2 GIUGNO: meno di così non si può

  
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Solo grazie alla saggezza del Presidente Giorgio Napolitano, unico nella breve storia della nostra Repubblica ad essere stato eletto Capo dello Stato per due mandati consecutivi, la tradizionale parata militare di via dei Fori Imperiali si è svolta anche in questo 2013, anno della crisi economica, anno della crisi istituzionale, anno del pessimismo diffuso tra l’italica gente, generalmente allegra, socievole e fiduciosa nel futuro. Ma nonostante la sua saggezza lo abbia portato a dire che la parata si doveva fare perché non si tratta di una “… esibizione muscolare …” ma del giusto omaggio dei cittadini in uniforme alle istituzioni alle quali hanno giurato fedeltà, ricambiato dall’omaggio della nazione tutta al loro diuturno impegno a difesa dei Valori e dell’Onore della Patria, la parata è risultata appena un dignitoso simulacro di quella che sarebbe dovuta essere. Solo di fronte alle considerazioni espresse dal Presidente della Repubblica, che in altri contesti sarebbero così ovvie da apparire perfino banali e inutili, a denti un po’ stretti, data la sua militanza in un partito che non fa mistero di essere anti militarista a tutto campo, la Presidente della Camera on. Laura Boldrini ha ammesso che la parata ormai “… fa parte della storia della Repubblica, e la sua abolizione non aiuterebbe a risolvere i problemi del Paese …” Potremmo gioire, quindi, prendendo atto che la parata anche quest’anno, ad onta dei suoi detrattori sia storici sia dell’ultima ora, si è potuta svolgere e che sia il pubblico che si è dato convegno a via dei Fori Imperiali, sia quello che la ha seguita nella diretta televisiva andata in onda su RAI 1, la ha apertamente apprezzata. E come sarebbe potuto essere il contrario? Con tutti i vincoli di risparmio imposti, l’impeccabile organizzazione del Comando Militare della Capitale è riuscito a dare lo stesso un bello spettacolo di forza, compostezza, capacità e virtuosa partecipazione. Tecnicamente, si è rinunciato ad ogni originalità. Il copione dei sette diversi settori in cui è stata articolata la parata era sempre lo stesso: il comandante di settore apriva, seguito immediatamente dalla Banda Militare della Forza Armata, o dalla fanfara, alla quale era dedicato il settore, poi le scuole militari, gli istituti di formazione, una ridotta ma significativa rappresentanza dei reparti operativi. Non faceva eccezione l’ultimo dei settori, quello dei corpi armati e non dello Stato. Cosa è mancato? Innanzitutto la Pattuglia Acrobatica Nazionale, che tradizionalmente tingeva di Tricolore il cielo di Roma, poi i mezzi speciali, non solo quelli militari, ma anche quelli, fino allo scorso anno considerati “politically correct”, dei Vigili del Fuoco, i cavalli, animali che nelle guerre del passato rappresentavano la forza di sfondamento più significativa e che oggi rappresentano la tradizione storica delle glorie militari nazionali, la bandiera gigante stesa dai Vigili del Fuoco sul Colosseo … che negli ultimi anni aveva dato originalità e colore alla parata, e tanto altro. Con tutto ciò, la parata, conclusasi dopo oltre un’ora di spettacolo, nonostante tutto, bello e godibile, ha visto transitare sulla via dei Fori Imperiali circa 3.400 persone, 2060 delle quali militari. Il costo è stato ridotto di oltre 400.000 Euro rispetto all’edizione del 2012, che già era stata notevolmente più sobria di quella dell’anno prima, 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Ma c’è qualcosa che continua a non persuadere. Sembra sempre che la Festa della Repubblica debba essere “giustificata”. Ogni anno c’è una ragione per cui chi vorrebbe abolire questa unica manifestazione nazionale di coesione tra il popolo e le sue Forze Armate deve essere blandito, ascoltato, convinto, quanto meno “considerato”. Sinceramente non se ne può più. Una manifestazione più ridotta di questa non può davvero essere svolta senza scadere nel ridicolo … e già questa lo ha sfiorato, quando ancora una volta