse al suo indirizzo, senza che alcuno tentasse di prenderne la benché minima difesa.

Iniziò la sparatoria verbale il Forges Davanzati. Ci fu tuttavia una pausa concertata « ad hoc ».

Infatti Giunta, allora Segretario del Partito, Corradini, capo dei nazionalisti, ed Arnaldo Mussolini, dopo aver confabulato tra loro, si avvicinarono cautamente al « colpevole » per fargli questo discorso: « Se attenui il significato antifascista  dell’ordine del giorno, Mussolini ti premierà nominandoti Sottosegretario al Ministero della Guerra ».

La risposta  del « reprobo », data in piena Assemblea fu questa:

« Ho l’onore di dichiarare che presentando l’ordine del giorno al Congresso Nazionale di Assisi ho ritenuto – come tutt’ora ritengo – di aver servito il mio Paese. Detto ordine del giorno chiaro, preciso, conciso, non ha bisogno di spiegazioni».

Mussolini si alzò di scatto e, con il viso sconvolto, disse: « L’Assemblea ha sentito le dichiarazioni dell’On. Viola. Non è il caso di aprire una discussione su queste dichiarazioni, ma io tengo a fare alcune osservazioni e a dire molto esplicitamente che l’ordine del giorno di Assisi non mi piace.

« Per il prossimo giovedì o venerdì Viola mi ha annunciato una visita del Consiglio Centrale dei Combattenti. Avremo una discussione che sarà molto precisa. È bene non mistificarsi a vicenda ».

Continuò, il Duce, a parlare delle sue benemerenze nei confronti dei combattenti; dei suoi meriti per aver restituito la pace sociale al Paese; e disse anche:

« Quando la vittoria veniva mutilata, quando gli ufficiali venivano insultati, Voi non avete avuto mai qualche cosa che vi ricordasse l’esistenza dell’Associazione  Nazionale  Combattenti ».

Alcuni giorni dopo, come previsto, l’intero Comitato Centrale dell’Associazione si presentò nel, l’ufficio del Duce, a Palazzo Chigi.

Per farla breve, Mussolini non ottenne nulla da noi, e noi rifiutammo di prendere il benché minimo contatto con Farinacci il quale, nel frattempo, era succeduto a Giunta nella direzione del Partito.

 

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I Mutilati da quel momento, e fino a novembre del 1924, furono fraternamente solidali con noi.

Signori, bisogna convenire: Assisi ha dato luce all’Associazione, ma in gran parte soltanto perché il dopo Assisi, pieno di scontri cruenti e di resistenze tenaci, fu all’altezza delle aspettative dei Combattenti e del Paese.

Chi ricorda il nostro raduno del 2 novembre 1924 a Vercelli; chi ha visto nella grande piazza di Alessandria, il 10 novembre- cioè otto giorni dopo – 15.000 combattenti trasformati in leoni pronti a marciare su Roma per restituire all’Italia il suo onore e il suo prestigio, non può smentire questa affermazione. La Camera dei Deputati in quel periodo era chiusa, ma l’attività politica non ammetteva tregue. I combattenti erano infaticabili.

Un’idea  può  darvela  chi  scrisse,  43  anni  dopo, in un suo voluminoso libro, lo storico Renzo De Felice. Ecco qui:

« La chiave di volta erano soprattutto i deputati combattenti e mutilati attorno ai quali il lavoro era intensissimo e assumeva il carattere di un vero e proprio tiro alla fune. Se i liberali fossero riusciti ad averli con loro, il colpo per Mussolini sarebbe stato gravissimo e altri passaggi di campo sarebbero seguiti a più o meno breve scadenza ».

