Giovanni Riccardo Baldelli. La Divisione “Emilia” nella tragedia dell’8 Settembre.

  

La Divisione “Emilia” nella tragedia dell’8 settembre 1943

Giovanni Riccardo Baldelli
1. Premessa
Ad ottant’anni dall’8 settembre del 1943, dall’annuncio dell’avvenuto armistizio con gli alleati, la storia delle unità italiane del Regio Esercito dislocate nei Balcani si concentra per lo più, senza nulla togliere al loro sacrificio, sulle vicende della Divisione “Acqui”. Delle altre Grandi Unità impiegate al di là dell’Adriatico non sempre si è cercato di analizzarne la storia e le cronache di quei drammatici giorni. Coltrinari e Colombo nel loro volume hanno riportato alla luce le vicende della Divisione “Perugia” che rischiavano di rimanere nell’oblio, ma su tante altre la bibliografia è limitata se non del tutto assente.
Questo lavoro cercherà, sulla base di ricerche effettuate sui volumi concernenti gli avvenimenti post 8 settembre 1943 e relativi a questo particolare scacchiere operativo, di portare alla luce le vicende di una Grande Unità del Regio Esercito che non rimase inerme di fronte alla protervia nazista.

2. La ricostituzione della Grande Unità e cenni storici
L’Ufficio Ordinamento e Mobilitazione-Sezione Mobilitazione dello Stato Maggiore Regio Esercito disponeva con la circolare 73230 del 29 settembre 1941 che dal 15 ottobre successivo si costituissero dai Depositi:
 del 93° Reggimento fanteria (stanziato ad Ancona) il 119° Reggimento fanteria;
 del 94° Reggimento, di stanza a Fano, il 120° Reggimento fanteria,
limitando per il momento gli organici al 40/50% della forza.
La stessa circolare specificava che i sottufficiali e la truppa:
 fossero tratti dalle disponibilità dei centri di mobilitazione interessati;
 dagli altri centri della circoscrizione .
Con la circolare 85850/3 datata 15 dicembre 1941 lo stesso Ufficio Ordinamento e Mobilitazione dello Stato Maggiore Esercito disponeva la mobilitazione dei due Reggimenti di fanteria.
La Divisione di fanteria “Emilia” (155a) risulta quindi costituita nel 1941 ad Ancona ed è dislocata inizialmente, oltre che nel capoluogo marchigiano, anche in altre città delle Marche (Pesaro, Fano e Senigallia).
La Grande Unità all’atto della costituzione risulta dunque ordinata su:
 119° Reggimento fanteria “Emilia”, che, secondo quanto indicato nelle Formazioni di Guerra sancite dalla circolare 0016330 del 4 agosto 1941 di Ufficio Ordinamento e Mobilitazione dello Stato Maggiore Esercito, risultava strutturato su:
 Comando;
 compagnia comando;
 tre Battaglioni fucilieri;
 una compagnia mortai da 81;
 una compagnia armi da accompagnamento/controcarri da 47/32.
 120° Reggimento fanteria “Emilia”, con un organico identico al 119°.
 155° Reggimento artiglieria “Emilia”, ordinato su:
 Comando;
 Reparto Comando;
 I Gruppo obici da 100/17;
 II Gruppo cannoni da 75/27.
 CCLV Battaglione mitraglieri;
 CLV Battaglione Misto Genio, su:
 155a compagnia Genio;
 255a compagnia mista telegrafisti/marconisti;
 Sezione Sanità;
 155a Sezione Sussistenza;
 255a Sezione panettieri;
 125a e 135a Sezione Carabinieri Reali.
Da una prima analisi dell’organico si può immediatamente notare la mancanza di un terzo Reggimento di fanteria, di un Gruppo di Artiglieria. In ogni caso, anche con la presenza di altre unità, ma con organici ridotti al 40-50% e per di più impiegati a pioggia su un territorio compartimentato, con difficoltà di collegamento e sempre sotto la costante minaccia di atti di guerriglia, si può immaginare quale siano state le difficoltà riscontrate, dai vari Comandanti ai vari livelli, nell’esercitare la propria azione di comando e controllo sulle unità dipendenti. A ciò si aggiungeva una carenza nel supporto aereo da parte dei reparti della Regia Aeronautica dislocati in Montenegro (solo tre squadriglie erano dislocate a Mostar in Bosnia-Erzegovina).

3. L’impiego nei Balcani
Il 18 marzo del 1942 le unità della Divisione ricevono l’ordine di dislocarsi in Jugoslavia, iniziando così il movimento dalle sedi stanziali delle città marchigiane verso il porto di Bari, da dove saranno imbarcate per raggiungere il 24 successivo la costa jugoslava nei pressi di Cattaro. Alla Divisione, inizialmente, vengono assegnati i compiti di presidio del territorio circostante le Bocche di Cattaro, della fascia costiera compresa tra Kadovcic a Budva e di protezione della linea ferroviaria Zelenika-Gruda. La Grande Unità per tutto il 1942 è impegnata in poche azioni di rastrellamento vista la limitata azione delle unità partigiane jugoslave. Nel corso del 1943 e fino all’armistizio l’”Emilia” fu impiegata nell’area vicino Nikšić, Grahovo, Viluse e Trubjela, località contraddistinte da una sensibile attività di guerriglia.
La Divisione “Emilia”, con al comando il Generale Ugo Buttà (Capo di Stato Maggiore il Tenente Colonnello Antonio Alfieri), era inquadrata nel XIV Corpo d’Armata con a capo il Generale Ercole Roncaglia dal quale dipendevano anche le seguenti Grandi Unità:
 Divisione di fanteria “Ferrara” (23a);
 Divisione di fanteria da montagna “Venezia” (19a);
 Divisione alpina “Taurinense” (1a);
 Unità varie (un Battaglione carri “L”, vari Gruppi di artiglieria da campagna, costieri e contraerei, due Battaglioni della Regia Guardia di Finanza, tre Legioni e dieci Battaglioni di Camicie Nere ).
Il XIV Corpo d’Armata aveva giurisdizione anche sul Comando Marina delle Bocche di Cattaro (dipendente per la Difesa Territoriale dal Comando della Divisione “Emilia”) e posto sotto il Comando Militare Marittimo dell’Albania.
La Piazza Marittima disponeva di 13 batterie costiere e antiaeree per un totale di 51 pezzi (16 da 150 mm e 35 di piccolo calibro); mentre le unità navali che erano alla fonda nelle Bocche erano del tutto ininfluenti visto lo scarso valore bellico. Si trattava, infatti, della motosilurante MS 47, del MAS 434, del piroscafo “Fanny Brunner”, di alcuni rimorchiatori e di alcuni motovelieri attrezzati per il dragaggio. Il Comandante della base navale, il Capitano di Vascello Mario Azzi, aveva sede a Teodo e poteva disporre anche di nove idrovolanti leggeri Cant Z 501 per la ricognizione marittima.
