
Le grandi opportunità
Massimo Coltrinari ( www.centrostudicesvam#istitutonastroazzurro.org)
La prima grande opportunità fu quella del Caucaso. Mentre si andava concludendo la Conferenza di Pace, La Gran Bretagna quasi inaspettatamente propone all’Italia di occupare uno spazio libero nella linea di difesa imperiale britannica, al contrario di quando accadde nel 1885 con l’Eritrea, questa volta in una parte del mondo più promettente
“All’inizio del 1919 l’Inghilterra manteneva un corpo di spedizione nel Caucaso. Con Germania, Russia ed Impero Ottomano impossibilitati a reagire, sembrava che i minerali ed i combustibili del Mar nero potessero diventare bottino di guerra. Ma nel giugno del 1919 la Gran Bretagna, attaccata ininterrottamente in Irlanda, India e Medio Oriente, realizzò che le sue forze si estendevano in troppe direzioni e propose d’un tatto che l’Italia assumesse un mandato nel Caucaso. Orlando potè così riportare in patria un successo che sarebbe valso a salvare la faccia, dimostrando che l’Italia aveva realmente partecipato alla spartizione del mondo operata dagli Alleati”
L’offerta britannica, come tutte le offerte di questo tipo, ad un esame più attento non era cosi allettante come a prima vista poteva sembrare. Innanzi tutto la Russia. Superate tutte le difficoltà a Mosca si sarebbe insediato un governo che, a prescindere dal colore e dagli intendimenti, sicuramente sarebbe intervenuto in Caucaso. L’Italia avrebbe dovuto fronteggiare questa azione, sapendo anche che gli Stati Uniti non avrebbero mai accettato un mandato nel Caucaso in generale, ed in Armenia in particolare. L’Italia si sarebbe trovata sola a sostener la situazione. Il punto era: sarebbe stata L’Italia da sola in grado di mantenere le linee logistiche attive per il sostegno del suo corpo di spedizione, anche in presenza di un atteggiamento turco che era tutto da decifrare? Quale il prezzo da pagare?
Occorreva una scelta tanto coraggiosa quanto ardita, del tipo di quella di Cavour con la spedizione di truppe in Crimea. Per il piccolo Regno di Sardegna fu una scelta ardita che porto il problema della unificazione italiana a livello delle Grandi Potenze di allora, avendo dimostrato la I guerra d’indipendenza del 1848-1949 che il Regno di Sardegna non avrebbe mai potuto sconfiggere l’Austria.
Il 23 giugno 1919 Francesco Saverio Nitti successe a Vittorio Emanuele Orlando a capo del Governo. Nitti era stato e era un sostenitore attento della industrializzazione dell’Italia. Aveva più volte sollecitato iniziative volte ad assicurare alle industrie italiane sicure fonti di approvvigionamento, e più volte aveva volto la sua attenzione al Caucaso. Vi erano tutte le premesse per una azione di tipo cavourriano, di ampio respiro.
Nella realtà le decisioni di Nitti furono l’esatto contrario. In mod anche repentino respinse la proposta britannica, rifiutando di mandare forze italiane in Caucaso. Si perdeva così l’occasione di arrivare alle materie prime strategiche in modo diretto. La decisone di Nitti, peraltro, non è priva di validi motivi. La situazione socio- politica in Italia, come visto, nel 1919 era veramente incontrollabile; l’attacco socialista alle proprietà private era costante e la questione interna aveva priorità su tutto. Organizzare una spedizione di una certa rilevanza oltremare, in Caucaso avrebbe gettato ulteriore scompiglio e dato ulteriori argomenti ai socialisti ed ai antimilitaristi. Non meno difficile la situazione sull’altro versante: D’Annunzio aveva lanciato la sua spedizione su Fiume, un vero e proprio pronunciamento
militare che faceva del Regio esercito uno strumento non completamente affidabile.
“Francesco Saverio Nitti fu presidente del consiglio nel solo periodo (23 giugno 1919 15 giugno 1920) in cui L’Italia avrebbe potuto irrompere nel cerchi magico delle grandi potenze industriali: per la fine di quell’anno una depressione mondiale e la conseguente caduta della lira fecero scemare rapidamente le prospettive positive dell’Italia”
Non è questa la sede per un esame dettagliato della azione di Francesco Saverio Nitti e di come la storiografia del periodo valuta la sua azione. A Nitti mancarono la risolutezza e l’immaginazione politica per una azione strategica di questa portata. Ripiego sulle giustificazioni di politica interna, e come tutti che adombrano giustificazioni, fu un perdente. E con lui anche la destra d’annunziana. Anziché lanciarsi in una impresa irrilevante come la conquista di Fiume in nome di un nazionalismo velleitario, le stesse risorse potevano essere messe a disposizione di una impresa come una spedizione militare nel Caucaso con i risvolti strategici di ben più ampia portata. Questa spedizione militare poteva essere messa anche a sostegno della azione di vari gruppi industriali italiani tra il 1919 ed il 1921 che tentarono di creare all’Italia una nuova collocazione di grande potenza nell’economia mondiale, puntando ad assicurarle una posizione di autosufficienza simile a quelle delle altre potenze alleate.
L’azione dei gruppi industriali italia ebbe come culla la Conferenza di Pace di Parigi, vera matrice di ogni iniziativa strategica. I protagonisti principali di questa iniziativa a latere del settore politico-diplomatico furono due ingegneri, Angelo Pogliani ed Oscar Sinigaglia, che, quasi nel solco della tradizione italiana, ovviamente agirono l’uno in modo indipendente dall’altro.