Purtroppo Carlo Delcroix,  che aveva preso  con noi validi e irrevocabili impegni, il 15  novembre 1924, durante la discussione sul bilancio degli Esteri, annunciò inopinatamente che avrebbe votato a favore del Governo, dolendosi finanche di non poter in quella sede trattare ampiamente, come avrebbe voluto, tutta la  politica del Governo; ed il 21 novembre, sei giorni dopo, in sede di discussione sul bilancio dell’Interno, fu addirittura sfrenato, implacabile. In un crescendo  rossiniano  fatto di lodi e riconoscimenti all’indirizzo di Mussolini, senza preoccuparsi di coloro che fino a una settimana prima avevano avuto il torto di confidare nella sua buona fede, riuscì a determinare una spettacolare manifestazione fascista.  Vivissimi e prolungati applausi accolsero la fine del suo discorso;  si chiese a gran voce l’affissione dello stesso, che fu approvata. Le grida di « Viva il Duce! » furono assordanti e per un buon quarto d’ora si sospese la seduta in segno di giubilo e di trionfo.

Chi nell’Aula sedeva vicino a Vittorio Emanuele Orlando, ricorda di averlo sentito dire, dopo quel discorso, che uno spettacolo simile di incoerenza e strafottenza non si era mai visto nella Camera italiana.

Risultò purtroppo evidente, dopo il voltafaccia di Delcroix, che la nostra posizione di oppositori sarebbe stata compromessa, essendoci venuta a mancare la solidarietà dei mutilati.

Il giorno dopo – 22 novembre – anche Sem Benelli, fondatore della Lega italica,  disse alla Camera di accettare pienamente le dichiarazioni di Mussolini, e fu applaudito dalla maggioranza. Dall’assassinio di Matteotti a quel giorno era stato, invece, un tenace oppositore.

Ciononostante noi potevamo ancora contare su coloro i quali pensavano che con poche centinaia di combattenti avremmo potuto impossessarci di Palazzo Chigi e di Mussolini; e ciò avremmo potuto fare effettivamente se fossimo stati capaci di prevedere  che i consigli  di Giolitti non  erano validi.

« Aspettate – egli ci diceva – vedrete che il Parlamento metterà il Re nelle condizioni di dover intervenire ».

Illusione o malizia di uomo scaltro  e navigato. Fu in seguito pressoché accertato che Giolitti non voleva correre il rischio di vedere i combattenti al posto dei fascisti cadendo  così, secondo lui, dalla padella nella brace.

 

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Alla Camera, sul bilancio della politica estera, ci furono soltanto sei voti contrari e ventisei astensioni. Il 22 novembre, in sede di discussione sul bilancio dell’Interno, diciassette voti contrari e diciotto  astensioni.

Al Senato, ove Mussolini era riuscito a far entrare soltanto qualche fascista, il 5 dicembre 1924 furono regalati  al Duce ben 206 voti favorevoli. I 54 voti contrari e le 35 astensioni non servirono a nulla. Fu una vera sconfitta, una ignobile abdicazione del Parlamento.

A quel punto la strada poteva considerarsi aperta ad ogni avventura, e infatti ci fu, subito dopo, il famoso discorso del 3 gennaio, foriero di gravissimi provvedimenti.

Tuttavia i deputati combattenti, sostenuti entusiasticamente dalla base, continuarono a fare tutto il loro dovere.

Furono anche, i deputati combattenti, validissimi compagni di cordata di Vittorio Emanuele Orlando, di Giolitti, di  Salandra, di Soleri, di  Paratore; se non che dal 17 gennaio 1925 perdemmo Salandra, poi Orlando. Il primo fu nominato, nel 1928, Senatore del Regno e il secondo si dimise da deputato il 6 agosto  1925.

Fino alla riapertura della Camera, cioè fino al novembre 1924, i divi – per così dire – della situazione politica , furono i rispettivi Presidenti dei Combattenti e dei Mutilati e regista un nostro collega deputato, che finì poi col cedere alle lusinghe di Federzoni e di Badoglio.

L’Agenzia Stefani era a loro disposizione e  la gara per raggiungerla, per primi, stava diventando tragicomica.

Il regista, per la verità, si interessava soltanto di organizzare un nuovo Governo, presidente del quale avrebbe  dovuto  essere,  secondo lui,  Giolitti,  e Sottosegretario di  Stato  al  Ministero  dell’Interno lui  stesso, con  ampi  poteri.

A Delcroix il regista aveva invece offerto il Ministero della Propaganda, ma non si seppe mai se il grande  mutilato  disdegnasse  l’offerta  per  alterigia o per  modestia.

