GIORGIO CAROZZI. La battaglia dell’Assietta, 19 luglio 1747

  

Battaglia dell’Assietta

Giorgio Carozzi
La battaglia dell’Assietta, conosciuta anche come bataja dl’Assiëtta in piemontese e bataille du col de l’Assiette in francese, fu combattuta il 19 luglio 1747 sulla cresta tra la Val Chisone e la Val di Susa (Piemonte), nel quadro della guerra di successione austriaca, conflitto che coinvolse le potenze europee nella metà del Settecento, le cui conclusioni, positive per il Regno dei Savoia, aprirono la strada al Risorgimento italiano con l’unificazione dell’Italia nel secolo successivo.
Fu una sorprendente, inaspettata, grande vittoria delle forze sabaude, che in netta minoranza di uomini e privi di cannoni misero in rotta un esercito francese tre volte più numeroso e dotato di artiglierie. Ma è stata una battaglia importante anche per noi Alpini – chi scrive è un vecchio Alpino del 5°- poiché in quella battaglia, come vedremo, furono decisivi proprio i miliziani, tutti valligiani del luogo chiamati a combattere a titolo volontario per difendere la loro terra e le loro cose, che seppero battersi in un modo straordinario, ed è sicuro che quando il Capitano Perrucchetti scrisse il suo articolo sulle “Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini…” aveva ben presente il ruolo dei valligiani alla battaglia dell’Assietta, e trovò nell’allora Ministro della Guerra Cesare Ricotti-Magnani un ufficiale piemontese altrettanto consapevole ed informato, da cui la formazione delle prime 15 compagnie alpine.
Antefatto
Siamo nella guerra di successione austriaca, e nell’area del mediterraneo troviamo il Regno di Sardegna alleato agli austriaci, con il supporto navale dell’Inghilterra, contro Francia e Spagna., La strategia franco-spagnola per la guerra in Italia mirava alla conquista di Milano previa, ovviamente, la conquista del bastione alpino presidiato dall’esercito sabaudo di Carlo Emanuele III (All 1). In forza di tale strategia Luigi XV tentò più volte di penetrare in Piemonte, assediando Cuneo e combattendo aspramente alla Madonna dell’Olmo nel 1744. L’anno seguente una poderosa armata franco-spagnola aveva aggirato dalla riviera ligure il cordone alpino e a Bassignana aveva inflitto una dura sconfitta alle truppe sabaude, ma nonostante le vittorie tattiche l’esercito franco-spagnolo non era riuscito a costringere il Regno di Sardegna ad una pace separata.
Gli alleati austro-piemontesi alla fine erano riusciti, entro il 1746, a ricacciare le forze avversarie dal Nord Italia, assediare e conquistare Genova e a spingersi sino in Provenza. La rivolta della città di Genova avviata dal gesto del Balilla e il conseguente ritorno offensivo franco-spagnolo cambiò la situazione sul terreno, e costrinse gli alleati austro-piemontesi ad una strategia di difesa sulle Alpi. Mentre l’esercito di Maria Teresa tentava di riconquistare Genova, le corone di Francia e Spagna decisero di soccorrere la città con una poderosa armata di oltre 150 battaglioni di fanteria, 75 squadroni di cavalleria e 2 brigate d’artiglieria: un’armata imponente, in un’epoca in cui gli eserciti erano tutti e solo costituiti da mercenari, soldati di professione, ed il loro costo ne limitava gli organici. Il comando di queste forze era affidato a due generali: il cavaliere Luigi Carlo Armando, conte di Bellisle, e il marchese de La Mina, i quali avrebbero dovuto concordare un unico piano d’operazione, ma i due comandanti non avevano la stessa visione strategica: secondo il Bellisle sarebbe stato opportuno minacciare Torino valicando le Alpi, mentre per il suo collega spagnolo era prioritario soccorrere Genova.
All’inizio prevalse il piano del marchese di La Mina, ma le forze a disposizione del generale sabaudo Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum, 17 battaglioni di fanteria sabauda e 12 austriaci, supportate anche dalle navi della flotta inglese, riuscirono a rallentare l’avanzata del nemico lungo le coste della riviera di ponente. Solo il 24 giugno i franco-spagnoli di La Mina riuscirono a raggiungere Porto Maurizio. A questo punto venne presa in considerazione l’idea del Bellisle. Un corpo d’armata di 50 battaglioni di fanteria, 15 squadroni di cavalleria e molti cannoni avanzarono allora verso i valichi alpini. L’armata venne divisa in due corpi, che marciarono verso il Moncenisio (All. 2). L’obiettivo strategico della manovra era lo stesso del 1745: l’assedio del forte di Exilles e lo scavalcamento di Susa, difesa dall’imprendibile forte della Brunetta. Per far questo era però necessario impadronirsi della cresta dell’Assietta e del colle delle Finestre (All. 3).