i Corazzieri hanno dovuto muoversi a piedi, indossando la loro scintillante uniforme da parata, disegnata apposta per andare “a cavallo”; quando si è abolito il passaggio delle Frecce Tricolori (l’unico passaggio istituzionale dell’anno rimarrà quello del 4 novembre … speriamo); quando con parossistico masochismo si fanno sfilare i reparti militari ad altissima specializzazione senza i loro mezzi, lasciando nel dubbio gli spettatori circa l’effettiva necessità e persino l’esistenza di tale “altissima specializzazione”. Questo modo di non mostrare chi si è e ciò che si ha è decisamente contrario ai più elementari dettami della promozione dell’immagine. Qualcuno obietterà che le Forze Armate hanno un’immagine ben consolidata e fortemente positiva, nonostante i loro detrattori non si diano mai tregua nell’attaccarle; ma esse rappresentano la nazione più di ogni altra struttura istituzionale. Mostrarle così, al ribasso, quasi vergognandosi di averle, scusandosi del fatto che, pur tra mille ristrettezze, esse devono avere mezzi sofisticati e costosi, devono potersi addestrare ad usarli al massimo delle loro prestazioni, evitando di dire che esse devono essere “amate” e rispettate per quello che sono e soprattutto per quello che fanno, da realmente ragione a chi oggi abolirebbe la parata del 2 giugno, domani deciderebbe di non acquistare più il ridottissimo numero di cacciabombardieri F-35 ancora previsto dall’ultima versione del nuovo modello di difesa, dopodomani vorrebbe che l’Italia si disarmasse proprio. Tanto, le controversie internazionali si risolvono col … dialogo. E infatti, l’efficacia del “dialogo” è stata ampiamente dimostrata con l’India, nel cui vertice politico peraltro c’è una leader di origine italiana. Massimiliano La Torre e Salvatore Girone dopo tutti i “dialoghi” instaurati … stanno ancora lì, non si sa perché. Per questo motivo ritengo che sia giunto il momento di smetterla con le ipocrisie e decidere una volta per tutte cosa farà l’Italia da grande: avrà una sua capacità militare? Vorrà e saprà spenderla dove serve? Sarà in grado di farlo “alla luce del sole”? Oppure lascerà lentamente morire di asfissia le sue Forze Armate? Si condannerà ad uscire da quel contesto internazionale occidentale avanzato di cui oggi, pur arrancando faticosamente, fa ancora parte? Finirà con l’appaltare la sua difesa al “Padrino” del momento (oggi gli USA, domani chissà) dovendo però subire tutti i suoi diktat senza battere ciglio? Senza neppure un minimo di credibilità internazionale, finirà col non avere più nemmeno uno straccio di politica estera? Peggio, vorrà condannarsi addirittura ad una possibile invasione da parte di altri che troveranno facile e comodo “farlo” in Italia? Queste cose non vengono mai messe sul piatto della bilancia da parte dei detrattori delle Forze Armate, eppure sono la contropartita ovvia ed inesorabile che dovremmo considerare, nel caso volessimo “accontentarli”. Ma questi argomenti raramente vengono sfiorati sui giornali e nei dibattiti dei talk show, sicché si è diffuso tra la gente uno strano sentimento per cui le Forze Armate sono considerate utili quando intervengono a favore della popolazione civile in caso di calamità naturali o altre occasioni analoghe, ma quasi se ne disconosce la funzione ed il ruolo di sostegno armato alla politica estera. Quando qualcuno accenna a tale ruolo lo fa con mille distinguo e con una tale circospezione da risultare quasi incomprensibile nella sostanza del suo messaggio, salvo apparire, questo si, fortemente imbarazzato nel dover parlare di qualcosa che, in un discorso a carattere politico, sembra avere quasi la stessa valenza di una parolaccia pronunciata a tavola in presenza delle signore. Tutto questo si ripercuote in maniera fortemente negativa sulle Forze Armate stesse, poiché, per tacitare o almeno ridurre questi continui attacchi, sono ormai decenni che i militari non hanno certezze nel loro futuro: non sanno se e quando i mezzi (che non abbiamo visto a via dei Fori Imperiali, ma ci sono e comunque