Giovanni Riccardo Baldelli Le Unità speciali del Regio Esercito nella Seconda Guerra Mondiale

  

Progetto Ordinamenti

Le origini delle unità speciali del Regio Esercito possono essere identificate nella creazione, il 12 giugno 1917, presso Gorizia, di una compagnia di formazione dei nuovi Reparti d’assalto (arditi). Gli arditi nascono da un’idea condivisa tra il Generale Luigi Capello (comandante della 2a Armata), il Generale Francesco Saverio Grazioli (comandante della Brigata “Lambro” e in seguito della 48a Divisione) e del Tenente Colonnello Giuseppe Bassi (Comandante di un Battaglione fanteria).

Il Reparto, al comando di Bassi, era ordinato su:

  • quattro plotoni di fanteria;
  • una sezione di mitragliatrici;
  • una sezione di artiglieria someggiata.

Dopo un periodo di addestramento il 1° luglio venne costituito il I Reparto d’Assalto e il 29 luglio avvenne la sua presentazione al Re.[1]

Il battesimo del fuoco degli arditi avvenne il 18 e il 19 agosto 1917, quando il I Reparto d’Assalto su due compagnie arditi, al comando dello stesso Bassi, attraversò il fiume Isonzo, attaccò le linee di Monte Fratta catturando circa 500 prigionieri austro-ungarici, otto mitragliatrici e due mortai, a fronte di perdite irrisorie. Il 4 settembre successivo, alla presenza del re e di osservatori stranieri, il I Reparto d’Assalto conquistò il Monte San Gabriele. Dopo un’accurata preparazione di artiglieria, le tre compagnie arditi attaccarono le linee nemiche sconvolgendo le trincee con il lancio di bombe a mano e l’utilizzo di lanciafiamme e respingendo diversi contrattacchi. L’azione fruttò la cattura di più di 3.000 prigionieri, 55 mitragliatrici e 26 pistole mitragliatrici; le perdite subite dagli arditi furono comunque sensibili (61 morti e circa 200 feriti su 500 uomini mandati all’assalto), a causa del ritardo con cui le unità di fanteria italiane, duramente colpite nelle loro posizioni di partenza, raggiunsero le trincee. Ad ogni modo, le azioni suscitarono una forte eco e il Comando Supremo dispose la formazione di altri Reparti d’Assalto.[2]

Al termine della Prima Guerra Mondiale i Reparti d’Assalto costituiti furono in totale trentanove, di cui:

  • dodici, riuniti in Grandi Unità Divisionali denominate Divisioni d’Assalto;
  • quattordici, assegnati alle varie Armate;
  • quattro, dislocati all’estero;
  • nove, quali unità di Marcia (complementi per le unità combattenti).[3]

Terminata la guerra i Reparti d’assalto vennero sciolti e non se ne fece più menzione già dall’Ordinamento Albricci.

Dopo l’abbandono di unità speciali nella seconda metà degli anni Trenta (giugno 1936) lo SMRE decise di costituire dei reparti paracadutisti, a livello Battaglione, da impiegare in azioni di sabotaggio e incursione oltre le linee. La Regia Aeronautica, timorosa di concedere l’utilizzo degli aeroplani al Regio Esercito, decise di costituire a luglio dello stesso anno una scuola per l’addestramento all’aviolancio. Dopo una serie di relazioni, controrelazioni su quale delle due Forze Armate dovesse essere responsabile dell’addestramento, del comando e dell’impiego delle aviotruppe italiane, il Ministero della Guerra decise di imporsi stabilendo la creazione di un’unica scuola di addestramento e che, nel 1939, venisse dislocata nell’aeroporto di Tarquinia. Ma nessuno dei due “contendenti” volle addossarsi le spese per la realizzazione delle infrastrutture, visto che l’aeroporto di Tarquinia si riduceva a un piccolo fabbricato senza hangar e servizi logistici idonei ad ospitare centinaia di allievi ed istruttori.[4]

Visto l’impasse, il governatore della Libia Italo Balbo impose la sua volontà di creare nella colonia libica, aggirando i vincoli burocratici e le remore delle due Forze Armate interessate, una scuola di paracadutismo denominata Campo Scuola Paracadutisti della Libia che venne costituita il 1° marzo 1938. La Scuola venne istituita con apposita circolare del Comando Superiore delle Forze Armate in Africa Settentrionale Italiana sancendo la costituzione di un reparto di paracadutisti di livello Battaglione presso l’aeroporto di Castel Benito.

Il successivo 23 marzo vide la luce anche il Battaglione Allievi Paracadutisti “Fanti dell’Aria”, con un organico fissato in:

  • plotone comando;
  • Sezione medica;
  • Sezione Contabilità;
  • Sezione Ripiegatori;
  • 1a, 2a, 3a e 4a compagnia fucilieri.[5]

La Scuola invece aveva in organico:

  • Comando;
  • Reparto Aereo di Addestramento;
  • Battaglione Allievi Paracadutisti “Fanti dell’Aria”.[6]

Dopo i primi lanci effettuati a metà aprile dello stesso anno, il 23 maggio successivo venne condotta un’esercitazione con il lancio simultaneo di tutti gli uomini disponibili, in analogia a quanto in voga presso l’Armata Rossa. Lo scopo dell’esercitazione era quello di costruire/riattare un campo di aviazione per il successivo atterraggio di un’unità aviotrasportata. Gli esiti furono positivi, visto che con un conflitto mondiale alle porte, l’utilizzo di truppe paracadutiste in Africa sembrava quello più adatto in considerazione degli spazi offerti dal deserto libico-egiziano.[7]

Dall’estate del 1939 a Castel Benito vennero inviati Ufficiali e Sottufficiali per addestrarsi all’utilizzo del paracadute e, allo stesso tempo, Balbo propose l’istituzione di una scuola, sempre in Libia, vicino a Misurata.

Questo fatto indusse il Regio Esercito e la Regia Aeronautica a mettere da parte i dissidi e le polemiche e:

  • dal 28 agosto, lo SMRE diede corso al reclutamento di personale da qualificare come istruttore;
  • a fine settembre, la Regia Aeronautica sanzionò la nascita della Scuola di Paracadutismo Militare;
  • il 15 ottobre, il Comandante designato, il Colonnello pilota Giuseppe Baudoin, iniziò la sua attività di comando.[8]

La scuola si articolava in:

  • Comando;
  • Battaglione Allievi Paracadutisti;
  • Reparto Volo;
  • Reparto Servizi;
  • Reparto tecnico-manutentivo;
  • Reparto Logistico-amministrativo.

