JESSITA ZANATTA Colpi di Stato in America Latina: dal post -colonialismo all’ultimo tentativo di Golpe in Bolivia

  

Colpi di Stato in America latina:
dal post-colonialismo all’ultimo tentativo di Golpe in Bolivia

Jessica Zanatta

Con il termine golpe si fa riferimento a un colpo di stato perpetrato attraverso la violenza da gruppi interni alle istituzioni, spesso militari, il cui scopo è sovvertire il governo in carica con un brusco cambiamento dell’ordine già esistente; si può parlare anche di golpe blando quando esso viene messo in atto senza ricorso alla violenza. Ad ogni modo, si differenzia dal concetto di rivoluzione in quanto, in quest’ultimo caso, il movimento parte da un moto popolare e non è, quindi, interno. In linea di massima, si può affermare che in America Latina solitamente la differenza tra golpe e rivoluzione è data dalle ideologie alla base: mentre i primi vengono spesso perpetrati da agenti di estrema destra, o comunque conservatori, le rivoluzioni, essendo movimenti popolari, rappresentano gli ideali dell’estrema sinistra.
Con questo articolo si cercherà di analizzare il fenomeno dei colpi di stato in America Latina, a partire da quelli avvenuti nel secolo scorso nel post-colonialismo, con un’analisi più approfondita dei golpes militari degli anni Sessanta e Settanta, fino ad arrivare all’attualità, analizzandone gli elementi comuni, le peculiarità, gli attori coinvolti, le cause e le conseguenze, così come le evoluzioni di questo fenomeno così ricorrente in quest’area geografica.

Più di un secolo di golpes in America Latina e le dittature militari durante la Guerra Fredda
Il subcontinente latino-americano a partire dal 1492 venne colonizzato da Spagna e Portogallo, che ne ebbero il controllo fino al XIX secolo, durante il quale vi furono diverse guerre di indipendenza l’ultima nel 1898, quando la Spagna perse gli ultimi possedimenti oltreoceano; due le figure chiave di questo periodo: Simón Bolívar e José de San Martín, due libertadores che contribuirono all’indipendenza dei Paesi latini dopo cinque secoli di sfruttamento, dipendenza e imposizioni.
A seguito del processo di decolonizzazione, però, entrò in scena un altro attore che si rivelerà essere determinante nelle sorti della politica e dell’economia latino-americana fino ai giorni nostri: gli Stati Uniti d’America; infatti, grazie alla “dottrina Monroe”, gli Stati Uniti si autoconvinsero sempre più che nel continente americano dovessero avere la supremazia: ne sono esempi la guerra con il Messico e vari interventi militari nei Paesi bagnati dal Mar dei Caraibi .

