Progetto 2022/1 Ricerca
La guerra civile libanese, durata 15 anni dal 1975 al 1990, conseguenza del conflitto arabo-israeliano vide sul campo la presenza di diverse milizie interne al Libano, rappresentanti delle varie comunità etnico-religiose di cui era composto il Paese, così come gruppi esterni quali tra tutti quelli dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina[1]. Inoltre in più occasioni il conflitto interessò eserciti stranieri, ovvero quelli di Israele e della Siria.
Da considerare che prima il Libano era visto come possibile modello di una pacifica convivenza etnica e religiosa.
La causa della guerra è da individuare nell’espulsione dalla Giordania dell’OLP, (Organizzazione della Palestina Libera), guidata da Arafat.
Tra la metà degli anni ‘50 e ‘60 vi fu l’ascesa del movimento Fedayeen [2] ovvero gruppi di resistenza armata palestinese che tentarono di organizzare attacchi contro Israele. Nel 1964 venne fondato l’OLP che riuniva diverse fazioni sotto un unico partito, esso rappresentò il cuore della lotta per la riconquista della Palestina. Nel 1967, Israele assorbì l’intera Palestina storica, oltre a territori di Egitto e Siria, dopo aver espulso altri 300.000 palestinesi dalle loro case.
Dopo la sconfitta della Guerra dei Sei giorni nel 1967, l’OLP si era rifugiata in Giordania, dove godeva di un grande prestigio popolare, arrivando anche a governare con le autorità giordane.
I paesi arabi erano con la causa dei fratelli palestinesi, l’Egitto di Nasser appoggiò Fatah e Yasser Arafat, l’Iraq e la Siria supportarono la creazione di nuove fazioni per la liberazione della Palestina a loro alleate.
I palestinesi arrivati in Giordania dopo la Guerra dei Sei Giorni erano liberi di muoversi e di esprimere la loro idee mostrando palesemente simboli della loro appartenenza allo Stato di Palestina e lanciando attacchi contro Israele dal Paese. Fu proprio questo a creare un senso di panico all’interno della Giordania e la convivenza si fece sempre più di difficile perché provocava continuamente tensioni e risentimenti che il re di Giordania e Arafat erano capaci di gestire solo con grande difficoltà. In pratica, in Giordania, l’OLP si presentava come una specie di Stato nello Stato il cui scopo era la distruzione dello Stato d’Israele, mirando inoltre ad esautorare il re di Giordania.
La rivolta dei Fedayeen palestinesi contro la monarchia giordana ha dato vita a scontri sanguinosi passati alla storia con il nome di “Settembre Nero” con cui viene indicata la repressione attuata dalle forze armate giordane, comandate da Re Hussein, nei confronti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) il cui leader era Yasser Arafat, tra il Settembre 1970 e Luglio 1971, vedendo l’apice tra il 16 e il 27 Settembre 1970, da cui il nome “Black September”.
Nel settembre 1970, a seguito del dirottamento di un aereo occidentale in territorio giordano da parte dell’OLP, scoppiarono dei sanguinosi combattimenti fra l’esercito giordano beduino, fedele al re, e le forze palestinesi dell’OLP. La guerriglia andò avanti per qualche mese con stragi e attentati (molto noto è quello delle Olimpiadi di Monaco di Baviera, rivendicato dall’organizzazione terroristica palestinese “Settembre nero”), finché l’OLP non fu cacciato dalla Giordania per rifugiarsi in Libano, l’unico paese che poteva garantire una certa autonomia politica e operativa.
L’ingresso dell’OLP a Beirut nel 1971 ebbe come conseguenza la rottura degli equilibri etnico-religiosi e politici da sempre esistenti nel paese. In Libano esistevano i cristiani maroniti[3], cioè dei cattolici di rito siriano, e una componente musulmana. I primi assunsero un atteggiamento ostile nei confronti dei nuovi arrivati, mentre i secondi erano favorevoli alla guerriglia. Anche la classe dirigente del paese era divisa sul problema perché nei suoi confronti la resistenza palestinese comandata da Arafat costituiva un elemento catalizzatore e detonatore.
