FRANCESCO ATANASIO. Umberto di Savoia nella campagna d’Italia 1943 – 1946

  

 

Non sono mancate nelle pubblicazione dell’Istituto del Nastro Azzurro le rievocazioni – spesso a firma dei loro stessi protagonisti ( ex multis quella del gen. Giuseppe Valencich nel 2010 e  il col. Giovanni Corvino nel 2012) della campagna d’Italia 1943- 1945, tese a far conoscere o a rivalutare la partecipazione delle  Forze Armate italiane alla liberazione della penisola dai tedeschi: aspetto poco noto è che questa partecipazione fu resa  possibile anche per l’azione di Umberto di Savoia, la cui riservatezza – anche per la damnatio memoriae seguita al 1946 nei confronti del quarto Re d’Italia – ha trovato eco diretta solo negli studi di Giovanni Artieri. Al giornalista e saggista napoletano 1, che dal 1948 al 1981 ebbe ripetuti incontri con il Re nella sua residenza portoghese di Cascais, questi non si stancò mai di ricordare che l’Italia potè risalire la china perché, consumatosi il dramma dell’armistizio, “dopo tre giorni gli anglo-americani trovarono a Brindisi, con molto stupore e forse disappunto l’embrione di uno Stato in una posizione giuridica ben netta” 2. Umberto, dopo il grave travaglio per la partenza da Roma – per come annoterà sul suo diario Francesco di Campello, ufficiale di ordinanza del principe 3, sentì come esigenza prioritaria che le nostre Forze Armate tornassero a combattere: egli si mosse subito per contattare le unità presenti in Puglia e coadiuvarne i comandanti nella mutata situazione politica: “Bisogna dire che i maggiori ostacoli alla partecipazione italiana alla guerra furono opposti dagli Alleati per un disegno fermo e determinato di impedire all’Italia di “risalire la corrente”. Dal mezzo settembre 1943 all’aprile 1945, divisi la mia attività tra il fronte e – dopo la mia nomina a Luogotenente di mio padre – l’ufficio di capo dello Stato. La mia diretta partecipazione alle azioni sul fronte non era affatto gradita agli Alleati…che non mancavano di avvertirmi assiduamente di non espormi a pericoli. Ero costretto a eludere costantemente questi consigli di prudenza. Vi riuscì quasi sempre”.  Concorde la testimonianza del gen. sq. aerea. Oreste Genta : “Fin dai primissimi giorni Umberto trascorreva quasi tutto il suo tempo fra le truppe. Con la sua presenza, con la sua affabile e convincente parola rincuorava, faceva rinascere l’entusiasmo e l’attaccamento al dovere. La sua influenza, è riportato in tutti i diari, era estremamente vantaggiosa alla rinascita delle nostre forze” 4. Il 20 ottobre il Principe riuscì a raggiungere la Sardegna, ove visitò le unità che avevano cacciato i tedeschi dall’isola: rientrato a Brindisi, dopo avere incontrato i vertici militari alleati, riceve Edgardo Sogno, che era riuscito a passare le linea del fronte: “ (Sogno) Gli dissi che bisognava fare qualche cosa…Mi raccontò dello sforzo che stava facendo per mettere insieme un reparto da mandare al fronte, ma aveva la sensazione che gli Alleati non sapessero come comportarsi con i loro cobelligeranti”. Il governo Badoglio, che il 13 ottobre ha dichiarato la guerra alla Germania, riesce alla fine a costituire il Primo Raggruppamento Motorizzato, posto il 31 ottobre alle dipendenze della V armata americana del gen. Clark. Il 20 novembre, dopo avere seguito le fasi di addestramento dell’unità, la vettura con cui Umberto sta per raggiungere Aversa viene mitragliata: quella che la precede esplode e il Principe ne porta i feriti all’ospedale militare. Al Raggruppamento si dà l’obbiettivo di conquistare Monte Lungo, uno dei capisaldi della Linea Gustav che passava per Cassino: all’una di notte del 7 dicembre Umberto assisteva al trasferimento dei reparti che accompagnò fin sulla linea del fuoco e sorta la necessità di effettuare una ricognizione aerea per fornire al gen. Walker, comandante della 36a