Con queste premesse, nel XX secolo i neonati Stati iniziavano il loro cammino verso la democrazia; tuttavia, tale processo si è rivelato essere lungo e tortuoso, spesso interrotto da stravolgimenti dovuti a rivoluzioni e colpi di stato, i quali hanno causato centinaia di migliaia di vittime in tutta la regione.
Infatti, fin dall’indipendenza dalla Spagna e quindi dalla nascita dei vari Stati il processo democratico non è sempre stato lineare, spesso governi eletti dal popolo venivano sostituiti da dittature imposte con la forza: un esempio in tal senso può essere il caso di Cuba nella prima metà del XX secolo, dove si sono succeduti una serie di dittatori e colpi di stato, fino ad arrivare a quello di Fulgencio Batista, che rimase al potere dal 1933 fino al 1942, per poi ritornare nel 1952 con un altro golpe ma poi sconfitto dalla Rivoluzione Cubana ultimata nel 1959. In Ecuador i colpi di stato da parte dei militari iniziarono già dai primi anni del Novecento, tra i quali quelli di José Eloy Alfaro Delgado e quello della Revolución Juliana del 1925; analogamente in Brasile nel 1930 e in Guatemala, nella prima metà del secolo scorso si sono succeduti, a suon di golpe, governi di stampo militare, così come a El Salvador nel 1931 e poi dal 1944 al 1979 e nel resto dei paesi latino-americani: Honduras, Paraguay, Uruguay e Venezuela: quest’ultimo Stato, in particolare, vivrà una costante situazione di instabilità che permane tutt’oggi .
Di particolare rilevanza è il periodo che va tra il 1960 e il 1980, durante il quale ci fu un forte processo di militarizzazione da parte dell’estrema destra che coinvolse diverse nazioni, tra cui il Brasile e la Bolivia nel 1964, l’Uruguay e il Cile nel 1973 e l’Argentina nel 1976; nelle gerarchie militari era fondamentale il concetto di sicurezza nazionale, tanto che consideravano il comunismo un’enorme minaccia e loro rappresentavano l’unico ente in grado di garantirla. In un contesto di guerra fredda, dove il mondo era diviso in due schieramenti diametralmente opposti e contrapposti, da una parte gli Stati Uniti d’America con i membri della NATO e dall’altra l’URSS e il cosiddetto blocco orientale, tutti i paesi non allineati subirono indirettamente delle conseguenze di questo periodo di tensione geopolitica. Si tratta di un periodo di massima allerta, il nemico poteva nascondersi ovunque e, soprattutto negli USA, iniziò una lotta spietata al pericolo del comunismo sia internamente sia all’estero: ad esempio, l’America Latina trovandosi nello stesso continente degli USA poteva rappresentare una minaccia, soprattutto dopo la Rivoluzione Cubana. Per questo motivo, quando si iniziò a percepire che il vento stava soffiando verso sinistra, gli Stati Uniti pensarono di correre ai ripari mettendo in atto una serie di strategie e interventi in politica estera volti a influenzare e intromettersi nelle varie politiche degli Stati latino-americani. Un chiaro esempio è l’Operazione Cóndor, un coordinamento segreto supportato dalla CIA che comprendeva i servizi di intelligence delle dittature militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay con lo scopo di combattere il terrorismo e le forze sovversive di sinistra in America Latina, quindi contro ogni sorta di opposizione. I regimi vennero ampiamente finanziati dagli Stati Uniti, ricevettero forniture militari, pensarono all’addestramento di militari e intelligence, insegnando anche i metodi di tortura più efficaci per prigionieri e dissidenti; come base di coordinamento venne scelto il canale di Panama, per via della sua posizione favorevole per il transito di mezzi, materiali, uomini.

