RECLUTAMENTO NELLA LEVA POST-UNITARIA
Ten. cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Con il finire delle guerre risorgimentali si rese necessario amalgamare le varie armate appartenenti agli Stati pre-unitari al fine di costituire il nuovo esercito italiano. Ai reggimenti sabaudi per tradizione veniva conferito un titolo geografico che ne indicasse la sede originaria, questi vennero rinumerati e trasformati in brigate costituite da due reggimenti, con un reclutamento presso le sedi reggimentali.
L’ampiezza del territorio nazionale e le esigenze legate alla politica estera fecero sì che nello scaglionare le sedi reggimentali in tutto il territorio nazionale fosse mantenuta una notevole concentrazione ai confini con la Francia, considerata nazione potenzialmente ostile a seguito degli attriti in ambito coloniale nel nord Africa, in particolare per i territori tunisini contesi tra Italia e Francia.
Alla fine del XIX Secolo furono costituite nuove brigate che assunsero i vari nomi territoriali, l’Esercito Permanente raggiunse così gradualmente nel decennio precedente la Grande Guerra una forza di 47 brigate di fanteria, equivalenti a 94 reggimenti.
Accanto all’esercito di prima linea fu creato un esercito di seconda linea denominato Milizia Mobile, questo sul modello delle Landwehr tedesche, queste truppe originavano dalle Milizie Provinciali formate nella prima fase di costituzione delle Forze Armate e successivamente sciolte.
La Milizia Mobile alla vigilia della Grande Guerra provvedeva a mobilitare, ulteriori 26 brigate di fanteria, ossia 52 reggimenti da impiegare in operazioni di prima linea, al fine di fornire i necessari quadri ufficiali per queste nuove formazioni si creò con la legge del settembre 1873 la figura dell’Ufficiale di complemento.
Con la costituzione delle Milizie Provinciali furono altresì creati i Distretti Militari con il compito di reclutare, armare ed addestrare sia le truppe regolari che quelle della Milizia Territoriale, costituita quale esercito di terza linea con compiti di servizio e difesa dell’interno del Paese.
I Distretti Militari si dividevano in Distretti di 1° classe, con un bacino di utenza di 900.000 abitanti, di 2° classe, con un bacino d’utenza di 400.000 abitanti, di 3° classe, con un bacino d’utenza di 300.000 abitanti o meno.
Nel 1910 a seguito di una riforma del Capo di Stato Maggiore, Generale Saletta, ai Distretti rimase il solo compito delle operazioni di leva e di reclutamento, così che vestire, armare ed addestrare le reclute fu trasferito ai depositi reggimentali costituiti presso le sedi dei reggimenti.
Tale reclutamento del tempo di pace, compresi i periodi delle guerre coloniali, gravitava pertanto sul rapporto distretti – depositi; a livello politico vi era un acceso dibattito tra il reclutamento di tipo nazionale che permettesse un amalgama tra cittadini di territori diversi che spesso parlavano il solo dialetto, o al contrario propendere per un reclutamento regionale in cui si creassero reparti con cultura omogenea che, tuttavia, rischiavano di riproporre gli eserciti nazionali precedenti all’unificazione.
Vi era un contrasto tra la classe politica e i militari, la prima decisamente favorevole all’ipotesi di un reclutamento di tipo nazionale che permettesse la formazione di una nuova coscienza italiana, mentre i militari preferivano il reclutamento regionale di cui si sottolineava la velocità e la capacità di creare corpi altamente efficienti sul modello dell’esercito tedesco, in questo facendo riferimento al brillante risultato ottenuto col reclutamento alpino prettamente regionale.
Subito dopo l’Unità venne introdotta il 26 maggio 1861, una leva di 56.000 uomini nelle province napoletane e il 30 giugno dello stesso anno venne autorizzata la leva sui nati nel 1840 in Sicilia, il 13 luglio 1862 la leva militare fu estesa per tutti i cittadini italiani nati nel 1842.
La durata del servizio militare venne fissata in 11 anni, di cui 5 effettivi al reparto e 6 di congedo in cui il soldato tornato a casa tuttavia rimaneva a disposizione in caso di necessità. Nel 1876 gli anni di servizio vennero portato a 12, di cui 3 effettivi e 9 di congedo, la leva generalmente era prestata lontano dai luoghi di nascita e resa obbligatoria per tutti i maschi ventenni.
Dagli obblighi della leva ci si poteva sottrarre solo mediante l’esonero con pagamento di una cospicua somma, questo meccanismo determinava una netta divisione di ceto in quanto soltanto i ceti abbienti erano in grado di affrontare l’onere finanziario richiesto.
