L’Istituto del Nastro Azzurro partecipa al dolore della famiglia per la scomparsa del Gen.D. Umberto ROCCA, Medaglia d’Oro al Valor Militare e Presidente emerito del Gruppo Medaglie d’Oro.
Dopo essersi laureato in Economia e Commercio, Umberto Rocca nel gennaio 1967 entrò a far parte del 46º corso per Allievi Ufficiali di Complemento nella Scuola Truppe Motorizzate e Corazzate di Caserta da dove nel settembre 1967 venne trasferito nell’Arma dei Carabinieri, per frequentare il 40º corso tecnico professionale per sottotenenti di complemento presso la Scuola di Applicazione dell’Arma. Al termine del corso venne nominato sottotenente di complemento dei carabinieri ed assegnato al 1 reggimento con sede a Genova. Ammesso nel gennaio 1968 alla rafferma quinquennale, venne quindi trasferito alla Legione carabinieri del capoluogo ligure e nel 1969 a Savona. Passato in servizio permanente venne assegnato alla Legione di Messina e nell’agosto 1973 alla Legione di Alessandria dove assunse il comando della tenenza di Acqui Terme.
Al momento del sequestro di Vittorio Vallarino Gancia il 4 giugno 1975 da parte delle Brigate Rosse, il tenente Rocca venne incaricato di organizzare una serie di sopralluoghi e pattugliamenti nelle campagne intorno a Canelli e Acqui Terme alla ricerca del sequestrato. Il 5 giugno stava perlustrando una serie di cascine insieme al maresciallo Rosario Cattaffi ed agli appuntati Giovanni D’Alfonso e Pietro Barberis. Raggiunta la cascina Spiotta ad Arzello, notarono la presenza di due auto ed ascoltarono il rumore di una radio proveniente dall’interno della costruzione. I quattro carabinieri erano giunti casualmente alla prigione dove era detenuto Gancia; due brigatisti si trovavano alla cascina Spiotta a guardia del sequestrato; sorpresi, essi si avvidero solo all’ultimo momento dell’arrivo delle forze dell’ordine. I due brigatisti cercarono di fuggire e ne nacque un violento conflitto a fuoco. I terroristi, dopo aver finto di collaborare, lanciarono una bomba a mano contro i carabinieri e quindi uscirono di corsa dall’edificio cercando di raggiungere le loro auto. Il tenente Rocca venne investito in pieno dalla deflagrazione e ebbe istantaneamente il braccio sinistro amputato e una grave ferita all’occhio sinistro, alcune schegge ferirono anche il maresciallo Cattafi.
Nonostante le gravissime ferite, Umberto Rocca non cadde subito a terra, ordinò di proseguire l’azione. Nel successivo conflitto a fuoco l’appuntato D’Alfonso, colpito al torace e alla testa e alla testa, morirà dopo alcuni giorni di agonia, mentre l’appuntato Barberis colpì a morte Margherita Cagol, nota anche per essere la moglie di Renato Curcio uno dei fondatori delle Brigate Rosse. Il tenente Rocca, gravemente ferito, venne caricato sulla macchina e trasportato direttamente all’ospedale di Acqui Terme. Dopo essere stato sottoposto a vari interventi chirurgici e lunghe cure, riprese servizio nell’Arma, nonostante la mutilazione del braccio sinistro e la perdita dell’occhio sinistro, venendo promosso capitani. Nel 1976 venne trasferito nel “Ruolo d’Onore” e assegnato al Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri.
Congedato dal servizio nel 2007 con il grado di generale di divisione. È stato a lungo Presidente del Gruppo Medaglie d’Oro al Valor Militare d’Italia.
«Comandante in sede vacante, di compagnia distaccata, organizzava e capeggiava reiterati, rischiosi servizi per individuare il luogo di detenzione di noto industriale, sequestrato a scopo di estorsione in provincia limitrofa. Pervenuto, con tre suoi dipendenti, a un casolare isolato, e acquisita la certezza della presenza di malfattori e il sospetto di quella del rapito, dopo aver disposto i propri uomini in posizioni defilate, decideva di passare immediatamente all’azione onde sfruttare la sorpresa, per impedire ai delinquenti di nuocere all’ostaggio eventualmente presente. Benché nella improvvisa reazione fosse stato colpito in pieno da bomba a mano, che esplodendo gli asportava un braccio e lo rendeva cieco di un occhio, esortava il sottufficiale, accorso per recargli aiuto, a proseguire decisamente l’operazione che, dopo protratto e violento conflitto a fuoco, si chiudeva con l’uccisione di uno dei banditi appartenente a pericolosissima organizzazione eversiva armata e con la liberazione dell’ostaggio incolume. Sottoposto a prolungati e dolorosi interventi chirurgici, si imponeva all’ammirazione dei sanitari per stoicismo e per eccezionale forza morale, non cessando un istante dal manifestare la preoccupazione per i suoi uomini rimasti feriti, nonché il rammarico che le mutilazioni subite non gli consentissero di servire oltre l’Arma. Fulgido esempio di elette virtù militari ed eroica purissima fede. Arzello di Melazzo (Alessandria)» 5 giugno 1975