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Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Riferendosi al concetto moderno di guerra nel diritto internazionale, è interessante rifarsi alle teorie medioevali del “iustum” che indirettamente vengono riprese quale termine di paragone nel valutare l’atto bellico.
L’attuale pandemia come una qualsiasi guerra moderna pone il problema del rapporto tra perdite economiche e umane, evidenziando l’ulteriore problema della loro sostenibilità, circostanza che ha favorito l’attuale guerra in Ucraina.
Nel cercare di ridurre le perdite umane si aumentano le perdite economiche e viceversa, come d’altronde si deve stabilire quando da una normale epidemia, propria della specie umana, si passa alla eccezionalità della pandemia.
Si entra così indirettamente nel concetto di “giusto”, ossia quando è giusto entrare nell’eccezionalità o quando far prevalere l’aspetto economico o al contrario quello umanitario. Vi sono in questo sensibilità culturali opposte che vengono a porre il problema di determinare “chi” ha l’autorità di decidere, assumendo in sé il potere di stabilire quando una decisione è “giusta”.
Questo si ricollega storicamente ed affonda le radici nell’ambito occidentale al “bellum iustum” di matrice romano-cristiana, quindi all’evoluzione che avviene a partire da Costantino e di cui le nostre decisioni portano ancora l’impronta attraverso tutte le possibili evoluzioni successive.
La pandemia quale nuova possibile forma di guerra che, nel disarticolare l’economia e la società, ne permette la conquista economica attraverso la svendita delle strutture, ma anche un possibile indebolimento a fronte di una eventuale aggressione.
Emerge la debolezza del sistema, la guerra civile che la pandemia innesca nella mancanza di una chiara gestione che definisca nel concetto di “giusto”, i limiti e la direzione dell’agire.
La progressiva chiusura in sé conduce alla ferocia individuale, alla lotta per la sopravvivenza e indebolisce il sistema, impedendo il ricompattarsi identitario dietro a chiari riferimenti e a istituzioni che ne definiscano il giusto accettabile, equilibrio tra i vari interessi contrapposti.
Il risultato è il lento impoverirsi della Nazione il suo scivolare fuori dalle aree economiche verso una subalternità sempre più evidente, nel contempo vi è il riemergere o recupero di riferimenti e principi storici che sembravano superati, quali il riferimento in Russia all’antico principato di Kiev, simbolo di coesione nazionale e potenza, e il riallacciarsi al Patriarcato di Mosca, terza Roma, in termini di legittimazione.
Se con l’Editto di Costantino del 313 d. C. la religione cristiana era stata permessa, con l’imperatore Teodosio il 27 febbraio 380 diventa religione ufficiale dell’impero.
Da questa data la dottrina, le norme e i canoni della Chiesa diventano parte dello ius pubblicum.
L’imperatore quale garante della Chiesa, nel convocare e presiedere i concili, promulgare i canoni, garantire l’ortodossia e combattere l’eresia o l’apostasia, divenuti crimini pubblici, è considerato uguale agli apostoli e vescovo per gli affari esterni della Chiesa.
In questa funzione di garanzia della Chiesa, il diritto romano viene codificato totalmente, tanto che instaura uno stretto rapporto tra norma canonica e norma imperiale, tuttora riscontrabile nell’attuale diritto processuale.
La Chiesa viene quindi ad affermare nei secoli di mezzo che “lex romana vivit in Ecclesia”, si definiscono le norme canoniche (canones) differenti dalle leggi imperiali (nomoi).
Nel IX secolo si formeranno, attraverso l’unione dei “canones” con i “nomoi”, collezioni giuridiche miste.
In oriente vi è un interdisciplinare tra il diritto romano imperiale e quello ecclesiastico, in quanto l’imperatore, avendo ricevuto l’impero da Dio quale frutto della provvidenza divina, ne doveva custodire anche l’ortodossia della Chiesa, definita mediante concili ecumenici patrimonio della Chiesa unita del primo millennio.