All’8 settembre del 1943 le unità della Divisione “Emilia”, il cui comando era stanziato a Castelnuovo nei pressi Cattaro e che occupavano un settore corrispondente alla provincia di Cattaro, erano le seguenti:
 119° Reggimento fanteria “Emilia”;
 120° Reggimento fanteria “Emilia”;
 155° Reggimento artiglieria “Emilia”;
 CLV Battaglione Misto Genio;
 LXXXI Battaglione Camicie Nere;
 135a Formazione Volontari della Val Pupa (elementi anticomunisti);
 XVII Gruppo artiglieria da 149/35;
 XXV Battaglione Misto Carabinieri Reali;
 415a compagnia mortai da 81;
 291a compagnia Presidiaria;
 4a compagnia della Regia Guardia di Finanza;
a cui si aggiungevano:
 il 3° Reggimento alpini (meno il Battaglione alpini “Pinerolo”);
 il Gruppo artiglieria da montagna “Susa” del 1° Reggimento artiglieria da montagna;
 alcune batterie della Regia Marina.
Il Comando della Divisione “Emilia”, a cui competeva la difesa della Piazza, aveva suddiviso la stessa in due settori:
 orientale, con fronte a terra, con a capo il Comandante della fanteria Divisionale Generale di Brigata Livio Negro;
 occidentale, con il fronte a mare, di cui era responsabile il Comandante del 120° Reggimento fanteria.
Alle ore 20 dell’8 settembre giunse ai reparti italiani la notizia dell’armistizio che, come logico pensare, li sorprese e disorientò.
La drammaticità di quelle ore può essere sintetizzata nell’incapacità del Comando Supremo e del governo Badoglio di non aver saputo coordinare o, meglio, dare disposizioni circa il comportamento da tenere con i tedeschi in seguito alla dichiarazione di armistizio. Nemmeno il Comandante del Gruppo Armate Est, il Generale Ezio Rosi, inizialmente diede credito all’annuncio di Badoglio bollandolo come propaganda. Rosi non riusciva a capacitarsi sul fatto che si fosse concluso un armistizio senza aver dato un minimo avviso ad un Comandante di Gruppo d’Armate.
Fece chiamare, infatti, dal suo Capo di Stato Maggiore:
 il Capo di Gabinetto del Ministro della Guerra, che smentirà la notizia definendone un’infame calunnia;
 il Capo di Stato Maggiore della 9a Armata, che si espresse allo stesso modo.
Ma quello che fece stizzire ancor di più Rosi fu di non aver ricevuto nemmeno un avviso verbale da parte del Capo di Stato Maggiore Generale Ambrosio nel corso di un colloquio avuto solo pochi giorni prima. A riprova del disappunto di Rosi verso lo Stato Maggiore c’è la convocazione a Roma del Capo di Stato Maggiore del Gruppo Armate Est, Emilio Giglioli, che venne chiamato a Roma per ricevere il Promemoria n. 2.
Il Giglioli giunto a Roma nella mattinata dell’8 settembre, venne ricevuto solo nel pomeriggio alle 17 dal Sottocapo di Stato Maggiore Rossi che, in quel momento, stava partendo per Algeri con i delegati alleati Taylor e Gardner. Benché avesse protestato vivacemente e avesse ottenuto l’apposizione della motivazione del ritardo nella consegna, il Promemoria numero 2 non giunse mai a destinazione in quanto Giglioli, per cause varie, non riuscì a rientrare presso il proprio comando a Tirana.
La notizia, invece, non colse impreparati i tedeschi che:
 dalle ore 21.00, interruppero i collegamenti telefonici e radio con la 118. Jäger-Division (118a Divisione Cacciatori) dislocata nella regione di Podgorica;
 dalle prime ore del mattino avevano fatto già sbarcare a Cattaro circa 1.000 uomini della 7. SS-Freiwilligen-Gebirgs-Division “Prinz Eugen” con destinazione iniziale Durazzo.
In effetti, i tedeschi avevano già disposto dalla sera dell’8 settembre l’attuazione dell’Operazione “Achse”.
Il Comando della 2a Armata tedesca alle 21:23 dell’8 settembre aveva comunicato il seguente messaggio in codice: “Eseguire parola d’ordine: Achse”. La 118. Jäger-Division venne posta in stato d’allarme ricevendo allo stesso tempo l’ordine di approntare immediatamente le unità alla marcia. Alle 00:15 del giorno 9 il comando della 118. Jäger-Division ricevette istruzioni più dettagliate in cui era specificato: “Approntarsi con tutti i reparti idonei al combattimento. Indurre subito le autorità militari italiane (Generale Roncaglia Comandante del XIV Corpo d’Armata) alla consegna delle armi e occupare le centrali di collegamento. Quindi presidiare la costa. L’importante è affermarsi con ogni energia nei confronti degli Italiani. […] Indicare che, con la pronta consegna delle armi, verranno risparmiati ulteriori combattimenti.
Anche il Comando Supremo cercò di dare disposizioni anche se con cautela e forti limitazioni nei confronti delle unità dipendenti. Passata la mezzanotte del 9 il Comando Supremo emanò il dispaccio numero 24202/Op. a firma di Ambrosio, con il quale si impartivano le seguenti istruzioni:
1..) Comando Gruppo Armate Est concentri le forze riducendo gradualmente occupazione come ritenuto possibile ed conveniente in modo però da garantire comunque possesso porti principali et specialmente Cattaro e Durazzo. Dare preavviso dei movimenti germanici
6..) Tutte le truppe di qualsiasi arma dovranno reagire immediatamente ed energicamente ed assenza speciale ordine ad ogni violenza armata germanica et della popolazione in modo da evitare di essere disarmati e sopraffatti. Deve essere però presa iniziativa di atti ostili contro i germanici
Generale Ambrosio
In tale quadro, infatti, si può comprendere come lo sbarco delle unità tedesche nel porto di Cattaro, con ogni probabilità un inganno, si prefiggeva lo scopo di infilarsi nel mezzo delle difese attivate per la tenuta della località litoranee.
Nemmeno il Comandante del Gruppo Armate Est pensò minimamente agli effetti derivanti dall’inserimento di un’unità, diciamola francamente nemica, all’interno del dispositivo difensivo. Infatti, diede l’ordine di far sbarcare i reparti, un Battaglione della Flak per far loro proseguire il movimento verso Durazzo per via ordinaria, in quanto il piroscafo dal quale erano sbarcati non era in condizioni tali da poter affrontare il mare aperto. Lo sbarco di questo Battaglione tedesco preoccuperà le unità del Comando Marina in quanto sembrava che lo sbarco fosse avvenuto con lo specifico scopo di bloccare le forze italiane, disarmarle ed impossessarsi del territorio. Lo sbarco fu comunque effettuato anche se si registrarono momenti di tensione, in quanto gli italiani pretesero di far rimanere a bordo l’armamento pesante consistente in mitragliere controaerei. Le attività di sbarco furono seguite dal XXIX Battaglione Carabinieri Reali e dalla Torpediniera “Abba”. Nel corso delle operazioni di sbarco venne arrestato un giovane Ufficiale tedesco che aveva tentato di ricongiungersi con le unità tedesche presenti in zona. Il Battaglione, autorizzato a muovere per strada da Cattaro a Durazzo, non si mosse più dalla città montenegrina, ma s’impossessò alcuni giorni dopo, precisamente il pomeriggio del 13 settembre, di un incrocio fondamentale per la viabilità, considerato obiettivo di notevole importanza tattica
Vista la situazione il Generale Roncaglia Comandante del XIV Corpo d’Armata ordinò per telefono di tenere prontamente disponibili le unità e di mantenere ordine nel territorio e opporsi a qualsiasi progresso delle unità partigiane. Il giorno successivo Roncaglia dispose che la Divisione “Emilia” adottasse tutte le misure necessarie per poter salvaguardare la tenuta del territorio della provincia di Cattaro.
