Nell’80° Anniversario della Liberazione l’Istituto del Nastro Azzurro rende un doveroso omaggio alle donne che hanno meritato la massima decorazione al Valor Militare.
BIANCHI LIVIA
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si unì alla lotta antifascista, inquadrata con il nome di battaglia di “Franca” nella 52ª Brigata Garibaldi come staffetta porta-ordini e combattente. Il 21 gennaio 1945, dopo un violento combattimento, rifugiatasi con altri compagni di lotta in una casa di Cima di Porlezza, fu con essi costretta alla resa con la promessa di avere salva la vita. Furono invece speditamente condotti al locale cimitero e schierati di fronte al muro di cinta per essere sommariamente passato per le armi. A Livia Bianchi fu offerta la grazia e la libertà in quanto donna, ciò che – come recita la motivazione della M.O.V.M. che le fu concessa alla memoria – ella rifiutò per la sua dignità di donna e di partigiana restando unita ai compagni nel supremo sacrificio.
“Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia montagna una pattuglia che, scontratasi con un reparto nemico impegnava dura lotta, cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d’Italia. – Cima Valsolda, settembre 1943 – gennaio 1945”.
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DEGLI ESPOSTI GABRIELLA
Dopo l’8 settembre 1943, assieme al marito Bruno Reverberi, trasformò la propria casa in una base della Quarta Zona della resistenza modenese, di cui divenne coordinatrice. Nonostante fosse madre di due bambine piccole e fosse in attesa di un terzo figlio, partecipò ad azioni di sabotaggio e si impegnò anche nell’organizzazione dei primi Gruppi di difesa della donna (GDD). Il 13 dicembre 1944, a seguito di un rastrellamento dei tedeschi, Gabriella Degli Esposti fu catturata da un gruppo di SS e benché incinta, fu prima picchiata e poi minacciata di morte affinché rivelasse dove si trovava il marito e infine fu portata via. Il 17 dicembre insieme a nove suoi compagni di prigionia fu trasportata sul greto del fiume Panaro e fucilata. Prima di essere uccisa, nonostante fosse incinta, Gabriella fu barbaramente seviziata.
“Due tenere figliolette, l’attesa di una terza, non le impedirono di dedicarsi con tutto lo slancio della sua bella anima alla guerra di liberazione. In quindici mesi di lotta senza quartiere si dimostrava instancabile ed audacissima combattente, facendo della sua casa una base avanzata delle formazioni partigiane, eseguendo personalmente numerosi atti di sabotaggio e contribuendo alacremente alla diffusione della stampa clandestina. Accortasi di un rastrellamento, riusciva ad allontanare gli sgherri dalla propria casa per breve tempo e, incurante della propria salvezza, metteva al sicuro le figliole ed occultava armi e documenti compromettenti. Catturata, fu sottoposta alle torture più atroci per indurla a parlare, le furono strappati i seni e cavati gli occhi, ma ella resistette imperterrita allo strazio atroce senza dir motto. Dopo dura prigionia, con le carni straziate, ma non piegata nello spirito fiero, dopo aver assistito all’esecuzione di dieci suoi compagni, affrontava il plotone di esecuzione con il sorriso sulle labbra e cadeva invocando un’ultima volta l’Italia adorata. Leggendaria figura di eroina e di martire.” Castelfranco Emilia 17 dicembre 1944