Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Premessa
L’assedio di Mariupol e la resistenza nei bunker delle acciaierie su un’area di circa 10 Kmq, ha non solo un valore militare sul campo, ma acquista e richiama antichi significati legati alle fortezze .
Solo in parte la fortezza è l’erede del castello del Medio Evo, questo è legato prevalentemente al concetto feudale di Signore. In esso risiede il potere del feudatario, sia quale legislatore che protettore del circondario dalle aggressioni esterne, estremo rifugio per il contado.
Il castello acquista quindi un significato mitico, dei tempi eroici persi nella memoria popolare, per diventare nell’Evo moderno del XVII e XVIII secolo sede del tiranno oppressore, qualcosa di oscuro dove risiede il male e le devianze del vecchio regime, un simbolo da abbattere, per riacquistare nel XIX secolo l’aere nostalgica di un tempo eroico.
Basti pensare al castello dell’Innominato nei Promessi Sposi o all’opposto al ciclo di Wagner in Baviera.
Diversa è la fortezza, qui prevale l’immagine della resistenza, della tenuta di fronte alle forze avverse, tanto che il termine assume il significato positivo nella lingua corrente di tenuta morale.
Vi è qui pertanto un significato che assume aspetti ideologici, di difesa non solo di un singolo o di una comunità, ma più astrattamente di un ideale, di una idea nella saldezza delle proprie certezze.
Ecco che i recenti fatti di Mariupol ,nella loro violenza, fanno riemergere la memoria dell’idea di fortezza e della resistenza che in essa si oppone all’imposizione violenta di un dominio e di una ideologia.
L’evoluzione storica della fortezza si salda pertanto al significato corrente di resistenza morale e, per tale via, alle attuali vicende in Ucraina, che nel loro richiamare precedenti storici ci ricorda i corsi e ricorsi vichiani, ma anche la necessità di avere una propria saldezza morale in una società “liquida”.
Introduzione
Le tavole che seguono vanno dal XVI al XVIII secolo, esse mostrano una parabola determinata dall’introduzione delle bocche da fuoco e dal continuo perfezionarsi della metallurgia, sia nella fusione che nei metodi di lavorazione, una capacità che in Inghilterra diede vita sul finire del XVIII secolo alla Rivoluzione Industriale dei telai meccanici.
Vi fu un continuo miglioramento che rimane tuttavia entro i parametri delle bocche da fuoco ad anima liscia ed alla limitata potenza del propellente costituito dalla polvere nera.
Con il XIX secolo vi è l’introduzione di nuove polveri, la rigatura delle bocche da fuoco e l’uso di nuovi metalli, che manifestano il loro effetto già dalla metà del secolo, basti pensare in America alla guerra civile, in Europa alla guerra franco-prussiana ed in Italia agli assedi di Gaeta e Messina, fino a rivoluzionare totalmente il concetto di fortificazione con la nuova potenza delle armi e i nuovi mezzi aerei e cingolati della Grande Guerra.
Il maggiore del Genio E. Rocchi nell’introduzione alla sua opera, “Le origini della fortificazione moderna” edizioni Voghera Enrico, Roma 1894, così si pronuncia: “Le forme primitive dell’architettura militare del Rinascimento, fondate sul concetto del fiancheggiamento e della difesa radente, contengono in germe gli elementi dal quale, nei secoli successivi, di fronte al perfezionarsi dei mezzi d’offesa e in corrispondenza al progresso delle scienze fisiche e meccaniche, potenti sussidiarie dell’ingegneria militare, trassero origine i più svariati sistemi di fortificazione.
I colossali ordinamenti difensivi dell’epoca odierna, favoriti o resi necessari dalla potenza e dalla gittata delle artiglierie, dall’impiego del vapore e dell’elettricità e dalla mole degli eserciti, sono informati, nell’insieme e nei particolari, agli stessi concetti che guidarono gli architetti italiani dei secoli XV e XVI alla ricerca della magistrale bastionata e dalla costruzione di piazze di limitatissima estensione, rispondenti alle esigenze militari e proporzionate alle risorse della tecnica e dell’industria di quell’epoca. Così, ad esempio, l’azione fiancheggiante, limitata a poche centinaia di metri, che gli architetti italiani ottennero mirabilmente con l’organizzazione difensiva dei fianchi dei baluardi, risponde allo stesso concetto di quella estesa a parecchi chilometri che, nelle fronti difensive degli odierni campi trincerati, è affidata alle bocche da fuoco corazzate, disposte in batterie sul rovescio delle opere o in torri girevoli.
L’identità del concetto direttivo dell’odierna arte fortificatoria e di quella che seguì l’introduzione delle armi da fuoco, porta pertanto a comprendere le forme difensive, in apparenza le più disparate, in un solo periodo storico: il periodo della fortificazione moderna, della quale la magistrale bastionata rappresentala primitiva manifestazione”.
Evoluzione storica
Il progressivo perfezionamento delle fortificazioni con il rinforzo dei bastioni e la costruzione di opere esterne, quali i rivellini, atti a mantenere a distanza le fanterie nemiche, fece sì che si procedette a perfezionare la guerra per mine e si introdusse la costruzione lenta ma progressiva delle parallele per l’avvicinamento alle opere difensive.