Sempre il 9 settembre il Comandante della 118. Jäger-Division il Generale Joseph Kluber chiese al Generale Roncaglia e ai Comandanti delle Divisioni “Venezia“ e “Taurinense” la consegna dei pezzi di artiglieria. Roncaglia rifiutò e rispose che avrebbe reagito con sollecitudine a qualsiasi atto di forza da parte tedesca. Analoga risposta fornirono i due Comandanti delle Divisioni. Kluber il giorno seguente reiterò la richiesta a Roncaglia che, autorizzato dal Comando Gruppo Armate Est, si rese disponibile a cedere due batterie da 149/35 in servizio costiero.
Il 9 settembre l’aeroporto di Gruda, presidiato da reparti italiani, fu occupato con un colpo di mano da alcuni reparti della 7. SS-Freiwilligen-Gebirgs-Division “Prinz Eugen”.
Il giorno 11 settembre il Comando del Gruppo Armate Est emise l’ordine di cedere tutte le armi, eccetto:
 quelle individuali;
 le mitragliatrici;
 un plotone mortai per Battaglione di fanteria;
 le autoblindo;
 una batteria per Reggimento di artiglieria.
Praticamente era l’ultimo ordine emanato da questo Comando in quanto l’11 settembre il Comando del Gruppo Armate Est cessava di esistere. Verso le 10:30 dello stesso giorno il Comandante della Grande Unità venne fatto prigioniero da un reparto tedesco appoggiato da alcuni semoventi. Dopo nemmeno un’ora dalla sua cattura Rosi era già a bordo di un aereo che lo avrebbe portato prima a Belgrado e poi a Vienna.
Significativo è ciò Rosi fece scrivere la sera prima della sua cattura nel Diario Storico del Comando Gruppo Armate Est:
“Il Governo Badoglio ordina di fare opposizione agli eventuali soprusi delle truppe tedesche e considera traditori quei comandi che, potendolo, non eseguiranno tale ordine. Ma non si è tenuto conto che le truppe italiane sono ultra frazionate nei servizi di presidio e che, avanti di poterle raccogliere per riunire in grandi e efficienti unità occorrono parecchi giorni. Mentre, per converso, le Divisioni germaniche sono tutte unite, potentemente armate e dotate di notevole rapidità di movimento. Opporsi, equivarrebbe quindi a esporre i nostri soldati ad un inutile sacrificio.
Penso che il tradimento sia piuttosto di chi, avendo firmato l’armistizio il giorno 3 settembre, non ha provveduto a darne avviso a tempo opportuno, affinché nei giorni seguenti (dal 3 all’8 settembre), si potesse organizzare, volendolo, la resistenza.”
Viazzi nel commentare lo scritto di Rosi riprende quanto scritto da Generale Ilio Muraca che, nel criticare l’inutilità del Comando Gruppo Armate Est, sostiene che esso era stato costituito per compensare lo stesso Rosi che da Capo di Stato Maggiore dell’Esercito non voleva essere destinato a un Comando di Armata.
Tralasciando lo stigma di Muraca, le chiacchiere da Circolo Ufficiali e da fureria, come non si può essere d’accordo con Rosi quando individua le problematiche riscontrate:
 la dispersione delle unità, utilizzate per lo più a presidio di punti;
 la scarsità di mezzi di trasporto;
 la scarsità di armamento pesante e di unità moto meccanizzate.
Tornando alla Divisione “Emilia” e alle vicende armistiziali riguardanti le Bocche di Cattaro, la notizia dell’armistizio aveva generato tra la truppa un’iniziale euforia e rilassatezza, testimoniata da tentativi di fuga via mare di civili e militari e la sottrazione di materiale dai magazzini, che furono immediatamente stroncate. La mattina dell’11 settembre furono fatti decollare per Taranto anche gli idrovolanti della ricognizione marittima. Nella serata dello stesso giorno il Generale Buttà comunico al Comandante Azzi che il Comando del XIV Corpo d’Armata aveva autorizzato una colonna tedesca, di previsto arrivo nella Piazzaforte di Cattaro, a ricevere le batterie e le artiglierie mobili lasciando agli italiani l’armamento individuale e la disponibilità dei propri magazzini.
Il Comandante Azzi ordinò la partenza delle due torpediniere, della motosilurante e dei moto velieri adibiti al dragaggio che riuscirono a trasportare a bordo circa 400 uomini delle tre forze armate. Al contempo, ordinò a due dragamine e al MAS 434 di recarsi ad Antivari per recuperare il personale della locale Capitaneria di Porto e di alcune stazioni di vedetta/avvistamento.
La notizia della partenza delle unità navali da Teodo generò malumore, prontamente messo a tacere dagli Ufficiali. Su specifica esortazione di Azzi, gli Ufficiali fecero azione morale sui propri uomini convincendoli sul fatto che le partenze sarebbero state organizzate in ogni caso con gradualità. Le esortazioni e le giustificazioni rese dai Comandanti non sortirono l’effetto sperato, in quanto, durante la notte alcuni natanti carichi di personale riuscirono ad allontanarsi via mare. Altre sei piccole unità che erano già in rotta per l’uscita dalle Bocche di Cattaro, invece, furono fatte desistere a causa dell’intervento delle batterie costiere. Un altro episodio che complicò ancora di più la situazione avvenne nella notte del 12 settembre quando un reparto composto da 30 militari tedeschi, in attesa di traghettare a Camenari, chiese di sostare a Lepetane. Azzi autorizzò la sosta, ma il reparto non si mosse più da lì.
Il 12 settembre il Comandante del XIV Corpo d’Armata convocò a Podgorica i Comandanti delle unità dipendenti per concretizzare le azioni da effettuare contro i tedeschi sulla base degli ordini precedentemente pervenuti dal Gruppo Armate Est e dalla 9a Armata.

4. La Divisione “Emilia” combatte e non cede le armi
In questa riunione prese corpo la decisione di non attenersi agli ordini superiori che stabilivano di cedere le armi, ma di concentrare le unità del XIV Corpo d’Armata per effettuare un’eventuale azione contro i tedeschi.
A causa però della situazione politico-militare che impediva la riunione delle forze, il Generale Roncaglia lasciò ciascun Comandante libero di adottare le misure ritenute necessarie, in ragione delle diverse situazioni locali, sulla base delle quali avrebbe potuto condurre le azioni contro i reparti tedeschi.
In particolare, esortò il Generale Buttà, che più di ogni altro aveva espresso la volontà di attaccare i tedeschi, di evitare eventuali attriti con gli stessi, allo scopo di non far precipitare la già precaria situazione politico-militare nel Montenegro.