Negli ultimi mesi del 1939 il 1° Reggimento fanti dell’Aria, su I e II Battaglione fanti dell’Aria venne sciolto e rimase in vita solo il I Battaglione, a cui si affiancò il 1° Battaglione Paracadutisti Nazionale, composto interamente da volontari italiani, articolato in:

  • plotone comando;
  • Nucleo d’Istruzione;
  • Sezione Contabilità;
  • Reparto Volo;
  • 1a, 2a, 3a e 4a compagnia fucilieri.

Nel novembre 1940 la Scuola in Libia chiuse definitivamente lasciando la sola scuola di Tarquinia.[9]

Si cominciò, quindi, la selezione del personale nazionale, che si prevedeva dovesse possedere, quali futuri combattenti di pregio, particolari doti morali, intellettuali e fisiche che furono indicate in una specifica circolare:

[…] Gli aspiranti dovranno possedere qualità:

a – morali (carattere, ardimento, amore del rischio, spregiudicatezza);

b- intellettuali (intuito pronto, mente vivace, spirito di iniziativa);

c- qualità fisiche (robustezza, agilità, attitudine agli esercizi fisici e agli sport).

Circa le qualità intellettuali, sia tenuto presente che i particolari compiti dei paracadutisti (azione di sorpresa a tergo del nemico, in terreni sconosciuti, in ambiente ostile e pieno di insidie) richiedono intelligenza, attitudine a servirsi di carte topografiche, perfetta conoscenza delle armi e dei mezzi impiegati.

3- I comandanti di corpo, prima di trasmettere le segnalazioni, faranno accertare con accurata visita del dirigente del servizio sanitario, che gli aspiranti abbiano idoneità completa per quanto riguarda vista, udito, apparato respiratorio e circolatorio, e piena funzionalità degli arti inferiori (con speciale riguardo all’articolazione tibiotarsica). […][10]

All’inizio del 1941 le attività di formazione del personale per il conseguimento del brevetto di paracadutista erano costantemente in crescita; dopo aver costituito tre Battaglioni si stava completando l’approntamento di una quarta unità. Questo incremento di allievi paracadutisti comportò la necessità di revisionare gli organici e le infrastrutture della scuola, inducendo il comandante della Scuola di Paracadutismo Militare a rivolgersi direttamente a Mussolini. Nel corso del colloquio con il Capo del Governo il Comandante della Scuola prospettò le varie problematiche del sedime aeroportuale dove era dislocato l’istituto di formazione. Dal canto suo Mussolini garantì l’esecuzione dei lavori a patto che egli cominciasse l’addestramento di un’intera Divisione paracadutisti entro la fine del 1941. I lavori, quantunque vi fosse stato l’intervento di Mussolini, non furono sufficienti a garantire quanto chiesto dal comandante della scuola e lo SMRE chiese allo Stato Maggiore dell’Aeronautica di concedere gli spazi dell’aeroporto di Viterbo, ove dislocare la nuova scuola di paracadutismo. Mentre la richiesta veniva studiata, le attività di addestramento continuarono, tanto che furono predisposti i Battaglioni necessari per la costituzione della 1a Divisione Paracadutisti seguita dalla Divisione fanteria “Nembo”.

Nel 1940 la Scuola di Tarquinia aveva provveduto ad addestrare ben tre unità di livello Battaglione: il I, il II e il III (quest’ultimo formato interamente da personale dei CC.RR.).[11]

Per motivi di rispetto delle anzianità e delle tradizioni venne mutata la denominazione dei Battaglioni, che divennero:

  • I Battaglione Paracadutisti CC.RR. (già III Battaglione), su: Comando Battaglione e tre compagnie (1a, 2a e 3a);
  • II Battaglione Paracadutisti (già I Battaglione) su: Comando Battaglione e tre compagnie (4a, 5a e 6a);
  • III Battaglione Paracadutisti (già II Battaglione) su: Comando Battaglione e tre compagnie (7a, 8a e 9a).

Ogni Battaglione era previsto avesse una forza di: 29 Ufficiali, 34 Sottufficiali e 256 graduati e militari di truppa.

A questi Battaglioni si aggiunse dal 1° giugno 1941 il IV Battaglione Paracadutisti (10a, 11a e 12a compagnia) e, successivamente, fu possibile dare corso alla costituzione dal 1° aprile 1941 a Viterbo del 1° Reggimento Paracadutisti così strutturato:

  • Comando;
  • compagnia armi d’accompagnamento, trasformata dal 1° luglio successivo in compagnia cannoni da 47/32;
  • I (sostituito dal IV Battaglione in quanto destinato in Africa Settentrionale), II e III Battaglione Paracadutisti;
  • Deposito.

Il Reggimento secondo quanto previsto dalle relative formazioni di guerra avrebbe dovuto avere una forza di: 117 Ufficiali, 125 Sottufficiali e 1.101 graduati e militari di truppa.[12]

Come accennato poc’anzi il I Battaglione Paracadutisti CC.RR. venne designato per l‘impiego in Africa Settentrionale. Lasciata Tarquinia per la Libia il 16 luglio del 1941, sbarcava a Tripoli il giorno 18.

Il Battaglione si strutturava su:

  • un Reparto Comando;
  • tre compagnie fucilieri;
  • un plotone guastatori (aggregato),

per un totale di: 26 Ufficiali, 51 Sottufficiali e 322 tra Appuntati e Carabinieri.

