Ten. cpl Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Nell’attuale fase storica di cambiamenti globali e lotte per la ridefinizione delle aree di influenza, in cui l’Italia è al contempo oggetto e parte del contendere, vi è un richiamo alle vicende storiche vissute dalla Penisola nel secolo XVII e di cui si era discusso a lungo nel corso dell’anno scolastico 1974-75 con il nostro professore di storia e filosofia, Lampugnani, presso l’allora “V° Liceo Scientifico”, attuale “Lanfranconi”, di Voltri – Genova.
LA CONTESTAZIONE
La costosa e sanguinosa serie di guerre d’Italia si era conclusa con la cacciata della Francia dalla Penisola e con il pieno trionfo della Spagna.
Dopo il 1559 i Francesi conserveranno ancora delle guarnigioni a Torino ( sino al 1563), mantenendo in Piemonte una presenza modesta ma strategicamente importante: le fortezze di Pinerolo, Chivasso, Chieri e il marchesato di Saluzzo oltre al controllo della Val Varsita e della valle del Chisone.
Questa presenza in Italia è molto apprezzata dalla diplomazia francese che definisce queste posizioni: “les clefs de l’Italie”, sia pure con molto ottimismo.
Tuttavia, il giovane re di Francia Enrico III Valois, nel 1573, di ritorno dalla Polonia, dopo le grandiose feste fatte in suo onore dalla Repubblica di Venezia, sulla via del ritorno, regala per amicizia al duca Emanuele Filiberto di Savoia la fortezza di Pinerolo.
Sul finire del secolo, nel 1588, il duca Carlo Emanuele I di Savoia (figlio di Emanuele Filiberto), scontento nel vedere la Francia proteggere Ginevra, che da poco gli si è ribellata nella lotta che conduce contro Berna e altri cantoni svizzeri, si allea con Filippo II di Spagna e, sfruttando le difficoltà della Francia, s’impadronisce con un colpo di mano del marchesato di Saluzzo, una delle più importanti “clefs de l’Italie”.
La Francia non può intervenire perché è in lotta con la Spagna e, pertanto, alla Pace di Vervina si rimanda la questione di Saluzzo, uno speciale arbitraggio del Papa regolerà la vertenza tra la Francia e la Savoia, ma il Papa non può attuare l’arbitraggio e l’energico re di Francia Enrico IV è deciso a regolare la questione senza indugi.
Egli sfida il duca di Savoia, intimandogli la restituzione di Saluzzo, muove da Parigi con un grosso esercito e si installa a Lione, pronto a invadere la Savoia, mentre una congiura ordita contro il duca mette questi in pericolo di morte, fallita la congiura Enrico IV varca il confine, occupa Chambéry, mentre le sue truppe mettono a sacco il territorio.
Papa Paolo IV interviene allora tra i due contendenti e la sua mediazione porta alla Pace di Lione (1601), Enrico IV rinuncia al marchesato di Saluzzo, perché nel suo realismo considera impossibile una politico di intervento in Italia, in cambio ottiene dal duca di Savoia, la Bresse con Bugey, Valromey e Gex, tutti territori a nord di Lione, tra la Savoia e la Borgogna, tutte le terre dei Savoia al di là del Rodano, il duca di Savoia conserverà solo l’uso di un ponte sul Rodano e di una strada per Bésancon.
A Parigi la decisione del re non è piaciuta, a corte vi è un partito che rivendica le vecchie conquiste in Italia e vorrebbe continuare la vecchia politica di intervento.
Il duca di Savoia, dopo il Trattato di Lione , rivolge tutte le sue attenzioni e ambizioni in senso antispagnolo , al Monferrato e alla Liguria, tuttavia questa politica nel metterlo in urto con la Spagna lo costringe necessariamente a rivolgersi alla Francia, nel 1610 Carlo Emanuele I firma con Enrico IV il Trattato di Bruzolo, in val di Susa.
Il duca ed il re di Francia avrebbero attaccato insieme la Spagna, Carlo Emanuele avrebbe ottenuto tutta la Lombardia e il Monferrato e in cambio avrebbe ceduto tutta la Savoia alla Francia e tutte le terre al di là del crinale delle Alpi. Era la teoria del re di Francia che anticipava il nazionalismo del secolo XIX : chiunque parlasse il francese, avrebbe dovuto essere suddito del re di Francia.
Tuttavia, ad un mese dal Trattato di Bruzolo, Enrico IV muore pugnalato a Parigi e comincia così il difficile periodo della reggenza di Maria de’ Medici, dal quale la Francia uscirà solo ad opera del Cardinal di Richelieu.
