“Si bagnava di lacrime la rena, si bagnavano le armi degli uomini, tanto valoroso era il guerriero che quelli piangevano”. Il canto di lacrime dell’Iliade dedicato alla commemorazione di Patroclo si rivela essere uno specchio dell’importanza che il mondo miceneo attribuiva alla consacrazione dei propri guerrieri morti per servire la patria. Esempi della necessità di lasciar riposare i soldati combattenti tra gloria e onore si ritrovano in ogni epoca storica, in ogni società e cultura; pur differendo nelle motivazioni e nelle modalità alla base di una degna sepoltura i popoli di ogni era e luogo avvertivano e avvertono tuttora il bisogno di collocare la morte all’interno della società compiendo riti e comportamenti socialmente condivisi che possano elogiare la vita terrena del defunto mentre lo si accompagna in quella ultraterrena. Il saluto con onore si rende ancora più indispensabile se a morire è stato un eroe della collettività, un combattente a cui è stato chiesto (o imposto) di trascurare la propria individualità per abbracciare l’interesse comune a difesa della patria.
L’attenzione viene immediatamente posta al ruolo dato ai valori del nazionalismo e del patriottismo intesi non nel senso negativo che li associa all’etnocentrismo, all’ostilità verso un nemico esterno e diverso e alla ricerca di una violenza senza limiti per esaltare la propria grandezza rispetto ad un’altra civiltà, ma concepiti come sentimenti tra i più nobili in quanto riflettono valori positivi come l’eroismo, la lealtà e il sacrificio personale. La sociologia applica una distinzione tra i termini patriottismo e nazionalismo identificando il primo con l’attaccamento al proprio paese e il secondo come valore che invoca sentimenti di superiorità nazionale e il desiderio di esercitare un controllo e un potere nazionale. In questo modo si sottolinea la presenza di una correlazione tra i due valori ma nello stesso tempo si esclude il combaciare dei termini dato che le funzioni e le conseguenze sono differenti; nello specifico il tratto distintivo per eccellenza è l’attaccamento positivo che contraddistingue il patriottismo.
In questa ottica, è la componente nazionalistica a risultare maggiormente legata alle politiche militaristiche e orientate alla guerra ma ciò non esclude che sia la combinazione dei due valori a guidare i soldati nei conflitti e a determinare, così, la necessità di elogiare e ricordare il sacrificio dei combattenti che hanno perso la vita mentre dimostravano l’attaccamento alla Patria cercando di impedire al nemico di infliggere una sanguinante ferita al proprio Paese.
“…bisogna aver coraggio e porre un limite al dolore per quanto possibile, e ricordarsi non solo della morte di coloro che sono caduti, ma anche dell’esempio di eroismo che hanno lasciato. Se infatti hanno sofferto cose degne di lamenti, d’altra parte hanno compiuto cose degne di grandi elogi”. Recita così Iperide nell’Elogio per i caduti della guerra Lamiaca, una guerra combattuta da una coalizione di polis sotto la guida di Atene contro il Regno di Macedonia per la riconquista della libertà perduta, e le sue parole risultano essere senza tempo, valide nel 323 a.C. come nel 1453 d.C., anno conclusivo della Guerra dei cento anni tra Francia e Inghilterra, e nel 1763 d.C. alla fine della Guerra dei sette anni combattuta tra Prussia e Inghilterra contro Austria, Francia, Svezia e Russia.
Indipendentemente dalle motivazioni alla base del conflitto e dalle reali percezioni della necessità della guerra, qualunque sia il risultato raggiunto, l’epoca, le nazioni coinvolte e il numero di vittime, a prescindere dalle trasformazioni economiche, politiche, sociali subite, ogni società forte del proprio senso di appartenenza ad un gruppo riconosce i diversi ruoli assunti nella difesa del proprio Paese e dà la giusta rilevanza a chi ha combattuto in prima persona per difendere il gruppo stesso da una minaccia alla sua sicurezza.
Per un lungo periodo storico l’Italia si è dimenticata di elogiare adeguatamente i propri caduti; si era forse in attesa di quella evoluzione ideologica e simbolica che solo in seguito alla Prima Guerra Mondiale gli italiani hanno raggiunto e che ha permesso di creare fonti normative a sostegno della memoria dei caduti. Il nuovo fenomeno se da un lato riguardava la memoria, il sentimento, il ricordo, l’intento commemorativo e celebrativo dei soldati dall’altro ha saputo mettere in atto un processo generale che ha coinvolto le istituzioni e l’opinione pubblica. La richiesta di dare la giusta dignità e gli onori ai soldati caduti in guerra è partita proprio dal popolo e dalle amministrazioni comunali, ha coinvolto artisti e letterati umanistici per arrivare, poi, in ambito legislativo con l’istituzione nel 1919 di una Commissione per onorare la memoria dei soldati d’Italia e dei paesi alleati morti in guerra presso il Ministero dell’Interno.
Il desiderio collettivo di riconoscimento nasce da un lutto comune, da una condivisione del dolore che elimina stratificazioni sociali, ruoli comunitari e responsabilità individuali e crea una rete sociale di empatia che ha la massima espressione nella volontà di dare degna sepoltura ai piccoli e grandi eroi di guerra.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale si è fatto strada il forte desiderio di elogiare coloro che avevano perso la vita sacrificando sé stessi in nome della patria e sacrificando la propria identità dato che, in molti casi, non è stato possibile associare un nome al corpo riverso nel terreno e privo di segni di riconoscimento. Da qui l’idea del Generale Giulio Douhet di scegliere uno di questi anonimi giovani soldati caduti con armi in pugno per onorarlo tra applausi e lacrime in nome di tutti gli eroi di guerra.
Il 1921 è stato l’anno della scelta del combattente che avrebbe dovuto rappresentare il sacrificio dei seicentomila italiani, decisione lasciata a Maria Bergamas di Trieste, una popolana madre di Antonio, soldato che aveva disertato dall’esercito austriaco per arruolarsi nelle file italiane ed era morto combattendo senza che il suo corpo fosse identificato. Davanti ad undici bare chiuse, la donna cadde in ginocchio vicino ad una di esse e così fu scelto il Milite Ignoto, l’eroe simbolo di coraggio, orgoglio, sacrificio e devozione che sarebbe stato tumulato con tutti gli onori il 4 novembre 1921 nel sacello posto sull’Altare della Patria.
Oggi, dopo quasi cento anni dalla sepoltura del Milite Ignoto, il monumento continua ad essere un simbolo fondamentale della memoria collettiva ossia di uno dei più potenti fattori di solidarietà sociale. All’interno della società, infatti, ricostruire una memoria, individuale o collettiva, significa selezionare, interpretare e modellare i contenuti del passato secondo un’immagine ben definita fornendo una rappresentazione di ciò che è stato che serve, nel caso del Milite Ignoto, a non dimenticare una parte importante della nostra storia come Italiani.
(Valentina TRogu )