In questo contesto, il Brasile ha fatto d’apripista alle dittature militari: infatti, il primo aprile 1964 organizzarono un colpo di stato contro il presidente João Goulart, in quanto reputato troppo vicino agli ideali comunisti e quindi una minaccia, soprattutto per gli Stati Uniti; pertanto, con il loro beneplacito, si insediò al suo posto il generale Humberto de Alencar Castelo Branco, il quale mise in atto la censura dei media, vietò ogni dissenso e sciopero, iniziò una dura repressione, mettendo anche fuorilegge tutti i partiti politici e creando al loro posto un partito governativo, l’Aliança renovadora nacional (ARENA) e uno fantoccio di opposizione, il Movimento Democrático Brasileiro (MDB). Questa dittatura, conosciuta anche come “regime dei Gorillas”, che durò fino al 15 marzo 1985 era apertamente anticomunista; infatti, venne portata avanti una dura linea repressiva, non si fecero scrupoli quando si trattò di violare i diritti umani, eliminare e torturare i dissidenti politici, nonché uccidere più di 8000 indigeni brasiliani sfruttare i loro terreni in Amazzonia e quindi far incrementare l’economia.
Successivamente a una lunga crisi interna, il 27 giugno 1973 l’Uruguay fu teatro di un auto-golpe da parte del presidente eletto nel 1971, Juan María Bordaberry Arocena, che sciolse il parlamento e governò insieme a una giunta militare per far fronte al il movimento di guerriglia urbana dei tupamaros, un’organizzazione di stampo comunista formata da intellettuali, proletari e studenti, che da anni stava dando filo da torcere ai vari governi: si instaurò, dunque, una dittatura civile-militare. Tuttavia, a causa di conflitti tra Bordaberry e i vertici delle forze armate, un nuovo colpo di stato il 12 giugno 1976 comportò un cambio di vertice con l’allora vicepresidente Alberto Demicheli, al quale subentrò, a settembre dello stesso anno, Aparicio Méndez, con il quale furono messi al bando partiti di opposizione e sindacati e venne attuata una feroce repressione di qualsiasi opposizione. Il 30 novembre 1980 si tenne un plebiscito costituzionale proposto dal governo civile-militare, con l’obiettivo di modificare la costituzione; la proposta venne bocciata dalla popolazione con più del 56% dei voti contrari: iniziò così il ritorno alla democrazia, che avvenne a partire dalle elezioni del 1982.
In Cile Salvador Allende, leader del Partito Socialista e presidente della repubblica da settembre del 1970, fu il primo leader dichiaratamente marxista democraticamente eletto; strinse rapporti con Cuba di Fidel Castro e attuò una serie di riforme e politiche di stampo socialista, destando preoccupazione tra la borghesia, gli imprenditori e proprietari terrieri, oltre che gli Stati Uniti, terrorizzati che il comunismo si potesse espandere ulteriormente, soprattutto in un Paese a loro geograficamente vicini. Con queste premesse, l’11 settembre 1973 Allende venne destituito (e si tolse poi la vita) attraverso un colpo di stato sostenuto dai servizi segreti americani della CIA e organizzato da una giunta militare formata da Augusto Pinochet, César Mendoza, José Toribio Merino, e Gustavo Leigh; iniziò quindi una rigida dittatura militare di stampo fascista, durante la quale vigeva l’assoluto anticomunismo, la repressione di qualsiasi attività considerata sovversiva e libertà di pensiero. Durò fino al 15 marzo 1990, a seguito del plebiscito del 1988 durante con il quale venne chiesto alla popolazione se Pinochet potesse governare per ulteriori 8 anni; quando, nonostante i tentativi di repressione e depistaggio, vinse il “no”, vennero indette delle elezioni democratiche nel 1989, al termine delle quali venne eletto come nuovo presidente Patricio Aylwin.