Carlo Emanuele I si trova così solo ad affrontare le ire della Spagna, dalla quale lo salva con difficoltà la mediazione di Venezia.
Nel 1612, alla morte di Francesco II Gonzaga, duca di Mantova, Carlo Emanuele I avanza i suoi diritti sull’eredità dei feudi del Monferrato che appartenevano ai Gonzaga : Casale, Alba, Nizza, Cortemiglia. Si può scorgere facilmente come l’insieme dei feudi gonzagheschi siano indispensabili all’economia e alla sicurezza del Piemonte.
Il duca di Savoia avanza con i suoi soldati nel Monferrato, ma viene rapidamente sconfitto dalla Spagna, nel 1617 deve firmare il pesante Trattato di Madrid e cedere a Filippo III di Spagna tutto quello che aveva occupato nel Monferrato, dopo questa infelice guerra il duca di Savoia stringe rapporti più stretti con la Francia, tanto che nel 1619 Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII, sposa Vittorio Amedeo, principe ereditario.
Nell’Europa divampa la guerra dei Trenta Anni quando il Cardinale di Richelieu dà inizio all’aperto conflitto con la Spagna, Carlo Emanuele I scende nuovamente in guerra a fianco della Francia ( 1623), tenta un ardito colpo di mano su Genova e invade la Liguria, la Repubblica di Genova reagisce energicamente e il comandante Spinola riesce a spingersi in Piemonte minacciando Torino da vicino.
Intanto dalla Lombardia truppe spagnole e imperiali invadono lo Stato dei Savoia dilagando in ogni parte del Piemonte, solo gli accordi diretti tra Francia e Spagna del 1626 ( accordi di Monzon ), salvano in extremis il duca di Savoia e riportano la situazione al punto di partenza.
Moriva improvvisamente nel 1627 senza eredi il duca di Mantova, Vincenzo II Gonzaga, subito Carlo Emanuele di Savoia torna ad avanzare i suoi diritti sul Monferrato. Questa volta l’eredità di Mantova e del Monferrato spetta a Carlo Gonzaga di Nevers , un ramo della dinastia dei Gonzaga che da un secolo si era stabilita in Francia.
Il Cardinale di Richelieu intuisce immediatamente l’importanza della posta in gioco ed è ben deciso a non farsela sfuggire, nei suoi piani sia il Monferrato ( Casale) che Mantova devono diventare due punti determinanti per la riscossa antispagnola in Italia e per il ritorno della Francia alla grande politica di intervento in Italia. Con un infiammato discorso al Consiglio della Corona egli rilancia la politica tradizionale delle “guerre d’Italia”: “L’Italie, c’est le coeur du monde …” e la Francia non sarebbe degna di sé, se vi rinunciasse. E ancora : “ Casal et Mantoue, voilà les deux clefs de l’Italie”.
Il Cardinale prevedeva quindi una guerra che investisse tutta l’Italia settentrionale, in vista di un effettivo controllo della Francia su tutta la Penisola.
Il discorso di Richelieu non piacque alla regina madre, Maria de’ Medici e neppure al mediocre consigliere di stato Marillac , segretario della Corona, ma affascina il giovane e inquieto Luigi XIII , infatti il giovane re di Francia, Richelieu e il maresciallo Toiras scendono personalmente in Italia alla conquista di Torino e di Casale.
Al termine di una guerra piena di colpi di scena e di momenti drammatici , Luigi XIII rischia di morire nella val di Susa, Richelieu cade gravemente ammalato, dopo essersi immerso nelle acque gelide del Po nell’assedio di Torino, il Trattato di Cherasco,1631, consacra il trionfo del Cardinale.
Il duca di Gonzaga-Nevers ( indirettamente la Francia) riceve Mantova e tutto il Monferrato, salvo Alba e Trino, il nuovo duca di Savoia, Vittorio Amedeo I, figlio dello sfortunato Carlo Emanuele I, nel frattempo morto, deve però cedere, in cambio di questi due feudi nel Monferrato, la fortezza di Pinerolo e la val Perosa, non lontana da Torino, importante passaggio tra il Delfinato e la Savoia.
Vittorio Amedeo I, come marito di Cristina di Francia è quindi anche cognato di Luigi XIII, il Cardinale di Richelieu per addolcire il suo reale stato di sudditanza verso la Francia sollecita le ambizioni del duca indirizzandone le mira nei settori italiani : gli promette tutta la Lombardia in cambio della Savoia, l’antico piano di Enrico IV, e lo incoraggia nelle sue mire sulla Liguria.
