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Il presente lavoro intende fornire un apporto alla rilettura della Grande Guerra.
Quando ci si addentra nell’analisi di questo periodo, affrancarsi dalla tradizione (tendente, nel tempo, a cristallizzare il fenomeno bellico in immagini non sempre rispondenti alla realtà esperita) risulta complesso: è necessario recuperare la massima aderenza ai documenti senza per questo dimenticare la loro contestualizzazione storica al fine di poter giungere ad una riflessione lineare e mai ‘di parte’ (che spesso costituisce un substrato inconsapevole). Negli aspetti più stantii della tradizione non è difficile scorgere un retaggio della politica fascista, in cerca di miti da sostituire alla storia sui quali fondare il proprio procedere. Il Ventennio si rese così responsabile di un ‘furto della memoria’ attraverso l’appropriazione strumentale del valore di figure e di motti fortemente evocativi che, da questa distorsione, risultarono indelebilmente alterati nella loro essenza.
La figura del generale Capello percorse l’iter opposto: fu proprio il suo presunto (quanto improbabile) coinvolgimento nell’attentato a Mussolini a condannarla all’oblio più tenace nonostante la portata del suo contributo alla vittoria italiana. Il profilo del liberatore della Santa Gorizia e del vincitore della Bainsizza venne deliberatamente oscurato, nel timore che le sue scelte democratiche stimolassero in molti un pensiero critico disfunzionale agli obiettivi politici prefissati.
Il valore di Capello non poté così tranquillamente confluire nell’epopea della Grande Guerra anche perché fu eletto, insieme ad altre figure eccellenti, a capro espiatorio della grave sconfitta che funestò l’Italia nell’ottobre del 1917. La prospettiva storica ha permesso di vedere la chiara matrice politica del lavoro della Commissione d’Inchiesta, nominata a ridosso dei fatti e, soprattutto, a guerra non ancora conclusa: la persona del Generale venne pesantemente attaccata, anche a causa delle testimonianze (non sempre attendibili sul piano concreto) di Sottoposti che mal sopportavano la sua insofferenza nei riguardi di chi non si dimostrava solerte nel compimento del dovere. Poco importa che in seguito le responsabilità attribuitegli dalla Commissione subissero un ridimensionamento più vicino al vero: tale riconoscimento tardivo venne vincolato ad un’adesione al regime che egli, nonostante le condizioni nient’affatto rosee in cui si trovava, rifiutò con fierezza.
Luigi Capello rappresenta il prototipo della figura scomoda e, si aggiunga, ancor più invisa perché non così facilmente attaccabile sul piano professionale. La sua abilità nel trovare soluzioni innovative unita a rara capacità di convincimento del suo interlocutore lo rese incompatibile con chi continuava a misurare la guerra con gli stessi criteri della vita di guarnigione. Anche il suo status (non apparteneva alla nobiltà di spada e il suo temperamento ‘esagerato’ ne costituiva la dimostrazione più lampante), in chiaro contrasto con la posizione di responsabilità raggiunta, influì nella percezione che di lui ebbe il mondo militare del tempo, decisamente conservatore.
È fondamentale ricordare, come molti documenti citati nel lavoro attestano, che le innovazioni di metodo e di gestione degli uomini da lui portate avanti strenuamente nonostante le resistenze incontrate vennero poi applicate con successo dopo la sua uscita di scena determinata dallo scacco subito dalla II Armata nella XII Battaglia dell’Isonzo.
La sconfitta di Caporetto rappresenta un fenomeno corale, causato da una pluralità di fattori fra i quali non fu estraneo il palesarsi di un pensiero obsolescente, lo stesso pensiero farraginoso avversato, non senza conseguenze (positive sul piano bellico e negative su quello personale), dal generale Capello. Risulta fuorviante convogliare le cause complesse della sconfitta in capo a pochi colpevoli che altro non rappresentano se non la punta dell’iceberg di un sistema i cui principi sottesi risultano disfunzionali rispetto alle istanze del tempo. Le dinamiche che si sprigionarono durante l’intero conflitto, prima e dopo l’ottobre del 17, trovarono comunque il Generale costantemente dalla parte sbagliata.
Non è questa un’apologia di un uomo bensì la ricostruzione della sua figura storica e del contesto in cui si trovò a vivere e ad operare, dove la complessità dei fatti e la loro essenza scaturiscono dalle intersezioni delle diverse prospettive dei numerosi protagonisti.
La verità strenuamente perseguita da Luigi Capello esce da questa ricostruzione nel suo alternarsi di luci e ombre, verità che si esalta nella distinzione fra lezioni apprese e lezioni ancora da apprendere.
MLSQ