
Nell’80° Anniversario della Liberazione l’Istituto del Nastro Azzurro rende un doveroso omaggio alle donne che hanno meritato la massima decorazione al Valor Militare.
ROSANI RITA
Di origine cecoslovacca, insegnante nella scuola elementare ebraica a Trieste, per sfuggire alle persecuzioni razziali, fu costretta ad abbandonare la città dopo l’armistizio dell’8 sett. 1943. Rifugiatasi a Portogruaro, partecipò attivamente alla lotta clandestina di resistenza, quindi, nel febbraio 1944, si portò a Verona dove costituì, insieme a pochi altri, la formazione “Aquila” della Brigata “Pasubio”. Combattè in Val Policella e nella zona di Zevio fino al giorno del suo cosciente sacrificio. Per il suo virile comportamento fu assunta dalla comunità ebraica quale simbolo della virtù e della forza d’animo del popolo d’Israele.
«Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana vivendo la dura vita di combattente. Fu compagna, sorella, animatrice di indomito valore e di ardente fede. Mai arretrò innanzi al sicuro pericolo ed alle sofferenze della rude esistenza, pur di portare a compimento le delicate e rischiosissime missioni a lei affidate. Circondata la sua banda da preponderanti forze nazifasciste, impugnava le armi e, ultima a ritirarsi, combatteva strenuamente finché cadeva da valorosa sul campo, immolando alla Patria la sua giovane ed eroica esistenza.» Monte Comun, 17 settembre 1944
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MODESTA ROSSI
Contadina e madre di 5 figli, dopo l’8 settembre 1943 insieme al marito Dario Polletti prende parte alla Resistenza nella formazione partigiana Banda Renzino. Il 29 giugno 1944 i tedeschi scatenano feroci eccidi in quella parte della provincia di Arezzo dove abitava: imprigionata durante un’azione di rastrellamento mentre si trova in casa insieme ai figli, il maggiore dei quali aveva 7 anni, si rifiuta di dare informazioni ai rastrellatori che cercavano il marito e gli altri partigiani. Dopo essere stata legata e aver assistito impotente all’uccisione del figlio di 13 mesi, che teneva stretto in braccio, lei stessa fu uccisa a pugnalate. Il suo corpo, con il bambino ancora al seno, fu poi ritrovato assieme a quelli di altre 4 vittime in una capanna data alle fiamme.
«Seguiva il marito nelle impervie montagne dell’Appennino Tosco-emiliano e con lui divideva i rischi, i pericoli e i disagi della vita partigiana, animata e sorretta dalla fede e dall’amore per la Patria. Incaricata di umili mansioni assistenziali, chiedeva ed otteneva di prendere parte attiva alla lotta rifulgendo con le armi in pugno per coraggio e sprezzo del pericolo. Arrestata dai tedeschi resisteva eroicamente a torture e lusinghe e, senza proferire parola che potesse essere rivelazione, affrontava il plotone di esecuzione che spietatamente stroncò, insieme alla sua, l’esistenza di un figlioletto di appena un anno che, quale giovane virgulto, era avvinto al seno materno.»
— Zona di Solaia (Arezzo), 11 settembre 1943 -29 giugno 1944.