Il luogo
L’Assietta è un colle brullo che domina il ripido vallone da cui poi saliranno le truppe francesi, posto a oltre 2500 m sullo spartiacque fra la valle di Susa e quella del Chisone: il suo controllo consente di poter intervenire rapidamente in una valle o nell’altra, e permette di dominare il forte di Exilles. Prevedendo che i francesi vi sarebbero transitati come era già avvenuto per la campagna del 1745, Carlo Emanuele III ordinò di trincerarlo (All. 4) e di presidiarlo con 13 battaglioni di fanteria. Il corpo destinato all’Assietta era composto da truppe sabaude ed austriache al comando del tenente generale Conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio. I trinceramenti erano costruiti in modo tale da permettere una difesa a 360°. Il punto chiave dell’intero perimetro difensivo era però dato dalla vetta del Gran Serin, sulla quale furono schierati i tre migliori battaglioni a disposizione del generale piemontese: il 2º btg. ed il 3º btg. del Rgt. svizzero Kalbermatten e il 3º btg. del Rgt. svizzero Roy. I solidi battaglioni imperiali, 4 battaglioni dei Reggimenti Forgách, Traun, 3° Hagenbach e 3° Colloredo, furono schierati a diretta difesa del colle dell’Assietta, sino alla ridotta della Testa dell’Assietta, difesa dai Granatieri del 1° battaglione «Guardie», comandato dal Conte Paolo Navarina di San Sebastiano. In appoggio all’esercito piemontese intervennero anche miliziani del luogo, e gruppi organizzati di combattenti valdesi, abituati già a compiere con successo atti di guerriglia nelle valli che conoscevano molto bene: il loro compito, come sempre in questi casi, era quello di tenere impegnato il maggior numero di soldati francesi, sottraendoli così alla disponibilità in battaglia aperta.
Le spie francesi avvertirono però i marescialli che il nemico si stava fortificando sull’Assietta, ove il Savoia aveva disposto l’invio di ulteriori rinforzi, artiglierie e battaglioni in marcia da Pinerolo. Sulla base di queste notizie, e consapevoli della evidente superiorità numerica delle forze francesi venne deciso di attaccare subito, per spazzare via quelle forze armate che avrebbero potuto intralciare l’assedio al forte di Exilles.
I piani contrapposti
Belle-Isle decise di concentrare lo sforzo principale contro il Gran Serin, mentre due attacchi secondari dovevano essere sferrati in contemporanea contro la ridotta della Butta dell’Assietta e contro il fianco sinistro del campo trincerato. Giusta l’estensione dei trinceramenti, diversi chilometri di muri a secco, gran parte dei battaglioni austro-sardi sarebbe stata fissata dall’azione frontale delle prime due colonne, mentre l’attacco principale avrebbe occupato il Gran Serin rendendo vana ogni ulteriore difesa da parte dell’avversario.
Riassumendo il concetto di operazioni del Cavaliere di Belle-Isle si sviluppava nel seguente modo (All. 5):
₋ attacco principale contro le posizioni nemiche sul Gran Serin a quota 2.629;
₋ attacco secondario contro il fianco sinistro del trinceramento avversario, lungo il fronte compreso tra quota 2.555 e quota 2.551, in contemporanea con l’attacco principale;
₋ attacco secondario contro la ridotta costruita in corrispondenza della Testa dell’Assietta a quota 2.566.
Le fortificazioni campali realizzate dai piemontesi (All. 6) erano state realizzate in poco tempo, ed erano costituite in sostanza da un muro di pietre a secco, alto in molti punti non più di un metro e mezzo o due (All. 7), ma erano state pressocchè completate, e prendevano l’intera cresta dell’Assietta. Si rendeva perciò necessario il supporto di fuoco offerto dalle artiglierie campali da 4 libbre, tanto più opportuno in quanto ai piemontesi mancava l’artiglieria, ancora in marcia e che non sarebbe arrivata in tempo per la battaglia. Giustamente Belle-Isle aveva deciso di portare quei cannoni con sé per l’attacco all’Assietta già nei giorni precedenti.
Il Conte di Bricherasio sviluppò un piano molto più semplice (All. 8), che prevedeva le seguenti azioni:
₋ resistere all’attacco nemico appoggiando i battaglioni di fanteria alle fortificazioni del campo trincerato;
₋ ritardare il più possibile la conquista della Testa e del Colle dell’Assietta;
₋ ritirarsi quando necessario verso il Gran Serin, caduto il quale la ritirata avrebbe dovuto proseguire sino al colle delle Vallette, presidiato da un reparto di riserva.