Con il Concilio di Calcedonia (451), nel proclamare nel canone 28 il primato d’onore a Costantinopoli, la nuova Roma, si crea un primo dissidio con la Chiesa latina occidentale, che ne rifiuta il canone in quanto custode della tomba di S. Pietro e suo erede.
Nella disgregazione dell’Impero d’Occidente solo la Curia papale, modellata su quella romana, viene a possedere un archivio, mantenendo la possibilità di relazione diplomatiche e la memoria giuridica, si aprono ampie possibilità di autonomia.
L’incoronazione di Carlo nel Natale dell’800 e la nascita del Sacro Romano Impero, nella sostanziale differenza con l’incoronazione del “basileus”, che avviene secondo la tradizione imperiale romana, pone il Papato sullo stesso piano dell’Impero.
Regna per tutto il periodo carolingio una sostanziale armonia tra Impero e Papato, i “missi dominici imperiali” sono affiancati dai “missi ecclesiastici”.
Solo nel periodo degli Ottoni di Sassonia esplode il contrasto per la lotta alle investiture, dovuto al tentativo degli Ottoni di contrastare l’eredità dei feudi a seguito del Capitolare di Kiersy e la “Constitutio de feudis” di Corrado il Salico, con l’investitura feudale dei vescovi, i quali vengono peraltro consacrati dallo stesso imperatore.
La lotta termina con il Concordato di Worms (1122), in cui viene riconosciuto al solo romano Pontefice il potere di nominare e consacrare i vescovi, con la sola eccezione per la Germania, nascono in questo periodo una serie di teorie a supporto della rispettiva autorità.
La diplomazia ecclesiastica prevale sull’autorità formale dell’Impero fino alla riforma del ‘500, teoria curiale e teoria imperiale si contrastano a vicenda.
La dottrina canonistica del XII secolo afferma la supremazia della Santa Sede sul potere imperiale, fornendo la base ideologica del potere papale di Innocenza III e Bonifacio VIII.
Già in un’epistola di Papa Gerasio all’Imperatore Anastasio I, nel V secolo, si distinguevano i due poteri nell’“auctoritas sacrata pontificium” e nella “imperialis potestas”.
I concetti ripresi 500 anni dopo da Gregorio VII nel “Dictatus Papae” (1075), gettano le basi per la teocrazia pontificia, fino all’affermazione del principio di “Auctoritas spiritualis” che giustifica l’intervento del romano pontefice sull’autorità pubblica laica.
Se Graziano riconosce il principio della “iuris dictio divisa”, affermando tuttavia il potere del romano pontefice per la deposizione dell’Imperatore, Uguccione di Pisa dichiara il pontefice, in quanto erede di Pietro, “Vicarius Christi” e come tale fornito dell’ auctoritas necessaria a deporre l ‘ Imperatore in caso di sua negligenza nel tutelare la Chiesa e nel gestire l ‘ Impero.
Innocenzo III fa un ulteriore passo affermando il potere del pontefice (auctoritas pontificia) di “trasferire l’imperium” in caso della necessità di un suo intervento correttivo, in mancanza di una giustizia secolare, si afferma il carattere sovranazionale dell’auctoritas pontificia.
Si giunge al pensiero teocratico di Bonifacio VIII che nella “Bolla Ausculta fili” e nella “Unam Sanctam” (1301) dichiara la superiorità assoluta del romano pontefice su qualsiasi autorità regale o imperiale.
“Ascolta figlio mio, Dio ha posto il romano pontefice al di sopra dei re e dei loro regni, perciò tu non puoi dire, o re, di non avere nessuno sopra di te. Anche tu sei soggetto al Papa, chi viene in contrario o è un pazzo o è un infedele” ( Bolla Ausculta fili – 1301).