Similarmente, la situazione in Argentina era alquanto instabile: infatti, nel corso del Novecento ha visto susseguirsi una serie di governi, intervallati da colpi di stato; di particolare importanza fu la figura di Juan Domingo Perón che emerse dopo il golpe del 1943: adoperò una serie riforme atte a migliorare la legislazione in materia di lavoro, il che gli consentì di acquisire popolarità e vincere le elezioni del 1946 grazie i suoi sostenitori presero il nome di descamisados e al lavoro svolto dalla moglie Eva Perón, dando vita al peronismo. Tuttavia, nel 1955 un altro golpe costrinse Perón all’esilio, sebbene tornò al governo nel 1973 e, dopo la sua morte avvenuta l’anno successivo, gli succedette la terza moglie, Isabel Perón; i conflitti interni, la guerriglia, la crisi economica complicarono la situazione già precaria e il 24 marzo 1976 una giunta militare composta da Jorge Rafael Videla, Orlando Ramón Agosti ed Emilio Eduardo Massera prese il potere, con il supporto degli USA, destituendo la presidente. Ebbe inizio, dunque, una dittatura militare estremamente repressiva e intransigente, che provocò migliaia di morti e desaparecidos , costringendo moltissimi dissidenti all’esilio; il regime arrivò al capolinea nel 1983, dopo la sconfitta nella guerra contro il Regno Unito per le isole Falkland, quando vennero indette delle libere elezioni da cui ne uscì vincitore Raúl Alfonsín (1983-1989), il quale diede inizio a una serie di indagini e processi per i reati compiuti durante gli anni di dittatura.
In tutti questi colpi di stato si possono riscontrare diverse caratteristiche in comune: i militari hanno spesso sfruttato la strategia della tensione, della guerra psicologica contro la paura del comunismo e le difficoltà economiche, facendo risvegliare gli ideali fascisti anche nella popolazione, contro tutti coloro che erano anche solo sospetti simpatizzanti di sinistra, attuando un vero e proprio terrorismo di stato. In questo modo veniva giustificato l’intervento dei militari (che si ritenevano gli unici in grado di salvare le sorti della propria patria) nella politica e guida dei vari Paesi ; infatti, veniva considerato indispensabile per difendere la sicurezza nazionale, porre fine al disordine sociale e per occuparsi dei cosiddetti sovversivi: con la scusa di salvare la patria instaurarono dei regimi totalitari, uccisero e fecero sparire qualsiasi tipo di opposizione, usando quella che a tutti gli effetti viene definita guerra sporca. Si tratta di diverse decine di migliaia di persone scomparse in tutta l’area coinvolta: venivano rapiti, torturati e uccisi studenti inermi, giornalisti, intellettuali, professori universitari (soprattutto di facoltà umanistiche), sindacalisti, operai, madri e padri che cercavano i propri figli e spesso le violenze non si limitavano al singolo soggetto ritenuto “sovversivo”, ma si estendevano anche ai familiari di questo, come il fenomeno dei niños robados (bambini rubati), che venivano sottratti alle madri detenute (e poi uccise o fatte sparire) e adottati dalle famiglie vicine ai regimi. In questo contesto nacquero le associazioni argentine delle Madri di Plaza di Mayo e Nonne di Plaza di Mayo, le quali manifestavano e continuano a farlo per ottenere la restituzione dei propri figli e nipoti.