La guerra per mine, mediante scavi alle fondamenta delle fortificazioni assediate, viene già teorizzata a partire dal XV secolo da Domenico da Firenze nel 1403 durante l’assedio di Pisa, ma le prime prove pratiche avvengono all’assedio di Belgrado contro Amurath nel 1439 e nell’assedio di Costantinopoli nel 1453.
Mariano da Jacopo detta le prime rudimentali regole nell’uso delle mine a polvere, ma è solo con Francesco di Giorgio Martini che vi è una teorizzazione completa nell’esecuzione delle mine, con l’adozione di un tracciato a risvolti.
La prima applicazione ben documentata delle mine a polvere avviene nel 1495 all’assedio di Castelnuovo a Napoli da parte degli Aragonesi a danno del presidio francese lasciato da Carlo VIII una volta ritiratosi.
La storia si ripete nel 1503 all’assedio di Castello dell’Ovo, sempre a Napoli, ad opera degli spagnoli di Consalvo di Cordova, sempre contro i francesi di Francesco I, precedentemente battuti a Cerignola. Altre mine da ricordare sono quelle dei turchi all’assedio di Rodi nel 1522 per la loro grandiosità e nel 1550 all’assedio di Aphrodiscum, fortezza tra Tunisi e Tripoli, ad opera dell’ingegnere Antonio Ferramolino, per le difficoltà tecniche del terreno che imposero scavi a trincea protetti lateralmente e superiormente da travate e panconi.
Sempre nel XVI secolo si devono ricordare le prime mine offensive a partire dall’assedio di Padova nel 1509, in cui sotto i bastioni o baluardi furono preparate delle “cave” caricate con barili di polvere da fare brillare se gli assalitori avessero occupato l’opera difensiva, come effettivamente avvenne nel bastione di Codalunga quando il capitano Giovanni Gregori di Perugia, detto il “Citolo”, fece scoppiare la mina seppellendo gli assalitori spagnoli e salvando dalla presa Padova, inducendo così l’imperatore Massimiliano a levare dopo 40 giorni l’assedio.
In opposizione alle mine con polvere si studiarono delle contromisure che riducessero l’effetto delle esplosioni dando sfogo alla pressione dei gas, furono ideati quindi i pozzi a campana, gli androni a piramide e altri vuoti, quali corridoi e le casematte in serie ricavate dalle muraglie, di cui maestri ne furono Giuliano e Antonio da Sangallo nella Rocca d’Ostia (1483) e nel baluardo Ardeatino (1535), descritti nel “Trattato” di Luigi Marini.
Ma è con lo scritto di Francesco de Marchi, “Architettura militare”, che vi fu una descrizione completa delle contromisure, che trovarono una prima completa applicazione nel 1572 per volontà di Emanuele Filiberto nella cittadella di Torino eretta nel 1564.
Le contromisure erano a due ordini, con piazze allargate e collegate tra loro, nelle quali si aprivano dei fornelli con esplosivi per le contromine, un sistema che salvò Torino nell’assedio del 1706, quando Pietro Micca con il proprio personale sacrificio fece saltare una delle gallerie all’avvicinarsi dei granatieri francesi.
Altri miglioramenti furono ottenuti nel XVII secolo dai francesi ad opera del Vauban e del Belidor, anche a seguito dell’esperienza maturata nell’assedio di Candia (1666-69), ma sempre rifacendosi agli studi degli ingegneri italiani, di cui resta una magnifica traccia nella cittadella di Alessandria e nel sistema difensivo sulle alture di Genova.
Si giunge quindi all’ultimo periodo, quello tra la metà dell’Ottocento e la Grande Guerra, con le fortificazioni francesi di Verdun ed il sistema dei forti sulla fronte italo-austriaca, il cui risultato fu differente per il metodo di costruzione e i materiali utilizzati.
Ad un sostanziale risultato positivo dei francesi le cui strutture resistevano anche ai colpi da 420 degli obici, vi fu un risultato dubbio sul fronte italiano essendo le strutture testate per i calibri medi da 150, a parte l’eroica difesa nel novembre 1917 di Forte Festa sulle Alpi Carniche, come descritto ampiamente nel testo di Leonardo Malatesta “I forti della Grande Guerra. Le opere italiane ed austriache protagoniste della guerra dei forti 1915-1917”, Pietro Macchione editore 2015.
La guerra dei forti dal 23 maggio al 25 luglio 1915, non fu che un lungo duello di artiglieria, a cui seguì il loro disarmo per la nostra iniziale carenza di artiglierie sui fronti trincerati dell’Isonzo.
Questo loro risultato positivo indusse tuttavia i francesi ad appoggiarsi negli anni tra le due guerre sulla speranza della linea Maginot, rinunciando a sviluppare le nuove tecniche di combattimento nate dai progressi tecnici, fino alla sconfitta del giugno 1940.
Sempre nella Grande Guerra si deve rammentare l’ultimo utilizzo delle “mine di polvere” per demolire i campi trincerati posti sulle cime montagnose, come pure fu perfezionato il sistema delle trincee attraverso parallele, piazzole, collegamenti e casermaggi interrati.
Bibliografia
- Rocchi, Le origini della fortificazione moderna, Roma 1894;
Trattato di fortificazione moderna per giovani militari italiani, di Antonio Soliani Raschini, in Venezia 1748.