Roncaglia faceva riferimento alla reazione dei reparti della Divisione “Emilia” al colpo di mano tedesco del 9 settembre che aveva portato all’occupazione dell’aeroporto di Gruda. Il 10 settembre, infatti, alla notizia dell’occupazione del campo d’aviazione di Cruda, il Generale Buttà aveva dato ordine ad una batteria d’artiglieria dipendente di effettuare un’azione di rappresaglia con i pezzi a disposizione. Non furono fornite, con certezza, le perdite inflitte ai tedeschi, ma il comandante del reparto della “Prinz Eugen”, che aveva occupato il campo di aviazione, affermò che, se avesse avuto a disposizione armamento analogo avrebbe effettuato sicuramente un’azione di ritorsione.
L’intervento delle artiglierie rappresentava un primo tentativo di resistere alle imposizioni tedesche. Il Comandante della Marina Azzi fu informato dai propri Ufficiali sul fatto che le truppe tedesche avevano occupato quasi tutte le posizioni di fondamentale importanza tattica. Gli Ufficiali della Regia Marina prospettarono dunque al proprio Comandante di voler combattere i tedeschi anziché rimanere passivi. Pertanto, decisero all’unanimità di non cedere il passo ai reparti tedeschi, anche se fossero giunti ordini contrari. Azzi informò immediatamente Buttà dell’iniziativa, il quale concordò con la decisione di passare all’azione.
C’è da aggiungere che il Comandante dell’”Emilia” aveva già discusso con il Comando del XIV Corpo d’Armata lamentandosi dell’occupazione da parte tedesca di punti tattici fondamentali inseriti nel mezzo del nostro schieramento.
Buttà nel corso di un’altra riunione, tenuta dal Generale Roncaglia il giorno 13 settembre ai reparti dipendenti, espresse la volontà di attaccare i tedeschi il giorno successivo, nonostante l’ordine impartito alla sua unità fosse stato quello di prendere tempo nel cedere armi ai tedeschi. Armi che, secondo il Comando del XIV Corpo d’Armata, sarebbero state utili per difendersi dagli eventuali attacchi dei cetnici e dei titini, presenti in forze nella zona di Cattaro. Roncaglia invitò Buttà a non prendere iniziative autonome e di tenere stretto coordinamento con gli altri due Comandanti delle Divisioni del XIV Corpo d’Armata. Nel corso sempre della riunione Buttà, il Comandante della”Ferrara” Francesconi e il Comandante della “Taurinense” Vivalda, proposero di riunirsi nella zona di Cattaro, considerata ancora provincia italiana, al fine di difendere l’area in attesa di ricevere disposizioni o, meglio, unità in rinforzo, armamento, munizioni e rifornimenti. Nel corso dell’incontro fu ventilata anche l’ipotesi che il Generale Roncaglia con il suo Comando si spostasse a Cattaro, ove avrebbe potuto dirigere e coordinare al meglio le unità dipendenti. La riunione però ebbe termine senza che si fosse giunti ad una decisione al riguardo. Al termine, Vivalda si accordò con Buttà per l’effettuazione di un’azione comune tra le due Grandi Unità. Buttà, non appena avesse preso posizione e dato inizio al combattimento contro le truppe germaniche, avrebbe dovuto comunicare la parola convenzionale “Rottura”; Vivalda, a questo punto, avrebbe mosso i reparti dipendenti in direzione di Cattaro.
Dopo aver preso parte alla riunione Buttà rientrò a Cattaro, qui venne informato per telefono dal Comandante della fanteria Divisionale e comandante incaricato della difesa del settore orientale che alle 19:30 un Ufficiale della 118. Jäger-Division gli aveva consegnato un ultimatum con il quale si intimava la consegna, entro le ore 11:00 dell’indomani mattina, di tutte le armi ad eccezione di pistole e fucili. La cessione delle armi avrebbe dovuto essere effettuata a Cattaro, Teodo e Kumbor.
Il Comandante dell’”Emilia” prese atto che le trattative intraprese con i tedeschi, al solo scopo di prendere tempo per la definizione di un piano comune da attuare con le altre Divisioni del XIV e del VI Corpo d’Armata, non potevano protrarsi più a lungo e che quindi era necessario “attaccare per schiacciare la tracotanza germanica e salvare l’onore delle armi per la divisione”.
Buttà, a questo punto, invitò il Generale Negro a raggiungerlo presso il suo comando a Castelnuovo e per le 21:00 convocò una riunione a cui erano stati chiamati a partecipare:
 il Capitano di Vascello Azzi, Comandante della Marina a Teodo;
 il Capitano di Corvetta Moretti, Comandante della Difesa marittima;
 i Comandanti dei tre Reggimenti dipendenti e il Comandante del Battaglione Misto Genio inquadrato nella Divisione;
 alcuni capi cetnici e patrioti locali.
Viazzi, al riguardo, evidenzia che sarebbe stato impossibile:
 riunire alle 20:00 i vari comandanti vista la distanza dalle sedi stanziali dei reparti al luogo dell’incontro (il Generale Negro avrebbe dovuto percorrere almeno 50 chilometri, di notte e su strade al limite della percorribilità);
 concordare e pianificare una linea d’azione, visto il ristretto margine di tempo imposto dai tedeschi.
È più plausibile, invece, sempre secondo Viazzi, che Buttà avesse convocato solo i Comandanti di Reggimento organicamente inquadrati nella sua Divisione, ma che non avesse invece invitato il Comandante del 3° Reggimento Alpini, passato alle sue dipendenze dal 9 settembre. Un grave errore, come evidenzia ancora Viazzi, se si pensa ai compiti delicati che stavano per essere assegnati a questa unità. Uno strano comportamento visto che alla riunione “erano stati invitati fantomatici capi cetnici e non bene definiti patrioti locali”.
Buttà, infatti, la sera del 13 settembre dispose la partenza di un Battaglione del 3° Reggimento Alpini per ciascuna delle seguenti località: Mrcine-Gruda, Castelnuovo e Cattaro; mentre non fu affidato nessun compito al Comando di Reggimento.
È probabile che l’obiettivo principale di Buttà e degli altri Ufficiali Superiori fosse quello di riportare in Italia il maggior numero di uomini, visto che già dal giorno 12 settembre reparti della XXVIII Brigata Costiera, che avevano avuto l’ordine di raggiungere Cattaro via mare, si diressero invece verso le coste pugliesi.
Questo fatto, secondo diverse testimonianze fece maturare nell’ambito del Comando Marina la decisione di attaccare i tedeschi. Decisione, che si è visto, fu pienamente condivisa da Buttà che, probabilmente, vedeva tale soluzione come l’unica prospettiva di salvezza per le unità da lui dipendenti. L’esecuzione del piano d’azione era semplice: una parte delle forze avrebbe dovuto tenere a bada i tedeschi, consentendo all’altra di potersi imbarcare e raggiungere l’Italia. In sintesi, ogni reparto italiano avrebbe dovuto attaccare il reparto tedesco con il quale era a immediato contatto.
Secondo il piano elaborato, l’azione si sarebbe dovuta effettuare mediante una manovra concentrica e simultanea messa in atto da due colonne con obiettivo:
 Gruda, ove era ubicato il comando tedesco;
 il campo d’aviazione.