divisione americana, informazioni dettagliate sulle difese nemiche, chiedeva e otteneva di offrirsi volontario per la missione, che disimpegnerà con non indifferente sprezzo del pericolo. Quanto accaduto e la figura di Umberto, che rientrato a terra viene salutato con entusiasmo dai soldati italiani e americani presenti, colpirono Walker che propose a Clark il conferimento al Principe della “Silver Star” con  la seguente motivazione: “Il 7 dicembre 1943, alla vigilia dell’attacco  su Montelungo da parte della 36a divisione americana si cercava un volontario fra gli ufficiali delle forze armate italiane presenti sul luogo, pratico della topografia della zona, che si offrisse di volare in un apparecchio di ricognizione per dare informazioni di vitale importanza sui punti essenziali della zona da attaccare. Il principe di Piemonte, considerandosi il più anziano degli ufficiali presenti, ritenne suo dovere di offrirsi per la missione, tenuto conto del pericolo e dell’importanza di essa, perché questa avrebbe sicuramente risparmiato migliaia di vite italiane e, specialmente, americane; come infatti avvenne. In tal modo, nonostante ripetuti avvertimenti del capo di Stato Maggiore della 36ma divisione, debitamente informato, egli volò più di venti minuti sulla pericolosa zona di Cassino e, in particolare, sull’area di Montelungo tra un nutrito fuoco di artiglieria contraerea”. Dopo un anno il governo americano declinerà la proposta: dirà Genta, presente sui luoghi di quei combattimenti ed esperto pilota: “Dalle varie ricerche che ho potuto esperire appare non del tutto improbabile la pressione negativa da parte dei nostri governi allora in carica per non fare sembrare tale conferimento come una simpatia politica degli Alleati per la Monarchia. Il fatto deve essere stato veramente sensazionale al di là di ogni possibile normalità perché, tenuto conto dello stato di soggezione in cui gli alleati tenevano gli italiani, non avrebbero mai proposto – per lo meno in quel periodo – una decorazione a un nostro soldato”. Il Principe, infatti, doveva scontrarsi anche con l’ostilità dei risorti partiti politici, che avviarono una violenta campagna mediatica contro i soldati che tornavano a combattere sotto il tricolore del Regno…!  Tale atteggiamento non cesserà per tutti gli anni successivi, ma in nessuna circostanza, anche oramai in esilio, Umberto ebbe a stigmatizzarlo pubblicamente in nome del severo codice etico che ne animò sempre la condotta nella fedeltà al suo motto: “L’Italia innanzitutto”.  Monte Lungo, dopo un’efficace preparazione di fuoco delle nostre artiglierie, verrà conquistato il 16 dicembre: si misero a tacere così i dubbi degli angloamericani ed emerse l’affidabilità delle nostre truppe facendo apparire tutta la faziosità meschina dei vari partiti politici. I vertici militari alleati sollecitarono a questo punto la partecipazione di Umberto alle operazioni tanto che il gen. Keynes ebbe a dire che “agli effetti morali la sua presenza fra la truppa equivale a un squadrone di carri armati”! Non da meno sarà il gen. Clark nell’affermare che: “La cooperazione di Umberto di Savoia fu sempre vivissima. Più di una volta mi attraversò la mente l’idea che, come rappresentante di Casa Savoia, egli fosse pronto a morire in battaglia contro i tedeschi” 5. Né va dimenticato che il Principe, viste le sollecitazioni di Sogno, rientrato nell’Italia settentrionale per guidare una delle più attive “bande” partigiane, chiese ripetutamente di essere anch’egli paracaduto, ma senza esito alcuno…Mentre il Raggruppamento, al comando del gen. Umberto Utili, occupava dopo aspri scontri Monte Marrone il 10 aprile 1944, Umberto impegnando la propria parola riusciva a convincere il gen. Alexander della fedeltà della divisione paracadutisti “Nembo” e farla trasferire dalla Sardegna sul continente (era infatti accaduto che all’indomani dell’armistizio alcuni paracadutisti, unitisi ai tedeschi, avevano proditoriamente ucciso il col. Alberto Bechi Luserna screditando l’eroica unità). Grazie all’apporto della “Nembo” le forze combattenti italiani salivano ad oltre 24.000 effettivi consentendo la nascita del Corpo Italiano di Liberazione.  