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« Il Tempo » – quotidiano di Roma – con la firma del suo inviato Attilio Baglioni, il 28 maggio 1974 commentò il discorso con queste parole:
« Arroccato nella rivendicazione del suo diritto alla giustizia, il Congresso è tuttavia aperto alla riflessione sui grandi temi sociali e sui sommovimenti che squassano la società contemporanea. Lo ha fatto per tutti l’On. Viola medaglia d’oro al valor militare, rievocando il Congresso che l’Associazione tenne appunto cinquant’anni fa ad Assisi. Il ricordo di quei giorni di fuoco, nella parola di un uomo che ne fu protagonista, è valso a collocare in sede storica l’opposizione che il Congresso dei Combattenti tentò, nel 1924, contro il fascismo ormai al potere. Un’opposizione che, forse, avrebbe potuto orientare diversamente le vicende italiane, se le forze politiche e parlamentari non avessero tradito il loro ruolo.
« Nell’accusa ai cedimenti di ieri, c’era un monito per i cedimenti di oggi. Tanto più esplicito e indicativo se si rilegge l’ordine del giorno votato in quel lontano Congresso.
« Si affermava l’indipendenza e l’autonomia del movimento combattentistico, si condannavano le violenze allora come ora ricorrenti, si auspicava che al di sopra delle fazioni in lotta si ristabilisse l’imperio della legge e la sovranità dello Stato ».
Riprendo l’interrotta celebrazione di Assisi facendo qualche passo indietro.
Il 22 novembre 1924 illustrai alla Camera il seguente ordine del giorno, firmato anche dai colleghi Rossini, Musotto, Bavaro, Ponzio di San Sebastiano, Pivano e Pellanda: « La Camera invita il Governo a conformare la sua politica ai principi che i combattenti riuniti ad Assisi unanimemente affermarono, interpretando la fedeltà alle istituzioni e il desiderio di serena operosità e di civile concordia del popolo di Vittorio Veneto ».
Parlai lungamente nonostante l’ora tarda e l’insofferenza della maggioranza. Dissi, tra l’altro rivolto a Mussolini: « La vostra politica non è coerente, perché basata su una serie di discorsi che, messi in rapporto ai fatti, generano una fra le più grandi tragedie dell’incoerenza politica.
« Onorevole Presidente, è per la libertà che abbiamo combattuto, per quella libertà che i nostri padri conobbero fin dagli albori del Risorgimento e che in Italia ha imperato sempre e ovunque dal 1870 in poi… [ Interruzione di Mussolini: « Salvo le parentesi di stato d’assedio! »].
« … per quella libertà che non ammette né schiavi né privilegiati, che si ribella agli uomini, che sfida le vicende, che sgomina gli eserciti, che non soggiace neppure al destino [Vivi rumori]. .
« Onorevole Presidente del Consiglio, se è vero che vi sono due tipi di lotta: una con le leggi e l’altra con la forza; se è vero che soltanto la prima si addice all’uomo, tributate il dovuto omaggio al popolo italiano governando con le leggi [rumori e segni di impazienza ] ».
Conclusi questo discorso con una dichiarazione di astensione dal voto, solo perché così era stato stabilito dai fìrmatari dell’ordine del giorno.
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Come è già stato detto, il 4 marzo 1925 ‘fu sciolto da Mussolini il Comitato Centrale dell’Associazione.
Il giorno prima era stata organizzata una bicchierata, come atto di solidarietà verso la mia persona e di protesta contro la stampa fascista che continuava a dedicarmi i suoi violenti attacchi;. ma in seguito alla notizia che era stato sciolto il Comitato Centrale, la manifestazione assunse importanza e proporzioni assai maggiori. Infatti nel locale di Via Vittoria Colonna, dove ebbe luogo la riunione, accorsero spontaneamente varie centinaia di combattenti.
La manifestazione fu imponente. Parlarono l’Avvocato Giambattista Adonnino, il Presidente della Federazione Laziale-Sabina dei combattenti, Romolo Pulli, e il Generale Bencivenga.
Tutti dichiararono, tra le acclamazioni dei presenti, che avrei continuato ad essere il Presidente dei Combattenti d’Italia, ed il Generale Bencivenga disse anche: « L’On. Viola, già decorato dell’Ordine Militare di Savoia, merita ora l’Ordine Civile di Savoia ».
Risposi a tutti riaffermando le direttive di Assisi e la ferma volontà di difendere i sacri ideali di libertà, di giustizia e di democrazia.
Sopraggiunsero, verso la chiusura della manifestazione, gruppi di fascisti, e ci furono incidenti e colluttazioni; ma l’intervento tempestivo della polizia evitò che i disordini assumessero proporzioni maggiori.
La sospensione del Comitato Centrale dell’Associazione provocò una vivissima reazione.
Tutti i giornali di opposizione gridarono allo scandalo e 50 Federazioni Combattenti su 74, come ho già detto, solidarizzarono con noi immediatamente.