La 1^ Colonna aveva come direttrice di attacco la rotabile Castelnuovo-Gruda; mentre la 2^ Colonna, ala destra dello schieramento, si sarebbe mossa lungo l’asse Mrcine-campo d’aviazione.
La 1^ Colonna era costituita da:
 I Battaglione del 120° Reggimento fanteria, meno due plotoni e il comando di una compagnia;
 una compagnia del CXIV Battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata;
 un plotone della 5a compagnia;
con il supporto di:
 due batterie da 100/17 del 155° Reggimento artiglieria;
 una batteria da 149/35 del XVI Gruppo artiglieria.
Facevano invece parte della 2^ Colonna:
 II Battaglione del 120° Reggimento fanteria (una compagnia fucilieri, un plotone mitraglieri, un plotone cannoni da 47/32, un plotone mortai da 81 e la compagnia comando),
con il supporto di:
 una batteria da 75/27 del 155° Reggimento artiglieria;
 una batteria da 75/13 del Gruppo “Susa” del 1° Reggimento artiglieria da montagna.
Si può notare con facilità quale fosse la reale forza della colonna se si pensa che un Battaglione di fanteria normale aveva in organico ben tre compagnie di fucilieri. Il secondo obbiettivo era stato individuato da uno schieramento di artiglieria e fanteria tedesco appartenente al Jäger-Regiment 750.
La composizione delle forze a cui era stato assegnato questo obbiettivo era:
 I Battaglione del 119° Reggimento fanteria,
con il supporto di:
 una batteria da 100/17 del 155° Reggimento artiglieria;
 una batteria da 75/27 del 155° Reggimento artiglieria;
 due batterie controaerei della MILMART;
 una batteria costiera da 156/37 della Regia Marina.
Altri due compiti vennero poi assegnati al settore orientale:
 l’annientamento del Presidio tedesco di Lepetane;
 l’annientamento di una batteria tedesca.
Per poter portare a temine questi due ultimi obbiettivi si dovette far ricorso alla costituzione di due reparti di formazione così strutturati:
 uno con personale della Regia Marina, su:
 tre plotoni di marinai con una forza complessiva di 110 uomini;
 50 legionari della MILMART;
 30 CC.RR. aggregati per il servizio alla Regia Marina.
 l’altro con elementi del XVI Gruppo artiglieria e del CLV Battaglione Mitraglieri.

5. I combattimenti
La sera del 13 settembre 1943 dal Comando della Divisione “Emilia” fu comunicata ai reparti dipendenti e alla Divisione “Taurinense” la parola convenzionale con la quale iniziare, alle 05:00 del 14 settembre, l’azione contro i tedeschi: “Domani 14 ore 05:00: Rottura”.
Anche i reparti di formazione costituiti dal comando Marina di Teodo si distinsero nei combattimenti con alla testa lo stesso comandante Azzi, che si rese protagonista anche di un’azione solitaria contro una casa in cui erano asserragliati otto tedeschi, che fece uscire ed arrendersi dopo averli bersagliati con il lancio di diverse bombe a mano.
L’azione di prevista effettuazione da nord su Cattaro era stata affidata al Generale Negro, a cui erano stati resi disponibili il II Battaglione del 119° Reggimento fanteria e il Battaglione alpini “Fenestrelle” del 3° Reggimento alpini. Negro che non aveva partecipato alla riunione della sera del giorno 13 era totalmente disinformato sui compiti a lui affidati. Tanto è vero che anche il Comandante del II Battaglione non sapeva nulla sul fatto di mettersi alle dipendenze del Generale Negro e con lui marciare per portare a termine l’azione su Cattaro. Infatti, Negro, diede ordine al Battaglione di dirigersi verso la montagna, preceduto dall’automobile su cui viaggiava egli stesso.
Secondo quanto riferisce Buttà nella sua relazione redatta al termine del conflitto Negro: “non ha preparato l’anima e la mente degli ufficiali e della truppa alla crisi del prossimo combattimento, anzi quando alle 21:00 tenne un discorso agli ufficiali concludeva col dire: ”ciascuno pensi ai propri casi”, creando quello deprimente di malessere che ha avuto una notevole ripercussione sulla fermezza dei combattimenti. Nella circostanza, poi che per le 19:00 (del 13 settembre n.d.a. ) il Gen. Negro avesse fatto allontanare da Cattaro, per portarsi a Prison, il motoscafo armato dalla Questura di Cattaro (pilotato dallo stesso personale che alle 17:00 di quel giorno aveva fatto sapere che intendeva allontanarsi da Cattaro per tentare di guadagnare la costa italiana) aggravò maggiormente sospetti. Inoltre, il fatto che si allontanasse portando con sé parte del proprio bagaglio, il suo attendente e dell’ufficiale di ordinanza Ten. Luigi Salatiello, fece sorgere in tutti il sospetto che si allontanasse per non fare più ritorno, sospetto che produsse i suoi deleteri effetti sulla massa degli Ufficiali e della truppa di Cattaro. […]
Il Gen. Negro, nella notte e nel giorno successivo, non seppe e non poté (date le sue condizioni fisiche) e non volle raggiungere il suo posto di comando, che secondo i progetti era nella città di Cattaro, così da assumere in pieno la condotta delle operazioni.”
Alle 05:00 del 14 settembre le artiglierie italiane iniziarono il fuoco di preparazione:
 su un posto di blocco ove era stato dislocato un pezzo controcarri da 88 mm;
 sul campo di aviazione.
Terminato il fuoco delle nostre artiglierie in alcuni punti dello schieramento offensivo, grazie all’iniziativa dei singoli, le unità italiane occuparono rapidamente le posizioni tenute dai tedeschi. Nel complesso, però, l’avanzata fu rallentata:
 a causa del terreno compartimentato;
 per la presenza di filari di viti posizionati trasversalmente alla direzione di attacco.
Per cui, i combattimenti ebbero inizio alle 07:30 quando apparvero, purtroppo, dei cacciabombardieri tedeschi che bersagliarono con spezzoni e mitragliamenti una batteria italiana che, comunque, continuò il fuoco.
Dopo che il II Battaglione del 120° Reggimento fanteria ebbe iniziato il suo movimento, si abbatté su di esso il fuoco delle mitragliatrici e dell’artiglieria tedesca. Elementi locali (probabilmente cetnici o ustascia) effettuarono azioni di contrasto sulle unità del Battaglione alpini, a cui era stato assegnato come obiettivo principale il campo d’aviazione. Il fuoco dei cecchini locali fu messo a tacere e l’unità riuscì a giungere all’altezza del campo di aviazione.
