
2 agosto 1916
L’affondamento della corazzata Leonardo da Vinci
Gianlorenzo Capano
Prologo
Il 27 settembre 1915, alle otto del mattino, una fortissima esplosione squarciò la fiancata sinistra della corazzata Benedetto Brin ormeggiata nel porto di Brindisi. «Mentre i brindisini fuggono dalle case, scosse come da un terremoto, la corazzata va a fondo con metà dell’equipaggio muoiono 456 marinai, tra i quali l’Ammiraglio Ernesto Rubin de Cervin.» Nave ammiraglia della prima divisione della seconda squadra, la corazzata, costruita nei cantieri navali di Castellammare di Stabia, era lunga 138 m, dislocava, a pieno carico, 14.574 tonnellate e raggiungeva una velocità di 20 nodi.
L’inchiesta,aperta dal Comandante in capo della Squadra navale, dopo un lungo dibattito e dopo che la commissione incaricata ascoltò superstiti e testimoni, terminò nel novembre successivo con la seguente conclusione:«escluse tra le cause del disastro quelle che potevano riferirsi ad agente esterno, quelle derivanti dal dolo, quelle dovute a cattiva organizzazione dei servizi interni, quelle dipendenti da incuria del personale, rimangono quella della spontanea esplosione e quella di un’imprudenza, ma quest’ultima non si può concepire perché il personale è sempre perfettamente conscio.» Quindi, secondo la commissione, l’evento fu da attribuirsi a cause fortuite.
La Corazzata Leonardo da Vinci
La corazzata Leonardo da Vinci, costruita nei cantieri Odero di Sestri Ponente, fu varata ne 1911 ed entrò in servizio nel maggio del 1914. Essa, con una lunghezza di 168,9 m, aveva un equipaggio di 1195 uomini, un dislocamento a pieno carico di 24.677 tonnellate ed era armata con 13 cannoni da 305/46 mm, 18 da 120/50 mm, 16 da 76/50 mm, 6 da 76/40 mm e con 3 tubi lanciasiluri da 450mm.
Il 2 agosto 1916 l’Unità era alla fonda nel Mar Piccolo di Taranto. Il Comandante, Capitano di Vascello Galeazzo Sommi-Picenardi, era rientrato sulla nave alle 22:30. Alle 22.55 gli uomini a bordo percepirono una vibrazione dello scafo accompagnata da un rumore cupo come di un tuono lontano. I marinai avvertirono gli uomini di guardia, gli ufficiali accorsero ed il Comandante si precipitò in pigiama sul ponte, ordinando di svegliare tutti e di consegnare all’equipaggio le maschere antifumo. Quando fu dato l’ordine di allagare i sottostanti depositi di munizioni dai quali si vedeva filtrare del fumo, era già troppo tardi. Dopo 25 minuti, la poppa fu sventrata da una fortissima esplosione. «La potente nave sbandò, si capovolse e si adagiò nel basso fondale con la carena affiorante. Nel disastro perirono 249 uomini compreso il Comandante.» Fu nominata, dal Ministro della Marina, una commissione d’inchiesta che lavorò per parecchi mesi e che era costituita dal Vice Ammiraglio Augusto Canevaro, dal Vice Ammiraglio Carlo Avallone, dal Tenente Generale del Genio Navale Giuseppe Valsecchi, dai Professori Augusto Righi ed Angelo Battelli e dagli ingegneri Salvatore Orlando ed Edmondo Sanjust di Teulada. «Le conclusioni, classificate riservatissime, arrivarono nel giugno 1917: l’affondamento della Leonardo è stata un’azione delittuosa favorita da un deplorevole stato di abbandono in conseguenza del quale a bordo non si vegliava.»