L’introduzione della leva obbligatoria nel meridione determinò un forte malcontento, dando luogo a frequenti fenomeni di renitenza e di diserzione, oltreché a favorire fenomeni di brigantaggio, le famiglie, in particolare nel mezzogiorno agricolo, venivano private per molti anni di una fondamentale forza lavoro nei campi con un notevole impoverimento, tanto che molti piccoli proprietari agricoli dovettero vendere parte delle proprie terre per potere pagare l’esonero ai propri figli.
RECLUTAMENTO IN TEMPO DI PACE
In età militare i giovani affluivano ai distretti di leva in seguito alla chiamata alle armi, in questa sede vi era la prima selezione sia riguardo alla destinazione del coscritto sia per l’idoneità fisica, l’esame fisico si centrava sull’accertamento di alcuni parametri fisiologici quali l’altezza superiore a 150 cm. , la normale circonferenza toracica e la valutazione di assenza di menomazioni fisiche e malattie in atto.
Il giovane se rispondente ai predetti requisiti era dichiarato idoneo al servizio oppure rivedibile, ovvero rinviato ad un ulteriore visita da compiersi l’anno successivo, i non idonei dichiarati riformati passavano nella riserva.
Gli idonei erano classificati di 1° categoria se destinati ai corpi, dovevano godere di buona salute, avere genitori viventi, un fratello con più di 12 anni di età al momento della chiamata, se di 2° categoria entravano nella riserva come soprannumero di personale, godere buona salute, essere figlio unico con padre non ancora entrato nel 75° anno di età, oppure figlio primogenito con fratello di età inferiore ai 12 anni, gli idonei di 3° categoria dovevano godere di buona salute, essere figlio unico orfano di un genitore, oppure un riformato fatto abile per necessità e adibito a lavori sedentari.
Un diverso discorso valeva per i volontari, che potevano essere più anziani o anche più giovani, e anche per gli alti gradi e i militari di carriera.
Solo i militari idonei di 1° categoria venivano assegnati ai corpi per l’addestramento, tutti i giovani di età compresa tra i 20 e i 28 anni facevano parte della leva sia che fossero in servizio sia che fossero in riserva. Tra i 29 e i 32 anni venivano iscritti ai ranghi della Milizia Mobile e tra i 33 e i 39 a quelli della Milizia Territoriale.
Dal 1877 il contingente per ciascun reggimento di pace era tratto in parti uguali da 5 o 6 distretti diversi ognuno pertinente alle 5 zone militari in cui era divisa la penisola: 1) Piemonte fino all’Adda; 2) Lombardia – Venezia ed Emilia senza Bologna; 3) Toscana – Marche – Umbria – Roma e Aquila; 4) Puglia – Campania – Abruzzi; 5) Bari – Terra d’Otranto – Calabria – Sicilia.
Il 6° gruppo di distretti di riserva o complemento, Cagliari e Sassari, poteva essere associato nelle distribuzioni.
Questo tipo di reclutamento tendeva ad amalgamare per ogni deposito reggimentale giovani provenienti da regioni diverse.
Il territorio nazionale era diviso in 12 zone militari ognuna sede di un Comando di Corpo d’Armata e di 2 Comandi Divisionari: 5 zone per il nord (zona 1- Piemonte nord, zona 2 – Piemonte sud, zona 3 – Lombardia, zona 4 – Liguria – Emilia, zona 5 – Veneto – Friuli ), 4 per il Centro (zona 6 – Romagna, zona 7 – Litoranea adriatica, zona 8 – Toscana, zona 9 – Umbria – Lazio), 3 zone per il sud (zona 10 – Campania, zona 11 – Puglia – Calabria, zona 12 – Sicilia).
Per Sardegna era prevista l’aggregazione alla zona 9 (Umbria – Lazio), tuttavia va detto che l’isola era anche sede della 25° Divisione, la prima della Milizia Mobile o Milizia speciale per la difesa della Sardegna.
IL RECLUTAMENTO IN GUERRA
RICHIAMATI ALLE ARMI
Con l’inizio delle operazioni di mobilitazione gli organici presenti ai corpi nel tempo di pace venivano raddoppiati, vi era quindi la necessità di richiamare i numeri della riserva, questi ultimi affluivano sia da classi di età che avevano già superato l’anno della chiamata alle armi, sia dai ranghi della 1° e 2° categoria.
