Con Legge del.30 marzo 2004, la Repubblica Italiana ha riconosciuto il 10 Febbraio quale “Giorno del Ricordo che si celebra al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del nostro confine orientale“. Prevede anche, stabilendone le regole, la consegna di un attestato e di una medaglia ai congiunti di quanti sono morti in quelle vicende: infoibati, annegati, fucilati, morti in prigionia o soppressi con altre modalità.
Questa legge ha consentito di riportare alla memoria degli italiani una pagina di storia colpevolmente dimenticata per mezzo secolo. La data del 10 febbraio è quella nella quale fu firmato il cosiddetto “Trattato di Pace” con il quale l’Italia cedeva: ad occidente Tenda e Briga Marittima e, ad oriente, i territori compresi tra il precedente confine e l’attuale, lasciando fuori Trieste. Trieste, amministrata dagli anglo-americani, e la parte nord-occidentale dell’Istria, amministrata dagli Jugoslavi, rimanevano a disposizione per costituire un Territorio Libero, che non sarà mai costituito. Optando per la conservazione della cittadinanza italiana, bisognava abbandonare i territori ceduti. ln realtà questa storia drammatica era conosciuta dagli italiani fino al 1954, quando Trieste fu ricongiunta al resto d’Italia. Dopo di allora, risolta la parte più nota del problema, si preferì dimenticare quanto era avvenuto. Era comodo per motivi di politica estera, come la convenienza di allontanare la Jugoslavia da Mosca, ma anche di politica interna, per non ricordare la connivenza e la collaborazione che il P.C.l. aveva dato a Tito. Era comodo infine per non pagare il debito con gli esuli.
Il Trattato di pace non consentiva infatti alla Jugoslavia di appropriarsi, come fece, dei beni degli optanti. L’Italia peraltro era inadempiente nel previsto pagamento dei danni di guerra. Il problema fu risolto con lo Stato italiano che pagava i danni di guerra con i beni degli esuli, già usurpati dalla Jugoslavia, e si impegnava ad indennizzarne i legittimi proprietari. L’impegno non è stato mantenuto che in minima parte. Ma il momento più vergognoso fu nel 1975 quando il nostro Stato regalò alla Jugoslavia, con il Trattato di Osimo, i propri diritti sulla parte nord-occidentale dell’Istria. È indicativo che il trattato non fu condotto direttamente dal Ministero degli Esteri, ma da un funzionario del Commercio Estero. Fu poi firmato in una villa isolata, evitando al massimo che l’opinione pubblica se ne accorgesse.
Nel 1989 cade il Muro di Bertino. Nel 1991 la Jugostavia comincia a disintegrarsi in vari Stati, iniziando dalla Slovenia e dalla Croazia, e cominciano le stragi e le “pulizie etniche” (definizione prima sconosciuta) fra Croati e Serbi. Le notizie di tali cattiverie, delle quali sono testimone avendo operato in Dalmazia ed in Erzegovina nell’ambito della Missione di pace UE-0CSE, ricordano agli Italiani quanto era avvenuto alla nostra frontiera orientale cominciando nel 1943. Net 2004 gli esuli riescono ad ottenere la legge predetta, approvata da quasi tutto il Parlamento.
Una recente indagine demoscopica ha appurato che il 44% degli Italiani ha sentito parlare delle foibe e del loro significato storico. Dall’esodo della Venezia Giulia e dalla Dalmazia dice di averne sentito parlare solo il 22%. Una buona parte di loro poi non sa che quanti dovettero abbandonare le proprie case erano un popolo che vi viveva da sempre, pensa invece che vi fossero giunti da occupatori dopo la 1ª^ guerra mondiate. Come si vede è più conosciuta la parte più impressionante: le foibe. Ritengo però che il fatto più importante sia l’esodo con quanto esso ha significato: lo stravolgimento di due regioni che erano sempre state legate alla storia ed anche alla protostoria italiane: la Venezia Giulia e la Dalmazia.
Venezia Giulia è il nome dato verso la metà del 1800 dal giottologo goriziano Graziadio lsaia Ascoli all’insieme di quattro realtà aventi qualcosa in comune: il Friuli Orientate, cioè il Goriziano fino alla displuviale alpina, Trieste con il suo retroterra fino alla displuviale, Fiume, l’Istria, cioè la penisola istriana. La Dalmazia è la regione costiera, a sud delta Venezia Giulia, delimitata da catene montane che la separano nettamente dall’interno. Gli Slavi arrivano verso il 600 d.C.. E un’invasione barbarica diversa da quelle germaniche. Dove arrivano realizzano grosso modo una “pulizia etnica”. ln Venezia Giulia giungono fino all’attuale confine orientate italiano. Non riescono però ad entrare in Istria, dove solto più tardi si stabilirà una loro minoranza. ln Dalmazia occupano tutto l’interno e parte della costa. Non riescono però ad entrare nelle principali città costiere e nelle isole. Nel Medio Evo in Istria e in Dalmazia si sviluppano i Comuni, sempre in bilico tra la tutela detta propria autonomia e la crescente influenza veneziana. Dal 1400, Venezia estende il proprio Stato sulla terraferma e, prima ancora, in Istria ed in Dalmazia. Restano fuori dal dominio veneziano Trieste e Fiume, Comuni autonomi italiani, e la Repubblica di Ragusa che anch’essa stabilirà per legge l’italiano come lingua ufficiale. Istriani e Dalmati, inclusi gli Slavi, resteranno i sudditi più fedeli a Venezia fino alla sua caduta, nel 1797.