Spionaggio e controspionaggio
L’Evidenzbureau, il Servizio Segreto austriaco, in base a quanto affermato dal suo capo durante la Prima guerra mondiale, il Generale Max Ronge, conobbe in anticipo tutti i piani italiani. A Zurigo, infatti, aveva sede la base operativa dello spionaggio austro-germanico contro l’Italia: a dirigerla c’erano il console generale Ernst Maurig von Sarnfeld ed il Capitano di Vascello Rudolf Mayer, suo vice. Lì veniva custodito lo schedario degli agenti e dei collaboratori italiani assoldati da Vienna («l’Evidenzbureau era molto ricco, perché il governo di Vienna gli aveva messo a disposizione somme quasi illimitate, purchè l’organizzazione conseguisse gli scopi sperati» ) e da lì partivano le direttive per le azioni di sabotaggio. In questa fitta rete di spionaggio austriaco il capo della Polizia Giacomo Vigliani ordinò di infiltrare alcuni collaboratori. Apparve così, sulla scena, il fruttivendolo napoletano Enea Vincenzi, «una fonte confidenziale del commissario di PS Ernesto Cimmaruta, affiancato come esperto di controspionaggio al servizio segreto della Marina militare.» La sua azione ebbe inizio nel novembre del 1915 quando il Vincenzi, precedentemente contattato da Mayer che lo avrebbe voluto assoldare al suo servizio, si dimostrò pronto a fare il doppio gioco, con il benestare del controspionaggio italiano. Per conto dell’Evidenzbureau egli avrebbe dovuto organizzare attentati contro navi italiane, ricevendo centomila lire per ogni nave affondata. Il piano italiano, approvato da Vigliani e dai servizi segreti della Marina che dettarono, a Vincenzi, una lettera per Mayer contenente il nome del complice che avrebbe sabotato la corazzata Leonardo da Vinci e le istruzioni per fargli recapitare la somma prevista, prevedeva che la lettera stessa venisse recapitata, a Zurigo, alla signora Cuchet, collaboratrice dell’Evidenzbureau. Nella risposta di Mayer venne fissato, come termine ultimo per l’esecuzione dell’attentato, il 10 giugno, poi prorogato al 4 agosto. Il 2 agosto la corazzata fu affondata. «La PS ed i servizi segreti subito dopo il disastro pensarono che Vincenzi li avesse ingannati e fosse complice nel sabotaggio, ma non gli fecero trapelare i sospetti. Lui si mostrò ignaro dell’affondamento della nave.» Quando il fruttivendolo venne convocato da Mayer, a Lugano, per il 27 agosto successivo, questi vi si recò dopo aver avuto, dal commissario Cimmaruta, l’autorizzazione a partire. Dopo circa un mese di silenzio, Vincenzi, con una lettera indirizzata al commissario, fece il resoconto della sua missione, facendo capire di temere che il suo doppio gioco fosse stato scoperto dagli austriaci. «Sono stato lasciato nei pasticci», concluse, con la consapevolezza dell’agente doppio che si era reso conto di essere arrivato alla fine del gioco. E di che fine fece, in effetti, non si ebbe notizia.
Operazione Zurigo
Dopo l’affondamento delle corazzate Brin e Leonardo da Vinci «non c’era più tempo da perdere, se non si voleva veder saltare chissà quante navi una ad una.» Pertanto, al Capitano di Vascello Marino Laureati, capo dello spionaggio della Marina Militare, furono messi a disposizione, per potersi contrapporre all’Evidenzbureau, i denari e gli uomini che chiedeva. Uno di questi fu il Capitano di Corvetta Pompeo Aloisi, primo consigliere della legazione italiana a Berna, nonché capo degli agenti italiani in Svizzera. La Marina italiana, infatti «dopo essere stata squassata dalle esplosioni delle sue migliori corazzate, aveva deciso di passare all’offensiva. Era, in particolare, la IV sezione della Marina, quella cioè che si occupava di controspionaggio, ad avere un piano: distruggere la mente dell’Evidenzbureau Marine, Rudolph Mayer.Con lui doveva essere azzerata la sezione sabotaggi con tutte le sue quinte colonne sparse sul territorio italiano. Per farlo era necessario mettere a segno un colpo. Portare a termine una rapina un po’ particolare. Non per rubare soldi o gioielli, ma per appropriarsi di una lista di nomi: quelli dei sabotatori delle navi italiane. La Marina decise, quindi, di infiltrare un suo uomo nella squadra di Mayer per tenerlo d’occhio da vicino e approntare un piano per il furto. Il suo nome era Livio Bini» , un avvocato di dubbia reputazione, cui venne affidato, inizialmente, il compito di scoprire l’ubicazione della centrale informativa austriaca, che risultò trovarsi nel centro di Zurigo con il nome di Ufficio del Consolato generale austro-ungarico. Successivamente Bini, da buon infiltrato, cercò di avere un rapporto costante con Mayer che, comunque, risultò essere una persona non facile da raggirare in quanto molto sospettosa. Nel suo