Le dotazioni assegnate al Battaglione prevedevano:

  • pistola Beretta mod. 34 (solo per Ufficiali e Sottufficiali);
  • moschetto 91/38 TS;
  • dodici fucili mitragliatori Breda 30;
  • dodici mitragliatrici FIAT mod. 35;
  • quattro fuciloni controcarri Solothurn” da 20 mm;
  • dieci cannoni controcarri da 47/32.[13]

Il I Battaglione venne posto alle dipendenze del XX Corpo d’Armata per svolgere compiti di osservazione e contrasto alle incursioni portate dalle forze speciali britanniche. Nel corso dell’offensiva britannica, sferrata contro le linee italiane a dicembre 1941, nel Gebel e lungo la via Balbia, il Battaglione venne duramente provato subendo forti perdite. Rimpatriato nel 1942, rientrò presso la Legione Territoriale di Roma ove fu sciolto.[14]

Il 1° settembre 1941 al 1° Reggimento Paracadutisti si affiancavano e si inquadravano nella 1a Divisione Paracadutisti:

  • il 2° Reggimento Paracadutisti, su:
  • V Battaglione Paracadutisti (13a, 14a e 15a compagnia);
  • VI Battaglione Paracadutisti (16a, 17a e 18a compagnia);
  • VII Battaglione Paracadutisti (19a, 20a e 21a compagnia);
  • il Gruppo artiglieria Paracadutisti.

Il 3° Reggimento Paracadutisti (IX, X e XI Battaglione Paracadutisti) e il Reggimento artiglieria Paracadutisti si uniranno all’organico della “Folgore” solamente il 10 marzo del 1942.

Il 1° novembre 1942 veniva alla luce a Pisa la Divisione di fanteria “Nembo” (184a) strutturata su:

  • 184° Reggimento Paracadutisti (XII, XIII e XIV Battaglione Paracadutisti);
  • 185° Reggimento Paracadutisti (XIII e XI Battaglione Paracadutisti);
  • Gruppo artiglieria per Divisione Paracadutisti;
  • CLXXXIV Battaglione genio guastatori,

a cui faceva seguito dal 18 novembre successivo:

  • il 184° Reggimento artiglieria per Divisione Paracadutisti (I e II Gruppo),

e dall’11 gennaio 1943:

  • il 183° Reggimento fanteria “Nembo” (VIII bis, XV e XVI Battaglione Paracadutisti);
  • la 183a compagnia cannoni da 47/32;
  • il III Gruppo per il 184° Reggimento artiglieria.

Rispetto alla “Folgore” si trattava di un organico meglio definito, tanto che era prevista anche la costituzione di un plotone (poi Reparto) Carristi Paracadutisti.

Il Regio Esercito avrebbe dovuto dare vita anche ad una terza Divisione Paracadutisti, la “Ciclone”, di cui era già stato costituito il Comando e i Battaglioni XVII, XVIII, XIX e XX, ma che non ebbe mai seguito a causa degli eventi determinati dall’armistizio dell’8 settembre del 1943.[15]

In seguito, lo SMRE dispose, il 27 agosto 1942, la costituzione dal 1° settembre successivo del Centro Addestramento Paracadutisti stanziato a Roma, nei locali occupati in precedenza dal Comando 1a Divisione Paracadutisti (la nascita effettiva avvenne però il 15 ottobre 1942), con il compito di coordinare le attività formative della specialità e dei due siti di Tarquinia e Viterbo (denominati dal 1° gennaio del 1943 Campo di Addestramento Paracadutisti) e su tutto il territorio nazionale. Proprio a Viterbo il 10 novembre 1942 sarà costituita un’altra scuola che funzionerà insieme a quella di Tarquinia fino al 10 luglio 1943.[16]

Il 17 febbraio 1941 era stato formato anche il Deposito per Truppe Paracadutiste, con compiti inizialmente limitati al solo 1° Reggimento Paracadutisti, che successivamente vennero estesi anche alle altre unità della specialità; dal 26 settembre successivo gli fu variata la denominazione in Deposito Unico per Divisione Paracadutisti. A Tarquinia, venne poi costituito il 1° febbraio 1942, il Distaccamento del Deposito per amministrare la futura seconda Divisione paracadutisti e che dal 4 ottobre 1942 divenne Deposito per Truppe paracadutiste, con sede a Tarquinia stessa e a Viterbo. Il Deposito si occupò di amministrare il personale e il materiale delle due scuole di paracadutismo, dei superstiti della “Folgore”, della “Nembo” e dei reparti di prevista assegnazione alla costituenda Divisione “Ciclone”. [17]

Il proficuo impiego da parte britannica di unità, quali il SAS e il LRDG, altamente specializzate, addestrate, equipaggiate a muoversi nel deserto per effettuare incursioni oltre le linee nemiche e colpire con sabotaggi aeroporti e centri logistici, indusse gli alti comandi britannici ad eseguire tali azioni anche sul territorio italiano. I risultati riportati sul territorio italiano non furono gli stessi per la tipologia di obiettivi individuati da sabotare (di norma linee ferroviarie litoranee), conseguendo risultati di carattere psicologico più che materiali. Queste incursioni in territorio nazionale comportarono il dispendio di una massa notevole di unità dedicate alla sorveglianza di obiettivi sensibili (linee ferroviarie, centrali idroelettriche, dighe, ecc.). Queste azioni convinsero lo SMRE a costituire reparti analoghi di sabotatori da utilizzare per la distruzione di manufatti stradali, strutture aeroportuali, impianti industriali e centri logistici dell’avversario; non andava poi dimenticato che tali azioni avrebbero comportato anche da parte nemica l’utilizzo di unità per la sorveglianza degli obbiettivi sensibili, distogliendo quindi del personale dal servizio in prima linea. Pertanto, la Circolare n. 0032340/3 del 26 aprile 1942, sanciva che dal 15 maggio successivo venisse costituito il I Battaglione Arditi, denominazione ingannevole in quanto celava il reale impiego dell’unità, ma che si riallacciava in qualche modo alle tradizioni dei Reparti d’Assalto del Primo Conflitto Mondiale.[18]

Il Battaglione era strutturato su:

  • 101a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 102a compagnia Arditi nuotatori (poi da sbarco);
  • 103a compagnia Arditi camionettisti.[19]

Secondo quanto descritto dal Postiglioni, invece, il Battaglione, per quanto attiene alla configurazione ordinativa della componente operativa, si articolava su quattro compagnie come le normali unità dell’arma di fanteria.