La situazione etnica è diversa secondo le zone, da quelle compattamente italiane, come Istria occidentale, a quelle compattamente slave, come l’interno della Dalmazia e la Venezia Giulia nord-orientate. La cultura egemone è ovunque l’italiana, così come squisitamente italiane sono l’architettura e le altre arti. Le varie etnie convivevano senza particolari problemi. Questi nasceranno nell’800 con i nazionalismi. L’Austria li utilizzerà dopo il 1848 e, ancor più, dopo il 1866, quando si renderà conto che l’Italia rappresenta per lei un pericolo. Particolarmente dura è la persecuzione antitaliana in Dalmazia. I Comuni dalmati, che nel 1861 erano retti tutti dal partito autonomista, italiano, cadono ad uno ad uno tanto che all’inizio della 1ª guerra mondiate è rimasto italiano solo quello di Zara. La situazione dà luogo ad un primo esodo strisciante. Dopo la 1ª guerra mondiale, il relativo Trattato di pace del 1920 e la soluzione del problema fiumano, l’Italia annette tutta la Venezia Giulia fino alle Alpi. In Dalmazia annette solo Zara, l’Isola di Lagosta e quelle di Cherso e Lussino.
Nasce la Jugostavia, un insieme di popoli che, come dimostreranno gli avvenimenti successivi, non hanno alcuna voglia di stare insieme. Da tutta la Dalmazia non annessa inizia l’esodo degli Italiani che ha il suo picco nel 1921, ma che continua fino alla 2ª guerra mondiale. A Sebenico, dal 10 al 12 giugno 1921 parte, in modo drammatico, la grande maggioranza della forte minoranza italiana. Un’interpretazione faziosa vorrebbe fare risalire quanto avverrà dal 1943 alle colpe del fascismo ma, come abbiamo visto, tutto era cominciato assai prima. L’Italia, come facevano tutti gli Stati su base mono nazionale, lascia scuole pubbliche solo in italiano, non prevedendo nulla per le minoranze. Così fa la Jugostavia in Dalmazia e così farà la Francia a Tenda e Briga addirittura dopo la 2^ guerra mondiale. Poi viene il fascismo che accentua questo atteggiamento negativo verso le minoranze. Si parla molto di un “fascismo di frontiera” particolarmente duro. Penso che il giudizio vada ridimensionato perché nelle realtà che conosco meglio, come Zara, posso escluderlo.
Nel 1940 l’Italia entra in guerra. La Jugoslavia nel 1941 firma un accordo con la Germania e l’Italia. Subito un colpo di Stato rovescia il governo, che passa dalla parte dell’Inghilterra. La Germania, dopo un ultimatum, invade la Jugostavia, seguita dall’Italia e dall’Ungheria. L’invasione richiede poco tempo perché Croati, e Sloveni non combattono. I Croati sono contenti di poter formare un loro Stato indipendente. L’Italia annette una parte della Dalmazia, ingrandendo la provincia di Zara e formando quelle di Spalato e di Cattaro. Annette anche la zona di Lubiana, formandovi una provincia autonoma dove lo sloveno è lingua ufficiate. E una soluzione che gli Sloveni accettano come male minore, per non essere annessi dalla Germania nazista.
La situazione resta tranquilla fino alla fine di giugno, quando la Germania attacca l’URSS, rompendo l’accordo con il quale nel 1939 si erano spartite la Polonia. Tito allora, ricevuti ordini da Mosca, inizia con le azioni terroristiche. Cominciano anche le stragi interetniche che abbiamo visto ripetersi più recentemente. Comincia una guerra di tutti contro tutti nella quale Tito, totalmente privo di scrupoli, riesce a prevalere fra le altre fazioni slave. L’Esercito italiano non può sottrarsi dall’applicare le dure regole previste dal diritto internazionale per una simile guerra. Riesce però a bloccare le stragi interetniche, salvando così più persone delle vittime che sarà costretto a fare.
Dopo l’8 settembre 1943, con il tracollo dell’Italia, cominciano, con crudeltà difficilmente immaginabili, le stragi degli Italiani. Il metodo più comune utilizza le foibe, ma sono frequenti anche le fucilazioni, gli annegamenti e atre atrocità. Questa prima ondata di morti, poco meno di un migliaio, è interrotta dai Tedeschi che riprendono possesso di quei territori, peraltro facendo altre vittime. A Zara, dopo l’8 settembre, il btg. bersaglieri “Zara” non si sbanda, ma resta a difesa della città fino a quando, avendo conservato le stellette del Regio Esercito, i Tedeschi lo prendono prigioniero. Avrà comunque evitato, come altri reparti a Fiume e a Trieste, la prima ondata di stragi. Per [a difesa del confine orientate si costituiscono anche formazioni di volontari detta RSl.