L’8 marzo si riunì a Roma il Consiglio Nazionale dell’Associazione sotto la presidenza dell’On. Savelli. Le proteste contro il Governo furono unanimi e fece particolarmente impressione la parola elevata di Aldo Spallicci.
L’ordine del giorno, votato dal Consiglio in quell’occasione, diceva tra l’altro:
« I convenuti dichiarano il loro entusiastico plauso ad Ettore Viola, incontaminabile insegna di fulgido eroismo e di purissima fraternità; e deplorano che la erezione dell’Associazione in Ente Morale, vantata come generosissimo beneficio, sia servita soltanto per proibire quella manifestazione della volontà degli associati , che le leggi fondamentali del Regno garantiscono a tutti i cittadini ».
Fu dopo il Consiglio Nazionale, che con il nome di Associazione Nazionale Combattenti Indipendenti, la nostra organizzazione si trasferì in via fontanella Borghese.
Il 10 marzo, firmata da Bavaro, Lanza di Trabia, Paoletti, Pellanda, Pivano, Ponzio di San Sebastiano, Rossini, Savelli e Viola, fu presentata la seguente mozione:
« La Camera invita il Governo – fermi restando tutti gli accertamenti contabili che crederà opportuni – a restituire l’organo direttivo dell’Associazione ai legittimi rappresentanti eletti dal voto degli associati ».
Su richiesta del Ministro Federzoni la mozione fu successivamente trasformata in ordine del giorno. La svolse il collega Pellanda nella seduta del 13 marzo, senza peraltro riuscire a farci dare dal Governo – come era ovvio – la minima soddisfazione.
II 24 marzo fui ricevuto dal Re, al quale avevo chiesto udienza una settimana prima.
Il Sovrano tenne a dichiararmi che il decreto che sospendeva il Comitato Centrale dell’Associazione non era passato per le sue mani, il che voleva dire che era stato firmato soltanto da Mussolini; ma un paio di giorni dopo, sollecitato dalla Presidenza del Consiglio, il Re riceveva anche i triumviri annullando così, in parte, o attenuando, la buona impressione che aveva fatto tra gli oppositori del regime, l’udienza che mi aveva concesso.
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Nella seduta della Camera del 2 aprile 1925 il Sottosegretario di Stato all’Interno, Dino Grandi, rispose a una mia interrogazione riguardante talune gravi irregolarità verificatesi durante le elezioni amministrative di Pratella, in provincia di Caserta.
Presi la parola per dichiararmi insoddisfatto, e profittai dell’occasione per vuotare il sacco, tra le continue interruzioni del Sottosegretario Grandi, il quale verso la fine del mio intervento, perdendo il controllo di sé, disse quanto segue: « Onorevole Viola, bisogna che si rassegni e si persuada che l’Italia tra Ettore Viola, capo del Governo, e Benito Mussolini, capo del Governo, ha scelto Benito Mussolini ».
Gli risposi: « Questa uscita non è degna di lei! » (Vedansi gli atti parlamentari dell’epoca).
Dopo di me parlò il collega Paolo Greco il quale, volendo sostenere la tesi opposta, aveva presentato anche lui una interrogazione.
Allorché, in un passo del suo discorso, Paolo Greco attaccò il Presidente della Federazione di Caserta, avvocato Sebastiano De Donato, lo interruppi con queste parole: « De Donato è un uomo d’ingegno ».
Invece di Greco mi rispose inaspettatamente: « De Donato sì, ma lei è un imbecille ».
« Taci, imberbe enfant gâtè…. », fu la mia risposta.
Replicò Bottai: « Lei è un imbecille! ».
A quel punto gli atti parlamentari registrarono quanto segue: « Viola si scaglia contro il deputato Bottai. Agitazione, tumulti ».
Ma la verità è la seguente: io ero nei banchi dell’estrema sinistra – penultima fila in alto – e Bottai nella prima fila dell’estrema destra, in basso.
In meno di cinque secondi gli fui addosso e, con un pugno in pieno viso, dalla sua posizione perpendicolare lo feci ricadere, inerte e inebetito, nel suo scanno.
Nessuno era riuscito a fermarmi.
La cronaca parlamentare ripresa dal giornale « Il Mondo » del 3 aprile 1925, si esprime cosi:
« L’On. Viola, all’uscita volgarissima e oltraggiosa del deputato fascista, risponde con pronta vivacità qualche cosa che non giunge sino a noi e che ci duole di non poter registrare; poi di scatto si alza dal suo posto, attraversa rapidamente l’emiciclo, raggiunge l’On. Bottai che siede al primo banco dell’estremo settore di destra e lo colpisce con un violento pugno in pieno viso.
L’On. Bottaio rimane stordito dal colpo. Accorrono alcuni deputati e afferrano l’On. Viola trascinandolo verso la sinistra. L’On. Viola è circondato dai colleghi e costretto all’immobilità.
In questo momento accorre l’On. Giunta il quale riesce a colpire l’On. Viola. Da altri settori accorrono altri deputati che allontanano l’On Giunta.