Il caso della Bolivia
È un fenomeno ricorrente in tutto il mondo e che trova margine di azione soprattutto in America Latina: basti pensare che l’ultimo episodio risale a qualche settimana fa: il 26 giugno 2024 un gruppo di militari guidati dal comandante dell’esercito boliviano Juan José Zuñiga e Juan Arnez Salvador a capo della Marina hanno cercato di entrare nella sede del governo, Palacio Quemado, con un carro armato. All’interno dell’edificio istituzionale si trovavano riuniti il presidente Luis Arce con l’intero gabinetto; tuttavia, hanno dovuto sospendere ogni attività per far fonte all’emergenza in corso, dove il presidente ha affrontato il comandante dell’esercito ordinandogli, in qualità di suo diretto superiore, di ritirare i soldati schierati in Plaza Murillo.
Ad ogni modo, la controversia si è risolta solamente quando Luis Arce, grazie alle funzioni dovute al suo potere esecutivo, ha nominato con una breve cerimonia il nuovo comandante dell’esercito, José Wilson Sánchez, il generale Gerardo Zabala, alla guida dell’Aeronautica militare e il viceammiraglio Renán Guardia a capo della Marina. A seguito di questo cambio di vertici, è stato ordinato il ritiro immediato dei militari dagli edifici del governo, i quali hanno obbedito e sono rientrati diligentemente nelle caserme di provenienza; il tentativo di golpe ha provocato 12 feriti, di cui alcuni a causa dei colpi sparati dai soldati, e 17 arresti, tra cui i generali che lo hanno organizzato e messo in atto, che dovranno rispondere di reati legati alla sicurezza interna. Il ministro dell’Interno ha, inoltre, annunciato ulteriori indagini per identificare eventuali altri complici dell’accaduto, per evitare che si ripeta .
Di grande spessore è stata la reazione della popolazione civile, la quale, su appello del presidente Arce, è accorsa sul luogo sventolando bandiere boliviane, cantando l’inno nazionale e fronteggiando a suon di cori i militari presenti e applaudendo non appena questi si sono ritirati, ristabilendo quindi l’ordine e la legalità.
I motivi che avrebbero spinto l’ex comandante generale dell’esercito boliviano Juan José Zuniga a orchestrare il golpe sembrerebbero essere ricollegati all’ex presidente Evo Morales , il quale avrebbe intenzione di candidarsi alle prossime elezioni, sebbene sia stata abrogata la legge che consentiva la rielezione dopo due mandati e sia stato estromesso dalla guida del suo stesso partito, Movimento al Socialismo (MAS) ; a tal proposito, Zuniga aveva dichiarato l’intenzione di far liberare alcuni detenuti politici affinché venisse ristabilita la democrazia . Tuttavia, nonostante le prime dichiarazioni, Morales ha accusato pubblicamente Arce di aver pianificato il golpe, pretendendo delle indagini indipendenti che possano dimostrarlo.
Quello di giugno scorso è stato l’ultimo di una lunga serie: la Bolivia sembra essere il Paese latino-americano con il più alto numero colpi di stato; infatti, a partire dal 1950 sarebbero stati 23, di cui 11 con successo. Uno di questi risale al 1964, quando il generale René Barrientos Ortuño destituì il presidente Victor Paz Estenssoro; durante il governo di Barrientos Ortuño venne ucciso Che Guevara e repressa la guerriglia; anche Luis Adolfo Siles Salinas venne cacciato nel 1969 a seguito di un colpo di stato ordito dal general Alfredo Ovando Candía e l’anno successivo fu la volta di Juan José Torres González. Nel decennio degli anni Settanta il generale Hugo Banzer Suárez (1971-1978) che con un golpe sottrasse il governo a Torres e per tutta la sua dittatura represse i movimenti sociali e le libertà, virando sempre più a destra; anch’egli cadde per mano di un altro colpo di stato organizzato da un altro militare, Juan Pereda. Uno dei casi più eclatanti risale al 1980, quando con l’appoggio della dittatura Argentina e della CIA e finanziato dal narcotraffico, Luis García Meza Tejada prese il potere con la violenza, apportando una nuova ondata di repressione e terrore, dando vita a un vero e proprio narco-Stato ; un altro caso particolare è stato quello del 2019, quando a seguito delle proteste contro la rielezione di Morales egli uscì di scena su pressione delle forze dell’ordine (con appoggio degli Stati Uniti): secondo alcuni questo potrebbe trattarsi di un golpe blando, sebbene la questione sia molto dibattuta.

Golpe blando
Una volta terminata la Guerra Fredda e i colpi di stato militari anche in America Latina si fa strada una nuova tipologia di golpe, il cosiddetto golpe blando o bianco, che consiste in una serie di strategie atte a indebolire sistematicamente il governo dei politici eletti democraticamente e causarne la sconfitta facendo in modo che non si scopra l’intervento di altri attori esterni; non si tratta quindi di un golpe “tradizionale” in cui il potere viene preso dall’esercito attraverso l’uso della violenza e della forza.
In questo nuovo contesto politico si preferisce mettere in atto processi destabilizzatori, creando caos e un senso di insicurezza attraverso, ad esempio, il potere giudiziario con false accuse di corruzione o violazione delle leggi rivolte ai governi oggetto del colpo di Stato; un ruolo fondamentale viene svolto dalla stampa e i mezzi di comunicazione, che vengono usati a proprio piacimento per creare una cattiva immagine del governo in questione e dunque manipolare la popolazione civile. In questo modo, una volta generato un clima di insicurezza e caos, mobilitando le masse popolari, si crea il malcontento tra gli elettori e gli ideatori del golpe possono denunciare l’esistenza di un governo illegittimo, in modo tale da far destituire il presidente in carica o addirittura farlo detenere.