La Conferenza di Pace: una occasione perduta.
(massimo Coltrinari
Le cause remote e lontane della nostra scelta di conquistare l’Etiopia risalgono al primo dopo guerra, quando si presentarono diverse opportunità strategiche per risolvere il vero problema italiano: la man-canza di materie prime strategiche (carbone e petrolio) assenti sul suolo nazionale o la ascensa di influenza e dominio di territori (le colonie nel gergo di allora) lì dove si poteva disporre di queste ma-terie prime direttamente senza interferenze. Il clima degli anni suc-cessivi alla fine della grande guerra, l’umore della popolazione ita-liana, in particolare della classe media, non era dei migliori. In pra-tica nessuno voleva Lenin ma tantomeno voleva D’Annunzio. La perdurante e incontenibile inflazione che azzerava capitali accumu-lati per generazioni faceva nasce due sentimenti consequenziali: contro i rossi, a cui si attribuiva il disordine e la illegalità che ormai si prolungava oltre ogni dire ed in molti, non senza ragione, teme-vano una soluzione alla russa, in cui tutta la società era sconvolta. Di contro la delusione era grande e si manifesta nella avversione verso i profittatori di guerra, di svariata natura, arricchiti con l’inflazione ed i sacrifici degli altri e che ostentavano senza pudore la loro condizione, sicuri di averla fatta franca. Un clima, quello ita-liano, di rassegnata disillusione, in cui i sacrifici non avevano mai fine in un contesto di visione grandiose dai connotati sempre più chimerici. Gli Italiani non sapevano quello che volevano, ma sape-vano chiaramente quello che non volevano. Quegli anni l’Italia visse una tragedia politica di proporzioni rilevanti, delusa sia da destra che da sinistra.
In questo contesto all’Italia ed alla sua classe dirigente si presenta-rono delle opportunità che non furono colte nel campo della politica economico-industriale. Se fossero state colte, ammesso che poi avrebbero dati i frutti che promettevano, l’Italia avrebbe risolto i suoi principali problemi e sarebbe diventata veramente una grande Potenza come credeva di essere.
Sotto il profilo economico l’Italia era uscita dalla grande guerra esausta finanziariamente e con una agricoltura disastrata. Ma il settore industriale non era quello dell’anteguerra. Se nel 1911 il Comune di Roma si dovette rivolgere ad una ditta belga per acquistare i tram per le sue linee tranviarie, negli anni venti ci sarebbero state cinque o sei ditte italiane in grado di soddisfare la richiesta. Non è un mistero che nel campo degli armamenti l’Italia aveva sviluppato una industria di livello mondiale. La Fiat fabbricava mitragliatrici, conosciute ed apprezzate, la Ansaldo aerei, che erano esportati in diversi paesi; e a Brescia e a Terni le fabbriche d’armi si erano sviluppate oltre ogni aspettativa; l’industria navale, soprattutto quella dei sottomarini, era di primordine. Ingegneri e maestranze specializzate italiane erano presenti un po’ dovunque nel mondo. Quindi sotto il profilo manufatturiero-industriale i prodotti italiani nel campo degli armamenti erano non solo conosciuti ma anche apprezzati.
Anche in un contesto socio-politico difficile come quello accennato, la vittoria nella grande guerra dava l’opportunità all’Italia di assurge-re attraverso la sua industria, a livello di grande potenza a livello mondiale, a condizione di avere una classe politica all’altezza, ed una capacità diplomatica tale da cogliere vittorie lì dove la riorganizzazione del nuovo ordine mondiale e la ripartizione delle ricchezze presentavano le opportunità.
Tutto si giocò a Parigi nel 1919-1920. Alla Conferenza di Wersailles tutti sapevano che l’Italia non era una Grande Potenza. Solo la sua presenza era già una novità, se si considera che nell’anteguerra era comune l’accezione dei circoli ristretti di chi contava veramente che l’Italia era considerata “potenza” solo per convenzione diplomatica.
Il semplice fatto che né la Germania né l’Austria la vollero al suo fianco nell’agosto del 1914 convinte entrambe che l’apporto italiano non spostava minimamente i rapporti di forza nel momento in cui gli equilibri europei stavano per essere alterati, dimostra l’assunto sopra detto. Errore grave, che costò caro alla Germania, e carissimo all’Austria, che si privarono di quel supplemento di potenza, non certo grande ma necessario che avrebbe permesso di sconfiggere la Francia e la Serbia nel 1914 ed evitare la guerra di logoramento .
L’Italia come potenza aveva uno solo dei requisiti fondamentali: la popolazione. La sua industria si era sviluppata, ma il rovescio della medaglia era molto crudo: l’Italia viveva dei crediti statunitensi, quindi in una situazione finanziaria dipendente. Come noto, non aveva accesso ad alcuna materia prima strategica e per alimentare la sua industria, di trasformazione, dipendeva dalle aperture di credito statunitensi e dalla disponibilità delle materie prima sui mercati mondiali. Nel momento in cui si ridisegnava la nuova carta del potere nel mondo, escluse la Germania, la Russia e e scomparsi ormai gli Imperi degli Asburgo e Ottomano, vi era la concreta pos-sibilità di avere territori ricchi di materie prime strategiche. Inizia la stagione delle grandi opportunità non colte, premessa alla scelta etiope.