Anche l’attacco sferrato dal I Battaglione del 120° Reggimento fanteria lungo la strada litoranea di Sutorina sembrava che potesse essere coronato da successo, ma il fuoco delle armi automatiche e il supporto aereo tedesco provocò tali gravi perdite al Battaglione che dovette attestarsi sulle posizioni appena raggiunte. Alle 15:00 la situazione per il I Battaglione del 120° Reggimento fanteria divenne insostenibile a causa di infiltrazioni nemiche e dei continui attacchi aerei tedeschi. Per contrastare l’azione aerea una sezione da 75/27 del 155° reggimento artiglieria chiese di poter effettuare dei tiri con granate caricate a shrapnels. Il comandante della sezione di artiglieria, i cui pezzi erano stati predisposti anche per il tiro contraerei, notò che gli aerei dopo le picchiate (in formazione da tre velivoli) effettuavano una virata riducendo sensibilmente la velocità, tanto da farne un facile bersaglio per un eventuale tiro con quella tipologia di proietti. Questa ipotesi di utilizzare pezzi di artiglieria terrestri per il tiro contraerei, utilizzando munizionamento a pallettoni, visto che la Divisione non disponeva di unità antiaeree organiche e nemmeno in supporto, avrebbe potuto portare anche ad un’eventuale successo, limitando così l’azione degli aerei tedeschi: L’impiego dei cannoni però fu autorizzato dal Comando del Gruppo di artiglieria.
Alle 16:30 venne dato l’ordine di fare ripiegare le truppe dalle posizioni raggiunte fino alle basi di partenza. Il Battaglione alpini “Pinerolo”, posizionato a destra dello schieramento di attacco, non riuscì a mettere in atto il movimento avvolgente, in quanto il suo fianco destro era totalmente scoperto e minacciato dalle frequenti azioni di ustascia. Un grosso reparto tedesco si mosse per spezzare il collegamento tra il “Pinerolo” e il I Battaglione del 120° Reggimento fanteria; eventualità da rifuggire a tutti i costi per evitare che le truppe germaniche si potessero incuneare tra i due Battaglioni.
Si manifestarono anche altre due minacce costituite da due reparti tedeschi giunti:
 in treno, i cui soldati scesi rapidamente dal convoglio ferroviario sparirono tra la vegetazione;
 con autocarri, con il personale che smontato velocemente dai veicoli si infiltrò in un campo di granoturco evitando di attraversare l’aeroporto.
L’azione di fuoco portata dal plotone mortai di una compagnia del Battaglione alpini “Pinerolo” fece arrestare il movimento delle truppe tedesche. Il comandante del “Pinerolo” al fine di evitare che il nemico potesse riorganizzarsi e riprendere l’attacco, ordinò di muoversi per ripristinare il contatto con il II Battaglione del 120° Reggimento fanteria.
Quali ulteriore elemento di incertezza nelle sorti del combattimento si aggiunse anche un forte concentramento di fuoco di artiglieria perpetrata contro una batteria del Gruppo “Susa” che fece accelerare le operazioni di ripiegamento. I superstiti dei due Battaglioni dopo che alle 18:30 non furono uditi colpi di arma da fuoco né esplosioni, presero riparo nella boscaglia.
Le perdite della giornata fra morti, feriti e dispersi furono:
 80 uomini per il “Pinerolo”;
 100 uomini per il II Battaglione del 120° Reggimento fanteria.
Nello scontro tra le forze italiane quelle tedesche mancò anche l’appoggio di tre batterie della Marina che a differenza di altre non fecero il proprio dovere. Il personale delle batterie di Malmuta, Traste e Platamone non essendo coinvolte nei combattimenti e obbligate al di fuori delle Bocche di Cattaro, si dileguò senza sparare un colpo. Regine inutilizzabili gli 8 pezzi da 150/40, i due da 47/44 e i due da 47/33, i marinai imbarcarono su tre motopescherecci militarizzati, utilizzati per il rifornimento viveri, prendendo il largo per raggiungere la costa italiana. Nessuno glielo impedì. C’è da dire che le batterie erano state oggetto di lavori atti a garantirne la difesa da attacchi terrestri e trasformarle in caposaldi, oltre migliorarne le capacità di comunicazione telefonica. Era stato appurato che alcuni pezzi avrebbero potuto colpire obiettivi terrestri provenienti da Ragusa e da Cettigne. La batteria di Malmuta, in particolare, avrebbe potuto garantire il supporto di fuoco necessario durante le operazioni di attacco attuate dalle nostre unità terrestri.
Anche in questo caso non ci è dato conoscere quali iniziative siano state prese nei confronti dei comandanti. La monografia redatta dall’Ufficio Storico della Marina Militare, riguardo le operazioni dell’8 settembre 1943 43 non ne fa alcun cenno all’episodio.
Alle 08:30 del 14 settembre Buttà aveva telegrafato al comando supremo […] “Urge vostro intervento alt attendiamo flotta italiana. Viva il Re”.
Il 15 mattina si riaccesero i combattimenti a Gruda, Kobila che portarono alla resa di reparti tedeschi al Battaglione alpini “Exilles”. Nonostante questo successo locale, constatata l’impossibilità di proseguire le operazioni a favore dei reparti dell’”Emilia”, il Comando Divisione ordinò che: “[…] i mezzi già previsti in accordo con la Marina di Teodo, per un’evacuazione del territorio, raggiungessero le località designata. È probabile, come evidenzia Viazzi, che Buttà, nel corso della famosa riunione del 13 settembre, avesse fatto predisporre al Comando della Marina di Teodo il naviglio necessario per procedere all’imbarco della Divisione nel caso di insuccesso nelle operazioni.
La sera del 15 settembre sui piroscafi Diocleziano, Amarella, Fanny Brunner e altro naviglio minore, fu fatto imbarcare il maggior numero di uomini possibili, tra i quali il Generale Buttà e una parte del Comando Divisione “Emilia”. Per coloro che non riuscirono ad imbarcarsi si aprirono pochi giorni e settimane dopo i cancelli dei campi di concentramento tedeschi quali internati militari.
Nel momento in cui gli ordini di imbarco erano stati già emanati e si stavano approntando le operazioni, giunse dal Comando Supremo il seguente ordine: “Occorre soltanto e sempre resistere”.
Buttà ritenne si trattasse della risposta al suo telegramma con il quale aveva chiesto i rinforzi. In considerazione che la situazione era ormai deteriorata e che la revoca dell’ordine di imbarco avrebbe causato tensioni tali da non poter essere gestite con la dovuta fermezza, il Comandante dell’”Emilia”, non se la sentì di attenersi all’ordine impartitogli o con ogni probabilità lo ignorò vista la sua inapplicabilità. L’onore delle armi la Divisione “Emilia” se lo era già conquistato sul campo. Alle ore 23:00 del 15 settembre 1943 terminarono l’operazione di imbarco.
Nei due giorni di combattimenti la Divisione “Emilia” aveva subito le perdite pari a:
 597 morti;
 963 feriti;
 1.020 feriti.
La Regia Marina reclamava la perdita di 50 uomini.
Sempre in quel frangente Buttà inviò al Comando Supremo il seguente messaggio: “Dopo strenui combattimenti della giornata che hanno tenuto lontano l’avversario premente sulle Bocche di Cattaro, a causa delle forti perdite e della mancanza di munizioni di artiglieria et ormai senza speranza di aiuti tento di riportare in Patria piroscafi italiani et resti miei reparti lasciando elementi sulla montagna in aiuto a lotta. Salpo e Provvidenza assista la Divisione Emilia”.