« L’On. Casertano, che ha frattanto assunto la presidenza, agita violentemente il campanello per far tornare la calma, ma inutilmente. Il campanello si rompe ed è subito sostituito da uno nuovo. Intanto l’On. Viola è tornato al suo posto. Accanto a lui siedono gli On.li Marchi Giovanni e Paolucci, i questori Buttafuochi, Renda e altri.
« Tutto sembra tornato tranquillo, ma così non è: Lantini rimprovera Viola di far perdere tempo per i trascurabili fatti di Pratella; c’è uno scambio di invettive tra Ferrari e Farinacci, tra Farinacci e Maffi: il primo vuole raggiungere il secondo e non potendolo fare gli lancia contro uno sputo, al quale Maffì risponde ricambiando il gesto volgare.
« Il Presidente non sa come ricondurre la calma. Il campanello continua ad essere agitato nervosamente, ma nessuno se ne dà pena. Sembra che da un momento all’altro stia per scoppiare qualche pugilato. Si notano accesi diverbi tra gli On.li Bavaro e Marchi Corrado, tra l’On. Viola e l’On. Lantini. Ma a poco a poco, finalmente, la calma si ristabilisce. L’On. Greco può quindi riprendere a narrare a modo suo i fatti di Pratella.».
Bottai, dopo un momento di smarrimento, uscì dall’Aula anche per non sentirsi tanto umiliato e isolato.
Nel « Transatlantico » qualcuno lo consigliò di mandarmi i padrini.
Ci battemmo con la spada, ed ebbe il resto. Se anche i verbali, con l’autorizzato consenso dei miei padrini, registrarono un duello con cinque assalti, sta di fatto che immediatamente dopo l’ « A voi! » di Fausto Salvatori, direttore dello scontro, ferii il mio avversario all’avambraccio destro, facendogli cadere la spada di mano.
Quanto alla mia vertenza con l’On. Giunta – avendo io dichiarato ai giornali che se mi aveva colpito nel corso dell’incidente con Bottai, non poteva averlo fato che di sorpresa alle mie spalle e perciò avrebbe compiuto un’azione vile – egli mi inviò un cartello di sfida per mezzo degli Onorevoli Caprino e Galeazzi; ma i miei rappresentati, Onorevoli Giuseppe Lanza di Trabia e Vincenzo Bavaro non ebbero molto lavoro da compiere essendosi limitati a controfirmare un verbale, redatto in precedenza dagli avversari, attestante che l’On. Giunta non aveva assolutamente colpito l’On. Viola né di fronte né alle spalle.
Il 19 giugno 1925 parlai ancora alla Camera sulla dispensa dal servizio dei funzionari dello stato.
Il mio discorso fu di vivace critica e di netta opposizione e come tale continuamente interrotto da Rocco, Ministro della Giustizia, da Teruzzi nuovo Sottosegretario di Stato all’Interno, e da Balbo. A un certo punto quest’ultimo si mise a dirigere un gruppo di rumoreggiatoti. Afferrai allora la bottiglia dell’acqua che avevo a portata di mano e, facendola roteare in alto, diedi l’impressione di volergliela scaraventare sulla testa. Non avendo dimenticato ciò che era capitato a Bottai qualche mese prima, Balbo tacque come per incanto e qualche minuto dopo sgattaiolò fuori dell’Aula.
A questo punto desidero precisare che tutte le citazioni fatte, e che farò in seguito in ordine all’azione parlamentare mia e dei miei colleghi, trovano riscontro negli atti parlamentari stessi. Se di questi non ho fatto e non farò largo uso, ma mi limiterò a riprodurre molto spesso soltanto qualche periodo, sarà unicamente per non tediare il lettore il quale potrà sempre consultare, nelle biblioteche del Parlamento, se crede, i documenti ai quali mi riferisco.
Tornando al mio discorso del 19 giugno 1925, mi limiterò a riprodurne il riassunto che fece « Il Mondo », quotidiano di Giovanni Amendola:
« L’On. Viola ha detto che con questo disegno di legge il Governo fascista spera di liberarsi entro il 1926 di tutti gli elementi antifascisti che sono nella burocrazia. Si può prevedere che i governi futuri chiederanno alle loro maggioranze la proroga di tale legge e se ne serviranno contro i funzionari fascisti per ripagarli con la stessa moneta.
« Lo Stato dal 1848 ha sempre consentito ai propri funzionari di avere libertà di opinioni nel campo politico. Col nuovo provvedimento si dovrebbero logicamente privare i funzionari del diritto di voto.
« La legge, ove fosse approvata, apporterebbe anche un notevole aggravio all’erario dello Stato a causa dei molti licenziamenti che dovranno essere adottati, senza dire che l’amministrazione sarà priva di elementi di prim’ordine. L’impiegato dello Stato, a partire da oggi, per far carriera dovrà ben conoscere il mestiere del cortigiano e del delatore.
«I funzionari e in modo speciale quelli delle amministrazioni provinciali, saranno alla mercé dei Prefetti e dei capi del fascismo ».