Lo lega in tal modo alla sua politica stringendo il Patto di Rivoli e fonda la Lega di Mantova : la Savoia, Mantova e Parma. Quando nel 1637 Vittorio Amedeo I muore a Vercelli, la duchessa Cristina, che regnerà fino al 1663, trasformerà la Savoia in una pedina del gioco politico francese.
A questo punto l’opinione italiana vedeva la prima tangibile, concreta contestazione della supremazia spagnola in Italia, in breve tempo anche gli Estensi di Modena e i Medici di Firenze aderiscono alla Lega di Mantova, diventando alleati della Francia.
Gli agenti segreti francesi sono attivi anche a Roma e nell’Italia meridionale, dove si riforma un partito francese. Il duca di Guisa a Napoli e l’ambasciatore di Francia a Roma tramano congiure, sobillano sommosse, tanto che nel 1647 Napoli insorge e Masaniello proclama la Repubblica.
La Francia non può tuttavia uscire allo scoperto intervenendo direttamente, del resto gli Spagnoli scoprono le trame del duca di Guisa a Napoli e reagiscono violentemente, l’autorità spagnola è anzi ribadita nell’Italia meridionale con dure rappresaglie.
La politica di intervento sistematico mandata avanti dal Richelieu è continuata ancor più decisamente dal successore Cardinale Mazarino, siciliano, questi ha grandi ambizioni e nutre grossi propositi e vasti piani proprio per l’Italia meridionale, dove conta di mettere sul trono di Napoli un principe francese.
Mazarino attacca la Spagna in tutte le direzioni: Luigi XIII è di proposito nominato “conte di Barcellona”. Il cardinale progetta l’annessione alla Francia della Catalogna, della Navarra, dei Paesi Baschi e medita una grande impresa navale che porti i Francesi a Napoli e a Palermo. A distanza di un secolo dall’umiliante pace di Cateau Cambrésis, il trattato dei Pirenei (1659), segna il trionfo francese.
Se territorialmente la Francia occupa soltanto Perpignano e le vallate pirenaiche della Cerdagne, il matrimonio tra il giovane Delfino (il futuro Luigi XIV) e l’Infanta Maria Teresa, è il capolavoro diplomatico e politico di Mazarino. Il contratto di nozze comprende clausole così gravose per la corona spagnola che, a partire da questa data, si può dire che la nazione iberica sia stata sconfitta a profitto della monarchia francese.
Infatti, mai la Spagna avrebbe potuto pagare la somma astronomica prevista come dote per la principessa spagnola, la non solvibilità spagnola si traduceva in una sostanziale ipoteca sulla Spagna stessa.
Con il nuovo re Luigi XIV, l’Italia non è però al centro della politica estera francese, ma Versailles conserva una forte influenza nel nord della Penisola. Centro di questa egemonia è Torino, Cristina duchessa di Savoia, Madame Royale, regna infatti sino 1663 e sempre con una reggenza francese, Jeanne de Nemours, inizia il regno di Vittorio Amedeo II (1675-1730).
Luigi XIV ha i suoi piani anche per l’Italia, più che all’espansione territoriale tende ad assicurarsi punti di appoggio strategico – militare, vuole soprattutto che sia riconosciuto il suo prestigio e che si esegua la sua volontà, in caso contrario non esita a operarvi tutti gli sconfinamenti che ritiene opportuni e ad usare la forza ( politique d’empiétement ), evita in tal modo di disperdere le sue forze sul controllo diretto di territori troppo ampi.
Così nel 1681 costringe il duca di Mantova e del Monferrato a cedergli Casale, chiave di passaggio alla pianura Padana, in Liguria l’ambasciatore di Luigi XIV , Pidou de Saint Clon, si sforza in tutti i modi di staccare il Senato genovese dalla Spagna, quando i suoi sforzi e le sue trame a Genova falliscono, invita il Re Sole a intervenire suggerendogli l’annessione di Genova e della Liguria ( Génes …, la porte de l’Italie).
Luigi XIV esita di fronte all’annessione, si limita a sottoporre Genova ad un duro bombardamento navale, farà attendere l’ambasciatore genovese tre giorni prima di riceverlo e costringerà il Doge di Genova ad andare a Versailles a chiedergli umilmente il perdono.