Il valore delle armi non fu mai in gioco come quello degli uomini, visto che nel corso delle due giornate furono assegnate ai reparti e ai militari della Divisione “Emilia” le seguenti decorazioni al Valore Militare:
 alle bandiere del:
 119° Reggimento fanteria “Emilia”:
• la Croce di Guerra al Valor Militare con la seguente motivazione:
“In due giorni di dura lotta infliggeva gravi scacchi alla tracotanza tedesca che intendeva disarmare i presidi di un’importante piazza marittima. In aspri combattimenti dette largo tributo di sangue per tenere in onore le gloriose tradizioni dell’Esercito Italiano, riuscendo a contenere con gravi sacrifici l’irruenza del nemico superiore per forza e mezzi. Bocche di Cattaro, 14-15 settembre 1943”
 120° Reggimento fanteria “Emilia”:
• la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione:
“In due giorni di lotta rintuzzava ed arginava successivamente l’irruente offensiva tedesca, tendente ad impadronirsi di un’importante piazza marittima l’indomito comportamento del primo battaglione, che completamente circondato dal nemico molte volte superiore di numero e di armamento teneva fino all’estremo le sue posizioni, consentendo l’imbarco delle rimanenti truppe, fu ammirevole per costanza e valore. Bocche di Cattaro, 14-15 settembre 1943”
 155° Reggimento artiglieria “Emilia”:
• la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione:
“Con aggiustati tiri le batterie del reggimento schiacciavano l’avversario infiltratosi tra le opere di un’importante piattaforma e successivamente negli aspri combattimenti che ne seguivano tutti gli artiglieri si battevano valorosamente in gara con i fanti. La seconda batteria s’immolava sui pezzi per contrastare il furioso attacco sferrato dal nemico. Bocche di Cattaro 14 15 settembre 1943”
 ai singoli del:
 119° Reggimento fanteria “Emilia”:
• Capitano di complemento Gino CANETTI la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Comandante di compagnia fucilieri di un battaglione a cui era stato dato il compito di attaccare un forte schieramento difensivo tedesco, durante la preparazione dell’attacco, esprimeva la sua decisa volontà di condurre vittoriosamente a termine l’azione, sia pure a costo del suo sacrificio personale. Incurante della violenta reazione avversaria, alla testa dei suoi uomini, che lo seguivano ammirati per tanto ardimento, si lanciava all’attacco delle posizioni nemiche. Ferito una prima volta ad una mano, noncurante di sé, accorreva là dove più ferveva la lotta dando prova ammirevole di un cosciente sprezzo del pericolo. Mentre stava per sopraffare un centro di resistenza, una bomba da mortaio gli asportava il braccio destro, sollevato per indicare ai suoi la via della vittoria. Colpito ancora una volta gravemente ad una gamba, insensibile al dolore e noncurante degli inviti di recarsi al più vicino posto di medicazione, piegatosi in ginocchio, con ammirevole stoicismo continuava ad incitare i suoi con l’esempio e la parola a persistere nella lotta, quando un colpo di granata che lo investiva in pieno, stroncava questa maschia figura di combattente e di comandante che cadeva fra i suoi che raggiungevano la meta e la vittoria. Nobile figura di eroe, che già in altre azioni di guerra aveva dato prova delle sue insuperabili doti di ardimento. — Kobila (Bocche di Cattaro), 14 settembre 1943”
• Sottotenente di complemento Luigi SEDEA, la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Su terra straniera all’atto dell’armistizio, tenendo fede alle leggi dell’onor militare chiedeva insistentemente di battersi contro i tedeschi. Lasciato per necessità d’impiego in zona arretrata, saputo che il suo battaglione stava per entrare in azione, invocava reiteratamente l’assegnazione a reparto di prima linea. Nel frattempo, manifestatosi in posto violenta aggressione nemica, reagiva d’impeto con entusiastico ardore alimentando la tenace resistenza col suo valoroso esempio. Delineatasi la crisi, riusciva, attuando audaci iniziative, a portarsi in caposaldo montano nel quale impegnavasi in epica lotta, che protraeva con indomito valore fino all’esaurimento di ogni mezzo di offesa favorendo in tal modo l’ulteriore resistenza di altra unità. Catturato, affrontava con stoica fermezza la fucilazione confermando, con l’estremo sacrificio, le sue preclari virtù militari. Bocche di Cattaro, 8 settembre 1943”
 120° Reggimento fanteria “Emilia”:
• Capitano di complemento Bruno Edmondo ARNAUD la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Comandante di compagnia fucilieri in terra straniera all’atto dell’armistizio si schierava contro i tedeschi e irrompeva, primo fra i primi, su munite posizioni da essi tenute, piegandone la resistenza dopo sanguinosi corpo a corpo. Sopravvenuta la crisi, pressato da forze ingenti, ripiegava combattendo e su posizioni interamente battute imbastiva, imperterrito, tenace difesa. Violentemente attaccato, reagiva con indomito ardore impegnandosi in cruenti, audaci contrassalti culminanti in epica lotta corpo a corpo, protratta fino all’estremo delle sue forze, benché conscio della sorte che gli era riservata in caso di cattura, data l’implacabile efferatezza del nemico. Catturato, affrontava con stoica fermezza la fucilazione, confermando le preclari virtù militari delle quali aveva datò luminosa prova alla testa dei suoi valorosi fanti con lui sacrificatisi per tener fede alle insormontabili leggi dell’onore. — Gruda – Bukovina – Hombla (Balcania), – 18 settembre 1943”
• Capitano di complemento Arturo MAIRA la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Tenendo fede alle leggi dell’onore militare, in un momento di generale crisi spirituale, si schierava decisamente contro i tedeschi aggressori e li attaccava, con la sua compagnia mitraglieri, su munite posizioni benché soggetto a violenta micidiale reazione. Manifestatasi la crisi, determinata dalla schiacciante superiorità nemica, opponeva eroica, tenace resistenza a reiterati contrattacchi, favorendo con il suo sacrificio il ripiegamento di altre unità su nuove posizioni. Decimato, a corto di munizioni, stretto da vicino, persisteva con volontà indomita nella cruenta impari lotta che protraeva col suo valoroso esempio in epica mischia, benché conscio della sorte che gli era riservata in caso di cattura, data l’implacabile efferatezza del nemico. Catturato, affrontava la fucilazione con stoica fermezza. — Gruda, Bucovina, Hombla (Balcania), 9-18 settembre 1943”
• Tenente Colonnello in SPE Giuseppe MANZELLI la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
“Patriota ardente, comandante capace e spiccatamente animatore sia al comando interinale di reggimento che di raggruppamenti tattici, dava, particolarmente in situazioni belliche assai critiche, sicure prove di preclari virtù militari. Al tedesco, aggressore di un’importante piazza marittima, si opponeva con indomita fierezza resistendo tenacemente e reagendo con reiterati audaci contrattacchi condotti personalmente con eroico spirito aggressivo. Ferito, non desisteva dall’impari cruenta lotta che protraeva con stoica fermezza fino all’esaurimento di ogni mezzo di offesa, riuscendo, col sacrificio dei suoi valorosi, a sottrarre dalla stretta nemica la maggior parte della sua Divisione reimbarcatasi in virtù del saldo, audace comportamento di un pugno di eroi. Prigioniero, sofferente, costretto in permanenza in luogo di punizione, incurante del rischio cui si sotto poneva, rifiutava fieramente reiterati inviti alla collaborazione, tenendo fede, ad ogni costo, alle leggi dell’onore militare. — Gruda (Albania), 9- 16 settembre 1943”