Al momento della mobilitazione generale ai soldati già in servizio attivo si aggiunsero i richiamati delle classi 1892, 1893, 1894 e 1895, tutte le unità della Milizia Mobile esistenti all’entrata in guerra attinsero alle stesse classi di richiamati dell’Esercito Permanente, anziché utilizzare personale dai 29 ai 32 anni come già previsto.
Tuttavia l’arrivo dei richiamati non avvenne secondo i criteri del reclutamento nazionale, prevalse l’indirizzo militare di regionalizzare le chiamate al fine di evitare i problemi causati dagli spostamenti ferroviari di grande masse di persone e anche al fine di permettere un notevole risparmio per le spese di viaggio.
I richiamati affluirono quindi non già ai reggimenti presso i quali avevano prestato servizio in tempo di pace o avrebbero dovuto farlo se di 2° categorie, bensì affluirono ai depositi di reggimento, detti centri di mobilitazione, situati nella stessa regione del distretto al quale appartenevano.
Questa articolazione del richiamo alle armi veniva a coincidere sempre più con la regionalizzazione in quanto nella primavera del 1916 gli organi militari competenti, preoccupati per la crescente confusione legata agli spostamenti ferroviari dei militari, emanarono direttive più rigide in tal senso. I primi corpi dell’Esercito Permanente entrato in guerra disposero quindi di personale per metà a reclutamento nazionale e per metà a reclutamento regionale.
Tutti i corpi della Milizia Mobile ebbero nei fatti un reclutamento di tipo regionale, in quanto costituiti ex novo nel maggio 1915 nei depositi della regione militare di appartenenza, in seguito a quanto accadeva venne pertanto coniato il nuovo termine ufficiale di reclutamento misto.
Va osservato che il nome assegnato alle brigate anche se spesso ricordava l’area geografica dei depositi nei quali mobilitavano le truppe, non sempre corrispondeva ai territori di origine dei soldati, questo è vero soprattutto per le brigate dell’Esercito Permanente che, per una politica antecedente al conflitto, avevano sovente cambiato sede reggimentale.
Così si può spiegare l’equivoco incorso nell’attribuire al nome della brigata una attinenza con la regione di provenienza dei soldati, in esso peraltro valido per il reclutamento degli alpini.
Tutte le brigate dell’esercito permanente entrate in guerra nel 1915 aumentarono, tuttavia, le proprie caratteristiche regionali per effetto dei successivi complementi richiamati in seguito alle perdite in combattimento.
Una maggiore regionalità ebbero invece le brigate di milizia mobile formate nel 1915, tali brigate erano associate a quelle dell’esercito permanente di cui sfruttavano gli stessi depositi, a queste unità potevano quindi affluire le nuove reclute per il primo addestramento da destinare ai reggimenti dell’Esercito Permanente, inoltre il personale delle brigate già in guerra poteva essere scambiato con quello delle brigate già affiliate, permettendo quindi l’utilizzo delle esperienze acquisite dai veterani.
Non si conosce che cosa accadesse nel reclutare le nuove classi durante la guerra (1896, 1897, 1898, 1899 e 1890), è tuttavia lecito supporre che venisse mantenuto il reclutamento nazionale per la prima categoria mentre nella pratica, al fine di semplificare, si ricorresse al reclutamento regionale, questo si desume dalla costituzione dei nuovi distretti militari, tuttavia tale fatto non rappresentava un deterrente al fenomeno dell’imboscamento dei militari nel loro luogo d’origine.
In guerra il richiamato con cartolina precetto affluiva direttamente ai centri di mobilitazione dove era armato, vestito e quindi assegnato all’unità da completare, le classi più anziane destinate ai servizi, mentre il militare al reclutamento nazionale affluiva al distretto di appartenenza dove era inquadrato e accompagnato al centro di mobilitazione previsto.
L’avvio dei complementi in linea ebbe nel corso del conflitto numerose modifiche, inizialmente dai depositi si affluiva in speciali strutture dette centri di raccolta avanzati gestiti dai comandi di tappa, dove i soldati venivano ulteriormente istruiti e organizzati in reparti di complemento da assegnare ai reggimenti.
Nell’agosto del 1915 vennero costituiti nel territorio delle armate, presso i comandi di tappa appositi depositi complementari avanzati con funzione anche di convalescenziari, tale sistema nel distribuire le truppe nell’ambito di armata non favoriva certo il mantenimento della coesione regionale, avendo la necessità di mescolare le truppe per farli affluire nei punti critici.