Nonostante il vittorioso esito delle operazioni svoltesi fra il 27 e il 30 maggio sulle Mainarde, cui Umberto presenziò ininterrottamente, e gli elogi del gen. Leese, comandante dell’8a Armata britannica, e del gen. Mc Creey, comandante del X Corpo britannico, non fu concesso al C.I.L. di entrare in Roma venendo spostato sul settore adriatico.  Umberto ne avrebbe voluto assumere il comando, ma la Commissione alleata di controllo col pretesto che egli aveva il grado di generale d’armata respingeva la richiesta, benchè il Principe si fosse dichiarato disponibile ad essere “retrocesso”…! Confesserà ad Artieri: “Si sperava, e si agiva con tutti i mezzi, che alla fine il Corpo Italiano di Liberazione potesse costituirsi in due divisioni formando un corpo d’armata e, in vista della liberazione, dopo Roma, delle grandi città del Centro e del Nord d’Italia, si potesse andare incontro agli Italiani con la bandiera italiana….”.  Nel febbraio 1944 Umberto si trova a Sujo sulle estreme propaggini dei Monti Aurunci presso il fiume Garigliano: la testa di ponte stabilita dal reggimento inglese “Durham” è seriamente minacciata da una violenta controffensiva tedesca. Il contingente italiano, la 210 divisione costiera con funzioni ausiliarie, subiva gravi perdite nella vicina Castelforte nel tentativo di proteggere la posizione; Umberto si diede da fare per individuare, con estremo rischio, da dove tirava i suoi colpi l’artiglieria nemica ed individuatili li comunicò agli inglesi perché fossero neutralizzati si da riprendere l’avanzata. Costante è del pari il suo impegno di Umberto perché l’equipaggiamento, il vitto e la paga dei nostri soldati fossero migliorati sì da garantire loro un più adeguato trattamento. Il 5 giugno Vittorio Emanuele III nominava Luogotenente generale del Regno il figlio, che tre giorni dopo “violando” ogni cautela degli Alleati ritornava a Roma insediandosi in tale veste al Quirinale, da subito aperto agli sfollati, ai mutilatini, ai reduci, agli indigenti ospiti della reggia solo grazie alle più che esigue risorse personali del Principe. Iniziava per Umberto il difficile e inedito ruolo di capo dello Stato che assolverà con alto senso delle istituzioni e ammirevole abnegazione: pur “digiuno” da una punta di vista di politica, seppe subito imporsi nella conflittuale situazione creatasi a Roma all’indomani della liberazione dell’Urbe. Churchill, che lo incontrò nel mese di agosto 1944 a Roma, così riferiva il 28 settembre alla Camera dei Comuni: “Ebbi il beneficio di un colloquio con il Luogotenente del Regno, di cui si vedono in egual misura la sincerità e la crescita in statura agli occhi degli italiani”. Nelle sue memorie scriverà di lui: “La sua spiccata ed interessante personalità, la sicura comprensione di tutta la situazione, sia militare sia politica, davano una sensazione piacevolmente confortante e suscitavano in me una fiducia maggiore di quella ispiratami dai colloqui con i vari uomini politici. Io speravo fortemente che egli potesse avere una parte importante nella creazione di una monarchia costituzionale, in un’Italia libera, forte e unita”. Su quel particolare momento Umberto dirà ad Artieri: Si faceva fatica su tutto: nel cercare un equilibrio sulla via della riconciliazione nazionale, nell’ottenere dagli americani quel riconoscimento che ci accordavano solo a parole, nel ricucire i lembi di un esercito stanco e dal quale dipendeva la nostra possibilità di farci trattare da amici…Se consulto i ruolini di quei giorni scopro che le