Con il venire meno dell’ Età di Mezzo e la “cattività avignonese” , viene a mancare il coincidere tra “ecclesia e civitas”, la nascita delle monarchie nazionali, nell’indebolire l’Impero, fa venire meno la base teorica per la “traslatio imperii” affermata dai Papi a partire dall’età carolingia.
Il nuovo pensiero umanistico e rinascimentale, di cui Marsilio da Padova con il suo “Defensor pacis” ne è uno dei maggiori rappresentanti, nell’affermare l’umanità delle istituzioni gerarchiche ecclesiastiche e non la loro origine divina, portano a modificare la teoria medioevale papale della “potestas directa in temporalibus” nella nuova teoria moderna della “potestas indirecta”.
Partendo dall’affermata distinzione tomistica del diritto divino naturale da quello divino positivo, nel XVI e XVII secolo la riflessione canonistica riconosce sia alla Chiesa che allo Stato, ciascuno nel proprio ambito, autorità nell’autonomia (Darmino, Suarez).
Sia per la concezione curialistica che per quella regalista si viene a parlare di un potere indiretto sullo Stato e sulla Chiesa, quest’ultima agisce in direzione spirituale sui singoli cittadini. Una teoria riaffermata all’inizio del ‘900 da Leone XIII con la “teoria della potestà direttiva” e riaffermata nel Concilio Vaticano II, quale capacità di dirigere la coscienza dei fedeli.
All’opposto il regalismo riconosce con Machiavelli e Boden il potere autonomo del Principe, che con l’affermazione degli Stati nazionali acquista varie forme, dal Gallicanesimo al Febronianismo, dal Giuseppinismo al vero e proprio Regalismo.
Al Regalismo nel XIX secolo succede il liberalismo con l’acquisizione da parte dello Stato di una propria posizione agnostica, che tuttavia viene a evolversi o nel “separatismo”, in cui non vi è alcun intervento dello Stato, o nel “coordinazionismo”, dove si raggiungono reciproci accordi tra Stato e Chiesa, come nel concordato.
Nel venire meno delle autorità papale e imperiale nel determinare il concetto di “giusto”, si creano le premesse per la ferocia nelle guerre di religione tra ‘500 e ‘600, travaglio per la nascita dei nuovi Stati moderni.
La conseguenza e la polverizzazione di quello che resta del Sacro Romano Impero Germanico degli Ottoni e la spinta a oriente nella valle danubiana degli Asburgo.
L’area germanica, fino alle guerre napoleoniche e alla formazione della Prussia, rimane paralizzata.
Come abbiamo già detto il sistema del riconoscimento reciproco tra Stati in guerra, instaurato dalle diplomazie, già messo in crisi con le guerre rivoluzionarie, tracolla definitivamente nel corso del ‘900.
Si cerca di istituire nuove organizzazioni in grado di sostituire il papato e l’impero nelle funzioni sovranazionali, la Società delle Nazioni, l’ONU, l’UE, la stessa NATO e l’OMS in precisi settori quali quello della difesa e della sanità.
Nel finire del secolo vi è un ultimo sussulto di queste organizzazioni sotto la cui egida si muovono coalizioni internazionali, basti pensare alla prima guerra del Golfo e alle guerre balcaniche degli anni ’90.
Tuttavia ben presto, con il nuovo secolo, riemergono gli Stati nella loro piena autonomia, in particolare i Super Stati, in cui prevale la singola volontà senza mediazioni e limiti apparenti esterni, vedesi il caso della seconda guerra del Golfo, ma anche la recente guerra in Ucraina.
Con la fine della Guerra Fredda invece di diminuire il numero dei conflitti vi è un aumento degli stessi, una serie di micro conflitti avvengono in tutto il mondo e la potenza americana si logora nel tentativo di svolgere una attività di polizia planetaria, crescono nuove potenze fino alla volontà di ridefinire nuove aree di influenza.
Il concetto di “giusto” torna ad essere frammentato.