• Sottotenente di complemento Bruno Paolo VANNUCCI la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“All’atto dell’armistizio, ligio alle leggi dell’onore militare, si schierava contro i tedeschi aggressori e al comando di un plotone mitraglieri partecipava a prolungato sanguinoso combattimento prodigandosi con ardore inesausto e felici iniziative per sostenere, da posizioni intensamente battute, la compagnia cui faceva parte, duramente impegnata. Caduti i tiratori si sostituiva ad essi e persisteva indomito nell’impari lotta a malgrado delle gravi perdite subite. Stretto da vicino, decimato, a corto di munizioni, costretto a ripiegare, opponeva successive resistenze che protraeva con stoica fermezza in epica mischia, benché conscio della sorte che gli era riservata in caso di cattura, data l’implacabile efferatezza del nemico. Catturato, affrontava imperterrito la fucilazione, martire sublime dell’assoluta dedizione al dovere. — Gruda, Bukovina, Hombla (Balcania), 9-18 settembre 1943”
 155° Reggimento artiglieria “Emilia”:
• Tenente di complemento Raffaele TREVISAN la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Comandante di batteria, superdecorato al valor militare, in due giorni consecutivi di aspri combattimenti contro un nemico superiore in forze e in mezzi col preciso tiro dei suoi pezzi gli produceva gravissime perdite, suscitando, col suo valoroso contegno negli artiglieri e nei fanti indomito coraggio e fiero entusiasmo. Attaccato da una forte autocolonna tedesca, appoggiata da un intenso spezzonamento e mitragliamento aereo, dirigeva sino agli estremi il fuoco dei cannoni sul nemico. Visti cadere ad uno ad uno tutti i suoi uomini ed ormai circondato da ogni parte, rimaneva saldo e sereno al suo posto di comando e a colpi di moschetto e col lancio delle bombe a mano difendeva ancora la batteria, finché, colpito da raffica di mitragliatrice, cadeva riverso su quei pezzi che tanto aveva amato. Esempio sublime di supremo sprezzo del pericolo e del più puro amore di Patria. — Bocche di Cattaro, 9-16 settembre 1943”

6. Conclusioni
Il lavoro di Luciano Viazzi e le monografie redatte dagli Uffici Storici dell’Esercito Italiano e dalla Marina Militare (elaborate a cura rispettivamente di Mario Torsiello e Giuseppe Fioravanzo), forniscono una narrazione asciutta e priva di spunti storiografici di critica. Il primo, invece, riassume sulla base della documentazione archivistica consultato presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito una narrazione episodica, con continui flashback creando una lettura non del tutto agevole.
Dopo tanti anni dalla loro redazione sarebbe opportuno procedere a una rilettura, ad un’analisi e ad uno studio dettagliato sul comportamento delle unità e dei comandanti. In particolare, dalla lettura dei testi emerge la figura del Comandante della Divisione “Emilia”, che andrebbe portato ad esempio per la volontà di combattere il tedesco fin dai primi momenti dell’annuncio dell’armistizio. D’altro canto, Viazzi lo critica per aver disubbidito ad un ordine di un proprio superiore; ordine che prevedeva la consegna delle armi ai tedeschi. Ci permetta il lettore di dissentire sia da quanto contenuto nell’ordine impartito dal Comandante del XIV Corpo d’Armata sia alle critiche mosse da Viazzi.
Una disobbedienza agli ordini che costerà cara al Comandante della Divisione “Emilia” e, di riflesso, ai suoi reparti in quanto, probabilmente proprio per aver disatteso le disposizioni gerarchiche, non verrà proposto per alcuna decorazione al Valor Militare. Anche gli stessi Reggimenti dell’Emilia non avranno, secondo il nostro modesto avviso, il giusto riconoscimento. Un giusto plauso che i fanti, gli artiglieri e tutti gli altri militari della Grande Unità avrebbero senz’altro meritato, in considerazione di aver attaccato senza indugio le forze germaniche e non subìto passivamente i diktat imposti dalle truppe naziste.
Analizzando gli avvenimenti descritti nei testi poc’anzi citati, è d’obbligo individuare le criticità che condizionarono in maniera negativa l’esito delle operazioni:
 la totale assenza di un supporto aereo che avrebbe potuto effettuare sia azioni di intercettazione dei velivoli tedeschi, che imperversarono sui reparti italiani, sia azioni di contraviazione sugli aeroporti dove erano stanziati gli aerei della Luftwaffe. Ma per mettere in atto azioni di questo genere sarebbe stato necessario non cedere gli aeroporti ai tedeschi e tenerli a tutti i costi;
 il mancato coordinamento tra unità contermini, in particolare tra l’”Emilia” e la “Ferrara” che non fu parte attiva negli avvenimenti e che non riuscì a ricongiungersi con le unità comandate dal Generale Buttà, arrendendosi alla fine ai tedeschi;
 la totale inadeguatezza degli organici delle unità italiane. Due soli gruppi di artiglieria in luogo dei tre, senza unità contraerei che all’occorrenza potevano essere utilizzate anche per battere bersagli terrestri;
 la carenza di unità blindo-corazzate in supporto alle Grandi Unità. Un solo Battaglione carri L, che giova ricordare erano armati di sole due mitragliatrici Breda cal. 8 mm, di supporto del XIV Corpo d’Armata;
 la carenza di unità equipaggiate con armi controcarri. Nel 1943 le compagnie armi d’accompagnamento dei due reggimenti di fanteria, equipaggiate con cannone Bohler da 47/32, costituivano solamente dei palliativi;
 il comportamento di alcuni comandanti. Non può essere sottaciuto il pavido atteggiamento assunto dal Generale Negro che non esita a fuggire e lasciare un settore assegnato senza un Battaglione. D’altro canto, invece, andrebbe rivalutata la condotta di Buttà (non esente da colpe, ma è uno dei pochi che ha deciso come comportarsi) e di Azzi (benché fosse un Ufficiale della Regia Marina non esita a mettersi in gioco alla testa dei propri uomini per condurre dei combattimenti terrestri);
 la defezione di alcune unità (la Brigata Costiera, i reparti di Camicie Nere ed alcune batterie della Regia Marina).
Purtroppo, riprendere gli studi ora su un argomento particolare come questo o necessiterebbe anche di testimonianze dirette, ma l’anagrafica degli attori non potrebbe esserci di aiuto. Sarebbe necessario ampliare le ricerche rivedendo non solo i documenti presenti nei vari archivi storici, ma affrontando, parallelamente, uno studio concernente le motivazioni al combattimento. Come già detto non potrà essere d’aiuto il fatto che la maggior parte dei protagonisti non sia più tra noi, ma provare a stabilire quale fosse l’istinto che portò migliaia di soldati a combattere per aprirsi la strada nella speranza di rientrare in Italia potrebbe essere, in qualche modo, la giusta ricompensa al loro sacrificio.
Glielo dobbiamo.