ufficio, una cassaforte custodiva carte e documenti. Fu così che, sotto il controllo dell’Aloisi, nacque l’idea di organizzare una rapina per carpire i segreti della cassaforte. Da solo Bini, chiaramente, non avrebbe potuto portare a compimento l’azione, anche perché per raggiungere l’obiettivo, «bisognava aprire ben sedici porte, tutte molto robuste e con serrature diverse, che ogni sera un apposito sorvegliante incaricato della sicurezza degli uffici, chiudeva a chiave.» Gli furono quindi affiancati Natale Papini, livornese, abilissimo scassinatore di casseforti, Remigio Bronzin, triestino, esperto di serrature e Stenos Tanzini, lodigiano, sottufficiale della marina, specialista torpediniere passato all’intelligence. A dare man forte venne anche inviato in Svizzera il tenente Ugo Cappelletti. Dopo due mesi di preparativi, la data per il colpo venne fissata per il 20 febbraio, circa sei mesi dopo l’affondamento della corazzata Leonardo da Vinci. Ma qualcosa andò storto in quanto i quattro (Tanzini, Bronzin, Papini e Bini), dopo essersi introdotti nella sede di Mayer, non riuscirono ad aprire la porta della sua stanza, poiché un secondo chiavistello, non notato in precedenza, li costrinse a desistere. L’operazione venne ripetuta il 26 febbraio successivo. Introdottisi nell’edificio alle nove di sera, i soliti quattro ne uscirono sette ore dopo, alle quattro del mattino del 27 febbraio. Questa volta le serrature si aprirono una dopo l’altra, senza intoppi. Ci vollero però quattro ore per aprire la cassaforte. Erano le due di notte quando Papini diede l’ultimo colpo di fiamma. All’interno furono trovati «gioielli, francobolli, oro, moneta austriaca, svizzera e germanica, per circa cinquantamila corone. E ancora inchiostri simpatici, reagenti, cifrari. Ogni cosa venne sottratta perché l’azione non doveva perdere le caratteristiche di un furto ordinario. Ma a sparire nelle capienti valigie degli uomini della IV Sezione della Marina fu soprattutto una marea di documenti. Come sospettava il controspionaggio, tra quelle carte c’era di tutto. Una miniera di informazioni strategiche: dalle piante dettagliate dei porti italiani ai progetti di sabotaggio delle corazzate con tanto di nomi e cifre pagate per il tradimento. […] Quattro valigie di verità agghiaccianti.» Ovviamente non tutto il materiale era autentico, ma c’erano anche dati ed informazioni ad uso del doppio gioco e dei depistaggi..«Come in tutti gi archivi delle spie, c’erano verità e menzogne.»
Le sette ore passate all’interno della sede dell’Evidenzbureau di Zurigo segnarono la storia della Marina Italiana e, come disse l’Ammiraglio Thaon di Revel nell’apprendere la notizia del buon esito del colpo, valsero più di una battaglia vinta. Si concluse così l’operazione nota come “il colpo di Zurigo”, ricordata come forse la più audace e brillante missione di intelligence del controspionaggio italiano di tutta la guerra.
Epilogo
Dopo aver analizzato i documenti sottratti a Mayer, il Servizio Segreto della Marina attribuì «la responsabilità del sabotaggio della corazzata Leonardo da Vinci a Vincenzi, indicando come suoi complici il commissario Cimmaruta ed il maresciallo di Marina Luigi Criscuolo, segretario del Comandante della Leonardo.» I tre furono denunciati al tribunale militare per alto tradimento. Dall’altro lato la Polizia, nella persona del Questore Giovanni Gasti, direttore dell’Ufficio centrale investigazioni, esaminò «uno per uno i documenti di Zurigo e presentò ai giudici militari una relazione che ribaltò la tesi colpevolista del servizio segreto della Marina. […] La sua conclusione fu che le accuse contro il commissario Cimmaruta, il maresciallo Criscuolo ed il fruttivendolo Vincenzi si basavano su mistificazioni dei servizi segreti austriaci.»
Al termine di una lunga vicenda processuale il Tribunale militare di Trani assolse i tre imputati per insufficienza di prove.
La verità sulla corazzata Leonardo da Vinci, pertanto, rimane avvolta nella nebbia.
A Taranto, nella Villa Peripato, a sorvegliare quello scorcio del Mar Piccolo, dove avvenne l’affondamento dell’unità, è stato posizionato il busto bronzeo di Leonardo, ad essa appartenuto.
Bibliografia
– M.Bragadin,” La più audace impresa del controspionaggio nella Prima guerra mondiale” in
Rivista Storia Illustrata n.142, Settembre 1969;
– E. Cernuschi, Battaglie Sconosciute, Ed In Edibus, Vicenza, 2014;
– G. Fasanella/A.Grippo, 1915, Ed. Sperling & Kupfer, Segrate (MI),2015;
– M.Izzo, I giganti del mare, Ed. Giovanni De Vecchi, Milano, 1972;
– A. Paloscia, Benedetto fra le spie, Ed. Mursia, Milano, 2013;
– A. Vento- In silenzio gioite e soffrite- Ed. Il Saggiatore, Milano,2010.