Quanto  al deprecato voltafaccia,  tutti  sanno che Delcroix  ricadde  nelle  braccia  di Mussolini, per  i ricatti  sempre  più  serrati  di  Farinacci.

 

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Dei deputati dell’Associazione ho già parlato, ma son tenuto ad aggiungere che sia nell’Aula che nel Paese non furon mai superati da alcuno nell’impegno di ostacolare la ripresa del fascismo. Mi riferisco particolarmente a quei sei colleghi che raggiunsero e superarono il traguardo del 9 novembre 1926 senza macchia e senza paura.

Fino al  16 gennaio  1925, trentadue  oppositori nell’Aula avevano votato contro il Governo e tra essi ci furono nove combattenti. Si trattava, in quel giorno, di un nuovo disegno di legge sulla riforma elettorale politica; e fino al 19 giugno 1925 i « NO » salirono a 42 perché si erano uniti, a tutti gli altri oppositori, per la prima volta, anche i comunisti.

Ma da quella data, purtroppo, furon pochi a ritrovarsi in Aula per votare contro il fascismo. Anche tra i nostri ci fu purtroppo qualche defezione come ho  già  fatto  intendere.  Al  posto  dei  delusi e dei pavidi subentrarono i comunisti, sicché potemmo tirare avanti,  fraternizzando  cordialmente con  loro.

I più attivi oppositori, tra essi, furono Graziadei, Maffi, Riboldi, Repossi, ma fecero udire la loro voce autorevole anche Gramsci e Grieco.

Quanto ai nostri, guardando retrospettivamente, devo riconoscere che gli oratori e oppositori più efficaci e rettilinei furono, nell’ordine, Pivano, Bavaro,  Gasparotto,  Lanza  di  Trabia.

Non vi parlerò, invece, delle traversie parlamentari  ed  extra-parlamentari  del  sottoscritto.

Come sapete, nell’ultimo traguardo del 9 novembre 1926, allorché si trattò di votare i gravissimi provvedimenti per la difesa dello Stato, ivi compresa la restaurazione della pena di morte e il divieto per gli Aventiniani di rientrare in Aula, a votare il « NO » si ritrovarono soltanto sei nostri commilitoni e cioè: Bavaro, Gasparotto, Lanza di Trabia, Musotto, Pivano, Viola, perché Rossini e Pellanda si erano già staccati da noi fin dal novembre 1925 e qualche altro collega da  quella  stessa data si era messo a « fare il morto ».

Ma anche gli altri « oppositori nell’Aula » si presentarono   soltanto   in   sei   a   votare   l’ultimo « NO ». Furono Fazio, Giovannini, Pasqualini Vassallo, Poggi, Scotti e Soleri.

A questo punto riconosco di aver già parlato abbastanza, ciononostante  debbo  chiedervi  qualche altro minuto  di pazienza.

 

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Non tutti ricorderanno che da Assisi in poi, scopo primordiale di Mussolini e di Farinacci, fu quello di svalutare, o minare, il prestigio dell’Associazione e dei suoi dirigenti per poi sciogliere il Comitato Centrale ed affidare l’Associazione a più sicuri servitori.

Lo stesso libro di Arturo Codignola dal titolo La resistenza dei Combattenti di Assisi, riferendosi a quell’epoca, a pag. 126, dice: « ” Il Tevere” continua a sciupare carta per svalutare il magnifico passato militare dell’On. Viola».

Per vari mesi sembrò veramente che il quotidiano « Il Tevere » di Roma e il giornale di Cremona diretto da Farinacci, non avessero altro scopo.

La  questione  prese  un  tale  aspetto  scandaloso – vedasi « Il Mondo » di Amendola del 22 febbraio 1925 – che il Gruppo Medaglie  d’Oro al Valor Militare e l’Istituto del Nastro Azzurro,  benché già praticamente nell’orbita fascista, trasmisero alla stampa un ordine del giorno di viva deplorazione per la campagna diffamatoria che « Il Tevere » di Roma conduceva contro il Presidente dell’Associazione  Combattenti,  On. Viola.

Ed eccoci con i triumviri Rossi, Russo, Sansanelli, accompagnati da un funzionario del Ministero dell’Interno, alla sede del Comitato Centrale dell’Associazione, nel Palazzetto Venezia

Siamo al 4  marzo del  1925.