udienze cominciavano alle sette del mattino…Poi correvo a visitare i ricostituiti reparti italiani, le popolazioni che venivano via via liberate, i luoghi dov’era necessaria la mia presenza”. Fra i tanti che Umberto riceve in udienza nell’estate del 1944 vi è anche il tenente di vascello Giorgio Zanardi, appena giunto dal nord: all’ardimentoso ufficiale che sollecitava il Principe ad agire ancor di più Umberto rispose: Zanardi! Lei non sa cosa stia facendo per trovarmi in prima linea con il Corpo italiano di Liberazione. Ma gli inglesi mentre a parole si dichiarano d’accordo, in pratica si oppongono…Sia pur certo che continuerò ad insistere 6. Le insistenze del Luogotenente portano il 30 agosto a far si che, liberata Urbino, gli effettivi del C.I.L. confluiscano nei Gruppi di Combattimento Cremona, Friuli, Folgore (ex Nembo), Legnano, Mantova e Piceno. Il 1 settembre Umberto è il primo soldato italiano ad entrare a Firenze mentre ancora si combatte attorno a Palazzo Pitti: ha al suo fianco Pietro Calamandrei. Per tutto il prosieguo, partendo da Roma in ore antelucane con un bimotore guidato dal magg. Valentino Pivetti (fratello del capitano Loris, MO al valor aeronautico, disperso in volo nel 1941), atterrava nelle immediate vicinanze del fronte e in più di una circostanza è fatto segno dal fuoco della contraerea o rischia di essere catturato dai tedeschi. Il 19 dicembre è a Ravenna: vi giunge preceduto dai partigiani che hanno “bonificato” la strada di accesso dalle mine piazzate dai tedeschi anche lungo gli argini dei vari fiumi e dei campi circostanti “al punto – ricorda il Principe – che i contadini tenevano i loro bambini nel cortile di una grande cascina e non li lasciavano uscire”. Si reca a Cesena e incontra i partigiani della 28a brigata “Garibaldi” al comando di Arrigo Boldrini (poi membro per il PCI dell’Assemblea costituente e per diverse legislature deputato e in seguito senatore della repubblica) che così ricorderà: “ Si è discusso tra noi se presentarci o meno all’incontro in prefettura…E’ prevalsa la valutazione politica e militare di far comprendere che le formazioni partigiane combattono con il popolo e allo stesso dimostrare correttezza verso gli alleati…Informiamo il Luogotenente sulle operazioni in corso e le condizioni delle popolazioni. Egli ci ascolta e poi chiede quali gradi militari coprivano nell’esercito i membri del comando…la presenza del Luogotenente rafforza la nostra posizione verso gli Alleati per il riconoscimento che implica”. Umberto avverte l’impatto con un mondo a priori a lui avverso e portatore di radicali istanze ideologiche: ma è qui che emerge la sua statura morale. Mentre il partigiano vedeva in lui un “mezzo” per legittimare la sua attività, il Principe, pur consapevole dell’ostilità preconcetta maturata nei suoi confronti, non esita a posporre gli interessi dinastici all’obbiettivo primario di liberare l’Italia dall’occupazione straniera e a riconoscere il valore di chi si è battuto per essa prescindendo dalle convinzioni ideologiche: a Boldrini fu infatti concessa “sul campo” la M.O.V.M.. Il 17 febbraio 1945 è ancora una volta a Cesena:A villa Benini ero alloggiato in una stanza che aveva per suppellettili una branda e una sedia: ricevevo gli ospiti stando seduto sul letto per lasciar libera la sedia. Vennero a trovarmi il vescovo e il sindaco comunista…Con i partigiani mi trattenni a lungo….fummo sorpresi da un lancio di granate. Ricordo c’erano molte ragazze giovani che combattevano in quel battaglione e una di loro mi mise il suo fazzoletto rosso al collo…visitai molti punti nevralgici di quel fronte, in particolare ho in mente un nome, Piratello, una frazione di Imola; fu la che ci sorprese un’imboscata e ci spararono addosso da dietro le mura del cimitero”.  