Nell’aprile del 1916 al fine di migliorare la qualità dei reparti che affluivano al fronte si eliminarono i depositi avanzati per creare i reparti di marcia, ogni centro di mobilitazione formava un battaglione di marcia, compagnia per gli alpini, ed un reparto di complemento e istruzione. I primi erano in grado di fornire rimpiazzi già inquadrati ai vari reggimenti della dimensione minima di una compagnia, prima e dopo le operazioni belliche, i secondi fornivano militari addestrati ai reparti di marcia o aiutavano in caso di emergenza a rifornire direttamente il fronte.
In pratica per tutto il 1916 si arrivò a costituire esclusivamente battaglioni di marcia per sole brigate e mai per reggimento, come avveniva per gli austriaci.
Altra fonte di rimpiazzi, inquadrata a plotoni erano i depositi di convalescenza e tappa eredi dei vecchi depositi avanzati, formati seguendo il principio secondo il quale il soldato convalescente doveva essere reintegrato nei ranghi della stessa brigata nei quali aveva combattuto, circostanza che contribuì a mantenere in parte il carattere di regionalità dei corpi.
Man mano che il conflitto progrediva si ebbe un calare della regionalizzazione dei reparti, infatti la carenza di truppe e la necessità di mescolare veterani e reclute favorirono il rimescolamento delle parti. Un sempre maggiore ricorso a tutti i possibili individui idonei al servizio in guerra portò allo spostamento di molto personale dai servizi logistici alle truppe combattenti, questo personale venne rimpiazzato nei servizi da non idonei e da elementi anziani della leva territoriale.
A fine 1916 e per tutto il 1917 si ebbero quindi nuove brigate di Milizia Mobile con personale combattente misto e con personale dei servizi originario della stessa regione, facevano eccezione le brigate mobilitate nella primavera del 1916 che mantennero elevate caratteristiche di regionalità tanto da riconoscersi dal dialetto parlato.
Nell’aprile 1917 sfruttando il recupero delle compagnie fucilieri, la 4° compagnia tolta ai battaglioni, si crearono brigate di marcia da utilizzare come riserva d’armata, il flusso dei complementi veniva così rivoluzionato, infatti il militare che giungeva di centri di mobilitazione stazionava presso la brigata di marcia nel battaglione complementare assegnato alla propria brigata, la quale aveva ereditato gli istruttori dei depositi di tappa, indi passa ai VII battaglioni di brigata e di qui in linea.
A seguito della grave crisi degli effettivi che venne a colpire l’esercito verso la metà del 1917 fu impossibile garantire l’affluenza al corpo di appartenenza designato dal centro di mobilitazione, le unità in linea divennero sempre più eterogenee nella loro composizione regionale finché dopo la disfatta di Caporetto nel 1918 vi fu una riforma nell’afflusso dei complementi, causa lo scioglimento di molte unità.
Alcune unità mantennero la propria tipologia di reclutamento inalterata:
• solo reclutamento nazionale per tutta la guerra, brigata Granatieri di Sardegna (Regg. 1 e 2 ) con sede e deposito a Roma, trattasi del possesso di una non comune prestanza fisica e della statura; Brigata ferrovieri del genio, trattasi di personale specializzato.
• Reclutamento territoriale – regionale per tutta la guerra, tutte le truppe alpine e la Brigata Sassari, divenuta Brigata sarda con circolare in data 3.12.1915 del Comando Supremo.
Il rendimento bellico rimase elevato per tutta la guerra per i reparti summenzionati, mentre per le unità miste vi fu un progressivo deterioramento dovuto anche allo scarso addestramento a seguito della necessità dei rimpiazzi, questo ancor più con la disgregazione avvenuta a Caporetto.
La Prima Guerra Mondiale provocò tra i soldati italiani circa 650.000 morti, 947.000 feriti e 600.000 tra prigionieri e dispersi. Inoltre circa 240.000 soldati furono condannati a morte, all’ergastolo o al carcere in 870.000 processi per fuga, diserzione, rivolta, disubbidienza, ritardo, autolesionismo. Il 90% dei soldati morti, circa 500.000, erano del sud in quanto agricoltori, mentre nel nord più industrializzato gli operai necessari alla produzione bellica non erano stati richiamati.
Emergono qui le diverse mentalità tra i Borboni e i Savoia, i Borboni avevano per motto “uomo che fugge è buono per un’altra battaglia”, mentre i Savoia usavano sistemi più duri quali la decimazione, questa diversa impostazione viene a riemergere nella diversa modalità che si ebbe nei comandi tra Cadorna e Diaz.
( Tratto da: Giuseppe A. Violetta, ARCESI al fronte nella Grande Guerra 1915 – 1918, pagg. 255-260, Ed. La Lanterna, 2018)