Con un decreto presidenziale di due giorni prima si nominavano quei signori alla temporanea gestione della nostra Associazione in sostituzione dei sospesi organi centrali amministrativi. Ci rimasero invece venti anni.

Nel verbale di consegna il Presidente dell’Associazione fece inserire la seguente protesta:

« L’On. Viola dichiara che, mentre fa le più ampie riserve circa la legalità del provvedimento governativo, intende di avere con la sua firma ceduto soltanto le funzioni dell’Ente morale accordato dal Governo in data 24 giugno 1923, e non già l’organizzazione la quale, com’è sorta nel 1919, continuerà a  vivere  per  volontà  dei  combattenti  italiani ».

I Commissari del Governo impugnarono le riserve del Presidente respingendole in tutto il loro contenuto, ciononostante dovettero aggiungere al verbale quanto segue:

« Ponendo  a confronto le risultanze della contabilità di fatto riscontrate con la verifica della cassa, in base ai documenti e alle carte contabili,  i verbalizzanti dichiarano di non aver nulla da eccepire ».

Evidentemente, se non ci fosse  stata  una  Amministrazione ineccepibile,  i  Commissari  e  il Governo ci avrebbero  demoliti.

Lo scioglimento del Comitato Centrale dell’Associazione diede luogo a imponenti manifestazioni di protesta da parte della cittadinanza; e l’8 marzo, cioè quattro giorni dopo, si riunì in Roma il Consiglio Nazionale dell’Associazione.

Le proteste che ne derivarono furono espresse in un ordine del giorno che cominciava così:

« I convenuti dichiarano  il loro  entusiastico plauso ad Ettore Viola incontaminabile insegna di fulgido eroismo e di purissima fraternità; e deplorano che la erezione dell’Associazione in Ente Morale, vantata come generosissimo beneficio, sia servita soltanto per proibire quella manifestazione della volontà degli associati, che le leggi fondamentali del Regno garantiscono a tutti i cittadini ».

Dopo quel Consiglio Nazionale, con il nome di Associazione Nazionale Combattenti  Indipendenti, la nostra Organizzazione si trasferì in Via Fontanella Borghese, e 50 Federazioni  Provinciali,  su 74,  solidarizzarono  con noi.

Da quel momento diressero la nuova Associazione chi vi parla e l’On. Bavaro. Segretario fu Chiapparini di Lucca.

L’odissea che ne derivò non potrebbe essere narrata  in pochi  minuti.

Conseguentemente interrompo la celebrazione del Congresso di Assisi, tanto più che è scaduto il tempo che mi è stato assegnato per parlare in questa sede.

 

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« Il Tempo » – quotidiano di Roma – con la firma del suo inviato Attilio Baglioni, il 28 maggio 1974 commentò il discorso con queste parole:

« Arroccato nella rivendicazione del suo diritto alla giustizia, il Congresso è tuttavia aperto alla riflessione sui grandi temi sociali e sui sommovimenti che squassano la società contemporanea. Lo ha fatto per tutti l’On. Viola medaglia d’oro al valor militare, rievocando il Congresso che  l’Associazione tenne appunto cinquant’anni  fa ad Assisi.  Il  ricordo di quei giorni di fuoco, nella parola di un uomo che ne fu protagonista, è valso a collocare in sede storica l’opposizione che il Congresso dei Combattenti tentò, nel 1924, contro il fascismo ormai al potere. Un’opposizione che, forse, avrebbe potuto orientare diversamente le vicende italiane, se le forze politiche  e parlamentari non avessero tradito il loro ruolo.

« Nell’accusa  ai cedimenti  di ieri, c’era un  monito per i cedimenti di oggi. Tanto più esplicito e indicativo se si rilegge l’ordine del giorno votato in quel lontano Congresso.

« Si affermava  l’indipendenza  e l’autonomia  del movimento combattentistico, si condannavano le violenze allora come ora ricorrenti,  si  auspicava che al di sopra delle fazioni in lotta si ristabilisse l’imperio della legge e la sovranità dello Stato ».