Le stragi riprendono nel maggio del 1945, quando le vittime saranno più di 10.000. Contemporaneamente in Slovenia, otre le Alpi Giulie, vengono soppressi dai 70 ai 100.000 appartenenti alle varie fazioni anticomuniste slave che si erano consegnati in Austria agli inglesi e da questi erano stati consegnati a Tito. A Trieste e Gorizia le stragi sono interrotte, dopo 40 giorni, dall’arrivo degli anglo-americani. Tremendi sono i campi di concentramento, anche, peggiori di quelli nazisti. Si instaura poi un regime poliziesco. e carcerario simile a quello dell’URSS. La conseguenza è l’esodo, che riguarda circa 300.000 persone tra cui anche poche decine di migliaia di Slavi. Includendo gli esuli dalla Dalmazia dopo il 1921, il numero si avvicina però ai 350.000.
Gli esuli, frequentemente accolti con ostilità, dovettero in buona parte vivere per anni in 109 campi profughi in condizioni estremamente precarie. Nonostante questo, l’esodo continuò anche quando rimanere divenne meno pericoloso per la propria vita. Si trattò di un popolo che accettò di perdere tutto per amore della libertà, della fede religiosa e della propria italianità: un esempio del quale fare tesoro.
Circa 40.000 Italiani rimasero in Istria, a Fiume e in Dalmazia. Uno Stato marxista come la Jugostavia doveva dimostrarsi internazionalista, consentì quindi questa permanenza, riunita in un’organizzazione funzionale alla politica antitaliana. Questa organizzazione è cambiata e, tramite le sue scuole ed una cinquantina di Comunità degli Italiani, sostenute dallo Stato italiano, ora opera con efficacia per la conservazione dell’italianità. Dai censimenti del 2011 risulta che in Croazia e in Slovenia si sono dichiarati di nazionalità italiana rispettivamente circa 25.000 e 3.800 persone. Il censimento in Montenegro non fornisce dati in merito.
La situazione degli Italiani è diversa da zona a zona. In Istria, dove sono funzionali all’autonomismo istriano, esiste il bilinguismo nella regione e in determinati comuni. Nella Dalmazia croata, dove la presenza italiana contrasta con un certo deteriore nazionalismo croato, la situazione è peggiore, anche se migliorata rispetto al periodo jugoslavo ed in ulteriore lento miglioramento. A Zara La Comunità degli Italiani ha più di 500 soci. Quanti però se la sono sentita di dichiararsi di nazionalità italiana sono 91. Nella Dalmazia montenegrina, dove la presenza italiana è amata, la situazione è radicalmente migliore ed a Cattaro esiste un’attivissima Comunità degli Italiani. Nella vicina Ragusa [Dubrovnik], dove gli Italiani potrebbero essere di più, una nostra Comunità non è riuscita a nascere. Ma Ragusa è in Croazia.
Il nocciolo della contesa è in certo nazionalismo che mal sopporta la presenza italiana e che vorrebbe modificare la storia, contro ogni evidenza. Per fortuna qualcosa sta cambiando. Nel settembre scorso a Pola, di fronte a migliaia di Italiani e al nostro Presidente della Repubblica, il Presidente croato, nato a Zagabria da famiglia della Dalmazia, ha detto che la stessa Croazia non sarebbe se stessa senza l’apporto storico detta presenza italiana, che in famiglia parla il dialetto croato della Dalmazia, pieno di italianismi che non sente estranei ma suoi. “Sono convinto – ha aggiunto – che la presenza italiana rimasta abbia la funzione di ravvivare una storia che fino a 150 anni fa ha visto l’Adriatico come elemento di unione e convivenza, riportando il più possibile le cose secondo natura”.
L’Italia non è più quella dei tempi di Osimo. È quella che con l’approvazione quasi unanime del Giorno del Ricordo ha dato prova di un certo spirito di coesione. Un maggiore senso di dignità nazionale sarebbe comunque auspicabile, anche nei rapporti internazionali. Nel 2001 il Presidente Ciampi ha firmato la MOVM alla memoria della Zara italiana, vittima dei bombardamenti aerei richiesti da Tito e delle stragi. Non è ancora stata consegnata per ingerenze croate: assurde perché si riferisce ad un periodo nel quale Zara era Italia. Deprecabile è anche una diffusa tendenza a giustificare le stragi cominciate nel 1943 e la connessa “pulizia etnica” con le repressioni attuate dal nostro Esercito, senza tenere conto del contesto che le aveva provocate. E’ un argomento sul quale sarebbe opportuno tornare, anche perché sono convinto che il nostro Esercito abbia tenuto, per quanto consentito dalle circostanze, un atteggiamento umano.
Gen. Elio Ricciardi
Da “IL NASTRO AZZURRO” n° 2/2013