Il conte di Bricherasio stesso, prima di abbandonare il bordo occidentale del campo e ritornare al suo posto comando sul Gran Serin, ordinò di inviare «tutte le bandiere dei battaglioni al colle delle Vallette con una scorta». Anche lui nutriva fondati e ragionevoli dubbi sulle possibilità di resistenza.
Dubbi più che fondati. Vediamo le forze in campo alla battaglia: 10 Battaglioni Sabaudi, militari effettivi 4.860, più circa 1.300 miliziani, totale 6.160 uomini (circa).
 Guardie
 Casale
 Hagenbach
 Traun
 Meyer
 Kalbermatten (2)
 Roi
 Forgiach
 Colloredo
 Miliziani (Valdesi e valligiani)
Le forze francesi contavano 17.500 effettivi.
 27 batt. di linea (1050 ufficiali, 14.700 sottufficiali e uomini di truppa)
 2 batt. spagnoli (700 uomini ca.)
 2 batt. Granatieri
 1 batt. truppe cavalleria leggera
 1 rgt dragoni
 1 compagnia pionieri
 Gruppo artiglieria
 Ospedale mobile
 Milizie di Briancon (200 uomini ca)
La battaglia
il 19 luglio 1747 sulI’Assietta francesi erano forti di 32 battaglioni, contro i 13 austro-sardi, dei quali dieci impegnati effettivamente in combattimento. La colonna di destra, al comando del Maresciallo Villemur, con 14 battaglioni doveva attaccare il Grand Serin e giunto in vista della testa dell’Assietta proseguì la marcia per portarsi a distanza d’assalto; la colonna di sinistra del generale Mailly, forte di 9 battaglioni, doveva attaccare i trinceramenti di Riobacon e del pianoro del colle; quella centrale, agli ordini del Maresciallo d’Arnault, con 8 battaglioni su due sottocolonne, doveva attaccare la ridotta della Testa dell’Assietta, difesa dai Granatieri del 1° battaglione «Guardie», al comando del Conte di San Sebastiano (All. 9). Verso le 16,30 il Bellisle, temendo l’arrivo dei rinforzi avversari, e avuta notizia che le sue artiglierie da campo da quattro libbre non sarebbero arrivate in tempo, dette comunque l’ordine d’attacco che iniziò con grande vigore, ma non in contemporanea in ogni settore, preceduto dal fuoco dei cannoni da montagna, 7 erano quelli disponibili, che furono usati senza risparmio.
Il ritardo nell’arrivo dei cannoni “pesanti” era dovuto all’azione dei miliziani, che avevano imperversato sulle truppe francesi sin da Sauce d’Oulx, creando ostruzioni d’alberi e di frane sulle mulattiere esistenti, facendo crollare i ponti e bersagliando i soldati impegnati nel ripristino dei tracciati. Azione di disturbo particolarmente efficace, quei valligiani conoscevano a fondo il territorio, ed erano ovviamente tutti cacciatori, all’epoca se non sapevi cacciare non c’era carne per la tavola, ed erano quindi ben abituati a non sbagliare il colpo. Quando le truppe francesi attaccarono le trincee sabaude, fornirono il loro supporto di fuoco alle truppe regie, accorrendo là dove si sviluppava la battaglia.
In questo scenario la tattica impiegata dai francesi, con colonne à la Folard, si dimostrò del tutto fallimentare. Le colonne d’assalto, impossibilitate a sviluppare tutta la loro potenza di fuoco, furono decimate dal tiro dei difensori. La ridotta della testa dell’Assietta, difesa dai granatieri del Conte di San Sebastiano, si rivelò una tenaglia collegata con le retrostanti posizioni, era continuamente rifornita alla gola e si dimostrò subito un ostacolo troppo difficile per poter essere superato (All. 10). A peggiorare la situazione gli ufficiali francesi, posti alla testa della colonna per guidare l’assalto, furono decimati dal fuoco dei difensori. Il Bellisle, visto che i suoi soldati non riuscivano ad infrangere la resistenza delle truppe sabaude, abbandonò il suo posto comando e si portò sotto le posizioni sabaude della testa dell’Assietta, seguito dal suo aiutante di campo, che portava una bandiera strappata dalle mani di un alfiere reggimentale e si lanciò all’ennesimo assalto, sperando con questo esempio di trascinare i suoi: quest’impresa, però, gli fu fatale. Venne infatti ferito con un colpo di fucile al braccio e, successivamente, ricevette un colpo di fucile alla testa.
Lo stesso avvenne per la colonna del de Mailly (All. 11), che venne falcidiata dal tiro dei difensori e non ebbe la possibilità di sviluppare un fuoco di ritorsione efficace per aprirsi un varco nelle difese (All. 12). Solo al Gran Serin il Villemur fu in grado, grazie alla sommità più ampia della montagna, di far aprire i propri battaglioni per sviluppare il proprio fuoco (All. 13). Tuttavia doveva combattere contro alcune delle migliori truppe sabaude disponibili sul campo di battaglia protette da fortificazioni campali, sia pure basse e poco profonde. Per questi motivi il generale Bricherasio interpretò la situazione come un pericolo imminente e decise di rinforzare la posizione del Gran Serin. Tutti i battaglioni della riserva furono inviati di rinforzo ai battaglioni svizzeri impegnati in battaglia.