Ad ogni modo, l’unità avrebbe dovuto avere la seguente articolazione:

  • Comando, con: Comandante, Vicecomandante, Aiutante Maggiore, Ufficiale con incarichi vari (Tenente o Sottotenente);
  • 4 compagnie, ciascuna strutturata su:
  • Comandante, Vicecomandante, Sottufficiale addetto alla contabilità;
  • 4 plotoni fucilieri.[20]

I prevedibili scenari d’impiego nei vari scacchieri operativi avevano fatto maturare la scelta di dotarsi di reparti:

  • paracadutisti, da utilizzare in qualsiasi settore, anche in notevole profondità nelle linee del nemico, effettuando l’aviolancio durante il plenilunio per evidenti motivi di orientamento e corretta individuazione della zona di lancio prescelta;
  • nuotatori, per l’effettuazione di sabotaggi rivolti a obiettivi sensibili dislocati a pochi chilometri dalla costa, con un limite di impiego dovuto al prevalente utilizzo di sommergibili;
  • camionettisti, da impiegare, prevalentemente, in territorio desertico sulla falsariga del LRDG[21]

Il 20 luglio era stata intanto presa la decisione di formare il Reggimento Arditi strutturato su:

  • Comando, con: Comandante, Vicecomandante, Ufficiali addetti, osservatori, direttori di lancio, istruttori, Nucleo CC.RR., plotone servizi;
  • due o più Battaglioni Arditi (I Battaglione Arditi e compagnia provvisoria per il costituendo II Battaglione Arditi);[22]

L’11 agosto del 1942, si procedette, pertanto, all’approntamento di un II Battaglione Arditi, articolato in:

  • 111a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 112a compagnia Arditi da sbarco;
  • 113a compagnia Arditi camionettisti.[23]

I due Battaglioni vennero così riuniti, il 15 settembre del 1942, in unità di livello reggimentale che dal 2 settembre precedente era stato deciso venisse denominata 10° Reggimento Arditi.[24]

A gennaio 1943, terminato l’addestramento del II Battaglione Arditi, iniziò l’approntamento e la formazione del III Battaglione Arditi che venne costituito il 1° marzo successivo con le compagnie 121a, 122a e 123a e con un ipotetico profilo d’impiego analogo alle unità già esistenti.[25]

In sintesi, al 1° marzo del 1943 la struttura ordinativa del Reggimento era la seguente:

  • I Battaglione Arditi, su:
  • 101a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 102a compagnia Arditi da sbarco;
  • 103a compagnia Arditi camionettisti (o terrestre);
  • II Battaglione Arditi, su:
  • 111a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 112a compagnia Arditi da sbarco;
  • 113a compagnia Arditi camionettisti (o terrestre);
  • III Battaglione Arditi, su:
  • 121a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 122a compagnia Arditi da sbarco;
  • 123a compagnia Arditi camionettisti (o terrestre).[26]

L’impiego del Reggimento preveda la costituzione di pattuglie composte da due Ufficiali (Comandante e Vicecomandante) e un numero variabile di Sottufficiali (uno o due) e Militari di Truppa (di cui uno o più Graduati), variabile a seconda della specialità della compagnia di appartenenza, in genere 10-20 uomini. Non era preclusa la possibilità di inviare gli stessi Comandanti di Battaglione e finanche quello di Reggimento, qualora l’obiettivo assegnato fosse stato di importanza considerevole. Nella pattuglia era sempre inserito un radiotelegrafista e, fino a quando fu possibile, era sempre presente un militare che fosse in grado di comprendere la lingua locale del territorio/Paese in cui l’unità stava operando.[27]

Fu anche allestito il IV Battaglione Arditi, costituito ufficialmente il 1° luglio del 1943,[28] che presentava delle peculiarità organiche, quali:

  • l’inquadramento delle compagnie paracadutisti in questa unità di nuova costituzione;
  • la formazione delle cosiddette compagnie speciali, unità che a pieno titolo potevano definirsi forze speciali. Il loro impiego, infatti, prevedeva l’utilizzo di questo personale, sotto mentite spoglie, in territorio controllato dal nemico per effettuare sabotaggi, condurre attività di guerriglia e raccolta informazioni.

Alla data del 5 giugno 1943 l’organico del 10° Reggimento Arditi, che rimarrà tale fino all’armistizio, prevedeva:

  • I Battaglione Arditi, su:
  • 102a compagnia Arditi da sbarco;
  • 123a compagnia Arditi camionettisti (o terrestre).
  • 110a compagnia speciale;
  • II Battaglione Arditi, su:
  • 112a compagnia Arditi da sbarco;
  • 113a compagnia Arditi camionettisti (o terrestre);
  • 120a compagnia speciale;
  • III Battaglione Arditi, su:
  • 122a compagnia Arditi da sbarco;
  • 133a compagnia Arditi camionettisti (o terrestre).
  • 130a compagnia speciale;
  • IV Battaglione Arditi, su:
  • 101a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 111a compagnia Arditi paracadutisti;
  • 111a compagnia Arditi paracadutisti.[29]

Dopo aver preso parte a diverse operazioni oltre le linee nemiche in Algeria e in Tunisia, aver partecipato ai combattimenti sul fronte di Enfidaville, del Mareth dell’Akarit e a Takrouna, le compagnie del Reggimento combatterono in Sicilia a luglio del 1943 e nei giorni dell’armistizio concorsero alla difesa di Roma. Dopo le vicende armistiziali una parte del personale entrerà nell’esercito cobelligerante del Sud, l’altra parte invece si unirà all’esercito tedesco o costituirà un Battaglione inquadrato nella Divisione di fanteria “San Marco” della Repubblica Sociale Italiana.[30]

Nell’autunno-inverno del 1940 dopo il fallimento dell’offensiva italiana in Grecia e la relativa controffensiva dell’esercito ellenico che aveva ricacciato il Regio Esercito indietro di diversi chilometri dalla linea iniziale del fronte, lo SMRE decise la costituzione di un Battaglione di alpini sciatori. Sulla base delle esperienze e degli ammaestramenti maturati nel corso della campagna delle alpi occidentali del giugno 1940, la Scuola Centrale Militare di Alpinismo aveva chiesto la formazione di un reparto dedito alla ricognizione veloce in ambiente montano. Solamente il clima generale dettato dall’emergenza portò ad un rapido accoglimento della richiesta.

Per dare corso alla costituzione dell’unità nel minor tempo possibile si attinse:

  • dagli istruttori del 4° Corso di Specializzazione per Ufficiali Subalterni delle truppe alpine, in quel momento in corso di svolgimento a Cervinia, per i Comandanti di compagnia;
  • dal Battaglione Alpini “Duca degli Abruzzi”,[31]per la maggior parte del personale e dai Battaglioni “Aosta”, “Intra” ed “Ivrea” e dal Deposito del 4° Reggimento Alpini per tutti gli altri.