La guerra esplose nel 1975 con la contrapposizione armata di due schieramenti politici uno di ispirazione cristiano-maronita ed uno di componente musulmana (i drusi[4] erano ben distinti dai sunniti e dagli sciti), che comprendeva anche il Partito Socialista progressista.
In un primo momento la guerriglia palestinese cercò di rimanere fuori dal conflitto, ma successivamente, a partire dal gennaio 1976, finì per esserne coinvolta insieme alla componente mussulmana.
Ci fu quindi un massiccio intervento militare che attirò anche la destra maronita e costrinse alla ritirata i palestinesi e i libanesi di sinistra. Il Libano fu allora attraversato da stragi ed assassini politici a tal punto da far sembrare Beirut una città fantasma, coperta di rovine. Di fatto il Libano era spartito fra Siriani e Israeliani, per interposta persona dei rispettivi alleati libanesi; a complicare la situazione c’era l’esistenza dell‘OLP di Arfat che costituiva uno Stato nello Stato.
Nel 1978, Israele non si contentò più dei suoi interventi sporadici ed indiretti in Libano contro l’OLP e pensò di invadere militarmente la parte meridionale del paese con lo scopo di distruggere le basi militari palestinesi.
Dopo il dirottamento di un bus israeliano dell’11 marzo 1978, in cui vengono uccisi almeno 37 civili, Israele il 14 marzo 1978 diede il via all’operazione Litani, dal nome del fiume che attraversa il sud del Paese dei cedri.
L’azione militare fu fulminea e nel giro di pochi giorni Israele arrivò ad occupare una fascia larga 10 km a ridosso del confine tra i due Paesi. Successivamente l’operazione si estese arrivando a lambire buona parte del sud del Libano, fino per l’appunto al fiume Litani. L’ONU riuscì infine ad ottenere una tregua, inviando in Libano un contingente di Caschi blu, in ottemperanza alle risoluzioni 425 e 426 del consiglio di sicurezza dell’Onu . Venne dato inoltre mandato a una nuova forza di interposizione di disporsi lungo la linea di confine tra Libano e Israele. Nasce così la missione Unifil, con la quale i caschi blu dell’Onu speravano di far superare le tensioni tra le parti.
Il conflitto terminò nel 1990: i 15 anni di guerra civile avevano provocato fra militari e civili più di 150.000 morti oltre ad una fuga all’estero di tanti libanesi. Per quanto riguarda l’OLP essa rischiò di essere espulsa anche dal Libano, attanagliata com’era fra la Siria da una parte e Israele dall’altra.
[1] Sigla dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (ar. Munazzamat al-tahrir al-filastiniyya). Nata nel 1964 per iniziativa della Lega araba, a sostegno della lotta per l’indipendenza palestinese dall’occupazione israeliana, dopo la guerra arabo-israeliana del 1967, vi confluirono le principali formazioni della diaspora palestinese e della guerriglia contro Israele. Passata sotto la guida del suo leader Y. ‛Arafat nel 1969, l’OLP fu coinvolta, nel corso degli anni Settanta e Ottanta, in una serie di atti di guerriglia e di terrorismo internazionale e interarabo
[2] Termine con il quale venivano designati, fra l’11° e il 13° sec., i membri della setta musulmana degli Assassini.
Nel 20° sec. il termine è stato adoperato, nel mondo arabo e in Iran, per indicare i membri di movimenti politici, rivoluzionari o guerriglieri. In particolare, a partire dagli anni 1950, sono stati così denominati i combattenti della Resistenza palestinese.
[3] Tra i cristiani-maroniti già dagli anni ’50 si erano formate ed armate le Falangi di Pierre Gemayel
[4] Setta religiosa di origine musulmana sorta in Egitto nell’11° sec. con comunità diffuse in diversi paesi del Mediterraneo, e in particolare in Siria, Libano, Israele e Giordania. In Libano i drusi rappresentano la sesta comunità religiosa dal punto di vista numerico, quasi il 6% della popolazione.