Il Boldrini, passato alla dipendenza del “Cremona”, ha modo di vederlo in quel frangente: “Umberto di Savoia ha ispezionato alcune compagnie al fronte e in un cordiale incontro è stato messo al corrente delle nostre richieste presentate al governo. Al termine ha accettato di rimanere per consumare una frugale colazione…” Motu proprio” ha concesso due decorazioni con medaglie d’argento, una alla memoria del patriota Luciano Lontani, l’altra a Gira (Francesco Mascanzoni)”. I Gruppi di Combattimento, intanto, impiegati con una certa sollecitudine dal Comando Alleato per il passaggio del Corpo d’Armata canadese in Francia, danno un contributo decisivo allo sfondamento della Linea Gotica e sono i nostri fanti piumati ad entrare per primi a Bologna il 20 aprile 1945, dove Umberto giunge accolto dal sindaco Dozza e da una popolazione in festa che alterna ai pugni chiusi nel saluto comunista il tricolore del Regno. Sempre ad Artieri: In questo periodo e fino all’arrivo degli Alleati a Milano esisteva fra popolazione, truppa, formazioni partigiane un sentimento comune: che era la liberazione dell’Italia dallo straniero”. Fra i ricordi indelebili di Umberto vi sarà infine il lungo volo compiuto il 1 maggio 1945 su Lombardia e Piemonte con decollo da Verona, dove è giunto assieme ad Alessandro Casati e Luigi Gasparotto, rispettivamente ministro della guerra e dell’aeronautica nel governo Bonomi: dopo aver lasciato l’antica capitale sabauda “sorvolammo molti centri della Lombardia, poi ci abbassammo sulla Milano-Torino e notammo che i tedeschi in ritirata marciavano ancora con grande ordine, tanto che una loro batteria ebbe il tempo di fermarsi e aprire il fuoco contro di  noi. Riprendemmo quota per abbassarci su Milano…una folla immensa inondava le vie: il grande piazzale Loreto brulicava…Non sapevamo che Mussolini era già morto”. Il 4 maggio è nel capoluogo lombardo e vede il gen. Raffaele Cadorna, dall’autunno del 1944 a capo del Corpo Volontari della Libertà, che lo aggiorna sulla situazione. Ma preciserà Umberto: “non cercavo soltanto reparti dell’esercito favorevoli. Quando l’on. Boldrini chiese di presentarmi la sua divisione partigiani aggregata alla “Cremona” aderii senz’altro. Passai fra mitra spianati e volti seri e forse ci divideva più l’apparenza che la sostanza, ma non certo l’amor di Patria”. Boldrini annoterà quanto accadde il 16 maggio a Codevigo: “Si inizia al suono della Marcia Reale e l’indignazione di molti militari esplode: fischiano…e cantano una canzone antimonarchica…I partigiani della 28ma, invece, eseguono gli ordini e presentano impeccabilmente le armi”. Il 15 maggio Umberto aveva ricevuto ad Adria tutti i vari comandanti partigiani 7, ospiti del gen. Clemente Privieri, comandante del “Cremona”, che aveva liberato quelle contrade, ma i doveri istituzionali lo richiamano nella capitale. Il 14 settembre 1945, vigilia del suo 41° compleanno, Umberto riceverà la seguente lettera a firma di Stefano Jacini, ministro della guerra del governo De Gasperi:” Altezza Reale, dolente che gli impegni dei quali ho parlato stamani a V.A.R. non mi permettano di essere presente domani a Roma, rinnovo sin d’ora, a nome dell’Esercito e mio, i più devoti auguri per il genetliaco di V.A.R.. Colgo con piacere questa occasione per rimettere a V.A.R. il distintivo della vittoriosa campagna di liberazione 1943-45, alla quale V.A.R. ha partecipato direttamente, insieme al primo Raggruppamento motorizzato, al Corpo Italiano di Liberazione e coi gruppi di combattimento. Le truppe, che hanno visto V.A.R.  sulla linea di combattimento dal Volturno al Bologna, saranno fiere di vederla fregiarsi di questo umile segno, che ricorda l’opera da esse svolta per la rinascita della Patria”. Possiamo essere sicuri che quel giorno Umberto sarà stato lieto di questa lettera che sinteticamente suggellava la sua azione e che ancor oggi fa fatica a trovare nella memoria della nazione.