Vista la caratteristica delle truppe alpine dell’arruolamento regionale, il personale, oltre ad avere in comune la caratteristica di essere sciatori esperti e volontari, proveniva in maggioranza dalla Valle d’Aosta, dalla Valsesia, dall’Ossola, dal Canavese e dalla Val Baltea. Il Battaglione assunse la denominazione di “Monte Cervino” e la nappina del cappello alpino dello stesso colore del Battaglione “Duca degli Abruzzi”.[32]

Il Battaglione venne costituito il 18 dicembre 1940 su:

  • un plotone comando;
  • due compagnie alpini sciatori, (1a e 2a), ciascuna ordinata su tre plotoni a loro volta strutturati ciascuno su:
  • una squadra fucilieri da 11 uomini;
  • due squadre dotate di due fucili mitragliatori Breda 30 da 8 uomini.

Con una forza di circa 200 alpini sciatori il Battaglione disponeva di:

  • 46 Pistole Beretta mod. 34;
  • 266 moschetti 91/38 TS;
  • 12 fucili mitragliatori Breda 30;
  • tre apparati radio tipo RF2 modificato;
  • un apparato radio tipo RA 1;
  • un binocolo prismatico per ogni comandante di squadra;
  • sei autocarri leggeri L 39;
  • 35 muli (14 per ciascuna compagnia e 7 per il plotone comando).[33]

Il 13 gennaio del 1941 il Battaglione partiva da Aosta con destinazione Albania, dove arrivò il 18 successivo. Schierato da subito sul Mali Trebescines, coperto da una neve inadatta all’utilizzo degli sci in quanto dopo ogni nevicata la neve si trasformata in una spessa coltre di fango, il Battaglione subì in nemmeno due mesi gravissime perdite dovute sia ai combattimenti sia ai casi di congelamento e malattie. Al 26 febbraio la forza dell’unità era di 3 Ufficiali e 46 tra Sottufficiali e Militari di truppa, una situazione che comportò il ritiro dalla prima linea per il necessario riposo e la riorganizzazione. Dal 5 marzo 1941 il Battaglione è riportato in combattimento sul Mali Scindeli. Il 10 aprile a causa delle perdite, gli effettivi sono ridotti ormai ad un plotone, tanto che nel maggio successivo viene rimpatriato.[34]

Ad ottobre 1941 il Battaglione fu ricostituito sempre su due compagnie,[35] ma solamente con un terzo di volontari visto che molti alpini, benché vivessero in zone montane, non erano in grado di sciare. Il personale fu dotato di speciali equipaggiamenti quali mantelli di colore bianco, gilet in pelle di pecora, guantoni in tela impermeabile, guanti di pelle imbottiti, soprascarpe al ginocchio foderate di pelle di pecora e scarponi in suola Vibram. Furono assegnati, inoltre, a ciascun Ufficiale e Sottufficiale un mitra Beretta 38 A e una delle due compagnie ebbe in dotazione anche una squadra mitraglieri con mitragliatrici Breda 37. Destinato al fronte russo, raggiunto il 18 aprile 1942, il Battaglione fu impegnato fin da subito in combattimento, dove, purtroppo, emerse la scarsa potenza di fuoco dell’unità. Venne quindi assegnata al Battaglione l’80a compagnia armi d’accompagnamento articolata in:

  • due plotoni mortai da 81 (ciascuno su 4 armi);
  • due plotoni cannoni controcarri da 47/32 (ognuno su due armi);
  • due plotoni mitraglieri con mitragliatrice Breda 37.[36]

Al Battaglione “Monte Cervino” venne aggregato anche il CAS (Centro Addestramento Sciatori) un reparto formato da 11 Ufficiali, 12 Sottufficiali e 47 tra graduati e militari di truppa, a cui era stato assegnato il compito di formare il personale delle Divisioni di fanteria del CSIR per la costituzione di pattuglie esploranti su sci. Il CAS non venne utilizzato in alcuna attività formativa sciistica specifica, ma fu impiegato invece come unità esplorante e di collegamento fino alla fine di marzo 1942, quando fu rimpatriato per addestrare un secondo Battaglione sciatori, il “Monte Rosa”, in fase di approntamento ad Aosta.[37]

Impiegato in combattimento a maggio del 1942 fu inviato in quarantena a causa di un’infezione che colse il reparto, ritornò in prima linea il mese successivo. Da ottobre dello stesso anno il “Monte Cervino” venne posto alle dirette dipendenze del Corpo d’Armata Alpino con compiti di difesa ravvicinata e di riserva. Nel dicembre successivo in seguito all’offensiva sferrata dall’Armata Rossa, il Battaglione fu impiegato nuovamente per colmare una falla che si era creata nello schieramento difensivo italiano. Dopo lo sfondamento perpetrato dai sovietici sulle linee italiane il Battaglione concorse alla difesa, unitamente al XXX Battaglione Guastatori, del Comando Corpo d’Armata Alpino. Tra il 14 e il 15 gennaio 1943 quello che rimaneva del “Monte Cervino” iniziò il movimento verso occidente dividendosi in diversi gruppi. Solamente due gruppi, composti da feriti e dall’80a compagnia d’armi accompagnamento, riuscirono a sottrarsi all’accerchiamento russo, mentre il resto subì gli attacchi delle colonne corazzate sovietiche e dei partigiani che causarono la morte di molti uomini o la loro cattura.[38]

Dei 564 uomini del “Monte Cervino” impiegati in territorio russo, compresi tre scaglioni di complementi, ben 114 furono i caduti (72 in combattimento, 7 per malattia e 35 durante il periodo di cattività con i sovietici). La nota dolorosa fu comunque quella dei dispersi: 226 (32 già prigionieri) e solamente 15 prigionieri riuscirono a rivedere il proprio Paese. Il valore del “Monte Cervino” è testimoniato dalla concessione, quale Battaglione, della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla bandiera del 4° Reggimento alpini. Individualmente, invece, furono concesse: due Medaglie d’Oro al Valor Militare, 35 d’Argento, 54 di Bronzo, 65 Croci di Guerra e 12 Encomi Solenni.[39]