Con il Vaticano, il Cristianisssimo, non esita ad intervenire: all’orgoglioso rifiuto di papa Innocenzo XI delle prerogative gallicane, Luigi XIV risponde con dura fermezza non lasciandosi intimidire né dall’interdetto alla chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma e neppure dalla scomunica all’ambasciatore a Roma, Lavardin. Minaccia anzi un nuovo concilio nel Parlamento di Parigi (1688) e nell’autunno di quell’anno le truppe del re si impossessano di Avignone.
Nel 1690 Vittorio Amedeo II di Savoia si emancipa dalla tutela francese e si schiera con l’Impero contro il Gran Re , ma a Staffarda e a Marsiglia le truppe del Re Sole disperdono i soldati del duca e “Monsieur de Savoie “, come con evidente disprezzo lo chiama Luigi XIV , deve firmare la pace di Torino ( 1696) e legarsi ancor più alla Francia, il Delfino, duca di Borgogna, che è nipote di Luigi XIV sposa Maria Adelaide figlia di Vittorio Amedeo II.
La guerra di successione spagnola che termina nel 1713 è un grande successo per Luigi XIV ma lo è anche per l’Impero, perché da questo momento inizia la presenza dell’Austria in Italia, destinata a durare per tutto il secolo XVIII.
Il ducato di Savoia, uscito dalla tutela della Francia, sarà anche lo Stato più importante della Penisola.
DECADENZA E SENTIMENTO DI RISCOSSA
E’ ormai un luogo comune la constatazione che il ‘600 rappresenta uno dei momenti di massima depressione politica della nostra storia nazionale, sebbene abbia espresso con il Barocco uno dei momenti di vertice massimi dell’arte italiana nel mondo.
Tuttavia è bene indicare quel tanto di positivo che anche in questo secolo esisteva nella nostra Nazione, in proposito è opportuno considerare quanto Benedetto Croce nel suo celebre libro “Storia dell’età barocca in Italia” espone:
“ … sulla fine del seicento, rapidamente, gli stranieri, e prima di tutti, per la letteratura, i francesi, e, per la scienza, i circoli che mettevano capo alla libera Olanda, si avvidero e dissero la parola, che l’Italia era decaduta, che la sua poesia era brillante e falsa, che la sua scienza era frivola e parolaia. E quasi contemporaneamente, sia pure tra voci di ripulsa e di collera, che attestavano la giustizia dell’accusa, gli italiani stessi cominciarono a sentirsi decaduti, e i più sinceri e coscienziosi si fecero animo a confessarlo. Allora al fatto si accompagnò la coscienza del fatto, al processo che giungeva al compimento, la chiara visione della linea fondamentale di quel processo, fino allora celata da incidenti e parvenze. E allora appunto l’Italia cominciò a risorgere, la decadenza, da forma di vita, tornò momento di vita, e il ritmo ascendente riprese: riprese con lentezza e difficoltà, ma riprese.
Non riprese già con una riscossa nazionale contro gli stranieri e per richiamarsi a libertà popolare, perché questi fini nessun uomo di senno allora se li sarebbe proposti, mancandone le condizioni nei rapporti delle potenze europee e nello svolgimento delle istituzioni politiche. E non riprese neppure, dapprima, direttamente con la più viva partecipazione ai problemi della vita civile, economici e giuridici. La ripresa fu segnata da una rivoluzione, non certamente poetica, ma letteraria e stilistica, dalla poi tanto spregiata e irrisa Arcadia, cioè dal bisogno di scrivere in modo semplice e modesto; dall’abbandono della scolastica e del peripatismo, e delle grossolane credenze di ogni sorta, per le scienze di osservazione e per le matematiche e per la filosofia cartesiana; dalle indagini storiche sul passato dell’Italia, che allora ebbe i primi cultori.
Queste cose erano l’inizio della restaurata vita morale, perché, come si è detto che la decadenza investe tutte le opere della vita, così è da dire che la ripresa del progresso, per parziale che si presenti nell’aspetto, è sempre intrinsecamente radicale e totale. Soprattutto, indizio di essa fu l’ammirazione pei libri e le cose forestiere, francesi e inglesi, e il sentirsi modesti alla loro presenza, e il mettersi alla loro scuola, pur non mancando al dovere di respingere le ingiurie e il disprezzo straniero. Che cosa c’era da fare di meglio? Mentre l’Italia “si riposava”, altri popoli avevano camminato. Bisognava, levatisi di riposo, tenere loro dietro e sforzarsi di raggiungerli. E qui termina la storia della decadenza italiana e comincia quella del Risorgimento, comincia non nel 1815, come nei manuali scolastici, ma, sia pure in forma crepuscolare, intorno al 1670”.