Chiese quindi al Conte di San Sebastiano, che comandava le forze schierate nella ridotta più avanzata alla Testa dell’Assietta, di lasciare la sua postazione e di ritirarsi con i suoi soldati – due compagnie granatiere e il 1º Battaglione del Rgt. Guardie, verso il Gran Serin. Le forze francesi superstiti lanciarono degli attacchi finalizzati a fissare le forze piemontesi presenti in zona, ed a seguito di tali azioni il San Sebastiano, decise di disobbedire e di non sganciare le proprie forze. Intanto il Villemur, respinto due volte faticosamente dai difensori del Gran Serin, si preparava a un terzo e più vigoroso assalto (All. 14), e allora il Comandante in capo Conte Cacherano di Bricherasio inviò al Conte di San Sebastiano espresso ordine di sgomberare la Testa dell’Assietta e correre di rincalzo dei difensori del Gran Serin. Il San Sebastiano ancora non si mosse, ed anzi, la sua disobbedienza all’ordine e la responsabilità conseguentemente assunta egli non la tenne per sé, ma proclamò a gran voce, avanti ai suoi Granatieri, che «in faccia al nemico non possiamo volgere le spalle», e i suoi Granatieri, racconta il Dabormida, risposero con grida di gioia. In realtà raccontano le cronache che avesse usato un’espressione in dialetto destinata a fare storia, “Nojàutri ì bogioma nen da si” noi di qua non ce ne andiamo, da cui l’epiteto di bogia nen da allora affibbiato ai piemontesi. Ancora dopo tale rifiuto la Testa dell’Assietta fu assalita dai francesi con disperato impeto, e fu l’ora della vittoria di Paolo Navarina di San Sebastiano e dei Granatieri che egli comandava. Anche Bricherasio riuscì da parte sua a fermare per la terza volta l’assalto del Villemur e fu così completa e definitiva quella che gli storici avrebbero poi definita la «memoranda vittoria delle Armi piemontesi». Al Gran Serin i tre battaglioni svizzeri a disposizione del Bricherasio, rinforzati di ora in ora dai reparti che stavano convergendo verso la vetta, e dai miliziani, furono in grado di fermare con la propria potenza di fuoco tutti gli attacchi francesi, che si ostinavano a procedere con assalti in colonna à la Folard senza aprire il fuoco.
Alle ore 21.00 le forze francesi iniziarono a rompere il contatto e a ritornare sulla linea di partenza del loro attacco.
Il 22 luglio un proclama del re Carlo Emanuele III di Savoia invita i sudditi a ringraziare Dio per aver consentito ai soldati piemontesi di respingere «Li nemici che in numero molto superiore erano venuti ad attaccare con gran impeto li nostri trinceramenti del colle della Sieta al di sopra d’Exilles con li avere li medesimi persi sei stendardi, lo stesso generale che li comandava, molti ufficiali di primo grado e da cinque o seimila uomini tra morti e feriti e prigionieri» (Carlo Emanuele III di Savoia)
Perdite
Le perdite francesi furono enormi: la sera dello scontro il Villemur lamentava dai suoi ranghi l’assenza di 4984 uomini tra morti, feriti, prigionieri e dispersi, più del 25% della forza impegnata. Le perdite austro-sabaude furono di circa 200 uomini. I primi rapporti segnalarono, tra morti e feriti, 219 perdite.
Conseguenze
La battaglia dell’Assietta, da un punto di vista strategico, segnalò lo stallo delle operazioni belliche in Italia. Genova nel frattempo era stata liberata dall’assedio austriaco, mentre di fatto la manovra francese per creare una breccia nel bastione alpino era fallita. Per entrambi i contendenti, in particolare per l’esercito francese e per quello sabaudo, la campagna del 1747 prosciugò definitivamente le riserve materiali e umane, costringendo Luigi XV e Carlo Emanuele III a riconsiderare le trattative di pace, conclusasi poi l’anno seguente con la Pace di Aquisgrana, dalla quale il Regno di Sardegna uscì con acquisizioni territoriali, le contee di Angera, Vigevano, Voghera e Bobbio, già parte del Ducato di Milano, e, soprattutto, con un accresciuto ruolo internazionale del Regno di Sardegna.
Su questo scenario, con le guerre napoleoniche e la resistenza della Sardegna all’invasione francese, la base politica per il risorgimento italiano a firma sabauda è stata posta.