L’Italia era fino a qualche decennio fa un Paese da dove masse di emigranti raggiungevano i paesi confinanti o le coste del continente americano in cerca di fortuna. Questa era il motivo per cui notoriamente il nostro Paese non avesse una tradizione di reclutamento di reparti stranieri. Prima della guerra l’Italia si era attivata con la propaganda, rivolgendo le sue attenzioni verso i gruppi indipendentisti arabi e indiani, per colpire gli interessi britannici nel Mediterraneo.[40]

L’utilizzo di truppe non nazionali non era una novità dell’ultimo momento, basti pensare all’impiego di unità regolari o irregolari (le bande). Nelle varie campagne coloniali condotte dall’Italia i reparti stranieri furono impiegati esclusivamente nell’ambito delle operazioni militari o di carattere politico intraprese dal governo centrale italiano, ma non furono mai espressione della politica, della cultura, delle genti alle quali appartenevano. All’entrata in guerra le truppe coloniali, composte da militari professionisti o mercenari, facevano parte integrante del Regio Esercito con compiti generici o specializzati (spahis, meharisti e reparti cammellati).[41]

Sulla base di quanto già realizzato dai tedeschi il Comando Supremo e il SIM decisero di costituire un Centro d’Istruzione Militare per elementi arabi. Al contempo, lo SMRE, tramite l’Ufficio Prigionieri di guerra aveva iniziato la progettazione di un Reparto Speciale costituito da prigionieri di guerra indiani, da dislocare in un falso campo di prigionia nei dintorni di Roma, sulla via Casilina, in cui i nuclei speciali sarebbero stati diretti, sotto il profilo politico, da un politico rappresentante del nazionalista indiano Chandra Bose, tal Mohammed Iqhal Sheday. Nella confusione generale generata dal mancato coordinamento di tutti gli attori principali si inserì la costituzione:

  • del Centro “A”, composto da militari nazionali provenienti dai Paesi del Medio Oriente e dagli arabi veri e propri per i quali il centro era stato costituito. Secondo tale progetto, all’interno dello stesso reparto, avrebbero dovuto coesistere:
  • una compagnia araba;
  • uno squadrone camionette Italiani d’Egitto;
  • una compagnia d’assalto d’Italiani d’Egitto;
  • un reparto speciale italo-arabo.
  • del Centro “T”, dove T stava per Tunisini, ma non le popolazioni originarie della Tunisia, ma dagli Italiani di Tunisia, che la pubblicistica fascista faceva comprendere sotto la denominazione di Tunisini, mentre gli autoctoni venivano definiti semplicemente [42]

A maggio del 1942 un promemoria a firma di Cavallero definì i compiti e l’organizzazione dei Centri Militari, stabilendo che questi fossero coordinati da un Comando organizzato, posto alle dirette dipendenze dello SMRE per gli aspetti riguardanti l’addestramento e il funzionamento, ma non per gli aspetti operativi che erano invece di competenza del Comando Supremo. Nello stesso documento veniva stabilito che gli elementi ritenuti idonei avrebbero dovuto partecipare a corsi di paracadutismo, arditi e di radiotelegrafia.[43]

Il 2 luglio del 1942 venne costituito il Comando del Raggruppamento Centri Militari, con un organico stabilito in:

  • Comando Raggruppamento, su:
  • Comandante e 6 Ufficiali in servizio di staff;
  • una squadra servizi;
  • un drappello automobilistico;
  • un Nucleo CC.RR.;
  • un Nucleo marconisti;
  • ogni Centro militare, si articolava invece in:
  • Comandante e 2 Ufficiali addetti;
  • uno o più Reparti con un comandante (Capitano);
  • sei Nuclei con al comando un Ufficiale (Tenente o Sottotenente).[44]

Ad agosto 1942 il reparto assunse la denominazione di Raggruppamento “Frecce Rosse”, nominativo scelto dal comandante dell’unità reduce della guerra di Spagna, adottando un simbolo simile alla Falange Spagnola: tre frecce rosse anziché cinque come erano invece riportate nel distintivo dell’unità spagnola.[45]

Il 23 ottobre successivo i reparti vennero quindi trasformati in unità operative a tutti gli effetti denominati:

  1. Gruppo Formazioni “A”, che dall’inizio del 1943 venne strutturato su:
  • comando;
  • compagnia fucilieri “A” (formata da solo personale arabo e già denominata I Reparto Wahda);
  • compagnia esplorante-guide (equipaggiata con grave ritardo con camionette armate);
  • compagnia d’assalto;
  • reparto complementi;
  • Reparto “MS”, reparto Missione Speciale, con una forza complessiva di 99 uomini, che faceva riferimento al Gran Muftì di Gerusalemme, considerato dalle forze dell’Asse quale loro figura politica chiave in Medio Oriente. Pertanto, qualora vi fosse stata la sconfitta dei britannici in Egitto e in Medio Oriente, si supponeva che il Gran Muftì avesse potuto agevolare la politica dell’Asse una volta questi avesse fatto rientro in Patria.[46]

L’organico previsto della Missione Speciale era il seguente:

  • Personale civile al seguito del Muftì;
  • Capo Missione Militare;
  • Delegazione Ministero Affari Esteri;
  • Nucleo Comunicazioni;
  • Quartier Generale;
  • Reparto Arabo (assegnato dal Comando Gruppo “A”), strutturato su:
  • Comandante;
  • Vicecomandante;
  • plotone comando (47 militari);
  • plotone fucilieri.[47]

A maggio del 1943 dopo la caduta della Tunisia, la compagnia fucilieri “A”, formata da tutti i volontari arabi con l’eccezione di quelli del Reparto “MS”, divenne reparto autonomo grazie all’immissione nei suoi ranghi di personale italiano con qualifica di ardito o guastatore.

Il 15 agosto 1943 il Gruppo Formazioni “A” assunse la denominazione di Battaglione d’Assalto Motorizzato “A“, con un organico presunto di:

  • una compagnia camionettisti mista, con autoblindo e camionette;
  • due compagnie d’assalto.