In sintesi l’azione di Pogliani e di Senigaglia era incentrata su un dato centrale: trovare all’Italia una fonte diretta e disponibile di materie prime strategiche. Vedremo le loro iniziative ma fin da adesso si può dire che la loro azione, orientata in tutto il mondo fini in modo negativo per tante ragioni tra cui una serie di disastri di vastissima portata, quali la depressione mondiale, iniziata a metà degli anni ’20, la fine della impresa di Fiume di d’Annunzio e le sue conseguenze, la Georgia occupata dalle forze sovietiche di Mosca (inizio 1921), le turbolenze incontrollabili della politica messicana, finirono in fallimenti totali. Questo insuccesso degli esponenti dell’apparato industriale fu sia politico che economico ed all’inizio del 1922 il mondo degli affari italiano era praticamente alla deriva, con la prospettiva di una bancarotta generale.
Andando a vedere più da vicino le opportunità che si presentarono all’Italia attraverso l’azione degli industriali, il piano messo a punto alla fine del 1919 inizio 1920 da Senigaglia prevedeva un futuro economico ad Est, in Romania, Asia Minore, Caucaso e nelle pianure della Russia meridionale; L’economia interna italiana, con capofila quella metallurgica, avrebbe inviato i suoi prodotti, soprattutto macchinari e beni strumentali in questi paesi, creato porti ed infrastrutture e linee di trasporto ed in cambio avrebbe avuto il grano dalla Ucraina e dalla Romania, il petrolio dalla Romania e dal Caucaso, il carbone dall’Asia Minore.
Nella realtà questo progetto non vide mai alcuna attuazione dimostrando che iniziative tecnocratiche e capacità politiche non producevano altro che fallimenti.
All’inizio del 1922 il processo di riconversione industriale era in atto, come in atto la ricerca diretta della acquisizione di materie prime e ricerca di nuove colonie. Mentre Sinigaglia ed altri sulla sua scia volevano raggiungere questi obiettivi contemporaneamente, altri industriali, di minore livello pensavano che si potesse raggiungerli separatamente. Vi furono tentativi separati e velleitari, ma che si risolsero anche questi in modo disastroso. Nella sostanza le materie prime, soprattutto il petrolio direttamente dal Caucaso o dalla Romania non giunse mai in Italia. Rimaneva una altra opportunità: Il Messico.
La situazione messicana era chiara. Il presidente Carranza voleva fare del Messico una nazione realmente indipendente, ed aveva per questo bisogno di armi ed equipaggiamenti per fronteggiare sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna. Potenze queste che avevano applicato al Messico l’embargo di armi, bloccando ogni velleità messicana. Carranza per uscire da questa stretta doveva rivolgersi al mercato mondiale delle armi poteva offrire concessioni per lo sfruttamento del sottosuolo messicano che era certo ricco di petrolio. Per l’Italia e la sua industria degli armamenti era una occasione unica. Armi contro concessioni per lo sfruttamento del petrolio.
La situazione in Messico era quanto mai fluida ed il potere passo da Carranza ad Obregon, con iniziative variegate sempre sul rapporto fornitura d’armi contro petrolio per l’Italia.
A questo punto entra in gioco una figura che fece più male che bene agli interessi nazionali.
“Nel periodo che va dal novembre 1920 al febbraio del 1921 un noto pirata italiano, il generale Peppino Garibaldi, cercò insieme col giornalista Filippo Naldi di progettare una sorta di accordo finanziario ed industriale tra la grande industria italiana ed il governo messicano, in cui la commessa doveva essere la condizione basilare. Il ministro messicano in Italia, generale Hey, fungeva da intermediario in questi negoziati. Al clan Garibaldi, che aveva preso parte alla rivoluzione messicana del 1910, questa sembrò una grande occasione, soprattutto dal momento che Peppino aveva bisogno di cambiare aria. Questi godeva di un certo seguito a Zara tra le forze insurrezionali militari e paramilitari di stanza lungo la costa dalmata, focolaio di potenziale sedizione che aveva afflitto l’infelice presidente del consiglio Nitti, Nell’autunno del 1920, poiché i negoziati di Giolitti con la Jugoslavia andavano avanti, Peppino cominciò a moderare la sua linea politica, cn grande disappunto della sua milizia, . Avendo reso questo servizio al nuovo presidente del consiglio egli ora voleva essere mandato in missione ufficiale in Messico, lontano dal teatro del suo tradimento. Giolitti doveva essere sollevato all’idea del suo allontanamento: la missione con un adeguato appoggio diplomatico, arrivò a Città del Messico all’inizio del mese di febbraio del 1921. Fu presto chiaro che Peppino Garibaldi, benchè ricevuto con tutti gli onori ufficiali, non aveva alcun credito nel Messico di Obregon”
Dall’Italia dovevano arrivate immediati carichi di armi in Messico, ma Roma non si mosse e l’embargo di armi per il Messico durò fino al 1924. La missione di Peppino Garibaldi fallì su tutta la linea, e l’Italia dovette prendere atto che non poteva fare affidamento sul petrolio messicano.
A tutta questa vicenda di occasioni mancate non poteva non mancare la beffa finale.
“L’8 agosto 1920 “Il Sole” di Milano nella rubrica di terza pagina “Note ed Informazioni” riportò dalla rivista “Ingegneria Italiana” una singolarissima storia. Durante una recente trivellazione di un pozzo vicino a Tripoli erano comparse “tracce di idrocarburi” che indicavano la probabile presenza di petrolio. La rivista faceva notare che una società bolognese aveva costruito trivelle capaci di sondare oltre i millecinquecento metri di profondità, suggerendo che le Ferrovie dello Stato le adoperassero dell’esplorazione del petrolio libico. E’ davvero sorprendente che in nessuna epoca dei successivi venti anni fu mai seguita quest’indicazione Si perse una intera generazione”