costano) saranno aggiornati, rinnovati e come lo saranno, in quale numero, con quale tipo; non sanno con quale continuità ed intensità potranno addestrarsi e mantenersi allenati all’utilizzo migliore di quei mezzi e delle tattiche oggi disponibili; non sanno come saranno impiegati, in quale contesto politico e con quali “regole d’ingaggio”, non sanno, in pratica, come programmare il loro aggiornamento perché non viene dato loro di sapere quale sarà lo scenario in cui l’Italia le vorrà impiegare. Su quest’ultimo aspetto è doveroso un approfondimento: le Forze Armate italiane, quando operano fuori area insieme a quelle di altri paesi nell’ambito di operazioni internazionali, sono quelle che hanno le regole d’ingaggio più restrittive, talmente restrittive che spesso i nostri militari sono esposti a rischi ben maggiori degli altri. Ciò in genere vorrebbe soddisfare la spasmodica ricerca di quel “politically correct” che consentirebbe di impiegare le Forze Armate in tali operazioni senza che gli anti militaristi di professione trovino da eccepire. Intanto essi eccepiscono comunque … in Italia, mentre i nostri soldati … fuori area … rischiano molto di più di altri, dovendo sempre attendere che siano fatti oggetto di fuoco per rispondere, naturalmente, solo a scopo meramente difensivo. Nessuna azione “preventiva” è stata loro permessa fino all’estate del 2011, quando il Ministro della Difesa pro tempore, On. Ignazio La Russa, riuscì a far modificare tali regole rendendole un po’ più realistiche e meno distanti da quelle che usano i militari delle altre nazioni presenti nelle medesime attività internazionali. Ricordo ancora il coro di proteste dalla solita parte politica. Ma il danno maggiore di questo atteggiamento schizofrenico della solita minoranza, che però è talmente rumorosa da condizionare fortemente la maggioranza … silenziosa, ricade sulla credibilità internazionale dell’Italia come nazione cooperante in ambito NATO, ONU, UE, eccetera. In nessun altro paese del mondo le esigenze militari sono dibattute in questa maniera esclusivamente demagogica. Le decisioni sono sempre prese analizzando le esigenze di sicurezza nazionale e di capacità di integrazione con gli altri paesi alleati. La popolazione partecipa al dibattito in maniera democratica e civile, come da noi, ma non è assolutamente imbottita di slogan e di luoghi comuni banalmente anti militaristi, quindi può seguire con serena compartecipazione il dibattito e dire la sua in maniera utilmente costruttiva. Solo da noi si è riusciti a far credere che l’F-35 è un aborto perché, udite, udite, durante la sperimentazione dei suoi prototipi, peraltro ancora in corso, sono “sorti dei problemi tecnici”. Che sorgano problemi tecnici durante la sperimentazione di un prototipo è cosa normalissima. Solo da noi si è riusciti (con molta facilità) a presentarla in maniera così distorta da far mettere in dubbio la validità di un progetto tra i più avanzati del mondo. Mentre ciò avveniva, nessuno si è domandato a chi gioverebbe che l’Italia, dopo aver perso una capacità militare faticosamente costruita dalle nostre Forze Armate, perderebbe anche di conseguenza una capacità di influenza politica faticosamente ricostruita da quei pochi personaggi istituzionali che hanno sufficiente levatura internazionale per riuscirci. Ecco perché sono dell’idea che presentare all’occhio di commentatori politici internazionali molto smaliziati una parata del 2 giugno, pur dignitosa, ma che non rende davvero omaggio alle nostre Forze Armate, significa dare a quei commentatori un messaggio preoccupante: l’Italia mostra di non gradire abbastanza che le proprie Forze Armate esistano, siano militarmente efficienti e preparate e che siano disponibili ad operare in maniera militare, quindi non è politicamente in grado di reggere le difficoltà di una sfida internazionale. Pertanto, non si può contare sul suo appoggio se una coalizione militare internazionale, di cui farebbe anch’essa parte, venisse coinvolta in una situazione davvero difficile.

( Antonio Daniele )