All’8 settembre 1943, la compagnia fucilieri “A” era dislocata nei pressi di Frascati, sede del comando di Kesserling, mentre il Battaglione d’Assalto Motorizzato “A” prese parte ai combattimenti contro i tedeschi fino al 10 settembre successivo.[48]

  1. Battaglione d’Assalto “T”, composto da italiani emigrati in Tunisia, articolato in:
  • Comando;
  • tre compagnie d’Assalto, ciascuna ordinata su:
  • un plotone comando;
  • tre plotoni fucilieri;
  • un plotone armi di accompagnamento con mitraglieri e guastatori;
  • una compagnia della M.V.S.N. reclutata in Tunisia.[49]

A gennaio del 1943 il comando del Raggruppamento “Frecce Rosse” e il Battaglione d’Assalto “T” (comando Battaglione, le tre compagnie d’Assalto e un Reparto misto), con una forza di circa 450 uomini vennero inviati in Tunisia. Schierato sul fronte tunisino il Battaglione subì un attacco subito da parte delle forze statunitensi che costò 22 morti, 43 feriti e 36 dispersi. Nonostante le perdite subite fossero state ripianate dall’afflusso di personale italiano volontario residente in Tunisia, l’unità si ridusse a sole due compagnie.[50]

  1. Battaglione “Azad Hindoustan”, formato da prigionieri indiani strutturato su:
  • Comando;
  • una compagnia fucilieri autotrasportata;
  • una compagnia mitraglieri autotrasportata;
  • un plotone paracadutisti indiani, brevettati presso la Scuola di Tarquinia,
  • un plotone italiano.

Il Battaglione venne dichiarato disciolto dal 10 novembre 1942, in seguito ad un ammutinamento del personale indiano che, in tale data, si astenne dalle proprie funzioni in segno di protesta contro un ipotetico impiego in Africa Settentrionale. Gli indiani furono poi, nella maggioranza, rinviati ai campi di prigionia, mentre undici ex-prigionieri vennero trasferiti all’unità araba del Ministero della Cultura Popolare, viste le loro conoscenze linguistiche e culturali.[51]

Quantunque non sia afferente allo specifico argomento trattato in questo volume, è bene ricordare anche il Battaglione San Marco della Regia Marina che venne impiegato in operazioni terrestri in Africa Settentrionale.

Erede delle tradizioni del Corpo di fanteria di Marina fondato dopo l’unificazione del 1861, i reparti di fanteria di marina italiani parteciparono alle campagne in Africa, Creta e in Cina nella Ribellione dei Boxer. Nel corso della Prima Guerra Mondiale fu costituita la Brigata Marina con quattro Battaglioni che alla fine del conflitto vennero ridotti ad uno soltanto denominato Battaglione di Marina. Il Battaglione prese parte alla campagna etiopica e all’invasione dell’Albania del 1939. Mobilitato il 15 agosto 1939, all’inizio del 1940 fu elevato al rango di Reggimento su due Battaglioni denominati Bafile e Grado che da ottobre del 1940 divennero la componente di fanteria di marina della Forza Navale da Sbarco (FNS). La FNS fu pianificata per l’Operazione C3, lo sbarco a Malta, ma fu sciolta dopo che questo venne cancellato a giugno del 1942.

Il 10 novembre 1941 era intanto stato costituito, con due compagnie fucilieri del Bafile e la compagnia mitraglieri del Grado, il III Battaglione con una forza di 22 Ufficiali, 35 Sottufficiali e 479 comuni. L’armamento del reparto prevedeva 400 fucili, 12 Moschetti Automatici Beretta, 3 mortai Brixia da 45 mm, 12 mitragliatrici Breda 37 e 16 cannoni controcarri da 47/32. Dislocato in Libia a metà novembre del 1941, il III Battaglione partecipò, nei ranghi della Divisione “Sabratha”, all’Operazione Crusader, l’offensiva lanciata dagli inglesi per sbloccare l’assedio posto dalle forze italo-tedesche alla città. La mancanza di mortai da 81 e lo scarso addestramento causò al Battaglione diverse perdite, visto che al 27 dicembre la forza era sensibilmente diminuita. A gennaio del 942 il III Battaglione prese parte alla seconda avanzata di Rommel in Cirenaica e partecipò alle operazioni per la difesa di Tobruk nel corso dell’Operazione Agreement contro elementi delle forze speciali inglesi. A ricordo del sacrificio e del valore dimostrato il Battaglione assunse la denominazione di Tobruk. Dopo la Battaglia di El Alamein il Battaglione Tobruk venne aggregato a gennaio del 1943 alla Divisione “La Spezia”.

Il Reggimento “San Marco” venne inviato in Tunisia dove arrivò tra il 20 e il 24 novembre 1942, con un organico articolato in:

  • compagnia comando;
  • compagnia MILMART;
  • plotone nebbiogeni;
  • Battaglione Bafile, su:
  • compagnia comando;
  • quattro compagnie fucilieri;
  • compagnia mortai da 81 mod. 35;
  • compagnia cannoni controcarri da 47/32;
  • compagnia MILMART;
  • Battaglione Grado, con lo stesso ordinamento del Bafile meno la compagnia mortai.

Il Battaglione Tobruk era invece strutturato su tre compagnie fucilieri e una compagnia mortai Brixia da 45 mm. Un quarto Battaglione il Caorle, che era ancora in Italia e stava ultimando l’addestramento, si articolava invece su quattro compagnie fucilieri. Del Reggimento facevano poi parte anche il Battaglione “P” (Paracadutisti) e il Battaglione “N” (Nuotatori) che il 1°aprile 1943 vennero fusi in un’unica unità denominata Battaglione NP (Nuotatori Paracadutisti).[52]

[1]     Giorgio ROCHAT, Gli arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 1997, p. 35

[2]     Angelo PIROCCHI, Italian Arditi, Elite Assault Troops 1917-20, Osprey Publishing, Oxford (UK) 2004, p. 8

[3]     Giorgio ROCHAT, Gli arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti, op. cit., p. 65

[4]     Gianni OLIVA, Combattere. Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali italiani, Mondadori Libri S.p.A., Milano 2017, pp. 149-150

[5]     Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane in Storia Militare Dossier n. 61, anno XI, 1° maggio 2022, Edizioni Storia Militare s.r.l., Parma 2022, pp. 10-11

[6]     www.nembo.info URL consultato il 10 agosto 2022

[7]     Gianni OLIVA, Combattere. Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali italiani, op. cit., pp. 149-150

[8]     Ivi, pp. 150-151

[9]     Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane, op.cit., pp. 14-15

[10]    Stralcio della circolare dello SMRE datata 28 maggio 1940 con oggetto “Promemoria per l’Eccellenza il Capo di Stato Maggiore Generale – Sopralluogo del Colonnello Ravagli alla scuola paracadutisti di Tarquinia” citata in Marco DI GIOVANNI, I miti e memoria della Seconda Guerra Mondiale, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 1991, pp. 38-39 e note 67 e 68 p. 43

[11]    Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane, op.cit., pp. 19-20

[12]    Ivi, pp. 33-35

[13]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), Mursia Editore, Milano 1991, p. 265

[14]    Franco DELL’UOMO e Rodolfo PULETTI, L’Esercito Italiano verso il 2000 – Storia dei Corpi – Volume primo, Tomo I, op. cit., p. 190

[15]    Costituita nel 1943, ancorché ne venne definito il relativo organico del livello Divisione, alcuni elementi dell’unità furono utilizzati per ripianare le perdite di altri reparti paracadutisti.

  1. Victor MADEJ, Italian Order Army of battle. 1939-1943, Game Marketing, Allentown-Pennsylvania-USA 1981, p. 81

www.regioesercito.it URL consultato il 19 agosto 2022

[16]    Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane, op.cit., p. 20

[17]    Ivi, p. 38

[18]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., pp. 107-108

[19]    Ivi, p. 108

[20]    Umberto POSTIGLIONI, Il X Reggimento Arditi in Studi Storico Militari 1986, USSME, Roma 1987, pp. 856-857

[21]    Ivi, pp. 856-857

[22]    Umberto POSTIGLIONI, Il X Reggimento arditi, op. cit., pp. 867-868

[23]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., p. 108

[24]    Umberto POSTIGLIONI, Il X Reggimento arditi, op. cit., p. 868

[25]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., pp. 108-109

[26]    Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane, op.cit., p. 40

[27]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., p. 110

[28]    Ivi, p. 109

[29]    Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane, op.cit., pp. 40-41 e nota 55 a pagina 125

[30]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., pp. 117-158

[31]    Il Battaglione era strutturato su:

  • 87a compagnia alpini, proveniente dal Battaglione alpini “Aosta”;
  • 88a compagnia alpieri, con organico speciale e reclutamento nazionale;
  • 89a compagnia alpini, che inquadrava gli Allievi Sottufficiali ed era praticamente un reparto addestrativo.

Il Battaglione nel corso delle operazioni contro la Francia del giugno 1940 aveva preso parte all’attacco a Col de Fours, Col de Bonhomme, Col de l’Oeillone e Combe Noir.

Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., nota 5 pp. 184-185

[32]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., pp. 117-158

[33]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., pp. 186-189

[34]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., pp. 84-85

[35]    Il 1° ottobre 1941 il Colonnello Carlo Baudino inviò al Comando Superiore delle Truppe Alpine invia una serie di ammaestramenti tratti dall’esperienza in Russia con alcune proposte relative all’addestramento, all’equipaggiamento e, nel caso di specie, anche alla struttura ordinativa.

In particolare, l’Ufficiale propone la costituzione di reparti sciatori, da impiegare “esclusivamente in relazione alle loro caratteristiche”, strutturati su un Gruppo Battaglioni articolato in:

  • tre Battaglioni sciatori, ognuno con una forza di 420 uomini di cui 309 sciatori (dotati di slitte a motore, a cingoli e su elica), ordinati ciascuno su:
  • due compagnie sciatori, ciascuna su 103 uomini ed articolata in:
  • quattro squadre fucilieri;
  • quattro squadre fucili mitragliatori;
  • una compagnia mitraglieri su 71 uomini e strutturata su due plotoni mitraglieri;
  • una compagnia mortai da 81 mod. 35 su tre plotoni mortai;
  • una batteria da 4 pezzi da 75/13 “slittata” (l’estensore della lettera intendeva con ogni probabilità che i pezzi potessero essere trasportati su slitte);
  • una batteria contraerei da 20/65 “slittata”;
  • aliquote dei servizi.

Baudino proponeva l’assegnazione dei tre Battaglioni a ciascuna Divisione alpina che in quel momento erano stanziate in Italia (la “Julia” era in Grecia) da cui avrebbero dovuto ricevere la denominazione: “Taurinense”, “Tridentina” e “Cuneense”, mentre il Gruppo avrebbe dovuto assumere il nome di “Duca degli Abruzzi”.

Cfr. Massimo COLTRINARI, Le vicende dei militari italiani in Russia. 1941. Un’ avventura non necessaria, Edizioni Archeoares, Terni 2022, pp 39-40

[36]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., pp. 87-90

[37]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., pp. 90-92

[38]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., pp. 84-85

[39]    Luigi Emilio LONGO, I “Reparti Speciali” italiani nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1943), op. cit., p. 255

[40]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., p. 107

[41]    Romain H. RAINERO, I Reparti arabi e indiani dell’Esercito Italiano nella Seconda Guerra Mondiale (Le “Frecce Rosse”), USSME, Roma 2007, p. 63

[42]    Romain H. RAINERO, I Reparti arabi e indiani dell’Esercito Italiano nella Seconda Guerra Mondiale (Le “Frecce Rosse”), op. cit., pp. 65-67

[43]    Ivi, p. 83-84

[44]    Romain H. RAINERO, I Reparti arabi e indiani dell’Esercito Italiano nella Seconda Guerra Mondiale (Le “Frecce Rosse”), op. cit., pp. 90-91

[45]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., p. 108

[46]    Ivi, p. 112

[47]    Romain H. RAINERO, I Reparti arabi e indiani dell’Esercito Italiano nella Seconda Guerra Mondiale (Le “Frecce Rosse”), op. cit., pp. 65-67

[48]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., p. 113

[49]    Federico CIAVATTONE Paracadutisti. Storia delle aviotruppe italiane, op.cit., p. 42

[50]    Piero CROCIANI e Pier Paolo BATTISTELLI, Reparti di élite e forze speciali dell’Esercito Italiano, 1940-1943, op. cit., pp. 117-118

[51]    Stefano FABEI, La “Legione Straniera” di Mussolini, op. cit., pp. 96-103

[52]    Piero Crociani e Pier Paolo Battistelli, Italian Navy & Air Force Elite Units & Special Forces 1940-45, Osprey Publishing Ltd., Oxford UK 2013, pp. 49-75 (versione Kindle)